coma
Lo stato vegetativo
Secondo la definizione di Bryan Jennett e Fred Plum (1972) lo stato vegetativo è una condizione artificiale, consentita dalle tecniche rianimatorie, che si verifica come evoluzione del coma profondo. Il paziente che ha subito un danno irreversibile della corteccia o delle connessioni talamocorticali, ma conserva parte del tronco encefalico funzionante, incomincia dopo qualche settimana ad aprire gli occhi. Non mostra consapevolezza di sé e dell’ambiente, segni di attività mentale, tendenza a comunicare, comprensione del linguaggio, espressioni verbali o mimiche dotate di significato né risposte a stimoli sensoriali che esprimano un proposito. Gli occhi mostrano fasi di apertura e chiusura indicative di un ciclo sonno-veglia; sono possibili la respirazione spontanea, la regolazione della circolazione e della temperatura corporea; persistono i riflessi pupillari, corneali e oculo-vestibolari. La condizione può protrarsi invariata per anni (17 in un recente caso italiano). Possono residuare automatismi motori, movimenti vaganti degli occhi, smorfie, suoni inarticolati, reazioni vegetative a rumori improvvisi, ma sono incompatibili con questa diagnosi segni di percezione discriminativa, movimenti diretti a uno scopo, tentativi di comunicazione. I principali reperti patologici sono la necrosi laminare della corteccia, il danno diffuso della sostanza bianca sottocorticale o la necrosi bilaterale del talamo, e le cause sono di solito anossia cerebrale prolungata e traumi cranici severi.
Le immagini di risonanza mostrano danni aspecifici; l’EEG può presentare una residua attività elettrica cerebrale. Gli studi funzionali possono occasionalmente evidenziare isole funzionanti di tessuto nervoso, insufficienti a presumere la persistenza di una attività cosciente, che necessita l’integrazione fra tutte le strutture che sottendono la consapevolezza di sé. Condizioni simili sono state descritte con le espressioni mutismo acinetico, sindrome apallica, coma vigile. È stata di recente proposta l’espressione stato di minima coscienza nei casi in cui emergono segni anche minimi, ma sicuri e riproducibili, di consapevolezza e di relazione con l’ambiente. In una condizione di questo tipo è stata osservata (Martin Monti e collaboratori, 2010), con la risonanza funzionale, una modificazione cerebrale suggestiva di una risposta consapevole. Sarebbe auspicabile che le tecniche funzionali divenissero capaci di esprimere senza incertezze una volontà riproducibile. Per la diagnosi è necessario escludere la sindrome di de-efferentazione (locked-in syndrome), in cui una lesione della porzione basale del ponte interrompe le vie motorie per i muscoli cranici e spinali e impedisce ogni comunicazione tramite parola, mimica o gesti. Sono risparmiate la reticolare ascendente, che lascia persistere la coscienza, e le vie motorie per i nuclei del 3° nervo cranico, che consentono i movimenti volontari delle palpebre e i movimenti verticali degli occhi. Il paziente, immobile, può esprimere la propria volontà solo attraverso battiti di palpebre. Dopo 1 mese di osservazione la diagnosi di stato vegetativo permanente può essere confermata. Suscita discussioni la durata dell’osservazione prima che la condizione possa definirsi permanente, ossia irreversibile. Secondo le revisioni più recenti della Multi-Society task force PVS (1994), di Steven Laureys e coll. (2004), di Eelco F.M. Wijdicks e coll. (2005), il recupero diviene estremamente improbabile dopo 3÷6 mesi nelle eziologie anossiche, e dopo un anno nei casi postraumatici. La Commissione del Ministero della Salute, istituita nel 2000 per uno specifico caso italiano, ha consigliato una osservazione fino a 2 anni. La revisione casistica della Società italiana di neurologia ha evidenziato che dopo un anno segni di recupero sono osservabili solo nello 0,9% dei casi (7 su 754 pazienti), tutti con esiti deficitari gravissimi.
I comportamenti assistenziali differiscono a seconda dell’etica dominante e della legge. A causa della persistenza dei riflessi del tronco, lo stato vegetativo non rientra nei criteri diagnostici della morte dell’encefalo, e per interrompere l’assistenza è necessario un intervento giudiziario. I difensori della ‘vita a ogni costo’ non accettano alcuna riduzione di assistenza, incluse idratazione e alimentazione, da loro definiti a tale scopo atti non medici. Un atteggiamento razionale prevede che una volontà testamentaria vincoli il medico alle precedenti decisioni del paziente, o che possa prendere decisioni un tutore naturale o nominato dal giudice. In attesa di un dispositivo legislativo, ogni comportamento può essere fonte di contenzioso. Vi sono tuttavia alcune certezze: l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, e l’articolo 39 del Codice deontologico medico che la terapia di sostegno vitale vada proseguita finché ragionevolmente utile. Un soggetto cosciente può decidere, e il medico deve rispettare la decisione. È intuitivo che, come per le altre volontà testamentarie, lo stesso debba valere per le decisioni sulla fine della propria vita espresse dal soggetto prima della perdita della coscienza: prosecuzione del trattamento per chi così ha deciso, interruzione per chi ritiene che lo stato vegetativo non sia vita. L’ipotesi che dietro la maschera impenetrabile dello stato vegetativo possano occultarsi barlumi di coscienza rende il rispetto della volontà del paziente ancora più impellente. Peggio, se il paziente è incarcerato nella sindrome locked-in, e non viene rispettata la volontà espressa con i battiti di palpebre.