Coluccio Salutati
Accanto al disprezzo e al sospetto con cui una parte della società medievale guardava i mercanti, vi sono anche elogi sulla loro utilità. Si viene a riconoscere gradualmente, infatti, che il patrimonio di virtù civiche di una città dipende dalla fedeltà e dall’impegno sociale anche dei mercanti e degli uomini d’affari locali. Questo diventa un topos della letteratura umanistica: a Firenze, città di artigiani e mercanti, Coluccio Salutati vede proprio nei mercanti i difensori della città e nel piccolo commercio e nell’industria i nerbi vigorosi del corpo politico (Becker 1968, pp. 34-35).
Coluccio Salutati nasce a Stignano in Valdinievole il 16 febbraio 1331 da un’antica famiglia di tradizioni militari. A Bologna, dove la famiglia Salutati si trasferisce poco dopo la sua nascita, frequenta la scuola di retorica di Pietro da Moglio. Quando Jacopo e Giovanni Pepoli, protettori della famiglia Salutati, sono costretti a vendere la signoria di Bologna all’arcivescovo Giovanni Visconti, Coluccio nel 1351 decide di tornare in Valdinievole, dove comincia a esercitare l’attività di notaio.
Spinto dalle necessità familiari, è costretto ad accettare incarichi pubblici in vari comuni dell’Italia centrale: nel 1366 è notaio a Vellano, dal 1367 al 1368 è cancelliere a Todi. Insoddisfatto di queste esperienze, si trasferisce a Roma al seguito del segretario apostolico Francesco Bruni. Dal febbraio del 1372 si trasferisce nuovamente a Stignano e si sposa in seconde nozze con Piera, figlia di Simone di Puccino Riccomi, appartenente al ramo della famiglia Salutati di Pescia, da cui avrà nove figli.
Nel 1374 entra in Palazzo Vecchio a Firenze come notaio delle Tratte, occupandosi cioè della gestione e della conservazione dei documenti relativi all’elezione e alle nomine alle magistrature. Con provvigione del 19 aprile 1375, subentra a Niccolò di Ventura Monaci come cancelliere della repubblica fiorentina, carica che mantiene fino alla morte, avvenuta il 4 maggio 1406.
Sulla scorta della tradizione di Brunetto Latini (1220 ca.-1294 ca.), a Firenze è chiamato «cancelliere» il notaio immatricolato presso l’Arte dei giudici e dei notai che ha il compito specifico di mantenere i rapporti di politica estera per conto della Signoria; essendo esperti di retorica oltre che notai, la forma scelta opportunamente nella corrispondenza ufficiale con le potenze straniere acquista un peso decisivo nella soluzione delle crisi politiche e diplomatiche. Stabili nel rapido variare delle magistrature fiorentine, i cancellieri rappresentano un elemento di continuità politica, di contatti personali, di amicizie autorevoli (Garin 1961, 19792, pp. 4-5; Witt 1976, pp. 2, 10). Le epistole di Salutati vengono considerate subito un modello eccellente di eloquenza e di stile; le fonti riportano che Giangaleazzo Visconti (1347-1402), duca di Milano, temeva più la sua penna che uno squadrone di cavalleria.
Salutati è il primo dei grandi umanisti a diventare cancelliere della repubblica fiorentina e la tradizione di elevare alla carica di cancelliere un umanista diventa subito una venerabile consuetudine. Il lungo ufficio di Salutati coincide con la diffusione del civic Humanism (Umanesimo civile), espressione con cui lo storico Hans Baron (1955, 19662; trad. it. 1970) spiega la genesi delle nuove idee che si diffusero durante l’esperienza politica di aggressione dell’Italia centro-settentrionale da parte di Giangaleazzo Visconti.
Nel corso del 1390, infatti, Giangaleazzo riesce a isolare Firenze: una dopo l’altra, cadono tutte le città alleate e sarebbe caduta pure Firenze, se la morte non lo avesse colpito improvvisamente. Durante quegli anni, Firenze viene investita da una crise de conscience politique, da cui emerge una nuova consapevolezza circa le origini repubblicane della città e il suo posto cruciale in un sistema di Stati italiani indipendenti, cui segue un profondo ripensamento fra gli esponenti della vita politica attiva e quelli che esaltavano invece una vita di puro studio.
Personificato dalla figura di Cicerone, fervente sostenitore della repubblica romana, quello del cittadino animato da un profondo senso della cosa pubblica diventa il nuovo incalzante ideale a Firenze (Baron 1955, 19662; trad. it. 1970, pp. 116-33). La situazione economica fiorentina, che a partire dal 1380 gode di uno dei suoi periodi più floridi, contribuisce a sostenere la fiducia nelle idee espresse da questi umanisti: infatti, dopo i grandi fallimenti bancari del quarto decennio del Trecento, durante il quale il nerbo del potere commerciale, finanziario e politico di Firenze era rappresentato da poche grandi famiglie, le redini della vita economica e politica della città passano nelle mani dell’Arte della lana, che comprendeva un ampio strato della classe media fiorentina.
Questa classe dirigente, continuamente rinnovata per effetto delle caratteristiche di mobilità della società fiorentina contemporanea, ma anche intimamente coesa grazie al suo omogeneo sostrato sociale, riesce a creare con la sua politica elastica e lungimirante un equilibrio interno assolutamente nuovo nella travagliata storia sociale della repubblica e influenza anche la cultura umanistica, trasmettendole i valori etici e l’ideologia propri del tipo di società di cui essa era espressione e venendone a sua volta vivificata (Martines 1963, pp. 147-48; Pecchioli 1972, pp. 25-26).
La nozione di civic Humanism è stata oggetto di critiche (Seigel 1966), ma anche di verifica delle implicazioni più feconde (Martines 1963, pp. 147, 272-73; Garin 1961, 19792). Più recentemente, Oscar Nuccio (1987), portando alle estreme conseguenze la riflessione su questo concetto, ha interpretato il pensiero di Salutati come difesa dell’«audacia delle azioni umane e i poteri creativi dell’uomo sul mondo della natura e della storia» e del «pregio della vita attiva».
Tale nozione ha attirato anche l’attenzione degli economisti contemporanei, i quali sostengono una visione del rapporto mercato-società tipica della cosiddetta economia civile che, rispetto ad altre, intende vivere l’esperienza della socialità umana, della reciprocità e della fraternità all’interno della vita economica (Bruni, Zamagni 2004, pp. 49-72). L’Umanesimo civile fiorentino è considerato come la genesi dell’economia civile:
con l’umanesimo civile si ebbe una straordinaria rivalutazione della dimensione terrena e relazionale dell’essere umano, dalla famiglia, alla città, allo stato (S. Zamagni, Per un’economia civile nonostante Hobbes e Mandeville, «Oikonomia», 2003, pp. 11-13).
Si badi però che nell’Umanesimo civile la ricerca dell’interesse personale si trasforma in bene comune soltanto all’interno della città: non vi sono, infatti, Umanesimo civile e, di conseguenza, economia civile, senza leggi, istituzioni e virtù civili.
Il catalogo cronologico delle opere di Salutati si apre con il De seculo et religione (1381): si tratta di una guida spirituale composta per l’amico Niccolò di Lapo da Uzzano entrato in monastero, sullo sfondo di lutti familiari che colpirono il cancelliere e di avvenimenti politici perigliosi come il tumulto dei Ciompi (1378). Il trattato ebbe larghissima diffusione nei conventi quattrocenteschi, ma si presenta di imbarazzante difficoltà per gli studiosi contemporanei: infatti, i titoli dei capitoli sono «uno degli elenchi più completi che si possano immaginare di argomenti medievali di biasimo contro ogni aspetto della vita umana» (Baron 1955, 19662; trad. it. 1970, pp. 119-20).
Il libro secondo, in particolare, affronta la natura dei voti monastici e i benefici che si guadagnano dal loro rispetto, e presenta la povertà volontaria come un aspetto essenziale della vita religiosa (De seculo et religione, a cura di B.L. Ullman, 1957, pp. 121-31). I veri poveri, paradossalmente, sono i ricchi, che non cessano mai di desiderare di più: pur avendo tutto, a loro dire manca sempre qualcosa. A causa di questa incessante inquietudine, la ricchezza è un impedimento per la salvezza dell’anima: infatti, per conservare assolutamente la sua ricchezza, anzi per accrescerla sempre più, il ricco è costretto a peccare (Manselli 1974, pp. 657-58).
Salutati non affronta affatto né la questione della povertà causata dalle condizioni economiche avverse, né, soprattutto, le ragioni che la possono determinare. Solo a un certo punto l’esposizione della povertà da parte del cancelliere si fa politica (Baron 1988, pp. 210-15): l’umanista dapprima porta esempi tratti dalla storia repubblicana romana, poi da quella del cristianesimo primitivo. A questa esaltazione nostalgica della sobrietà dei costumi antichi, segue una reprimenda nei confronti del fasto dei romani pontefici e dei ricchi prelati (De seculo et religione, cit., pp. 126, 130). Le argomentazioni presentate da Salutati sono chiaramente derivate da sant’Agostino: la città degli uomini è identificata con l’Imperium romanum, mentre la città di Dio è identificata con la Chiesa (Trinkaus 1983, p. 205; Baron 1988, pp. 210-15).
A questo intellettualismo ascetico si affianca una condanna dell’avidità nei confronti del denaro, tipica di una società di mercanti che affonda le sue radici in una precisa realtà sociale, e cioè nell’intenzione dell’oligarchia fiorentina di distinguersi sul piano culturale e su quello morale dalle frenetiche attività mercantili e artigiane (De seculo et religione, cit., pp. 125-28).
Il cancelliere non condanna la ricchezza in quanto tale: piuttosto stigmatizza l’esclusivismo assoluto dell’attività economica, che sembra essere proprio di quei mercanti i quali, nelle piazze fiorentine, non parlano che di traffici e di guadagni accumulati senza scrupoli e a volte con mezzi illeciti (De seculo et religione, cit., pp. 39-40). Diversa è la situazione di chi, come Salutati, vede invece dipendere le sue rendite dal lavoro intellettuale e dal possesso fondiario. Intellettualismo ascetico e condanna dell’avidità di denaro propria di una società di mercanti si saldano in una misoginia generica che nega l’istituto matrimoniale e la procreazione legittima, «sostrato e sostanza dell’etica coeva del mercante, del proprietario, dell’artigiano» (Petrucci 1972, pp. 60-61; De seculo et religione, cit., pp. 68-69). L’umanista non riesce a vincere il tradizionale disprezzo per il lavoro dei campi e le arti meccaniche, già espresso da Aristotele e rintracciabile nel corso del Medioevo, ai quali non viene riconosciuta alcuna dignità e che relegano chi le esercita ai margini della società in uno stato di perpetua soggezione alle classi dominanti. E ciò neanche quando descrive le dure condizioni di vita e la fatica giornaliera dei contadini e dei tessitori per illustrare la forza derivante dalla biblica condanna che impone all’uomo la necessità del lavoro manuale (De seculo et religione, cit., pp. 41-42), confermando l’impressione che gli umanisti fossero interessati più ai problemi elevati che alla realtà delle classi subalterne (de Roover, in Florentine studies, 1968, p. 278).
Sono stati fatti diversi tentativi per superare la contraddizione fra uno schietto elogio della vita monastica come il De seculo et religione e l’impegno di un umanista come Salutati, coinvolto in prima persona nella politica della sua città (Trinkaus 1983, p. 207; Witt 1983, p. 206; Baron 1988, p. 213); il più convincente è quello che sottolinea come la meta da conquistare, per un uomo della fine del Trecento, è pur sempre la salvezza dell’anima.
A differenza degli uomini del Rinascimento, infatti, il cancelliere fiorentino non vede la vita attiva e la vita contemplativa come modelli che, in contrasto tra loro, si escludono a vicenda, ma come strade che, alternativamente percorse, possono portare ugualmente alla salvezza dell’anima (Mazzocco 1988, p. 257).
Qualche anno dopo, infatti, nel De nobilitate legum et medicinae (1399), mostra come anche la vita del giurista possa essere volta alla ricerca del bene. Gli intellettuali delle generazioni precedenti a quella di Salutati, da Brunetto Latini a Giovanni Villani (1280 ca.-1348), si erano fatti sì interpreti dell’importanza e del ruolo della legge, ma solo in astratto, trascurando i risvolti pratici dei problemi politici da loro affrontati. Essi avevano esaltato i vantaggi di un governo energico e condannato quello che viola le antiche libertà della Chiesa o gli antichi privilegi della nobiltà; hanno passione per la giustizia ma sono critici verso la ripetitività dell’attività legale.
A partire dalla metà del Trecento si fa strada una nuova sensibilità: infatti, con il fiorire degli Stati territoriali e con la più stretta supervisione della vita pubblica, la repubblica fiorentina finisce per richiedere anche un maggior numero di funzionari: fra il 1343 e il 1393 il numero degli impiegati della tesoreria comunale si quintuplica. Il prestigio proveniente dalla tradizione familiare e il senso dell’appartenenza a un’antica famiglia scemano, così che l’importanza dei cittadini dipende dal servire la cosa pubblica, mentre i valori dell’abilità con le armi e di una certa magnanimità vengono confinati esclusivamente entro i ranghi della nobiltà (Becker 1968, pp. 34, 37; Becker, in Florentine studies, 1968, pp. 117, 136-37).
A queste voci si aggiunge Salutati, il quale esalta l’importanza della «catena delle leggi» che trascende i legami di famiglia, parentela e amicizia e tiene insieme i cittadini. Con un’appassionata dichiarazione, l’autore si augura di poter essere sempre attivo e di fare sempre del bene per sé, per la sua famiglia, per i suoi consanguinei, per i suoi amici, di poter essere d’aiuto alla patria e di risultare utile all’umana società sia con l’esempio, sia con le opere (De nobilitate legum, a cura di E. Garin, 1947, pp. 180-81): si noti come a una serie di obiettivi ideali di matrice mercantile (l’utile personale, la famiglia, i consanguinei) seguono quelli di ascendenza più letteraria (gli amici, la patria, l’umana società). L’esaltazione del ruolo dell’uomo di legge da parte di Salutati non è affatto scontata, date alcune riserve espresse proprio sulla figura dell’avvocato e del notaio in seno alla società fiorentina, ma l’umanista ritorna sull’importanza della legge in quella condanna fierissima della politica viscontea e inno a Firenze che è l’Invettiva (1403) in cui, alle accuse di tirannia rivolte dal cancelliere visconteo Antonio Loschi (1368-1441) nei confronti della classe dirigente fiorentina, replica: nostra civitas non ingenita nobilium ambitione regitur, sed bonitate mercatoria gubernatur («la nostra città è retta non dall’innata ambizione dei nobili, ma è governata dalla bontà del mercante», Invectiva Colucii Salutati, a cura di D. Moreni, 1826, p. 182).
Molto più che nelle «consulte» e «pratiche», di cui Salutati è solo redattore (Le “consulte” e “pratiche”, a cura di E. Conti, 1° vol., 1981, p. XXXV), è nel copioso epistolario considerato unanimemente il suo capolavoro sia come umanista sia come cancelliere che troviamo più ampi riferimenti ai mercanti. L’epistolario, nell’edizione a cura di Francesco Novati, consta di 359 lettere private e di 7513 lettere pubbliche e copre un arco cronologico che va dal 1351 al 1406: benché molto diffuso e copiato, le prime edizioni dell’epistolario compaiono solo nel 18° secolo. Le lettere private ad amici corrispondenti contengono generici appelli volti a moderare la loro brama di ricchezze, causa di ogni male, e a dedicarsi piuttosto agli studi (Epistolario di Coluccio Salutati, a cura di F. Novati, 1° vol., 1891, pp. 51, 55, 122, 242, 272; 2° vol., 1893, pp. 123, 156, 223; 3° vol., 1896, pp. 14, 101, 559; 4° vol., t. 1, 1905, pp. 62, 164). Le missive, conservate nell’Archivio di Stato di Firenze, ci mostrano come il cancelliere Salutati si sentisse veramente il difensore dei suoi concittadini e, in particolare, dei mercanti (Becker 1968, p. 226).
Missiva è termine utilizzato nell’Italia del 15° sec. per indicare la corrispondenza di una pubblica autorità in cui l’argomento trattato riguardi privati cittadini e non affari di Stato (Witt 1976, pp. 8-9): già dalla seconda metà del 15° sec., molte missive inviate dalla Signoria riguardano mercanti fiorentini e le loro imprese commerciali e bancarie, dalle Baleari alle esotiche capitali dell’Oriente. Infatti, le industrie manifatturiere spesso richiedevano il sostegno della repubblica, sollecitando provvedimenti a tutela delle loro attività: questa richiesta accresce, così, sempre più la consapevolezza della necessità dell’autorità pubblica. I mercanti operanti all’estero, inoltre, necessitano della conoscenza delle gabelle e delle tasse da pagare, di denaro liquido con cui far fronte agli impegni presi, poiché, com’è noto, «niente alletta di più i mercanti quanto l’indulgenza in materia di tributi» (De Rosa 1980, p. 39).
I mercanti sanno che una lettera ufficiale di raccomandazione della repubblica fiorentina, che per statuto costava 8 soldi al richiedente (Witt 1976, p. 9, nota 11), può avere un peso decisivo nella soluzione dei propri affari, anche quando sono all’estero. Le loro richieste di giustizia affollano così la cancelleria di Salutati, tanto da costituire un filone a sé stante. Il cancelliere, nelle sue petizioni rivolte alle varie autorità, sostiene un particolare diritto del mercante alla giustizia, elaborando una serie di argomenti a sostegno delle sue missive: per il loro status privilegiato, essi giustamente invocano una rapida soluzione delle controversie che li riguardano; i mercanti sono amanti della pace, perché solo dove c’è pace il commercio può prosperare, e sono i più adatti al governo della repubblica, perché mai adotterebbero pratiche tiranniche (Witt 1976, pp. 9, 44): ecco perché allora Salutati si compiace quando nel 1376 i bolognesi cacciano il legato pontificio e instaurano un governo di pacifici mercanti (De Rosa 1980, p. 123).
La conoscenza del mondo del commercio certo non difetta a Salutati: nel 1376 è eletto giudice maggiore della Corte dei mercanti di Lucca (Witt 1983, p. 97), nel 1383 è iscritto all’Arte della lana (Epistolario di Coluccio Salutati, cit., 4° vol., t. 2, 1911, pp. 446-48), e due suoi figli, Arrigo e Simone, si iscrivono all’Arte della lana e all’Arte dei medici e degli speziali (Martines 1963, p. 149). Nei suoi costanti interventi come autorità pubblica a favore dei mercanti si è voluto vedere un «proto-mercantilismo» (Becker, in Florentine studies, 1968, pp. 116-17), ma egli non è pensatore sistematico (Trinkaus 1983, p. 243): a differenza dei giuristi, non arriva a tradurre in una pratica istituzionale i principi di imparzialità, legalità e giustizia che il popolo sosteneva come precondizioni per la pace domestica e la prosperità commerciale, né arriva a codificare un ius mercatorum, nonostante il cancelliere auspichi che le cause fra mercanti siano affidate all’arbitrato di altri mercanti, a giudici imparziali o alla benevolenza regia (Witt 1976, p. 44; De Rosa 1980, p. 37).
Nel 1381, Salutati dispensa a Carlo III di Durazzo (1345-1386), re di Napoli, una serie di consigli: che la sua sia legge di giustizia, di verità ed equità; che i suoi magistrati amministrino con benigna severità la giustizia; che eviti di imporre oneri nuovi. Quando però arriva a trattare dei mercanti, il cancelliere si augura che Carlo ordini a ciascuno ciò che conviene alla sua professione, compresi i mercanti (Il trattato “De tyranno”, a cura di F. Ercole, 1942, pp. 228-30). Questa visione gerarchica della società è, per certi versi, ancora tomista: nonostante l’erudizione e i richiami ai classici, Salutati rimane un uomo ancora legato alla scolastica medievale, anche se se ne distingue per il carattere; per es., un intero capitolo del De seculo et religione parafrasa un passo della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino (De seculo et religione, cit., pp. 94-95).
La visione positiva dell’elemento più dinamico della società fiorentina, il mercante, non è una novità o una peculiarità di Salutati, ma s’inserisce in una tradizione che il Medioevo già conosceva: nuovi sono, invece, il ricercato stile e la forza espressiva modellati sui classici. Il 14° sec. di Dante, Petrarca e, quindi, Salutati fu più medievale e meno moderno del 15° sec. di Leon Battista Alberti e Lorenzo Valla.
Invectiva Colucii Salutati reipublicae florentinae a secretis in Antonium Luschum vicentinum de eadem republica male sententem, a cura di D. Moreni, Firenze 1826.
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Il trattato “De tyranno” e lettere scelte, a cura di F. Ercole, Bologna 1942.
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