COMMERCIO (X, p. 947; App. I, p. 451; II, 1, p. 655; III, 1, p. 411)
Nuova disciplina del commercio. - Dopo alcuni progetti di legge (progetto Lombardo, 1949; progetto Campilli, 1952; progetto della commissione Astuti, 1964), la disciplina del c. ha avuto il suo nuovo testo legislativo base nella l. 11 giugno 1971, n. 426, alla quale seguivano: la l. 28 luglio 1971, n. 558 sull'orario dei negozi e degli esercizi di vendita al dettaglio, il d. min. 30 ag. 1971 sulle tabelle merceologiche, la l. 14 ott. 1974, n. 524, sulla disciplina degli esercizi pubblici di vendita e consumo alimenti e bevande e quella 24 dic. 1974, n. 713, sui finanziamenti a favore del c., la l. 12 maggio 1976, n. 398, sul c. ambulante e il d. min. 28 apr. 1976 recante norme integrative e sostitutive del precedente regolamento di esecuzione di cui al d. min. 14 genn. 1972.
La nuova disciplina del c., di conseguenza, nel volgere di un non lungo periodo di tempo (1971-75), e senza voler tener conto di pur specifici interventi normativi delle Regioni riguardanti direttamente o indirettamente il settore (si pensi, per es., alla l. 13 dic. 1971, n. 56, della regione Friuli-Venezia Giulia, contenente norme di adeguamento alla l. n. 426), è venuta ad essere costituita da tutto un corpus legislativo e di normazione secondaria, di fronte al quale c'è da domandarsi se ormai tutto il settore non si vada istituzionalizzando in un ordinamento sezionale (con i suoi soggetti qualificati, i suoi uffici e organi, le sue norme), con taluni riflessi non solo di ordine amministrativo e politico ma, altresì, di legittimità costituzionale.
Peraltro, la disciplina legislativa che si è venuta a creare appare ora, nelle sue linee fondamentali, caratterizzata da tre nuovi istituti volti proprio a soddisfare, nell'intenzione del legislatore, le esigenze di riforma del settore attraverso i rimedi di una maggiore qualificazione professionale degli addetti, di una ristrutturazione e di una pianificazione di tutto l'apparato commerciale, di un'abolizione del sistema delle licenze previsto dall'ordinamento fascista. Infatti, le parti fondamentali - e del tutto innovative - dell'attuale disciplina sono quelle (nell'ordine seguito dalla stessa legge) del registro degli esercenti (artt. 1-10 l. n. 426/1971) dei piani di sviluppo e di adeguamento (artt. 11-23 l. cit.), dell'autorizzazione amministrativa (artt. 24-36. l. cit.).
Il registro degli esercenti il commercio. - Il registro degli esercenti, previsto già nel progetto Campilli del 1952 e in quello della Commissione Astuti del 1964, che ancora più lo concepiva come strumento di controllo sulla serietà e sulla preparazione di coloro che volevano diventare commercianti, è stato previsto appunto come strumento per mezzo del quale ottenere e salvaguardare una qualificazione professionale di coloro che vogliono accedere o sono occupati nel commercio. Ad esso, di conseguenza, deve riconoscersi la natura di albo o ruolo contenente gli accertamenti ricognitivi circa l'idoneità di determinati soggetti a svolgere un'attività commerciale.
L'iscrizione nel registro è, infatti, condizione indispensabile per svolgere un'attività di c. all'ingrosso, al minuto, o di somministrazione alpubblico di alimenti o bevande, ed essa, quindi, al pari di altre iscrizioni in altri albi e ruoli (sempre più frequentemente previste nel nostro ordinamento), ha la sostanziale funzione di autorizzare, rectius, abilitare, a seguito di atti o procedimenti ricognitivi dell'esistenza di idonei requisiti, i soggetti che vengono appunto iscritti, a svolgere talune attività professionali. E, con riguardo a questo registro degli esercenti il c., c'è appunto da chiedersi, attese quelle che erano le intenzioni del legislatore, le strutture che si son poste in essere (Commissione per deliberare sull'esercizio dell'albo da parte della Camera di c.), la natura e l'efficacia degli atti che ad esso si riconnettono, i soggetti che vi sono interessati, la più estesa normativa anche per gli aspetti organizzatori che il nuovo regolamento (d. min. 28 apr. 1976) vi ha dedicato, se non si sia voluto dar luogo alla creazione di un nuovo status professionale, quello di commerciante, con un connesso ordinamento. L'eventualità è stata disconosciuta da chi ha osservato come nella nuova disciplina manchi del tutto un rapporto associativo necessario fra gli esercenti di c.; come la commissione per il registro non sia un organo degli associati; come la stessa qualificazione professionale sia vanificata dalla pratica equipollenza di ogni titolo, sicché questo registro di commercianti assomiglierebbe più propriamente a un registro delle imprese che a un registro creativo di uno status professionale. In ogni caso va detto che l'iscrizione al registro si configura come un diritto soggettivo, tanto che l'aspirante che se la vede negare può ricorrere, dopo aver esperito un ricorso amministrativo, al giudice ordinario (art. 8, l. n. 426). Nel registro, poi, devono essere iscritti anche gl'industriali, quando esercitano la vendita al pubblico al minuto; gli artigiani, se non vendono i prodotti di sola loro produzione; i produttori agricoli, nonché, d'ufficio, le cooperative di consumo e i loro consorzi. Un registro a parte, invece, è previsto per gli ambulanti, per coloro cioè che esercitano direttamente o con l'aiuto di familiari o, al massimo, di due dipendenti, l'attività di vendita a domicilio o su aree pubbliche. Per essere iscritti nel registro degli esercenti il c. si deve presentare una domanda alla Camera di c. della provincia nella quale si ha la propria residenza o sede legale.
Per ottenere l'iscrizione nel registro degli esercenti il c. occorre avere taluni requisiti che possono distinguersi in requisiti personali, morali e professionali (età, incensuratezza, aver superati determinati esami o aver svolto una certa pratica). L'iscrizione è deliberata da una commissione di otto membri nominata dal prefetto su designazione delle organizzazioni provinciali di categorie secondo la loro rappresentatività, e presieduta dal presidente della Camera di c. (o, in caso di sua assenza o impedimento, da chi ne fa le veci), e il cui funzionamento è stato oggetto di particolari norme da parte del nuovo regolamento. Questa commissione - che deve ritenersi un collegio professionale - esamina le domande d'iscrizione decidendo su di esse entro il termine di sessanta giorni, trascorsi i quali la domanda s'intende respinta, e provvede altresì alla tenuta del registro, disponendo, per es., le cancellazioni. Avverso i provvedimenti della commissione è previsto un ricorso al presidente della Giunta regionale e, avverso la decisione di questo, oppure nel caso che questa non sia intervenuta entro il termine di novanta giorni, è previsto che si possa adire il tribunale. Va infine detto che il registro pertanto si presenta, da un lato, come albo, l'iscrizione nel quale ha efficacia abilitativa all'esercizio di attività commerciali e, dall'altro, come strumento di pubblicità, potendo essere formato da schede preventivamente vidimate e numerate dal segretario generale della Camera di c. o da un suo delegato, e nelle quali devono esser indicate le generalità dell'iscritto, nonché altri elementi. Esso, poi, è suddiviso in distinte sezioni secondo i tipi di attività e le specializzazioni merceologiche. In una speciale sezione del registro sono iscritti "coloro che intendono esercitare il commercio di vendita in forma ambulante", mentre in un elenco speciale sono iscritti i preposti alla gestione di un punto di vendita o di un esercizio pubblico o di una sede secondaria, anche quando questi siano dipendenti da enti pubblici, nonché i rappresentanti o i tutori dei minori.
I piani di sviluppo e di adeguamento. - Sono la novità più significativa della nuova disciplina del c. e quella che più la caratterizza anche con riferimento alle sue scelte politiche di fondo; anche se sembra quella che più ne evidenzia i limiti, sia per la molto difficoltosa, se non impossibile, secondo taluni, realizzazione pratica degl'intendimenti che con essi si volevano perseguire, sia per la mancanza, sino a oggi, di una loro apprezzabile attuazione.
Eppure è attraverso i piani, in verità un po' enfaticamente chiamati "di adeguamento e di sviluppo", che dovrebbe realizzarsi il carattere saliente del nuovo assetto del c., se è vero quanto ha ritenuto un'autorevole giurisprudenza, e cioè che, tra i rimedi indicati per superare le difficoltà di questo settore e gl'inconvenienti da questo presentati (in particolare la polverizzazione degli esercizi di vendita al minuto), il legislatore non ha preferito né il rimedio dell'abolizione del regime delle licenze con il ritorno puro e semplice alla libera concorrenza, né quello della progressiva riduzione delle "iniziative marginali" attraverso una graduale modificazione del regime delle licenze, ma ha adottata la terza soluzione della programmazione dei punti di vendita (cfr. Cons. Stato, VI, 13 luglio 1973, n. 314). Solo che una tale programmazione è stata prevista come da attuare attraverso atti amministrativi generali di carattere essenzialmente precettivo, rimessi alla competenza dei comuni, sentita una commissione della quale più di un autore ha rilevato la natura corporativa, e, soprattutto, "al fine di favorire una più razionale evoluzione dell'apparato distributivo" e, più specificamente, per assicurare "la migliore funzionalità e produttività del servizio da rendere al consumatore" e "il maggiore possibile equilibrio tra installazioni commerciali a posto fisso e la presumibile capacità di domanda della popolazione stabilmente residente e fluttuante". Orbene, è stata proprio la predisposizione di questi fini - nei quali, peraltro, è da individuare una specificazione di quell'utilità sociale che, a norma dell'art. 41, secondo comma, Cost., sola legittima interventi autoritativi nel settore - che è stata notevolmente criticata tanto da tacciare la norma di "ipocrisia legislativa" o "alchimia verbale" e si è con riguardo a essa osservato che nessuna indagine econometrica sarà mai in grado di calcolare il potere di acquisto della popolazione esistente in un determinato territorio in relazione alle sue preferenze merceologiche, al fine di determinare i punti di vendita necessari per soddisfare i bisogni dei consumatori.
In ogni caso, quel che si rileva è che questi piani di adeguamento e di sviluppo commerciali si pongono in una posizione di subordinazione rispetto agli atti amministrativi generali contenenti previsioni urbanistiche. Essi invero, anzitutto, in assenza di prescrizioni urbanistiche, hanno efficacia solo ai fini del rilascio delle autorizzazioni all'apertura di esercizi. In presenza, poi, di piani urbanistici, essi, come afferma l'articolo 11 della legge, sono tenuti a rispettare le prescrizioni urbanistiche, mentre è previsto altresì che, allorché si formano o si revisionano piani regolatori generali e programmi di fabbricazione, questi devono contenere le norme per l'insediamento di attività commerciali e, in particolare, la previsione delle quantità minime per gli spazi dei parcheggi in funzione dei punti di vendita. Nei piani particolareggiati e nelle lottizzazioni convenzionate, invece, devono essere determinati gli spazi eventualmente riservati ai centri commerciali all'ingrosso e al dettaglio, ai mercati rionali e ai grandi esercizi di vendita. Ed è in questa interferenza tra piani urbanistici e piani commerciali che appare il ruolo delle Regioni anche in questa programmazione commerciale, dal momento che ad esse, in virtù del d.P.R. 15 genn. 1972, n. 8, spettano poteri in materia di piani regolatori, mentre lo stesso art. 21 del nuovo regolamento di esecuzione (d. min. 28 apr. 1976) affida alle Regioni le indicazioni programmatiche e di urbanistica commerciale "per zone socio-economiche omogenee, nelle quali essa suddivide il proprio territorio". I primi devono essere formati e adottati dai Consigli comunali, dopo il parere di apposite commissioni diversamente formate a seconda della grandezza dei Comuni.
Dopo il parere della Commissione, il piano dev'essere deliberato dal Consiglio comunale e, quindi, depositato nella segreteria comunale entro otto giorni dalla data della sua adozione. Di un siffatto deposito dev'essere data notizia con affissione nell'albo comunale ed inserzione nella Gazzetta ufficiale della Regione, al fine di permettere, a chiunque ne abbia interesse, di presentare al comune osservazioni entro trenta giorni dalla suddetta affissione o inserzione. Trascorso tale termine, il Consiglio comunale deve esaminare le osservazioni e procedere a una nuova approvazione del piano. In mancanza di osservazioni, il piano s'intende approvato sin dalla data della delibera della sua adozione (art. 22 d. min. 28 apr. 1976).
Ma se i piani "di adeguamento e di sviluppo" sono la nota più caratterizzante di quello che è il nuovo assetto dell'ordinamento del c., non meno rilevante e qualificante della nuova disciplina è la parte relativa alle autorizzazioni amministrative, istituto che ha sostituito, con la l. n. 428 del 1971, il precedente regime delle licenze che a tante critiche e a tanti rilievi aveva dato luogo.
E invero, liberalizzato il c. all'ingrosso, per il c. al minuto il legislatore, come si è visto, ha optato per un sistema di programmazione attuato attraverso piani generali e da specificarsi, poi, per i singoli esercizi, attraverso autorizzazioni da concedere, secondo sempre le previsioni dei piani, a soggetti legittimati e cioè iscritti nel registro. In tal modo, per l'apertura nonché per l'ampliamento con nuovi locali di vendita e per il trasferimento in altra zona di ogni singolo esercizio, è necessario il rilascio di un'apposita autorizzazione amministrativa da parte del sindaco del comune nel quale l'esercizio dev'essere aperto. Così, mentre il c. all'ingrosso, come si è detto, si presenta, a seguito della nuova disciplina, liberalizzato, pur entro i limiti che anche per esso scaturiscono dalle previsioni generali dei piani, il c. al minuto è subordinato all'emanazione da parte dell'autorità comunale di un provvedimento discrezionale, il quale, nella sua nuova qualificazione, postula, secondo la sua configurazione più tradizionale, la piena disponibilità di un potere in capo a un soggetto che però è subordinato, nella sua esplicazione, all'emanazione di un provvedimento da parte della pubblica autorità al fine di armonizzare, appunto, quella esplicazione al pubblico interesse di cui questa ultima è titolare. Chiaro pertanto dovrebbe essere il significato del mutamento legislativo per mezzo del quale alle licenze sono state sostituite le autorizzazioni: si è voluto sottolineare, insieme con la liberalizzazione del c. all'ingrosso, la disponibilità - e non la concedibilità o meno da parte della pubblica autorità - del potere di svolgere l'impresa commerciale di vendita al minuto. Tale potere, però, dev'essere subordinato e contemperato con pubblici interessi che sono previsti altresì programmaticamente nei piani che la stessa pubblica autorità deve predisporre. Infatti, com'è noto, l'autorizzazione, presupponendo l'esistenza di un diritto o di altra posizione giuridica in capo a un soggetto, riconosce che lo svolgimento dell'attività commerciale attiene alla sfera dei diritti dei privati, essendo solo subordinato alla sua rispondenza a un precostituito pubblico interesse.
Altri, pur ponendo in rilievo la configurazione giuridico-amministrativa che a seguito della nuova disciplina ha assunto il potere di gestione, oggetto, secondo una nota teorica, del diritto d'impresa, ha tuttavia ritenuto che l'autorizzazione prevista dalla l. n. 425 del 1971, si discosti dalla tradizionale natura e funzione di questo provvedimento, presentando aspetti di specificazione di previsioni lato sensu normative e di accertamento di situazioni di fatto, tanto da farla ritenere piuttosto una "autorizzazione vincolata" avente contenuto di acclaramento di fatti giuridici che producono tuttavia non effetti di certezza, ma effetti permissivi di attività o effetti qualificatori (di liceità) di una gestione già in atto. Su di una tale configurazione dell'autorizzazione sembra aver assunto un rilievo peculiare la funzione subordinata dell'atto rispetto ai piani nei quali già sarebbero contenuti gli elementi conformanti dell'impresa che, a seguito dell'autorizzazione, poi si costituisce. Peraltro, la giurisprudenza va affermando, anzitutto, che la nuova disciplina del c., con la previsione di piani comunali ai fini del rilascio di nuove licenze di c., ha inquadrato la relativa discrezionalità in un articolato equilibrio del sistema e quindi che, avuto riguardo all'introduzione dei piani di sviluppo e di adeguamento, il controllo della rispondenza dell'iniziativa privata all'utilità pubblica dovrà essere ora effettuato non più con riferimento alle singole posizioni, bensì confrontando la domanda e il piano già redatto e facendosi luogo al rilascio ove la domanda non contrasti con il piano. L'autorizzazione quindi, di regola, dev'essere rilasciata, e il potere discrezionale della pubblica autorità nel rilasciarla o meno appare configurato soltanto in relazione alle disposizioni del piano o della l. n. 426: è solo in base a queste disposizioni, di conseguenza, che l'autorizzazione può essere, motivatamente ed eccezionalmente, negata. Il sindaco, qualora vi siano più domande di nuove autorizzazioni (avendo quelle di trasferimento o di ampliamento e di associazione precedenza assoluta) tutte concorrenti, deve valutarle comparativamente con riferimento alla loro idoneità a una migliore soluzione urbanistica, nonché alla disponibilità dei locali e dell'area destinata alla loro costruzione (art. 30). In caso di parità di condizioni prevale l'ordine cronologico di presentazione delle domande.
Inoltre, una volta ottenuta l'autorizzazione, di essa può disporsi, a seguito di semplice comunicazione al comune, il trasferimento nell'ambito della stessa zona prevista dal piano comunale, nonché l'ampliamento purché questo sia contenuto nei limiti previsti per l'esercizio. Nella titolarità dell'autorizzazione, poi, è consentito il subingresso, cioè il trasferimento, della titolarità o della gestione dell'esercizio di vendita per atto tra vivi o a causa di morte, e sempre che un siffatto trapasso sia effettivo e il subentrante sia iscritto nel registro ovvero, nel caso di trasferimento per causa di morte, richieda questa iscrizione entro sessanta giorni. Una dettagliata disciplina di tale subingresso è contenuta nell'art. 33 del d. min. 28 apr. 1976.
Una particolare attenzione poi merita la disciplina prevista per gli esercizi di vendita al dettaglio di generi di largo e generale consumo per la cosiddetta grande distribuzione. Per tali esercizi, quando la superficie di vendita sia superiore ai 400 m2 nei comuni con popolazione residente inferiore ai 10.000 abitanti e negli altri comuni, quando la superficie sia superiore ai 1500 m2, l'autorizzazione di cui sino a ora si è parlato dev'essere preceduta da un nulla-osta della Giunta regionale che deve sentire la commissione competente e dare il parere sulla formazione dei piani e la cui formazione corporativa ripete quella delle commissioni comunali. Un eguale nulla-osta è previsto, altresì, per l'apertura di centri commerciali al dettaglio e di punti di vendita che, per dimensioni e collocazione geografica, sono destinati a servire vaste aree di attrazione eccedenti il territorio comunale.
È evidente come per l'apertura di siffatti esercizi si voglia tutelare, attraverso lo strumento subprocedimentale del nulla-osta, più vasti interessi pubblici, vale a dire interessi pubblici eccedenti quelli delle comunità comunali e sui quali la Giunta regionale sovrintende. Si pone tuttavia un problema di coordinamento tra le scelte della Regione per questi grandi centri di vendita e la programmazione commerciale rimessa, invece, ai comuni: per gli esercizi superiori ai 1500 m2 la scelta è rimessa alla Regione (art. 27, comma 2; art. 32 d. min. 28 apr. 1976). Ad autorizzazioni diverse - nel senso di procedimenti più semplici per la loro emanazione - sono invece subordinate talune forme speciali di vendita, come gli spacci interni (che sono consentiti solo in appositi locali non aperti al pubblico e subordinati al rilascio della sola autorizzazione comunale, senza la loro preventiva previsione in piani), la distribuzione (per i quali è anch'essa subordinata solo all'iscrizione dell'esercente nel registro e all'osservanza delle disposizioni igienico-sanitarie), la vendita per corrispondenza su catalogo o a domicilio (subordinata, per coloro che la esercitano, alla sola iscrizione di questi nel registro degli esercenti, mentre per gl'incaricati è richiesta un'autorizzazione di polizia).
La nuova disciplina del c. è infine completata da disposizioni riguardanti le tabelle merceologiche, la pubblicità dei prezzi, le sanzioni. Le tabelle merceologiche sono le elencazioni dei prodotti che un pubblico esercizio può vendere. Esse, pertanto, delimitando l'attività di vendita ad alcuni prodotti - e non ad altri - provvedono a confermare il modo stesso di essere dell'impresa commerciale che in questo settore opera. È con riferimento a esse, pertanto, che può ritenersi che l'autorizzazione alla vendita al minuto si presenti come un'autorizzazione conformativa del diritto d'impresa in questione.
Le tabelle merceologiche sono adottate dal ministro dell'Industria, Commercio e Artigianato (che all'uopo ha emanato il d. min. 30 ag. 1971) ed esse possono essere variate, previo consenso del ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, e sentito il parere delle associazioni locali dei commercianti, dai comuni in relazione alle esigenze e alle tradizioni locali.
I prezzi dei prodotti posti in vendita devono essere pubblici, ai sensi del r. d. 11 genn. 1923, n. 138, e la nuova disciplina si limita a specificare che un tale obbligo dev'essere osservato solo "per le merci di largo e generale consumo", escludendo in tal modo da esso taluni prodotti come le confezioni di alta moda, prodotti di pellicceria d'alta moda, oggetti artistici e d'antiquariato, prodotti dell'industria orafa e pietre preziose, fiori, profumi, giornali, ecc. (art. 55 segg.), nonché a prevedere talune modalità di siffatta pubblicità.
Le sanzioni, infine, previste dalla nuova disciplina per l'inosservanza di talune delle sue norme sono quelle dell'ammenda - da lire 20.000 a lire 5.000.000 - e, in caso di particolare gravità o di recidiva, quella della chiusura per un periodo non superiore a venti giorni. Nel regolamento, costituito ormai, come si è detto, dal complesso delle norme del d. min. 14 genn. 1972 e d. min. 28 apr. 1976, innovativo e integrativo del primo, sono previste sanzioni amministrative per l'inosservanza di talune norme contenute nei due atti normativi ed esse sono irrogate dall'Ufficio provinciale dell'industria,c. e artigianato (art. 54, d. min. 14 genn. 1972; art. 40 d. min. 28 apr. 1976).
Bibl.: Ariotti, Pretese corporativistiche ed esigenze di sviluppo nella programmazione del commercio, in Il Mulino, 1971, p. 1011; E. Capaccioli, Disciplina del commercio e problemi del processo amministrativo, in Studi in memoria di E. Guicciardi, vol. I, Padova 1972; M. Scarlata Fazio, La nuova disciplina del commercio, Milano 1973; F. Merusi, La nuova legge sul commercio: aspetti di diritto sostanziale, in La disciplina giuridica della licenza di commercio, in Atti del XVIII convegno di studi di scienza dell'amministrazione, ivi 1975.