comandatore
Il termine è usato da D. unicamente in tre passi del Convivio, ma doveva essere di frequente uso nell'italiano medievale, come dimostra il confronto con alcuni passi di Brunetto Latini, Franco Sacchetti, e soprattutto con i volgarizzamenti di Tito Livio e dei Vangeli. Esso aveva un'area semantica molto vasta, e poteva corrispondere sia a dux e imperator, che a praeceptor (come nel caso dei Vangeli); in origine dunque valeva genericamente " colui che comanda ", ma in seguito venne a significare anche, per esempio, " colui che ha autorità ", " colui che insegna ", e così via. Inoltre assai frequente era il traslato per cui c. valeva non più " colui " ma " la cosa che comanda ", ossia " la cosa che impone, che costringe " ad agire in un certo modo, a compiere una determinata azione.
Fra le tre occorrenze dantesche, quella che ci presenta l'uso più proprio è Cv IV V 8 'l mondo mai non fu né sarà sì perfettamente disposto come allora che a la voce d'un solo, principe del roman popolo e comandatore, fu ordinato. Augusto è definito ‛ principe e c. del popolo romano ', e la differenza fra i due appellativi consisterà nel fatto che principe indica la priorità storica del titolo, mentre c. descrive più concretamente l'autorità imperiale. Nel passo di IV IV 7 l'uso di c. è alquanto diverso, pur essendo sempre riferito all'imperatore (in questo caso però all'imperatore del Sacro Romano Impero, non a quello romano, o meglio al concetto di imperatore in sé, nel contesto di un ragionamento più generale). Infatti, l'imperatore di tutti li comandamenti... è comandatore; il sostantivo non vale più, dunque, " colui che comanda a dei sudditi ", come nel caso precedente, ma " colui che ha l'autorità di emanare le leggi ", anzi " l'unico che ha l'autorità di emanare tutte le leggi dello stato "; vale quindi il latino auctor. La frase esprime un concetto tipicamente medievale, che si riflette in particolare nella Monarchia: l'autorità dell'imperatore nella sfera temporale discende direttamente da Dio, per cui quello che esso dice a tutti è legge (Cv IV IV 7). Meno proprio, ma sempre legittimo, l'uso di c. in I VII 5, a proposito del comento delle canzoni: se lo latino è sovrano del volgare... e le canzoni, che sono in persona di comandatore, sono volgari, impossibile è sua [obedienza] esser dolce. Le canzoni del Convivio sono ‛ in persona di c. ' rispetto al commento, che è loro servo, " suddito ". Esse sono, cioè, dal punto di vista gerarchico, più importanti del commento, sono " fonte di autorità ", mentre il commento è " oggetto di autorità "; ne consegue, prosegue il ragionamento di D., che se le canzoni sono in volgare il commento non può essere in latino, perché ci sarebbe un'inversione di autorità, essendo il latino sovrano del volgare.