comando (comanda)
Le tre occorrenze del D. canonico, sempre nella forma ‛ comando ', nel significato proprio.
In Pg XXXI 73 io... levai al suo comando il mento, il c. di Beatrice di alzare il volto è da supporsi imperioso, in armonia col tono degli aspri rimproveri rivolti a D. nei canti XXX e XXXI. Al contrario, il c. di s. Pietro in Pd XXIV 153 sarà senza dubbio un invito più pacato, come dimostra tutto l'interrogatorio, ma soprattutto l'epiteto buon cristiano che il principe degli apostoli rivolge a D. all'esordio (v. 52), e l'affettuoso abbraccio conclusivo (vv. 152-154): tre volte cinse me, sì com'io tacqui, / l'appostolico lume al cui comando / io avea detto, " al comando del quale... io aveva parlato e risposto a le sue questioni " (Buti; per la variante domando invece di comando, v. Petrocchi, ad l.). In Rime CVI 158, infine, ove la canzone è invitata dall'autore a seguire il ‛ comando ' della donna cui è dedicata, l'espressione seguirai secondo suo comando pare una frase topica, equivalente a " farai tutto quello che lei vorrà ", " eseguirai a suo cenno quel che ti dirà ". Analogamente nelle due occorrenze del Fiore: po' ched e' fu del tutto al me' comando (XLIV 4); molto le tarda / che della fosse tutta al su' comando (CLXVI 13).
Nella forma ‛ comanda ' è parola del Fiore: Venga il valletto e vada, a tua comanda (XV 6); è a tua comanda (CXLII 3); insin che sia del tutto a sua comanda CLXXII 8). La locuzione ‛ far c. ' vale " comandare ": Dio fè comanda (CXV 9); cfr. Intelligenza 131 3 " E partio di Brandizio, e fe' comanda / ai suoi ch'a Roma andâr molto benigni ".