comandare
Il verbo, che deriva dal latino commendare, non sembra avere in D. il senso più vicino al valore della base, e non equivale mai, perciò, ad " affidare ", " raccomandare " qualcosa a qualcuno. Ma nelle diverse sfumature dell'atto del ‛ comandare ' si possono riconoscere dei casi in cui più che di un " ordine ", si tratta di un " invito ", di un " suggerimento ", anche se vivo e pressante. Si può, cioè, spesso notare come il ‛ comando ' non sia disgiunto da un affettuoso interessamento dell'autorità che lo emana per il bene di colui che deve eseguirlo: sia l'autorità una persona o un'entità astratta. La sfumatura, spesso difficile da riconoscersi, è talvolta resa più evidente dal contesto, in cui il tono rivela l'‛ animo ' con cui il comando è fatto. Si veda, per es., Cv IV XXX 5 comando a la canzone che suo mestiere discuopra là dove questa donna... si troverà; analogamente, il comando di s. Francesco morente ai suoi frati, di amare la povertà a fede (Pd XI 114) è unito alla raccomandazione che egli fa della donna sua più cara (v. 113), cioè della stessa Povertà. Così, si mosse la Ragione a comandare che l'uomo avesse diligente riguardo ad entrare nel nuovo cammino (Cv I X 3); e in Cv I VII 9, nel ‛ comandare ' della giustizia c'è più un senso morale che giuridico (per il testo cfr. Busnelli-Vandelli, ad l.); cfr. Fiore XV 3, LXXVIII 4, CCXX 2.
Altrove è messo in risalto non tanto (o non solo) l'interessamento per il bene di colui che esegue, quanto piuttosto la fiducia che il ‛ comandatore ' ha, di essere ubbidito: v. a questo proposito tutte le volte che Virgilio ‛ comanda ' a D. di fare una cosa (per es. If X 128, XVI 110). Più in particolare va studiata l'espressione di If II 54 donna mi chiamò beata e bella, / tal che di comandare io la richiesi; l'aspetto di Beatrice è tale che Virgilio si offre spontaneamente di ubbidire, prima ancora di aver udito ciò che ella vuole: dunque Beatrice appare degna di c.; ma il suo comando si rivelerà un dolce invito, che Virgilio sarà ben lieto di eseguire e non soltanto per rispetto alla sua autorità, che emana da Maria.
Dal senso di " consigliare ", " invitare ", si passa a quello non molto diverso di " prescrivere ": e in questo caso si hanno più spesso come soggetti dei concetti astratti che non dei nomi di persona: la Legge... dice e comanda (Cv IV XXIV 15; e cfr. III VIII 12); l'arte nol vuol né nol comanda (Fiore CLXXII 4); la giustizia... ordina...e comanda (Cv II XIV 15: si noti la dittologia sinonimica - ordina e comanda - che è rimasta topica); e così la scrittura è soggetto in Fiore CX 1. Stesso significato ha il verbo in Cv IV VII 9 e Pd XI 122, ma ora il soggetto è rappresentato da una persona: Salomone nel primo caso, s. Francesco nel secondo. Cfr. infine Cv II X 2, in un'integrazione accolta anche nell'ediz. Del '21 e dalla Simonelli.
Anche in casi in cui è Amore che comanda, più che di un imperioso ordine si tratterà di una serie di prescrizioni che l'innamorato deve seguire, secondo le leggi dell'amore cortese, per ottenere, o conservare, l'affetto dell'amata. Ciò risulta evidente non solo in passi come Vn II 8 e IV 2, ma più in una frase come quella di Detto 61 tal chente Amor comanda / a chi a lu' s'accomanda.
In tre passi del Convivio e in uno delle Rime sono le canzoni che ‛ comandano '; ma l'espressione risulta più chiara in Cv I VII 11 (due volte) e II X 5 (in quanto dal contesto si deduce che D. paragona le canzoni del trattato a dei signori di cui il commento è servo) che non in Rime LXIII 13, dove soggetto è il sonetto, che deve ‛ comandare ' ai suoi fratelli (gli altri sonetti) di restare con Meuccio, cui la poesia è dedicata.
Infine esiste un buon numero di occorrenze in cui il verbo ha invece un uso corrispondente a quello di " ordinare ", " ingiungere ", " obbligare "; si tratta cioè di ‛ ordini ', ‛ comandi ', che non possono essere discussi, che emanano da un'autorità superiore, come quella dell'imperatore (Cv IV IV 6, IX 9), il quale ‛ mostra ' e ‛ comanda ' la ragione (IV IX 8), ossia " indica " ai sudditi l'onestà e la giustizia e " pretende " che tutti la perseguano; o di Dio (cfr. III VIII 2 e II V 4). Lo stesso senso, che ci porta all'uso giuridico, è presente in Cv I VII 4 (tre volte; in cui l'atto del c. è visto come indiscussa prerogativa legata al concetto di sovranità). E questo è indubbiamente da considerarsi, alla luce dell'uso odierno del vocabolo, il significato più proprio: cfr. Cv I VII 7, IV XXIV 13 (due volte), Fiore XX 6, CXLI 7, CLXXVI 11, CCXVII 4.
Leggermente si discosta da quest'uso quello di Cv I VI 3 (due volte), in cui il c. non è soltanto l'atto di ordinare qualcosa, ma più precisamente l'espressione esterna della volontà di una persona, la manifestazione esplicita di un desiderio, di un ordine; ne consegue che l'obedienza comandata (I VII 2, 6, 7, due volte) è l'obbedire a un comando che sia stato esplicitamente manifestato; la vera obbedienza, dice D., non è spontanea, ma segue in tutto e per tutto quello che l'autorità richiede.
Isolato non solo nell'ambito dell'opera dantesca, ma di tutta la storia della lingua italiana, era da considerarsi l'uso del verbo in Vn XII 13 33, ove appariva l'unico esempio di un c. equivalente a " concedere ": mi comandi permesso ch'eo moia, doveva significare " mi conceda il permesso di morire "; ma il testo è stato emendato, e nella '21 si legge mi comandi per messo ch'eo moia, " mi ordini, per mezzo di un suo inviato, di morire ", sì che l'intelligenza del passo ne ha tratto un gran vantaggio.
In Cv IV IX 13 il verbo appare nella forma di un infinito sostantivato: 'l pescare è sotto l'arte de la venagione e sotto suo comandare.