colto (culto; agg.)
Latinismo, participio del verbo colere, " coltivare ", che compare in funzione di attributo in due luoghi della Commedia, e in funzione verbale in un luogo del Convivio (IV XXI 13, nella forma dotta culto).
Quest'ultima occorrenza ci presenta il termine in più diretta relazione con il verbo colere non solo nella forma ma soprattutto nell'uso: se questo [cioè l'appetito de l'animo] non è bene culto e sostenuto diritto per buona consuetudine, poco vale la sementa. La metafora, che compare in tutta l'ultima parte del capitolo XXI, ha come lontane origini sia il Vangelo che i testi aristotelici.
Per quanto riguarda le due occorrenze della Commedia, c'è da notare anzitutto che il vocabolo è in rima in entrambi i casi. In If XIII 9 quelle fiere selvagge che 'n odio hanno / ...i luoghi cólti, abbiamo un uso proprio del termine, che assume valore di vero aggettivo. In Pg XXX 119 più maligno e più silvestro / si fa 'l terren col mal seme e non cólto, l'immagine non è propriamente metaforica, ma piuttosto allegorica, e bene viene interpretata da Benvenuto: " ingenium vigorosum recte assimilatur agro fertili, cui si committitur mala doctrina, et non excolatur virtute, facit malum fructum... ". In questo luogo, come si vede dai commenti antichi e moderni, il valore del vocabolo oscilla fra quello verbale (si sottintende il verbo ‛ essere ') e quello aggettivale.