coma
La conoscenza dell’organizzazione dello stato di coscienza nei suoi aspetti anatomo-funzionali è il presupposto per l’approccio clinico al coma, che di questo stato esprime la compromissione più o meno grave. Le formazioni del tronco encefalico e le loro proiezioni ascendenti, le aree associative corticali, le strutture temporali e ippocampali sono interessate funzionalmente nella patogenesi del coma e nella sua evoluzione clinica. La scala di Glasgow serve a valutare i gradi del coma (dalla confusione mentale fino allo stato decerebrato) in base a segni clinici di facile rilevamento. Le metodiche diagnostiche più sofisticate aiutano nella diagnosi eziologica e nella prognosi del coma, che resta tuttavia un arduo banco di prova terapeutico. [➔ corteccia cerebrale; elettroencefalografia; neurotrasmettitori; stato di minima coscienza; trauma cranico] Il c. consiste nella compromissione delle funzioni della coscienza, ossia della consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, a causa di sofferenze metaboliche o strutturali dell’encefalo. Per comprenderne cause, meccanismi e manifestazioni è necessario conoscere l’organizzazione funzionale della coscienza.
Le dimensioni neurologiche della coscienza possono essere suddivise in differenti aspetti:
• livello di vigilanza, ossia lo stato generale di consapevolezza, che fluttua fra l’attenzione, la veglia rilassata e il sonno;
• correlati periferici, ossia le modificazioni somatiche che accompagnano il fluttuare della vigilanza, l’apertura degli occhi e il tono muscolare;
• attività elettrica cerebrale, che si rileva con l’elettroencefalogramma;
• contenuti di coscienza, ossia la somma delle attività psichiche (percezioni, sentimenti, pensieri) che occupano la mente;
• memoria di sé, ossia il continuo raffronto fra esperienze sensoriali in arrivo, tracce delle esperienze passate e percezione di identità; in altre parole la ‘coscienza dell’io’;
• attenzione selettiva, ossia la concentrazione dell’attività mentale su un determinato contenuto. A questi parametri corrispondono differenti e specifiche strutture, sebbene sia chiaro che queste suddivisioni sono conoscitive e che gli ‘strumenti’ della coscienza ‘suonano’ tutti insieme.
Formazione reticolare del tronco encefalico. È responsabile delle fluttuazioni del livello di vigilanza. Consiste in un aggregato di neuroni fortemente connessi fra di loro e con l’intero sistema nervoso centrale, posti nella porzione superiore del tronco. Proiezioni reticolari discendenti. Sono responsabili delle modificazioni somatiche e vegetative che accompagnano il fluttuare della vigilanza. Sono costituite da un insieme di fasci (rubrospinale, vestibolospinale, tettospinale, reticolo spinale, solitario spinale) che originano principalmente dalla porzione inferiore del tronco e che, insieme al fascio piramidale proveniente dalla corteccia motoria, regolano il tono muscolare e la postura, cioè l’atteggiamento motorio caratteristico della specie (postura eretta nell’uomo, ecc.). Le proiezioni reticolari discendenti regolano anche l’attività vegetativa (frequenza cardiaca, pressione arteriosa, ecc.).
Proiezioni reticolari ascendenti. Sono responsabili del livello di allerta e dell’attività elettrica cerebrale. Raggiungono la corteccia tramite i nuclei intralaminari del talamo e si distribuiscono in maniera estensiva, utilizzando differenti neurotrasmettitori. Le componenti principali originano dal tegmento pontomesencefalico, e sono costituite: dai nuclei noradrenergici (spec. il locus coeruleus), che mantengono la veglia; dai nuclei colinergici (laterodorsale e peduncolopontino), che inducono il sonno con movimenti oculari rapidi; dai nuclei serotoninergici (del rafe), che inducono il sonno con attività EEG lente.
Aree associative della corteccia cerebrale. Rappresentano la sede privilegiata del pensiero. Le aree corticali si possono schematicamente dividere in specifiche e associative. Le aree specifiche svolgono funzioni elementari: sul versante sensitivo la percezione sensoriale, su quello motorio l’esecuzione di movimenti. Le aree associative svolgono funzioni integrative: le aree associative sensoriali effettuano il riconoscimento degli oggetti, quelle motorie organizzano i movimenti segmentali. Nelle zone centrali degli emisferi, in corrispondenza della zona dove confinano fra loro i lobi temporale, parietale e occipitale, si trovano aree associative di ordine più elevato. Esse organizzano a sinistra i piani motori e il linguaggio e a destra l’orientamento spaziale. Inoltre la corteccia associativa delle zone anteriori dei due lati elabora le strategie comportamentali, la previsione delle conseguenze, il pensiero astratto. Nelle aree corticali associative avviene un continuo scambio di informazioni con la corteccia dello stesso lato e del lato opposto, nonché con le strutture sottocorticali, dove trovano sede prevalente le attività mentali (come dimostrano i danni cognitivi che conseguono al depauperamento neuronale di queste zone). Infatti il primo segno di cattivo funzionamento dei meccanismi che governano la coscienza è la incoordinazione fra le idee, ossia lo stato confusionale (➔ confusionale, stato).
Ippocampo e corteccia temporale entorinale e peririnale. Sono responsabili del deposito e del reperimento dei ricordi e fungono da interfaccia fra il mondo esterno e l’esperienza di sé. I ricordi specializzati, come le immagini e la denominazione degli oggetti, vengono depositati nella corteccia associativa, in zone relativamente circoscritte, la cui lesione determina la perdita selettiva di una categoria di memorie (agnosia, afasia, ecc.). I ricordi generali, come l’esperienza del flusso della esistenza e del tempo trascorso, tracce mnesiche che stanno alla base della coscienza di sé, appaiono diffusamente distribuiti nell’encefalo, tanto che anche dopo estese distruzioni corticali è possibile ritrovare la propria identità.
Aree associative parietotemporali. Sono, specie quelle di destra, responsabili dell’attenzione selettiva, cioè della scelta dell’evento che deve occupare il fuoco dell’attenzione; la capacità di spostare rapidamente l’attenzione dall’uno all’altro aspetto della realtà ambientale è sostenuta maggiormente dalla corteccia associativa prefrontale.
Le perturbazioni del livello di coscienza, inteso come consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, sono denominate con il termine onnicomprensivo di coma. Per quanto sopra discusso, il mantenimento della coscienza dipende dal funzionamento delle strutture reticolari del tronco, delle connessioni fra le strutture reticolari e la corteccia, delle aree associative della corteccia, dei circuiti ippocampali della memoria. Le lesioni encefaliche che disturbano la coscienza interessano una o più di queste quattro strutture. In linea generale, i danni possono essere suddivisi in metabolici e strutturali. I danni metabolici sono costituiti da disfunzioni più o meno reversibili del metabolismo energetico delle cellule nervose (per es., ipoglicemia, insufficienza epatica, tossici esogeni, come l’alcol). I danni strutturali sono costituiti da lesioni anatomiche del tessuto nervoso (per es., infarti ischemici, ascessi cerebrali, lacerazione degli assoni per traumi cranici). La eziologia del c. varia in funzione del coinvolgimento preferenziale delle quattro strutture cardine: la formazione reticolare; le vie di proiezione reticolo-talamo-corticali; la corteccia cerebrale associativa; i circuiti ippocampali della memoria.
La formazione reticolare. È una struttura compatta e una sua lesione, anche di estensione limitata, può provocare un c. profondo. Le zone critiche sono il tegmento pontomesencefalico e il talamo, in corrispondenza delle zone di origine delle proiezioni monoamminergiche. Gli eventi più comuni sono gli infarti ischemici (➔ ischemia cerebrale) nel territorio della arteria basilare, i versamenti emorragici (➔ emorragia cerebrale) nel tronco o nel cervelletto (che comprimono acutamente il tronco), le encefaliti (➔), la encefalopatia carenziale di Wernicke, la mielinolisi pontina centrale. Inoltre, la formazione reticolare è lesa dalle ernie intracerebrali responsabili del c. in corso di lesioni in rapida espansione degli emisferi (emorragie emisferiche, ematomi intracranici postraumatici, tumori cerebrali), condizioni usualmente accompagnate da edema perilesionale che peggiora l’effetto massa. L’aumento di volume del contenuto della fossa cranica anteriore disloca il tessuto verso il forame del tentorio, che divide la fossa anteriore dalla fossa posteriore del cranio, e provoca un’ernia (ernia centrale) che comprime e deforma il tronco. Un’altra origine di ernie è la porzione mediale del lobo temporale (ernia dell’uncus dell’ippocampo) con compressione del mesencefalo.
Le vie di proiezione reticolo-talamo-corticali. Hanno una estesa distribuzione nella sostanza bianca degli emisferi e la coscienza è disturbata solo quando sono compromesse in maniera diffusa o plurifocale, come nelle distrofie metaboliche (➔ leucodistrofia) e nelle lesioni sottocorticali multifocali, per es., le encefaliti parainfettive, le vasculiti, gli ascessi cerebrali multifocali e la leucoencefalopatia multifocale progressiva, una complicanza dell’AIDS. Il c. postraumatico dipende dalla sofferenza acuta delle proiezioni reticolari. La torsione che la massa encefalica subisce in occasione dell’impatto stira, mette fuori funzione o strappa gli assoni che decorrono dal talamo alla corteccia (danno assonale diffuso) e provoca una immediata perdita di coscienza, che può essere, a seconda dell’entità del trauma, fugace, come nel knock-out del pugile (➔ commozione cerebrale) o prolungata fino al c. irreversibile. Nei traumi cranici gravi al danno assonale si possono aggiungere l’edema con ipertensione endocranica e i danni focali legati a focolai contusivi e a ematomi intracranici, questi ultimi frequenti anche dopo traumi banali nel soggetto anziano o in trattamento anticoagulante.
La corteccia cerebrale associativa. È territorialmente estesa e le sue lesioni disturbano la coscienza quando sono diffuse o interessano una zona corticale sufficientemente ampia. Gli eventi più frequenti sono gli infarti ischemici estesi o multifocali, le lesioni infiammatorie (encefaliti e meningiti), le estese perdite neuronali nelle patologie neurodegenerative, la sofferenza metabolica della corteccia, l’idrocefalo. Gli infarti ischemici conseguono alla occlusione di un vaso (spesso la arteria cerebrale media); sono eventi acuti in cui al danno locale si aggiunge l’effetto della diaschisi, cioè dello squilibrio funzionale causato dalla brusca disconnessione fra le zone sane e l’area lesa. Le meningiti (➔) virali e soprattutto quelle batteriche, così come i versamenti di sangue nel liquor (emorragie subaracnoidee), coinvolgono rapidamente la corteccia, che partecipa alla congestione infiammatoria acuta delle meningi. Le encefaliti possono essere devastanti, come nella forma da virus herpes simplex (l’agente dell’herpes labiale), che quando raggiunge l’encefalo provoca vaste distruzioni della corteccia temporale e frontale. Le demenze neurodegenerative (malattia di Alzheimer, demenza frontotemporale, paralisi sopranucleare progressiva) provocano un progressivo deficit cognitivo ma non determinano c., poiché il paziente è sempre risvegliabile dagli stimoli sensoriali. Solo nelle fasi terminali, quando gran parte della corteccia associativa è distrutta, il paziente entra in uno stato di mancata responsività e scivola nel coma. Le sofferenze metaboliche (ipossia, ipoglicemia e diabete scompensato, insufficienza epatica e renale, intossicazioni acute da alcol, oppiacei o farmaci sedativi) sono eventi frequenti e disturbano rapidamente la coscienza, provocando un danno − all’inizio solo funzionale − della corteccia e delle strutture sottocorticali. Il funzionamento delle cellule nervose necessita infatti di un costante apporto di ossigeno e glucosio e del mantenimento dell’equilibrio ionico delle membrane neuronali. Gli stati confusionali sono perciò una delle prime manifestazioni di molti scompensi metabolici e di molte intossicazioni. Corteccia e strutture sottocorticali sono coinvolte nello scompenso acuto di un idrocefalo da occlusione delle vie liquorali.
I circuiti ippocampali della memoria. Sono replicati nei due emisferi e uno solo è sufficiente per garantire deposito e reperimento dei ricordi. Possono essere coinvolti bilateralmente come nell’encefalite da virus herpes, già citata; tuttavia, anche la disfunzione improvvisa dell’ippocampo di un lato, come avviene negli infarti temporobasali da occlusione dell’arteria cerebrale posteriore e soprattutto nelle crisi epilettiche temporomesiali, può perturbare la struttura analoga controlaterale e compromettere il contatto con l’ambiente.
L’epilessia costituisce un caso a parte. La compromissione della coscienza è uno dei cardini diagnostici di questa patologia ma il disturbo, improvviso e di breve durata, avviene con modalità diverse a seconda del tipo di crisi. Nelle crisi temporomesiali, infatti, la scarica convulsiva mette fuori funzione i circuiti che sottendono la memoria di sé e distacca l’io dall’ambiente (rottura del contatto). Nelle crisi bitemporali la scarica coinvolge le aree associative e impedisce l’elaborazione del pensiero (crisi confusionali). Nelle crisi convulsive generalizzate (grande male) la scarica coinvolge le strutture corticoreticolari che mantengono la veglia e provoca una fulminea perdita di coscienza con caduta a terra; queste crisi sono seguite da una prolungata fase di c. postaccessuale dovuta all’esaurimento metabolico delle zone coinvolte. Le crisi epilettiche durano secondi o minuti; tuttavia negli stati di male epilettico, in cui la scarica si prolunga o si ripete a brevi intervalli, la durata del disturbo di coscienza può protrarsi per ore, come negli stati confusionali dell’adulto.
Per quantificare il c. viene utilizzata comunemente la scala di Glasgow, che si avvale di tre parametri di facile rilevazione (apertura degli occhi, risposta verbale, risposta motoria) e dove il punteggio più basso corrisponde a uno stato di coma più profondo. La profondità del c. dipende dalla estensione della lesione e dalla rapidità con cui la lesione si instaura. Se il danno progredisce lentamente (per es., l’ipoglicemia da prolungato eccessivo carico di insulina o un ematoma subdurale in lenta espansione), la compromissione della coscienza si manifesta all’inizio con uno stato fluttuante di confusione mentale. Se invece la lesione interviene improvvisamente (per es., l’occlusione della basilare o un arresto cardiaco), il soggetto passa brutalmente dalla veglia al c. profondo. Nelle lesioni acute al danno strutturale si aggiunge la diaschisi. Il quadro clinico del c. varia quindi a seconda della eziologia e della profondità, da un lieve stato di ottundimento − caratterizzato da rallentamento delle risposte, disorientamento temporospaziale e difficoltà a mantenere l’attenzione, talora difficile da cogliere −, fino a una condizione gravissima in cui il paziente giace a occhi chiusi, senza movimenti spontanei o con movimenti automatici di suzione e prensione, senza risposte agli stimoli o, per stimoli nocicettivi, con contrazioni riflesse in flessione (stato decorticato), una quadruplice estensione degli arti (stato decerebrato). Le funzioni vegetative, come la respirazione e la regolazione della pressione arteriosa, sono a lungo conservate poiché dipendono da strutture della porzione inferiore del tronco, separate da quelle che mantengono la veglia. A questo quadro si possono aggiungere i segni della patologia di base, per es. una emiplegia (che si rivela con la pesante caduta degli arti plegici sul piano del letto), scosse o movimenti automatici nelle crisi epilettiche, cianosi e dispnea da ipossia, ecc. L’evoluzione e la prognosi del c. sono altrettanto variabili, con differenti possibilità di recupero, dalla ripresa rapida e piena (come avviene dopo un knock-out sul ring o una crisi convulsiva) fino al c. persistente, che sfocia nello stato vegetativo. L’approccio al c. richiede la raccolta della storia clinica da parenti, per quanto riguarda sia lo stile di vita sia le patologie pregresse e recenti. L’esame clinico è centrato sulle funzioni alla base della scala di Glasgow e sulle manovre semeiotiche atte a evidenziare danni focali dell’encefalo, eventi traumatici, patologie generali, segni di intossicazione.
Sono indispensabili alcuni esami strumentali: l’EEG consente immediatamente di escludere condizioni psicogene che simulano i disturbi di coscienza (per es., gli stati stuporosi e catatonici delle psicosi o i blocchi nelle nevrosi di conversione) e di identificare gli stati di mali epilettici confusionali. La risonanza magnetica è fondamentale per evidenziare i danni strutturali dell’encefalo. Doppler e studi angiografici sono necessari per identificare occlusioni vasali, la radiologia generale per i danni e le complicanze polmonari e ortopediche. Gli esami di laboratorio e la ricerca di sostanze anomale sono indispensabili per la diagnosi di patologie metaboliche e tossiche e per seguire i parametri metabolici. L’esame del liquor è invece riservato al sospetto non altrimenti verificabile di malattie infiammatorie. La terapia del c. è una emergenza rianimatoria ed è volta a garantire ossigenazione, regime circolatorio, equilibrio acido- basico ed elettrolitico, livello glicemico (associare sempre tiamina e glucosio per una possibile patologia carenziale), apporto calorico. L’edema cerebrale va monitorato e trattato. Sono necessari il controllo dell’agitazione e la prevenzione di ritenzione urinaria, infezioni, flebotrombosi, lesioni cutanee da decubito; il corretto posizionamento degli arti evita compressioni dei nervi periferici. Il paziente va seguito dal rianimatore insieme al neurologo, per identificare la eziologia e trattare epilessia, patologie neurovascolari e infiammatorie. Il neurochirurgo deve intervenire in ogni patologia espansiva, nel trattamento dell’ipertensione endocranica e dell’idrocefalo, ed è fondamentale nei traumi cranici che richiedono frequentemente interventi di urgenza, sull’encefalo e sulla possibile patologia traumatica cervicale. Consulenze necessarie sono per cardiologia, patologie infettive, patologie internistiche (dal diabete al coma epatico), patologie ortopediche e chirurgiche generali (pressoché costanti nei politraumatizzati), funzionalità renale. Il c. può essere considerato quindi il banco di prova della medicina di emergenza. Mario Manfredi
Lo stato vegetativo
Secondo la definizione di Bryan Jennett e Fred Plum (1972) lo stato vegetativo è una condizione artificiale, consentita dalle tecniche rianimatorie, che si verifica come evoluzione del coma profondo. Il paziente che ha subito un danno irreversibile della corteccia o delle connessioni talamocorticali, ma conserva parte del tronco encefalico funzionante, incomincia dopo qualche settimana ad aprire gli occhi. Non mostra consapevolezza di sé e dell’ambiente, segni di attività mentale, tendenza a comunicare, comprensione del linguaggio, espressioni verbali o mimiche dotate di significato né risposte a stimoli sensoriali che esprimano un proposito. Gli occhi mostrano fasi di apertura e chiusura indicative di un ciclo sonno-veglia; sono possibili la respirazione spontanea, la regolazione della circolazione e della temperatura corporea; persistono i riflessi pupillari, corneali e oculo-vestibolari. La condizione può protrarsi invariata per anni (17 in un recente caso italiano). Possono residuare automatismi motori, movimenti vaganti degli occhi, smorfie, suoni inarticolati, reazioni vegetative a rumori improvvisi, ma sono incompatibili con questa diagnosi segni di percezione discriminativa, movimenti diretti a uno scopo, tentativi di comunicazione. I principali reperti patologici sono la necrosi laminare della corteccia, il danno diffuso della sostanza bianca sottocorticale o la necrosi bilaterale del talamo, e le cause sono di solito anossia cerebrale prolungata e traumi cranici severi.
Le immagini di risonanza mostrano danni aspecifici; l’EEG può presentare una residua attività elettrica cerebrale. Gli studi funzionali possono occasionalmente evidenziare isole funzionanti di tessuto nervoso, insufficienti a presumere la persistenza di una attività cosciente, che necessita l’integrazione fra tutte le strutture che sottendono la consapevolezza di sé. Condizioni simili sono state descritte con le espressioni mutismo acinetico, sindrome apallica, coma vigile. È stata di recente proposta l’espressione stato di minima coscienza nei casi in cui emergono segni anche minimi, ma sicuri e riproducibili, di consapevolezza e di relazione con l’ambiente. In una condizione di questo tipo è stata osservata (Martin Monti e collaboratori, 2010), con la risonanza funzionale, una modificazione cerebrale suggestiva di una risposta consapevole. Sarebbe auspicabile che le tecniche funzionali divenissero capaci di esprimere senza incertezze una volontà riproducibile. Per la diagnosi è necessario escludere la sindrome di de-efferentazione (locked-in syndrome), in cui una lesione della porzione basale del ponte interrompe le vie motorie per i muscoli cranici e spinali e impedisce ogni comunicazione tramite parola, mimica o gesti. Sono risparmiate la reticolare ascendente, che lascia persistere la coscienza, e le vie motorie per i nuclei del 3° nervo cranico, che consentono i movimenti volontari delle palpebre e i movimenti verticali degli occhi. Il paziente, immobile, può esprimere la propria volontà solo attraverso battiti di palpebre. Dopo 1 mese di osservazione la diagnosi di stato vegetativo permanente può essere confermata. Suscita discussioni la durata dell’osservazione prima che la condizione possa definirsi permanente, ossia irreversibile. Secondo le revisioni più recenti della Multi-Society task force PVS (1994), di Steven Laureys e coll. (2004), di Eelco F.M. Wijdicks e coll. (2005), il recupero diviene estremamente improbabile dopo 3÷6 mesi nelle eziologie anossiche, e dopo un anno nei casi postraumatici. La Commissione del Ministero della Salute, istituita nel 2000 per uno specifico caso italiano, ha consigliato una osservazione fino a 2 anni. La revisione casistica della Società italiana di neurologia ha evidenziato che dopo un anno segni di recupero sono osservabili solo nello 0,9% dei casi (7 su 754 pazienti), tutti con esiti deficitari gravissimi.
I comportamenti assistenziali differiscono a seconda dell’etica dominante e della legge. A causa della persistenza dei riflessi del tronco, lo stato vegetativo non rientra nei criteri diagnostici della morte dell’encefalo, e per interrompere l’assistenza è necessario un intervento giudiziario. I difensori della ‘vita a ogni costo’ non accettano alcuna riduzione di assistenza, incluse idratazione e alimentazione, da loro definiti a tale scopo atti non medici. Un atteggiamento razionale prevede che una volontà testamentaria vincoli il medico alle precedenti decisioni del paziente, o che possa prendere decisioni un tutore naturale o nominato dal giudice. In attesa di un dispositivo legislativo, ogni comportamento può essere fonte di contenzioso. Vi sono tuttavia alcune certezze: l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, e l’articolo 39 del Codice deontologico medico che la terapia di sostegno vitale vada proseguita finché ragionevolmente utile. Un soggetto cosciente può decidere, e il medico deve rispettare la decisione. È intuitivo che, come per le altre volontà testamentarie, lo stesso debba valere per le decisioni sulla fine della propria vita espresse dal soggetto prima della perdita della coscienza: prosecuzione del trattamento per chi così ha deciso, interruzione per chi ritiene che lo stato vegetativo non sia vita. L’ipotesi che dietro la maschera impenetrabile dello stato vegetativo possano occultarsi barlumi di coscienza rende il rispetto della volontà del paziente ancora più impellente. Peggio, se il paziente è incarcerato nella sindrome locked-in, e non viene rispettata la volontà espressa con i battiti di palpebre.