COLTURE ACQUOSE
. Sono così denominate le colture che si fanno, a scopo sperimentale, di piante verdi (per lo più piante superiori) che ricevono gli alimenti da soluzioni nutritizie a composizione chimica ben definita. La tecnica delle colture ha importanza notevole in fisiologia vegetale per studiare il problema della nutrizione minerale delle piante e la sua adozione segna un momento importante nella storia della scienza, perché ha definitivamente servito a dimostrare come la nutrizione delle piante verdi si svolga indipendentemente dall'apporto di qualsiasi sostanza organica del suolo, come si riteneva dai sostenitori della cosiddetta teoria dell'humus.
I primi accenni di questa tecnica si possono trovare nelle coltivazioni fatte dal Duhamel nel 1765, usando acqua pura; ma si deve al Sachs (1858) l'uso di soluzioni contenenti sali nutritizi; al Knop (1861) quello di formule di soluzioni comprendenti tutti gli elementi delle ceneri delle piante da coltivare. Il valore di tale tecnica si fonda sul principio seguente: dato che l'analisi d'una pianta dimostra l'esistenza in essa d'un certo numero di elementi, la coltivazione della pianta stessa in una soluzione che li contenga tutti nelle proporzioni che sono dimostrate dall'analisi, deve servire a nutrire totalmente la pianta che si metta a sviluppare in tali condizioni. Preparando, poi, delle soluzioni nelle quali uno o più di tali elementi vengano a mancare, si può rilevare l'effetto di tale carenza, e quindi il valore fisiologico d'ogni singolo elemento. In tali soluzioni mancano, naturalmente, i composti del carbonio, il quale viene tratto, come è noto, dall'aria atmosferica. In quanto agli altri elementi, si può dimostrare che il potassio, il fosforo e l'azoto sono tra quelli indispensabili per lo sviluppo d'ogni specie vegetale, e che l'insufficienza d'uno di essi pregiudica grandemente lo sviluppo della pianta; mentre il calcio e il silicio, che pure sono abbondantissimi nelle ceneri, possono trovarsl'in piccola dose, in alcuni casi (riferentisi a piante inferiori) mancano anche senza gravi danni. Tali risultati hanno dato luogo alla preparazione di formule che sono d'uso corrente nei laboratorî. Tali le seguenti: H2O gr. 1000; KNO3 1,0; NaCl 0,5; CaSO, 0,5; MgSO4 0,5; Ca3(PO4)2 0,5, e tracce di FeCl3 (Sachs); oppure: H2O gr. 1000; MgSO4 0,25; Ca (NO3)2 1,00; KH2 PO4 0,25; KCl 0,12, e tracce di FeCl3 (Knop); il cloruro di potassio può essere sostituito con nitrato di potassio. Questa formula è forse più usata. Un'altra pure usata di frequente è quella di Van der Crone: H2O gr. 1000; KNO3 1,00; CASO4 0,5; MgSo4 0,5; Ca3(PO4)2 1,25; Fe3(PO4)3 0,25. Le soluzioni debbono essere leggermente acide e vi si aggiunge, perciò, qualche goccia di solfato di acido fosforico. Nel valutare i risultati di tali esperienze occorre una rigorosa tecnica operatoria. I recipienti, di solito di vetro, portano nella parte superiore un largo tappo di sughero imparaffinato, o di ebanite, o di vetro, forzato, al centro nel quale si pone il seme da far germinare, o che ha già iniziato la germinazione, e che si fissa con un po' di lana di vetro o di amianto; le radici, sviluppandosi, si immergono nel liquido, e s'inizia così lo sviluppo della piantina. Poiché le radici sono fototropicamente negative, e si sviluppano meglio nell'oscurità, e poiché le soluzioni potrebbero essere invase dalle alghe verdi, che altererebbero assai la loro composizione, occorre rivestire i vasi con carta nera, coperta a sua volta con carta bianca, per evitare eccessivo riscaldamento. Meglio affondare i vasi in segatura, o sabbia, che protegge ottimamente le soluzioni. Inoltre, poiché le radici respirano attivamente, si deve curare una frequente aerazione del liquido nutritivo, o mediante un frequente travaso, o mediante insufflazioni d'aria. Soprattutto poi, quando è necessario valutare l'importanza di singoli elementi che si trovano in piccola misura, occorre la più scrupolosa purezza dei materiali usati; non solo dei prodotti chimici, ma anche dei recipienti di vetro; questi sono sempre attaccabili dall'acqua, e possono portare in soluzione, oltre che il silicio, anche calcio, sodio, ferro, zinco, ecc. Spesso conviene rivestire il vetro con un forte strato di paraffina per impedire che le pareti possano essere attaccate dall'acqua. Questa può essere spesso acqua di fonte, o piovana, ma deve, per esperienze più delicate, essere accuratamente distillata.
Le soluzioni si esauriscono rapidamente, se non del tutto, almeno in parte dei loro costituenti, e cambiano così di caratteristiche chimiche, e chimico-fisiche. Debbono perciò essere rinnovate almeno una volta alla settimana, ed è opportuno usare recipienti di notevole capacità, anche fino a dieci litri. Occorre inoltre aggiungere acqua distillata, per sostituire quella che viene assorbita dalle piante in attiva traspirazione.
Con tutte queste cautele le piante possono essere coltivate fino al completamento del ciclo vegetativo. Piselli, frumento, orzo, mais, grano saraceno si prestano particolarmente per tali esperienze, ma anche querce sono state coltivate in tali condizioni per parecchi anni, fino a fioritura e fruttificazione.
L'uso di tali metodi ha permesso di studiare molti problemi inerenti alla fisiologia della nutrizione minerale delle piante, specialmente l'importanza di elementi ritenuti non indispensabili.
Un particolare sviluppo hanno avuto, in un successivo periodo, le ricerche sulla modalità di assorbimento dei diversi ioni; per esempio si è dimostrato (tra gli altri dal Pantanelli) come l'anione e il catione d'un sale possano essere assorbiti in tempi e in misura differenti.
Inoltre si sono studiate le possibilità di sostituire un elemento nutritizio con un altro affine (per es., K con Na; Ca con Sr o con Mg; P con As). I risultati sono stati completamente negativi, almeno rispetto alla sostituibilità totale di alcuni di essi, ma hanno messo in evidenza il cosiddetto antagonismo che esiste tra elementi affini (per es., tra K e Na; tra Ca e Mg). Si è, così, aperta la via allo studio della reciproca azione che possono avere diversi ioni presenti in una stessa soluzione, rispetto alla loro assorbibilità da parte delle piante. Tale ordine di ricerche, ha assunto particolare interesse dopo che lo studio della chimica del terreno dimostrò quanto influisca sul carattere d'un terreno, e di riflesso sul suo valore colturale, la presenza - oltre certa misura - di alcuni ioni (per esempio, terreni salati o a carbonato sodico, o calcari). Lo sviluppo delle dottrine sul valore che la concentrazione di ioni d'idrogeno ha nel determinare le proprietà del terreno, rispetto alle piante che vi crescono, ha fatto rivolgere l'attenzione a questa proprietà delle soluzioni nutritizie. La concentrazione di ioni d'idrogeno può variare secondo le diverse formule adottate per prepararla, e, ancor più, in conseguenza dell'assorbimento elettivo di ioni per parte delle radici. Queste variazioni possono essere non solo molto rapide, ma anche molto notevoli, e determinare, così, alle radici delle piante in esperimento, delle condizioni molto diverse e quindi un ben diverso meccanismo d'assorbimento; la differenza da quanto si verifica nelle condizioni naturali del terreno è molto sensibile, perché nel terreno esiste quasi sempre, in grado più o meno notevole e spesso notevolissimo, un cosiddetto potere ammorzatore (tampone o puffer) che vale a conservare a lungo entro limiti ristretti la concentrazione di ioni d'idrogeno delle soluzioni.
Il valore di questa constatazione si va delineando sempre maggiore negli studî sulla funzionalità del sistema assorbente delle piante in relazione all'ambiente. Onde ovviare alla rapida variabilità di acidità ndelle soluzioni, si sono additati diversi mezzi: volume grandissimo delle soluzioni nutritive, e frequente rinnovamento; composizione delle soluzioni in modo che un medesimo elemento nutritizio sia legato a ioni diversi, di differente assorbibilità; e infine, aggiunta alle soluzioni stesse di corpi che funzionano da ammorzatori, come il fosfato di sodio e lo ftalato acido di potassio. È però da rilevare che tale perfezionamento, se vale a conservare costante il grado di acidità delle soluzioni, analogamente a quanto si verifica nel terreno, modifica assai profondamente, rispetto alle condizioni naturali, la composizione chimica del suolo.
Quanto si è detto per le colture acquose di piante superiori può essere ripetuto per le colture di piante autotrofe inferiori (per es., alghe); le soluzioni si usano però assai diluite.
Bibl.: W. Pfeffer, Pflanzenphysiologie, 2ª ed., Lipsia 1897. I perfezionamenti recenti della tecnica sono sparsi in una letteratura vastissima di fisiologia, pedologia, ecc.