COMMENDA (o commendazione, dal lat. commendo "affido")
La parola serve a indicare istituti diversi nella sostanza, ma che si ricollegano tutti, formalmente, all'idea di affidare, raccomandare (lat. commendare), sia che si tratti di una persona che raccomanda ad altre un suo candidato: la commendatio romana; sia che si tratti di un beneficio ecclesiastico vacante "affidato" in custodia al titolare di un beneficio contiguo o a un laico: la commenda ecclesiastica. Connesso con questa è il particolare istituto in forza del quale un territorio è "affidato" in godimento (commenda) al cavaliere di un detemminato ordine cavalleresco (donde il titolo di "commendatore"; v. ordini cavallereschi). Commenda è infine anche quella particolare forma di rapporto commerciale in forza del quale un "commendante" affida a un suo "commendatario" merci o denaro affinché ne faccia traffico, con il patto di dividerne i frutti.
La "commendatio" romana.
Già nell'epoca repubblicana in Roma personaggi influenti potevano raccomandare (commendare) agli elettori i candidati. Come diritto (e obbligo da parte degli elettori di conformarsi all'indicazione) la commendatio fu attribuita a Cesare dittatore per quasi tutte le cariche da eleggersi per gli anni 43 e 42, e nel z7 ad Augusto stabilmente e per tutte le cariche, tranne, pare, per il consolato, al quale l'avrebbe estesa Nerone. Augusto esercitò la commendatio dapprima intervenendo ai comizî; ma dall'8 d. C. per iscritto. Trasferite le elezioni dei magistrati dal popolo al senato, a questo il principe rivolgeva la sua commendatio, di solito per iscritto. Il principe raccomandava per il consolato tanti candidati quanti erano i posti da coprire; per le altre cariche un numero inferiore di candidati, che portavano il titolo onorifico di candidati Caesaris in contrapposizione ai competitores (per es., per i posti di questore, che erano venti, solo due, i quaestores Augusti), o anche nessuno. Traiano propose invece un numero maggiore, lasciando libertà al senato di scegliere; più tardi si invitava il senato a presentare una lista alla quale l'imperatore apportava le modificazioni che credeva. Nel sec. IV la commendatio viene meno e tutte le cariche sono di diretta nomina imperiale.
Bibl.: Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 921; Brassloff, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV, 1900, col. 722 e W. Kubitschek, ibid., III, 1897, col. 1469; J. Morel, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités, I, p. 876; E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, II, 1900, p. 536.
La commenda ecclesiastica.
L'istituto comprende varie ipotesi, implicanti l'idea dell'affidamento d'un beneficio a persona che non ne è il titolare.
Già nella corrispondenza di S. Ambrogio e poi in quella di Gregorio Magno si scorgono casi di diocesi vacanti affidate al vescovo vicino o ad altri perché le regga provvisoriamente sino all'elezione d'un nuovo titolare. Altro caso è quello dell'affidamento d'una diocesi vacante a un vescovo espulso dalla sua sede, di cui egli ritiene il titolo, traendo invece i mezzi di sostentamento dalla nuova diocesi cui è preposto: anche di queste commendazioni si hanno esempî già nei primi secoli del Medioevo, ma esse divennero più frequenti allorché con l'invasione musulmana andarono perdute alla cristianità numerose diocesi.
Il caso da cui trasse la sua importanza pratica l'istituto fu quello di affidamento di conventi a prelati secolari, o di benefici secolari, in particolare vescovati, a prelati di curia, eludendosi così il divieto del cumulo di benefici. Anche di questo caso si ebbero esempî già nel sec. VI, ad opera di pontefici e di vescovi, e subito si verificarono gl'inconvenienti propri a questo tipo di commendazione. Sotto Gregorio VII abbondavano chierici commendatarî di abbazie: l'abuso diventò generale a partire dal periodo avignonese.
Pierre Rebuf, che scriveva in Francia sotto il pontificato di Paolo IV, ricorda che il papa spesso dà in commenda quanto non può dare in titolo per mancanza di requisiti. E soggiunge a proposito dei commendatarî, che essi sperperano i beni dei conventi, non vi risiedono, non si occupano del culto divino, spesso sono chierici senza neppure il diaconato.
Tutti i tentativi di riforma della Chiesa cercarono di colpire queste commende: cosi Gregorio X nel concilio di Lione del 1274 (c. 15, in VI, I, VI, de elect.); così il concilio Laterano del 1514 nella sua sess. 9; così anche Leone X nel concordato con Francesco I del 1516. Il concilio di Trento, mentre rinnovò (sess. VII, de ref., c. 4) il tante volte emanato divieto del cumulo di benefici, menzionando pure il caso di cumulo per viam commendae perpetuae, si occupò delle commendazioni di monasteri alla sess. XXV de regul. et mon. c. 21; ivi si esprime la speranza che il papa provveda, per quanto i tempi lo consentono, affinché siano posti a capo dei monasteri commendati persone dello stesso ordine religioso e di specchiata virtù. Quanto alle abbazie e monasteri quae capita sunt ac primates ordinum e alle loro filiali, gli attuali commendatarî avrebbero dovuto nei sei mesi fare la solenne professione religiosa dell'ordine: diversamente, la commenda si sarebbe resa vacante ipso iure. Tuttavia la commenda resisté (cfr. C. Fleuiy, Institutions du droit ecclésiastique, Parigi 1688, pp. 234 segg., 422).
La dottrina teneva ancora ferma la regola che la commenda era assimilabile al deposito; che pertanto il commendatario non si appropriava i frutti, salvo che all'atto della concessione ne ricevesse facoltà; ma gli scrittori dovevano riconoscere che hoc solet Papa dando in commendam exprimere. Si distingueva la commenda perpetua, conferita soltanto dal papa che dava al commendatario tutti i diritti del beneficiato, dalla commenda temporanea per la quale il beneficio vacante veniva affidato a una persona che rappresentava una specie di vicario, ma non poteva appropriarsi i redditi. Come limitazione si stabiliva che non potessero essere dati in commenda i vescovati, i benefici con cura di anime (norme spesso non osservate) e i monasteri di religiose, e che non si potessero dare in commenda se non i benefici che si fosse soliti conferire in tale modo. E questi benefici erano considerati come una speciale categoria di benefici, i beneficia commendata.
Bisogna infine ricordare le commende militari, cioè le commende date per autorità regia a laici, che appaiono quali feudatarî: solo che il loro feudo è un bene ecclesiastico usurpato. In epoca più recente si hanno le commende degli ordini cavallereschi (gerosolimitano, teutonico, mauriziano), cioè dei benefici semplici di patronato laicale, concessi ai religiosi cavalieri di quegli ordini militari, nei quali andavano dileguando le caratteristiche dell'ordine religioso.
Le commende andarono scomparendo: ultime a sparire furono quelle su alcune abbazie prossime a Roma (Subiaco, Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane) dove sino a non molti anni or sono si avevano ancora cardinali che governavano l'abbazia e il territorio annesso per mezzo di un vicario.
La disciplina odierna della Chiesa non ammette più commende nell'interesse del commendatario né (salvo in eccezionalissimi casi) deroghe al principio regularia regularibus, saecularia saecularibus. Nell'Annuario pontificio non è più menzione di commendatarî. Tuttavia il Codex iuris canonici al can. 1412 menziona ancora la commenda temporanea.
Bibl.: L. Thomassin, Vetus et nova Ecclesiae disciplina, Lucca 1728, parte II, lib. III, De commendis, cap. X-XXI, pp. 569-609; Fr. M. Permaneder, v. Commenda, in Kirchenlexicon, 2ª ed., p. 694 segg.; P. Hinschius, System des Kathol. Kirchenrechts, III, Berlino 1884, p. 109 segg.
Il contratto di commenda.
Il diffondersi nel sec. XI di quel rapporto giuridico che fu il contratto di commenda (accomendacio), forse ignoto ai Romani ma già conosciuto nel diritto consuetudinario dell'alto Medioevo, è intimamente connesso col rifiorire del commercio e delle industrie nelle nostre città medievali. La commenda consiste in un'associazione di capitale e lavoro in virtù della quale uno dei contraenti consegna all'altro un capitale (detto anche havere o heutica), generalmente in denaro, talvolta anche in merci o carati di navi, con l'incarico di trafficarlo e trarne frutti per dividerne poi il lucro percepito. Colui che dà il capitale è detto commendator o creditor, chi lo riceve è chiamato commendatarius, tractator, debitor. Il contratto di commenda stipulato per atto pubblico o per scrittura privata, ovvero oralmente, in presenza di testimonî, si riferisce per lo più, specialmente in un primo tempo, al commercio marittimo: ma pure spesso, a quello terrestre, in luoghi lontani o nello stesso luogo anche della stipulazione, ovvero all'impianto di una qualsiasi industria.
L'estensione e l'importanza della commenda nella vita commerciale dei secoli XI, XII e XIII fu veramente considerevole. Essa può essere considerata prodotto e fattore insieme dell'aumento intenso dei traffici e delle industrie nel nostro Medioevo comunale. Il grande commerciante, fatto ricco dal proprio commercio specialmente transmarino, allarga ancor più per mezzo della commenda la cerchia dei proprî affari e risponde alle richieste dei sempre più numerosi clienti; con la commenda egli ha modo di chiamare altri ad aiutarlo nel suo commercio, interessandolo direttamente al commercio stesso, limitando il proprio rischio al solo capitale dato a commenda ed evitando d'intraprendere spese per stabilire commissionarî e rappresentanti nelle lontane terre d'oltremare. Colui che ha ricevuto il capitale, d'altro lato, trova il proprio interesse a ritrarre da questo il maggior reddito possibile e, con ciò dà sicurezza al commendante sulla sua operosità e diligenza nel commercio intrapreso. Sicché è anche questa della commenda, come è facile vedere, una via per rendere fruttifero qualunque capitale in denaro, eludendo le leggi contro l'usura che vietano il mutuo ad interesse; e nel sec. XIII la commenda venne spesso anche a sostituire in questa funzione il prestito a cambio marittimo, dopo che Gregorio IX con una sua decretale (c. naviganti) ne aveva messo in dubbio la moralità. La commenda pertanto, permessa a laici e ad ecclesiastici senza limitazioni, si diffuse rapidamente come mezzo di ottimo investimento di capitali a interesse, assumendo quasi nel sec. XIV il carattere di un vero e proprio prestito; e furono non i soli commercianti o industriali, ma tutti i capitalisti che se ne giovarono largamente.
Il contratto di commenda è minutamente disciplinato nelle numerose leggi del periodo comunale e anzitutto, com'è naturale, dalle leggi delle repubbliche marittime, quali quelle di Venezia (a Venezia il contratto si chiamava collegantia), di Genova, di Amalfi, di Ancona, di Trani, dal Consolato del mare di Barcellona, dai Ruoli di Oleron. Una volta perfezionatosi il contratto, con la consegna del denaro o della merce al commendatario e non col solo consenso, sono varî e molteplici i diritti e i doveri reciproci che ne nascono per i due contraenti. Il commendante può stabilire l'itinerario del viaggio, la durata del contratto, il tipo di commercio nel quale il capitale deve essere impiegato, ma generalmente lascia libero il commendatario di comportarsi come crede meglio. Egli ha diritto inoltre, una volta scaduto il contratto, di riavere il capitale dato e i lucri da questo forniti, salvo quella parte che per pattuizione resta al commendatario, generalmente un terzo nelle commende di terra e un quarto in quelle di mare. Il commendatario, d'altra parte, ha diritto a ricevere il sostentamento durante il viaggio e il rimborso delle spese incontrate. Egli ha il dovere però di commerciare in buona fede e nel modo che a lui apparisca più proficuo, senza peraltro avventurarsi in imprese rischiose. Egli tratta sempre in nome proprio e di tutto rende poi conto al socio alla fine della gestione. Tutti i rischi del capitale restano a carico del commendante.
Altro tipo di commenda assai vicino a questo è la commenda cosiddetta "bilaterale" o societas, nella quale anche il commendatario offre con la sua opera una parte del capitale investito, e cioè un terzo di questo. Molto si è discusso sulla natura giuridica del contratto di commenda: alcuni hanno voluto vedere in esso un deposito, altri una locazione d'opera, un mandato, una praepositio institoria, una commissione. Invero nella commenda è da vedersi un tipo speciale di società o meglio associazione tra capitale e lavoro, con proprie caratteristiche particolari.
Dalla forma di commenda di cui si è detto derivarono altre ancora nei secoli XIV e XV, spesso assimilandosi in molto la commenda al contratto di compagnia allora diffusissimo. L'antica commenda va con ciò scomparendo e diventando sempre più rara. Ne resta ai nostri tempi una derivazione: la società in accomandita.
Bibl.: I. L. M. de Casaregis, Discursus legales de commercio, disc. 29; Lastig, De comanda et collegantia, Halle 1870; W. Endemann, Studien in der romanischkanonistischen Wirtschafts- und Rechtslehre bis gegen Ende des siebzehnten Jahrhunderts, Lipsia 1874-83; W. Silberschmidt, Die Commenda in ihrer frühesten Entwickelung bis zum XII. Jahrhundert, Würzburg 1884; A. Lattes, Il diritto commerciale nella legislazione statuaria, Milano 1884; F. Ciccaglione, Il contratto di commenda nella storia del diritto italiano, in Il Filangieri, 1886; L. Goldschmidt, Universalgeschichte des Handelsrechts, Stoccarda 1891; Bosco, Partecipazione ed accomandita nella storia del diritto italiano, in Studi e doc. di storia e dir., 1899; A. Arcangeli, La commenda a Venezia specialmente nel sec. XIV, in Rivista ital. per le scienze giuridiche, 1902; id., La società in accomandita semplice, 1903; E. Besta, Il diritto e le leggi civili di Venezia, fino al dogado di Enrico Dandolo, Venezia 1900; A. Sacerdoti, Le colleganze nella pratica degli affari e nella legislazione veneta, in Atti del R. Istit. veneto di sc., lett. ed arti, LIX; G. Bonolis, Il diritto marittimo medievale dell'Adriatico, Pisa 1921; L. Genuardi, Il contratto di commenda marittima secondo l'uso di riviera in Sicilia, Messina 1928.