COMICO
. La definizione della natura del "comico", e cioè di quello che, in generale, suscita il riso o il sorriso, ha più volte preoccupato la psicologia e l'estetica. Già per Platone (Philoeb., 47 c segg.) il senso del comico (γελοῖον) ha particolare interesse, in quanto è uno degli esempî tipici di sentimento misto di piacere e di dolore. Comico è il personaggio che improvvisamente subisce una delusione circa le qualità e le possibilità di cui crede di disporre, senza nello stesso tempo apparire odioso e temibile; e il gusto che ne ha lo spettatore è la soddisfazione di una celata invidia, che di questa ha insieme il dolce e l'amaro. Il senso del comico, così, si risolve in sostanza nella percezione della propria superiorità rispetto alla persona che appare tale. Per Aristotele (Poet., 5), più semplicemente, la comicità di un personaggio è determinata dal presentarsi di un suo difetto o errore, in quanto però esso non appare odioso e non suscita repulsione. L'origine del comico è comunque veduta sempre nell'avvertimento di una sorta di contrasto, di dislivello, si manifesti esso tra la cosa e lo spettatore, o tra la cosa reale e l'idea che altrimenti se ne possa avere.
Tale impostazione generale si può dire mantenuta da tutte le posteriori definizioni del comico, per varie che siano state le loro specificazioni particolari. La concezione platonica, nettamente accentuata dal Hobbes, per cui la sensazione del comico è un'improvvisa soddisfazione dell'orgoglio, è indirettamente continuata anche nella definizione del Kant, per cui tale sensazione deriva dall'immediato risolversi di un'aspettativa, e dal conseguente sollevarsi dell'animo dopo il momento di tensione. All'idea del contrasto obiettivo tra realtà e idealità si riferisce invece lo Schopenhauer, che trova il comico nell'incongruenza, improvvisamente avvertita, tra un concetto e le immagini che gli corrispondono nella realtà: e a tale contrasto si riconnettono pure, in generale, le altre definizioni sorte sul terreno della grande estetica romantica, non escluse quelle (Schelling, Hegel, Rosenkranz) per cui esso assume un aspetto più propriamente dialettico. Tra i filosofi contemporanei, l'autore della più nota concezione del comico è il Bergson, che lo intende ponendolo in rapporto con la fondamentale sua contrapposizione della vita e del meccanismo: comico è infatti il meccanico in quanto imita il vivente o il vivente in quanto appare meccanico. Il Freud, invece, considera anche il senso del comico come derivante dalla reazione di complessi psichici prima ricacciati nella sfera del subcosciente; mentre il Croce, esaminando il concetto del comico dal rigoroso punto di vista dell'estetica, lo considera indefinibile su tale terreno, rimandandolo per competenza alla psicologia empirica.
Bibl.: La bibliografia sul comico è assai vasta, perché molte trattazioni di esso sono in opere teoriche di più ampio e diverso contenuto. Per una serie copiosa di rinvii v. R. Eisler, Wörterbuch d. philosoph. Begriffe, I, 4ª ediz., Berlino 1927, pp. 837-40. Tra gli scritti più recenti e notevoli, v.: K. Ueberhorst, Das Komische, voll. 2, Lipsia 1896-1900; H. Bergson, Le rire, Parigi 1900; F. Jahn, Das Problem des Komischen in seiner gesch. Entwicklung, Potsdam 1904; S. Freud, Der Witz und s. Beziehungen zum Unbewussten, Vienna 1905; G. A. Levi, Il comico, Genova 1913. Per il carattere pseudoestetico del concetto del comico v. B. Croce, Estetica, 5ª ed., Bari 1922, pp. 100-102. Cfr. le voci ironia; riso; umorismo; e le bibliografie ivi date.