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COLPA

di Vincenzo ARANGIO - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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COLPA (X, p. 890)

Vincenzo ARANGIO

Diritto romano. - Il termine culpa è usato comunemente in latino a indicare il rapporto causale tra un evento dannoso, o comunque spiacevole, e l'azione o omissione di una persona. In questo senso, che non è ancora tecnico, la parola è usata anche dai giureconsulti. Il linguaggio giuridico segue ancora l'uso comune quando adopera la parola culpa nel senso generale di fatto illecito: così sono chiamate colpe la diserzione, l'appropriazione dei rottami di un naufragio, la stregoneria, l'omicidio.

Un significato tecnico dell'espressione si determina quando si dà nome di colpa a uno dei criterî subiettivi di riconoscimento del torto contrattuale o extracontrattuale; un criterio che, sempre meglio differenziandosi e precisandosi, prende un posto intermedio tra il dolo, volontà deliberata di nuocere o di non adempiere un'obbligazione, e il caso fortuito o forza maggiore, evento non imputabile alla persona.

Sembra che, come criterio di responsabilità, la colpa sia stata presa in considerazione la prima volta nell'interpretazione della legge Aquilia sul danno; successivamente, ma sempre durante l'epoca classica (primi secoli dell'impero), lo stesso criterio si sarebbe esteso ad altre ipotesi di torto extracontrattuale, per es., ai rapporti fra il possessore di una cosa e il suo proprietario, o fra più condomini; le applicazioni in tema di torto contrattuale sarebbero state, nell'epoca classica, molto rare, ma si sarebbero estese sempre più nei secoli della decadenza, per modo che in diritto giustinianeo tutta la dottrina del torto, contrattuale ed extracontrattuale, gravita sull'idea di colpa. Il diritto dei giureconsulti aveva, invece, fondato la responsabilità contrattuale da una parte su un concetto molto elastico del dolo, dall'altra sull'imposizione, in casi particolari, di una responsabilità oggettiva che, fuori dei casi di evidente forza maggiore, escludeva ogni discussione intorno alle precauzioni che l'obbligato avesse prese: così il depositario, il mandatario, il socio erano ritenuti responsabili soltanto di dolo, mentre il commodatario o il conduttore d'opera erano responsabili, senz'altra indagine, se le cose a loro affidate erano state rubate da un terzo.

Anche la definizione della culpa, nei limiti in cui già la giurisprudenza classica vi faceva ricorso, sembra avere variato nel corso del tempo. Forse, in principio, e soprattutto nelle applicazioni al danno punito dalla legge Aquilia, si chiamava colpa la semplice possibilità di riferire l'evento dannoso all'attività di una persona; sicché, per un verso, la responsabilità risultava esclusa se al soggetto poteva essere imputata non un'azione ma un'omissione, e, per l'altro, si evitava ogni ricerca intorno alla prevedibilità e prevenibilità dell'evento, e intorno alla maggiore o minore perizia esplicata dal danneggiante nell'esercizio della sua arte o mestiere. Nel diritto giustinianeo, invece, la colpa s'identifica col non avere preveduto ciò che per un buon padre di famiglia sarebbe stato prevedibile, nel non avere evitato ciò che si poteva evitare, nell'imperizia.

Nella stessa epoca, la colpa, divenuta principio fondamentale della dottrina del torto, ha varie gradazioni. Alla culpa ordinaria, o levis, commisurata alla diligenza di un buon padre di famiglia, si contrappone la lata (colpa grave), consistente nel non intendere o prevedere ciò che chiunque intenderebbe o prevederebbe: quest'ultima è equiparata al dolo, e se ne risponde, perciò, anche in quei contratti, come il deposito, per cui la responsabilità colposa non è, in massima, sancita. Da altro punto di vista, ma con effetti praticamente identici, si distingue fra la diligenza tipica del padre di famiglia e quella che l'obbligato stesso pratica nelle cose proprie (culpa in abstracto e culpa in concreto della dottrina): termine di paragone ordinario è la prima, ma in tema di società, di tutela, di restituzione di dote, l'obbligato risponde solo se non abbia osservato, circa le cose sociali o del pupillo o della moglie, la sua diligenza abituale. All'epoca giustinianea appartiene pure la teoria della colpa in eligendo e in vigilando, creata per giustificare la responsabilità dell'imprenditore per gli operai, del padre per il figlio, ecc.

Bibl.: J. C. Hasse, Die Culpa des römischen Rechts, 2ª ed., Bonn 1838; A. Pernice, M. A. Labeo, II, parte 2ª, Lipsia 1900; L. Mitteis, Römisches Privatrecht, I, Lipsia 1908, p. 315, segg.; G. Venezian, Opere giuridiche, I, i (Danno e risarcimento fuori dei contratti), Roma 1918; K. Binding, Die Normen und ihre Übertetrung, IV, Lipsia 1919; G. Rotondi, Scritti giuridici, II, Milano 1922, p. 465 segg. (Dalla lex Aquilia all'art. 1151 cod. civ.); W. Kunkel, Diligentia, II, p. 85 segg.; B. Kuebler, Der Einfluss der griechischen Philosophie und die Entwicklung der Lehre von den Verschuldungsgraden in röm. Recht, in Rechtsidee und Staatsgedanke (Festschrift Binder), Lipsia 1930, p. 63 segg.; V. Arangio-Ruiz, Responsabilità contrattuale in dir. rom., 2ª ed., Napoli 1933.

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