colpa
Secondo la teoria psicoanalitica, la c. consiste nel sentimento che accompagna la violazione di un precetto morale e non nell’azione malvagia o nell’omissione di un dovere in sé. La c. e il senso di c. psicologico fanno parte della storia dell’uomo fin dalle origini dei tempi; la c. è un problema che riguarda il diritto, la morale e la religione, ma anche la psicologia di ciascuno nel suo rapporto con gli altri nella vita quotidiana. È però solo con Sigmund Freud e con la psicoanalisi che se ne comprende il significato intrapsichico profondo. Nella prima infanzia, sono i genitori e altri adulti autorevoli a stabilire ciò che è bene e ciò che è male per noi, a dare proibizioni e castighi. Nel corso della crescita, tali norme di comportamento vengono introiettate, entrano cioè a far parte della struttura psicologica dell’individuo. Il cosiddetto Super-Io (➔ Io), che rappresenta il fondamento intrapsichico della coscienza morale, si sviluppa a partire dal complesso di Edipo (➔) e svolge un ruolo al tempo stesso normativo, punitivo e protettivo. Nel corso dell’età evolutiva, dapprima si ubbidisce alle regole essenzialmente per la paura di un castigo o per il timore di perdere l’amore delle persone dalle quali si dipende. Con la crescita e la maturità psicologica, si arriva invece a riconoscere e a provare il dispiacere di aver fatto del male agli altri o a sé stessi. Tale consapevolezza si accompagna a un senso di responsabilità e al desiderio di riparare il danno.
La distinzione più significativa introdotta dalla psicoanalisi è quella tra senso di c. conscio e senso di c. inconscio, e proprio quest’ultimo è di grande importanza per la comprensione di alcune patologie psichiche. Per es., nella depressione esso si manifesta sotto forma di autorimproveri e di autodenigrazione totalmente irrazionali, e non è motivato da azioni malvagie realmente compiute, ma da fantasie e impulsi aggressivi primitivi che risalgono a epoche e a livelli di sviluppo mentale nei quali non si è ancora consolidata una precisa distinzione tra realtà interna e realtà esterna, tra pensiero e realtà. Già Freud parlava di «delinquenti per senso di colpa», ossia di individui che paradossalmente commettono azioni delittuose alla ricerca di un castigo. Se talora il senso di c. è patologico, ci sono per contro individui (come alcune personalità psicopatiche) la cui patologia deriva invece dal fatto di non provare alcun senso di c. per il male commesso. In area postfreudiana vari autori (Karl Abraham, Melanie Klein, Herbert Rosenfeld, Leon Grinberg, José Bleger, ecc.) hanno sviluppato in modo originale il tema della c. normale e patologica, con precise ricadute tecniche nella pratica clinica. Se si considera la centralità del desiderio e del relativo conflitto dal punto di vista freudiano, il complesso di Edipo rappresenta l’elemento cardine sia nella norma sia nella patologia, in quanto da esso deriva la possibilità di distinguere tra ‘buono’ e ‘cattivo’, e soprattutto tra ‘buono’ e ‘bene’. Infatti, in seguito alla proibizione di possedere il corpo del genitore amato, quello che è ‘buono’, quindi gradevole, diviene ‘male’, ossia cattivo. L’interpretazione del senso di c. nel transfert, cioè nel rapporto tra psicoanalista e paziente come ripetizione inconscia di modalità relazionali del passato remoto, sarà quindi cruciale.
Se si utilizza un modello teorico derivante dagli studi di Melanie Klein, che ritiene le pulsioni operanti fin dall’origine della vita, l’interpretazione dell’aggressività e quindi della c. sono un ingrediente precipuo del dialogo analitico, motivato dall’urgenza di cogliere l’angoscia all’interno del rapporto con l’analista. Secondo Klein, infatti, all’inizio dell’esistenza, quando non sono ancora netti i confini interpersonali e intrapsichici, il funzionamento mentale è regolato dalla posizione schizoparanoide, un atteggiamento dominato dalla paura di subire persecuzioni e rappresaglie per la propria aggressività. La posizione depressiva, che corrisponde al riconoscimento dell’altro come persona intera e separata da sé, è una tappa maturativa successiva della crescita, per la quale il senso di c., connesso all’angoscia depressiva, è essenziale per gestire le proprie pulsioni aggressive. Le due ‘posizioni’ peraltro coesistono e si alternano in variabile misura per tutto l’arco della vita di ciascuno. Per contro, chi fa riferimento ai modelli della cosiddetta psicologia del Sé (➔), che riconosce nel processo di sviluppo un’area primitiva pre-ambivalente, pre-istintuale, privilegerà l’interpretazione dei bisogni del paziente, delle angosce di separazione e dei deficit relazionali originari. L’intento dello psicoterapeuta in tale contesto è quello di offrire accoglienza, dare contenimento e sollievo, in attesa di incontrarsi, a livelli più avanzati della terapia, con i problemi dell’aggressività e della colpa. La difficoltà tecnica di scegliere quando interpretare o non interpretare il senso di c., particolarmente nel transfert, ne conferma l’importanza e la potenzialità trasformativa in ragione della capacità di evocare nell’immediatezza della seduta il massimo coinvolgimento emotivo. L’interpretazione di transfert, infatti, tocca il problema dell’aggressività e della c. a essa connessa, perché complicati meccanismi difensivi si mettono in opera nella mente del paziente, per sfuggire all’angoscia e al dolore psichico che il riconoscimento della propria distruttività e il farsi carico del sentimento di c. inesorabilmente comportano.