COMMERCIO (X, p. 947; App. I, p. 451)
Storia del commercio (X, p. 948). - Dal 1929 al 1939. - Le difficoltà dello immediato dopoguerra che si erano rivelate particolarmiente gravi fra il 1921 ed il 1922, in seguito all'improvvisa e generale discesa dei prezzi, al crollo delle monete dell'Europa centrale e orientale e alla totale scomparsa della Russia dal mercato internazionale, sembrano superate dopo il 1923; ed anzi gli anni 1923-1928 furono giudicati come un periodo di promettente prosperità, in cui la maggior parte delle produzioni, agricole, minerarie ed industriali superarono le cifre massime raggiunte nell'anteguerra e anche il commercio internazionale raggiunse e spesso oltrepassò i limiti del 1913.
Quel periodo di rapida e promettente espansione, in contrasto coi vincoli che molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti d'America, opponevano alle importazioni, e col controllo del commercio delle divise, mantenuto, con maggiore o minore rigidezza, in tutti i paesi a moneta debole, fu per buona parte dovuto ai crediti concessi con grande larghezza, in quello stesso periodo, dalle banche e da privati nordamericani alle industrie e agli importatori europei: prestiti che, nel primo semestre del 1928, raggiunsero la cifra più alta di 1050 milioni di dollari (che valevano, in rapporto all'oro, il 40 per cento in più del dollaro svalutato nel 1934 e tuttora in corso). Già nel secondo semestre di quell'anno, la somma dei prestiti concessi discende a 439 milioni, e la discesa si fa anche più rapida nell'anno successivo, finché, nel 1930, s'interrompono completamente le esportazioni di capitali dagli Stati Uniti.
Questo rapido capovolgimento della politica creditizia del più ricco stato del mondo, se non fu la causa o la sola causa, deve considerarsi come la prima manifestazione della crisi gravissima che si abbatté sull'economia di quello stato e poi su quella di tutto il mondo dopo gli ultimi mesi del 1929, che raggiunse la sua massima gravità nel 1932 e si protrasse, per quanto lievemente attenuata, fino al 1934. La crisi, per chi la osserva oggi a distanza di quasi un ventennio, doveva considerarsi inevitabile, data la situazione particolare che la guerra aveva creato negli Stati Uniti d'America, dati i rapporti che si erano venuti stringendo fra questo stato e i vecchi paesi industriali di Europa e la politica commerciale seguita nel dopo guerra da un grande numero di stati.
Sebbene infatti, dopo la cessazione delle ostilità, si fosse largamente diffusa l'opinione che, soppresse tutte le opprimenti bardature di guerra, si potesse ritornare immediatamente all'economia di mercato, nelle stesse forme in cui essa esisteva prima dell'agosto 1914, in realtà la situazione era troppo profondamente mutata perché quel ritorno puro e semplice fosse possibile. Nel 1920 la maggior parte dei controlli commerciali del tempo di guerra era stata soppressa, sia fuori di Europa, sia nel Regno Unito e in quasi tutti i paesi dell'Europa settentrionale e occidentale. Ciononostante in molti paesi del continente europeo la ripresa, anche parziale, di scambî commerciali relativamente liberi incontrava difficoltà gravissime. In particolare neil'Europa centrale e orientale, le restrizioni quantitative erano ancora assai numerose, e quel po' di commercio internazionale ch'era stato ripreso si effettuava nella forma degli scambî in natura fra i governi, o di rare transazioni private ostacolate da un sistema di proibizioni temperate da licenze, e rese anche più difficili da rigidi controlli sul commercio delle valute. Il sistema dei trattati di commercio in vigore prima del 1914 era in gran parte crollato: moltissimi paesi procedettero a revisioni parziali o totali delle loro tariffe con tendenza costante all'inasprimento.
Di questa situazione, che poneva le ditte specializzate nel commercio internazionale in uno stato di incertezza tale da scoraggiare ogni sana iniziativa, non piccola parte di responsabilità spetta alla politica economica degli Stati Uniti. A differenza degli stati europei, tutti, più o meno, dissestati, questa grande potenza usciva dalla guerra rafforzata considerevolmente nella sua struttura economica. L'essere stata per tre anni la sola grande fornitrice di armi, di materie prime e di derrate alimentari agli stati dell'Intesa aveva spostato completamente i suoi rapporti con l'Europa, trasformandola da paese debitore in paese creditore per somme altissime e facendo affluire nelle casse delle sue banche larga parte dell'oro esistente nel mondo. Si era creata così la situazione assurda di un paese con una bilancia commerciale favorevole e nello stesso tempo, e in larga misura, creditore. Per uscire da questa situazione, che non giovava nemmeno ai suoi interessi, i soli rimedî efficaci sarebbero stati quelli di permettere o anzi di favorire l'importazione di merci e l'immigrazione di uomini. Invece con una serie di provvedimenti presi tra il 1920 e il 1924 gli Stati Uniti inasprirono in misura altissima il protezionismo e limitarono l'immigrazione fin quasi ad annullarla. Unico preteso rimedio, o piuttosto inevitabile conseguenza di questa situazione, fu il rapido incremento degli investimenti all'estero, per lo più nella forma di prestiti a enti pubblici e a imprese private, che permisero agli stati impoveriti dalla guerra, e in particolare alla Germania, di aumentare il loro potere di acquisto, di importare dagli Stati Uniti grandi quantità di materie prime, di dare una forte spinta alla produzione industriale e di stabilizzare, almeno temporaneamente, la loro moneta.
Questo breve periodo di ripresa sembrò favorire finalmente i tentativi, fatti fin allora inutilmente dal comitato economico della Società delle nazioni, per giungere a un accordo per abolire le proibizioni e le restrizioni quantitative e, in particolare, dopo la conferenza economica internazionale del 1927, sembrò che quei voti dovessero avviarsi finalmente all'attuazione e che anzi si dovesse accordarsi per una riduzione delle tariffe, quando a rendere del tutto vani quegli sforzi sopravvenne la grande depressione del 1930.
La crisi che si fece sentire, prima che altrove, negli Stati Uniti d'America con una improvvisa e forte discesa dei prezzi dei prodotti agricoli, estesa poi anche ai prodotti industriali, portò come immediata conseguenza non solo una diminuzione negli investimenti all'estero, ma un progressivo ritiro dei capitali investiti, che si ripercosse immediatamente sulla situazione dei paesi debitori. Il peggioramento che per questi si manifestò nella bilancia dei pagamenti, e la minaccia che ne derivò di un nuovo crollo della loro moneta, li obbligò a diminuire sensibilmente i loro acquisti all'estero e a provocare con ciò una ulteriore discesa dei prezzi sui mercati internazionali.
Gli Stati Uniti d'America, dove la disoccupazione raggiunse presto cifre impressionanti, tentarono di porvi un riparo con l'approvazione di una nuova tariffa generale. Nel maggio 1930, la tariffa doganale Hawley-Smoot, la più elevata in tutta la storia degli Stati Uniti, acquistò forza di legge. Questo avvenimento - sopravvenuto nel momento in cui, data l'interruzione delle esportazioni di capitali e, anzi, l'inizio del loro ritiro, sarebbe stato necessario far affluire le merci negli Stati Uniti in pagamento dei debiti e degli interessi - contribuì, forse più che la stessa depressione economica, a rompere le relazioni economiche preesistenti fra i varî stati e fu rapidamente seguíto da una serie di urti violenti, che scossero la stabilità economica mondiale. Il più grave fu il deprezzamento della lira sterlina e di molte altre monete durante l'autunno 1931. Nel marzo 1932, il Regno Unito abbandonò definitivamente la sua politica libero-scambista e adottò per la prima volta una tariffa generale. Nel corso dell'estate seguente, il sistema delle preferenze imperiali, destinato con tariffe differenziali ad aumentare gli scambî fra la madre patria e le varie parti dell'immenso Impero britannico, quel sistema che, trent'anni innanzi, caldeggiato dal Chamberlain, aveva provocato la resistenza trionfale dei liberisti, fu accolto e sanzionato dalla conferenza imperiale di Ottawa.
La Francia seguì l'esempio del Regno Unito e, mentre contingentava l'importazione di numerosi prodotti, intensificò gli accordi preferenziali col suo impero coloniale.
In questa situazione, per la maggior parte degli stati del continente europeo, quella che fu designata col nome di politica autarchica, e che fu rappresentata come un atto di libera volontà inteso ad assicurare l'indipendenza o l'autosufficienza economica, non fu in realtà che una conseguenza inevitabile della progressiva chiusura dei vecchi mercati d'esportazione e della impossibilità di mantenere l'equilibrio della bilancia dei pagamenti, coprendo, come in passato, con entrate invisibili (profitti di investimenti all'estero, rimesse degli emigrati, noli marittimi, spese di turisti stranieri) il deficit crescente della bilancia commerciale. Perciò l'unico rimedio fu ricercato, come nell'epoca mercantilistica, nella riduzione delle importazioni e negli scambî bilaterali, in cui i pagamenti erano regolati col metodo del clearing. Risultato di questa politica non fu certo il raggiungimento della autosufficienza, ma una forte riduzione del commercio internazionale che solo in piccola parte poté essere compensata da un aumento degli scambî interni, i quali purtroppo si sottraggono a ogni esatta rilevazione statistica.
Si è calcolato che la somma delle importazioni di tutti gli stati del mondo, da 60.080 milioni di dollari nel 1928 sia discesa a 21.042 milioni nel 1935, per risalire a 24.583 milioni nel 1938. È vero che in gran parte questa impressionante diminuzione è determinata dalla rapida discesa dei prezzi, che tra il 1928 e il 1935 sarebbe stata del 60%, ma comunque la diminuzione quantitativa del traffico internazionale è sempre rilevante.
Il precipizio si manifestò con maggior gravità negli Stati Uniti, dove le importazioni da 6904 milioni di dollari nel 1928 scesero a 2039 nel 1935 e le esportazioni da 8515 a 2243, in misura cioè molto più alta che nel Regno Unito, dove nello stesso periodo, le importazioni scesero da 8820 a 4161 milioni di dollari e le esportazioni da 5933 a 2073, mentre sono press'a poco uguali a quelle degli Stati Uniti le proporzioni in Germania (da 5646 a 1667 milioni di dollari per le importazioni, da 4951 a 1719 milioni per le esportazioni). In condizioni relativamente più favorevoli si trovavano due soli fra i maggiori centri del commercio del mondo, il Giappone e il Belgio, dove la diminuzione del valore degli scambî internazionali si mantenne, in quegli stessi anni, intorno al 50 per cento.
La diminuzione massima nelle importazioni colpisce le derrate alimentari, di cui, con la politica autarchica, si riesce, specialmente nell'Europa continentale, ad aumentare la produzione interna. Invece la produzione delle materie prime è molto più specializzata e si presta meno facilmente a misure protezionistiche. In qualche caso però l'uso dei surrogati e specialmente dei prodotti sintetici (rayon, gomma, benzina, concimi azotati) incomincia a far sentire il suo peso e a determinare una diminuzione anche nelle importazioni di materie prime. Il protezionismo industriale che si inasprisce dovunque, facendo sorgere le industrie manifatturiere in paesi che erano stati larghi importatori di prodotti finiti, diffonde in un numero maggiore di paesi la richiesta di materie prime, più che non ne accresca la quantità. Anzi, in alcuni paesi produttori di materie prime, come l'India e il Brasile, il protezionismo industriale ne diminuisce il commercio.
Nella depressione generale le esportazioni dall'Africa, in virtù anche dei forti investimenti di capitale europeo (inglese in prima linea, poi francese e belga) hanno progredito in misura abbastanza notevole. Il cotone, esportato in prima linea dall'Egítto, e in proporzioni minori dal Sudan anglo-egiziano, dal Kenya, dall'Uganda, dal Congo belga, ha conquistato una parte degli sbocchi perduti dagli Stati Uniti in seguito alla politica di controllo agricolo che, elevando i prezzi interni, ha ostacolato l'esportazione. Nello stesso tempo è aumentata l'esportazione dell'oro, incoraggiata dal ribasso generale dei prezzi delle merci, e quella del rame, per lo sfruttamento, iniziato nel decennio 1920-1930, delle miniere della Rhodesia settentrionale e per l'aumento della produzione del Katanga (Congo belga), che son diventati, accanto agli Stati Uniti e al Chile, i principali fornitori del mondo. Son triplicate negli anni 1928-38, in volume, le esportazioni africane di caffè e quadruplicate quelle di tè.
Fra i paesi tropicali, quelli dell'Asia hanno per le esportazioni di materie prime (in particolare juta, caucciù e tè) un'importanza maggiore di quelli dell'Africa e dell'America latina, esportatori di caffè, zucchero, cotone, cacao e tabacco. In virtù della crescente produzione di petrolio il Venezuela è il solo fra gli stati del mondo in cui, fra il 1928 e il 1938, l'esportazione sia sensibilmente aumentata anche in valore (da 196 a 268 milioni di dollari).
Oltre a questi, gli altri mutamenti caratteristici che si manifestano nel periodo della grande depressione sono: l'aumentata importanza che ottiene nelle esportazioni dal Brasile, accanto al caffè, il cotone greggio, nonostante lo sviluppo assai rilevante che raggiunge, in questo paese, con l'aiuto di una altissima protezione doganale, l'industria tessile; l'incremento nell'esportazione dei manufatti giapponesi, che guadagnano largo terreno in tutta l'Asia, in Africa e, per alcuni singoli prodotti, persino in Europa; e, in senso opposto, la peggiorata posizione dell'Europa industriale nel commercio internazionale, dov'essa conserva bensì il primo posto, ma con una percentuale sensibilmente inferiore a quella degli anni precedenti. In particolare, il peggioramento si manifesta nei rapporti fra gli Stati Uniti e l'Europa. Questa assorbe bensì ancora, nel 1938, il 42% delle esportazioni dagli Stati Uniti, ma questa percentuale ha subìto in quarant'anni una continua discesa (dall'80% nel 1890, al 70% nel 1910, al 46% nel 1928). Il massimo precipizio si manifesta però nelle esportazioni dall'Europa negli Stati Uniti, scese nel 1938 a non più del 3% dell'importazione totale in quel paese; precipizio rovinoso per la bilancia commerciale europea e determinato, almeno in larga parte, dalle alte tariffe doganali americane che hanno impedito a molti prodotti dell'industria europea di vincere la concorrenza dell'industria americana.
La ripresa, che aveva incominciato a manifestarsi verso il 1935, fu di breve durata e i suoi effetti sulle relazioni economiche in Europa, specialmente sul commercio intereuropeo in continua diminuzione, furono limitate. Notevole invece e assai promettente, se a turbare la situazione internazionale non fossero intervenute la guerra etiopica, la guerra civile in Spagna e la politica minacciosa della Germania di Hitler, sarebbe stato il mutamento di rotta nella politica commerciale degli Stati Uniti, iniziatosi col Reciprocal trade agreements act del 1934, che prorogato nel 1937 e nel 1939, permise la stipulazione di accordi con 28 stati, fondati sulla clausola incondizionata della nazione più favorita. Frutto di questa politica furono anche gli accordi del 1938 col Canada, che hanno soppresso alcune delle preferenze imperiali e hanno permesso che all'aumento delle esportazioni canadesi in Europa corrispondesse un forte aumento delle importazioni dagli Stati Uniti. Questo mutamento di rotta avrebbe forse permesso che si giungesse, anche nei rapporti con gli stati europei, a una politica che riconducesse agli scambi multilaterali, con l'abbandono del rovinoso sistema delle compensazioni bilaterali, se, dopo Monaco, la situazione non fosse precipitata, rendendo inevitabile lo scoppio del nuovo conflitto.
Il commercio durante la gurra e nell'immediato dopoguerra. - Fra il settembre 1939 e l'aprile 1945 non si può parlare di un vero e proprio commercio internazionale.
Tolte le esportazioni dei paesi neutrali, che ben poco poterono ottenere in cambio dai paesi belligeranti, tolti gli scambî tra la Germania e gli altri stati dell'Asse, rigidamente disciplinati dai rispettivi governi, anzi quasi esclusivamente dalle autorità militari germaniche, il commercio più intenso fu quello fra gli Stati Uniti e i loro alleati (Regno Unito, Dominions e URSS) reso possibile dalla legge "affitti e prestiti", in forza della quale i rifornimenti di materiale bellico d'ogni genere, di derrate alimentari, di combustibili e di materie prime erano fatti dagli Stati Uniti con sempre maggiore larghezza e senza alcuna contropartita, almeno immediata.
Intanto però, già in tempo di guerra, anche prima che la partecipazione diretta degli Stati Uniti e dell'URSS facesse presagire da qual parte si sarebbe avuta la vittoria, si era vista la necessità, specialmente da parte degli Stati Uniti, di coordinare gli sforzi delle maggiori potenze per agevolare la ripresa della produzione e degli scambî, anche nei paesi più duramente colpiti dalle distruzioni belliche. È infatti del 14 agosto 1941 la Dichiarazione Atlantica, nella quale, agli articoli 4 e 5, Stati Uniti e Regno Unito si impegnano a fare ogni sforzo affinché venga incoraggiato il godimento da parte di tutti gli stati del mondo, grandi e piccoli, dell'accesso, su piede di parità, al commercio e alle materie prime, dovunque esse si trovino, e perché si stabilisca la più completa collaborazione fra tutte le nazioni nel campo economico. È del 17 maggio 1943 la convocazione della conferenza di Hot Springs per l'alimentazione e l'agricoltura, nel corso della quale si giunse a conclusioni che avrebbero dovuto essere attuate, subito dopo la fine delle ostilità, dalla Food and Agriculture Organization (v. fao, in questa App.). Primo risultato tangibile di questo spirito di collaborazione fu la creazione nel novembre 1943 dell'UNRRA (v. in questa App.).
È finalmente del luglio 1944 la conferenza monetaria internazionale di Bretton Woods (v. in questa App.), da cui uscirono i progetti d'istituzione del Fondo monetario internazionale, destinato a garantire la stabilizzazione dei saggi di cambio, e della Banca internazionale di ricostruzione e sviluppo, per gli investimenti a lunga scadenza, diretti alla ricostruzione dei paesi danneggiati dalla guerra e allo sviluppo di nuove risorse in tutti i paesi. L'opposizione inglese, determinata dalla preoccupazione che sopra tutto il Fondo monetario diventasse uno strumento della supremazia americana, fu superata soltanto mediante l'accordo finanziario anglo-americano del dicembre 1946, per cui il governo britannico, come contropartita di rilevanti aiuti finanziarî, si impegnava a sanzionare le decisioni di Bretton Woods e a collaborare con gli Stati Uniti per una politica commerciale di maggior larghezza con la eliminazione graduale degli accordi preferenziali.
Per quanto è possibile affidarsi ai dati statistici raccolti in questi ultimi anni, il commercio fra l'Europa e gli altri continenti ha avuto nel 1946, specialmente per ciò che riguarda le importazioni, una forte ripresa, che è continuata, ma con ritmo più lento, nel 1947.
lnvece il commercio intereuropeo, che nel 1938 superava il commercio con gli altri continenti, ha subìto una riduzione fortissima, dovuta per la massima parte alla quasi totale scomparsa della Germania dalle varie correnti degli scambî internazionali.
Il peggioramento, che la forte discesa delle esportazioni determina nella bilancia dei pagamenti, è aggravato dalla diminuzione e dalla totale scomparsa delle entrate invisibili, sostituite anzi, in molti casi, da un indebitamento verso l'estero. Si è calcolato così che la somma dei disavanzi nella bilancia dei pagamenti, da 8 miliardi di dollari dopo la fine della prima Guerra mondiale, sia salita attualmente a più di 13 miliardi, costituiti in massima parte dalla eccedenza delle esportazioni degli Stati Uniti - che nel 1947 avrebbe raggiunto la somma di 9,5 miliardi di dollari nei loro rapporti con tutti gli stati del mondo - di cui 5 miliardi con la sola Europa.
Poiché l'unico mezzo per gli Stati Uniti di mantenere una tale eccedenza di esportazioni era quello di far credito agli importatori, era naturale che sorgessero forti preoccupazioni per l'ammontare sempre crescente di questi crediti, che in pochissimi anni avrebbero creato una situazione anche più grave di quella che alla fine del 1929 aveva provocato la crisi economica, di cui era ancora così viva la memoria. Si spiega quindi, anche indipendentemente dai motivi politici, che vi ebbero indubbiamente la loro parte, il discorso pronunciato dal generale Marshall, il 5 giugno 1947, all'università Harvard, in cui, dopo aver riconosciuto che nei prossimi tre o quattro anni i bisogni dell'Europa sarebbero stati superiori alle sue possibilità di pagamento, affermò tuttavia essere necessario che, prima di determinare gli aiuti degli Stati Uniti, si giungesse a un accordo fra gli stati europei (fra i quali, come spiegò una settimana più tardi, egli comprendeva anche il Regno Unito e l'URSS). Come l'Europa reagisse a questo progetto (il cosiddetto Piano Marshall), come la conferenza di Parigi, convocata il 12 luglio 1947, comprendesse soltanto 16 stati dell'Europa occidentale, e come anche fra questi non fosse possibile raggiungere quel coordinamento degli sforzi produttivi e quelle agevolazioni negli scambî reciproci che soli avrebbero diminuito il fabbisogno delle importazioni d'oltre oceano, come in ogni modo si arrivasse all'attuazione dell'ERP (European Recovery Program) è storia di questi ultimi mesi, di cui non è ancora possibile determinare gli sviluppi.
Bibl.: Société des Nations, Le commerce de l'Europe, Étude du commerce des pays europeens entre eux et avec le reste du monde, Ginevra 1941; id., Le reseau du commerce mondial, ivi 1942; id., La politique commerciale entre les deux guerres: propositions internationales et politiques nationales, ivi 1942; id., La politique commerciale dans le monde d'après guerre, ivi 1945; S. Pozzani, Gli accordi economici internazionali e l'avvenire delle produzioni italiane, Milano 1946; Committee of European Economic Cooperation, General Report, Londra-Parigi 1947; Direction de la Conjoncture et des Études Économiques, Économie mondiale, Inventaire économique de l'Europe, Parigi 1947; United Nations Department of Economic Affairs, Research and planning division, Economic Commission for Europe, A Survey of the economic situation and prospects of Europe, Ginevra 1948; Banca dei regolamenti internazionali, XVII relazione annuale, Basilea 1948.
La "Organizzazione internazionale del commercio" (ITO).
L'idea di un'azione collettiva, intesa a vincolare la politica commerciale dei singoli paesi e a ricondurla sulle vie che la dottrina e l'esperienza storica sembrano additare come le migliori, risale sostanzialmente alla prima Guerra mondiale, ma tutti i tentativi fatti sotto gli auspici della Società delle Nazioni nel 1922, nel 1927, nel 1930-31 e di nuovo nel 1933 non raggiunsero lo scopo. Nel corso della seconda Guerra mondiale l'iniziativa di elaborare una soluzione del problema fu assunta - in conformità alla politica difesa da F. D. Roosevelt - dagli Stati Uniti e, dopo molte difficoltà e compromessi, il 24 marzo 1948, 53 stati hanno firmato la "Carta della organizzazione internazionale del commercio" più comunemente detta "Carta dell'Avana", con la quale sono dettate norme e assunti impegni per razionalizzare il commercio mondiale.
Il Consiglio economico e sociale delle N. U. nella sua prima sessione (18 febbraio 1946) approvò la proposta di convocare una conferenza mondiale sul commercio e l'occupazione e costituì un apposito comitato preparatorio che nelle due riunioni di Londra (15 ottobre-26 novembre 1946) e di Ginevra (10 aprile-22 agosto 1947) compilò un progetto che fu sottoposto alla conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e l'occupazione, convocata all'Avana il 21 novembre 1947. L'approvazione della "Carta dell'Avana", tuttavia, non è impegnativa per i singoli paesi firmatarî in quanto l'adesione all'ITO risulta condizionata dalla ratifica della "Carta" da parte dei singoli paesi partecipanti.
La "Carta dell'Avana" mira ad aumentare il volume del commercio internazionale, a migliorare il tenore di vita nei paesi partecipanti, a promuovere l'occupazione e a sviluppare le zone economicamente arretrate. Le disposizioni più importanti sono quelle che riguardano la politica commerciale e comprendono: la proibizione in linea di massima di tutte le forme di discriminazione nel commercio internazionale; l'obbligo degli stati membri di condurre la propria politica tariffaria sul principio della clausola della nazione più favorita (pur incoraggiando le unioni doganali e gli accordi per le cosiddette "zone di libero scambio") e di entrare in negoziati al fine di ottenere una riduzione del livello generale delle tariffe doganali e degli altri gravami sul commercio internazionale. Viene inoltre, condannato l'uso ormai invalso delle restrizioni quantitative (contingenti) e delle pratiche commerciali restrittive e sono regolate le condizioni per la stipulazione e l'applicazione degli accordi intergovernativi sui prodotti di prima necessità. Norme dettagliate riguardano anche le sovvenzioni attuate attraverso sussidî all'esportazione, il commercio di stato e un'importante serie di provvedimenti tecnici relativi all'applicazione di formalità doganali e altre questioni strettamente collegate, che per il passato sono state fonte costante di attrito e di difficoltà. I rapporti di stretta interdipendenza tra lo sviluppo degli scambî commerciali e l'occupazione e l'attività produttiva (la "Carta" precisa che riferendosi al full employment non si intende parlare di semplice livello di occupazione, ma di livello di occupazione produttiva) hanno indotto i compilatori a prevedere una serie di misure interne e di azioni comuni per il raggiungimento di questi scopi.
La necessità di mantenersi aderenti alla realtà e di ottenere l'adesione del maggior numero di stati ha reso necessaria l'introduzione nella "Carta" di una numerosa serie di eccezioni, che possono dividersi in due gruppi principali. Il primo prende in considerazione le difficoltà in materia di bilance di pagamenti, in cui attualmente si trova la quasi totalità dei paesi partecipanti, e il secondo, e maggiore, gruppo di eccezioni riguarda invece le difficoltà dei paesi che hanno bisogno di impegnarsi in programmi di sviluppo economico e di ricostruzione.
Per far rispettare queste disposizioni e per guidare la politica commerciale dei paesi membri, la "Carta" provvede all'istituzione di un apposito organismo, denominato International Trade Organization (ITO) e ne fissa la struttura e le funzioni. Membri di questa organizzazione - che comprende una assemblea generale, in cui sono rappresentati tutti i membri, un comitato esecunvo di 18 membri e un numero imprecisato di commissioni - saranno gli stati che accetteranno la "Carta dell'Avana" depositando la ratifica presso il segretariato generale delle N. U.
La soluzione così raggiunta rappresenta una formula di compromesso. In primo luogo riflette il contrasto tra il desiderio e l'interesse dei ceti americani interessati a una espansione degli scambî tra i varî paesi del mondo attraverso una ripresa del liberismo commerciale internazionale, e la preoccupazione inglese, fedele a certi schemi di regolamento interno dell'economia generalmente contrastanti con un liberismo di stampo tradizionale, del full employment, contrasto accentuato dalla disputa circa le preferenze imperiali britanniche che gli Americani avrebbero voluto abolire. Accanto a queste due esigenze fondamentali s'inserì quella dei paesi economicamente non sviluppati o danneggiati dalla guerra, interessati al libero uso del protezionismo doganale e dei varî espedienti delle politiche restrizionistiche. Qualsiasi previsione, quindi, circa il successo di questa iniziativa può apparire oggi azzardata e prematura. Giova, tuttavia, valutare a tale fine le fruttuose trattative svoltesi a Ginevra contemporaneamente ai lavori della 2a sessione del comitato preparatorio e conclusesi il 30 ottobre 1947 con la firma dell'accordo generale per le tariffe e gli scambî, con il quale i 23 paesi del comitato preparatorio, rappresentanti circa il 70 per cento del commercio mondiale, hanno ridotto i dazî e le preferenze per circa 45.000 voci e data applicazione ad alcune norme fondamentali della "Carta". Mediante la firma di un protocollo di applicazione provvisoria, tale accordo è entrato in vigore dal 1° gennaio 1948 e nell'agosto dello stesso anno sono state iniziate trattative per l'adesione di un certo numero di altri stati, tra cui l'Italia, firmatarî della "Carta dell'Avana".
Organizzazione del commercio nei singoli paesi (X, pp. 962, 964; App I, p. 451).
La seconda Guerra mondiale ha profondamente mutato le condizioni nelle quali il commercio sia interno, sia internazionale, si esplica, specie accentuando e ampliando la sfera dell'intervento statale nel campo un tempo prevalentemente privatistico degli scambî. La necessità di inquadrare l'intero processo economico nelle finalità della guerra, di coordinare e sorvegliare la produzione e la distribuzione dei beni, di restringere il volume complessivo del traffico di importazione anche in dipendenza della perdita di importanti mercati di produzione, di sviluppare gli scambî con i paesi alleati e neutri, spesso coartando normali e tradizionali correnti d'esportazione, ecc., hanno, in definitiva, portato modifiche sempre più profonde e permanenti nella struttura commerciale.
Nel settore del commercio interno, la politica dei razionamenti (in molti paesi estesa anche a prodotti di secondaria importanza) connessa alla creazione di enti monopolistici di acquisto della produzione (ammassi) e allo stabilimento di prezzi politici, ha segnato un ulteriore passo nella tendenza a estromettere i ceti commerciali dalla loro funzione economica, influendo direttamente sulla determinazione del prezzo, al minuto oltre che all'ingrosso, e sulla scelta dei beni, riducendo quindi al minimo, e talvolta annullando, l'elasticità della domanda.
Egualmente, e forse più sensibilmente, il fenomeno si è manifestato nel settore del commercio internazionale, che ha visto gradatamente l'organizzazione statale abbandonare le funzioni di ausilio a quella privata e assumere funzioni direttive, talvolta completamente sostituendosi all'organizzazione privata stessa. Gli enti e gli uffici preposti a compiti di studio e informativi del commercio estero non sono stati strutturalmente modificati, ma si è assistito a un graduale ampliamento delle loro funzioni. Gli scambî con l'estero sono così divenuti oggetto di trattative dirette tra gli stati, che, dapprima attraverso la politica dei contingentamenti e delle licenze e il regime di compensazione generale (clearing), in seguito con una disciplina unitaria degli scambî attuata mediante una serie sempre più numerosa di organismi commerciali monopolistici statali o sottoposti al controllo dello stato, restringevano sempre più sensibilmente il settore d'attività dei singoli operatori privati.
La fine della guerra non ha sensibilmente influito su tale situazione. La profonda depressione economica mondiale, la generale penuria di materie prime e di prodotti strumentali, le gravi dislocazioni nella struttura della produzione agricola e industriale, le necessità della ricostruzione, le difficoltà finanziarie e valutarie di molti paesi, il mantenimento del regime armistiziale su vasti territorî, la difficoltà degli scambî tra le diverse aree monetarie, il permanere della grave crisi di squilibrio nelle bilance dei pagamenti, in una parola i fenomeni economici che hanno contrassegnato questo dopoguerra, hanno creato una difficile situazione economica alla quale la quasi totalità dei paesi ha creduto di far fronte mantenendo i vincoli del periodo bellico e assumendo il compito di formulare e dirigere la politica commerciale dei rispettivi paesi.
La ripresa dei rapporti commerciali con tutti i mercati del mondo e l'abolizione delle forme sussidiarie di guerra economica, attuatesi particolarmente attraverso le cosiddette "liste nere" e il sequestro delle aziende commerciali nemiche, sono le realizzazioni di maggiore rilievo nel senso di un ritorno agli indirizzi liberistici. I motivi dianzi indicati e in particolare il fenomeno tuttora generalizzato di grave squilibrio delle bilance dei pagamenti, hanno condotto alla formulazione di piani preordinati di scambio e al permanere del sistema dei contingenti e delle licenze d'importazione e d'esportazione, attraverso il quale lo stato può incoraggiare o scoraggiare determinate iniziative commerciali e comunque controllare tutto l'andamento degli scambî. Praticamente si assiste allo stesso fenomeno dell'altro dopoguerra per cui, mentre conferenze internazionali solennemente formulano raccomandazioni per una maggiore libertà e eguaglianza negli scambî internazionali, gli stessi stati che manifestano l'intenzione di seguire tale politica erigono barriere commerciali, applicano misure discriminatorie e accentuano il controllo e i vincoli sull'organizzazione degli scambî con l'estero; misure spesso invocate dagli stessi ceti commerciali a protezione dei loro interessi.
Nel settore del commercio interno si ha invece un più accentuato ritorno verso le forme liberistiche. La politica dei razionamenti viene attuata ormai meno rigorosamente che durante la guerra e va sempre più rivolgendosi ai prodotti alimentari fondamentali. In quasi tutti i paesi si è venuto sviluppando, e ha trovato un tacito riconoscimento negli organi statali, il cosiddetto "mercato nero o libero", nel quale i beni vengono nuovamente trattati sulla base della legge eeonomica della domanda e dell'offerta. La stessa riconversione delle industrie a usi di pace, così come lo sviluppo delle colture agricole, permette di disporre sempre più largamente dei prodotti, per cui i ceti commerciali stanno gradatamente ritornando alla loro funzione di intermediazione secondo le formule tradizionali. Superfluo dire che tale situazione è tanto più accentuata, quanto migliori sono le condizioni generali economiche del paese interessato. Come dopo la prima Guerra mondiale si va manifestando un forte sviluppo cooperativistico, particolarmente nel settore delle cooperative di consumo specie alimentari, e di mense e altre provvidenze aziendali, attraverso le quali i datori di lavoro da una parte tendono a rallentare il ritmo d'aumento dei salarî e dall'altra a migliorare il tenore di vita dei lavoratori; tali forme organizzative muovono una sensibile concorrenza al commercio privato.
L'organizzazione del commercio interno e internazionale ha risentito, così, nello scorso decennio, dell'accentuarsi del contrasto tra le varie forme dell'intervento dello stato nello svolgimento degli scambî e il permanere, entro certi limiti, dell'iniziativa privata.
Nel periodo in esame, negli Stati Uniti sono stati creati varî uffici, comitati ed enti per sviluppare l'organizzazione statale del commercio e dei rapporti economici con l'estero. Tra questi, oltre l'istituzione presso il Department of State di un sottosegretariato per gli Affari economici, da cui dipende anche un Ufficio per la politica commerciale internazionale, ha particolare importanza l'Office of International Trade, creato nel 1946 presso il Dipartimento del commercio, fondendo in esso le funzioni e il personale della Federal Economic Administration (FEA) e quella parte di funzioni e personale del Bureau of Foreign and Domestic Commerce che riguardava il commercio con l'estero. Tale nuovo ente ha principalmente i compiti di: a) formulare le direttive politiche e i programmi in materia di commercio internazionale per conto del Dipartimento del commercio; b) aiutare gli esportatori e gli importatori diffondendo informazioni dettagliate sulle leggi, regolamenti e controlli esteri, dati aggiornati sui mercati di esportazione e sulle fonti di rifornimento all'estero, ecc.; c) studiare l'andamento del commercio mondiale in modo da poter prevedere i mutamenti dei fabbisogni commerciali e consigliare mezzi e sistemi per fronteggiare le difficoltà del commercio; d) aiutare, in genere, lo sviluppo industriale ed economico dei paesi esteri in modo da elevare il loro tenore di vita e contribuire all'aumento dei loro acquisti negli Stati Uniti e delle loro vendite di materie prime e di altre merci necessarie al mercato americano. Altri uffici sono stati istituiti presso i Dipartimenti del tesoro e dell'agricoltura, mentre importanza sempre più rilevante va assumendo, anche in questa materia, il National Advisory Council on International Monetary and Financial Problems, alle cui direttive si uniforma la Export-Import Bank.
In Inghilterra, dall'aprile 1946 il Department of Overseas Trade ha cessato di esistere come dipartimento autonomo e le sue funzioni e il suo personale sono stati trasferiti al Board of Trade che ha creato nel suo seno un apposito ente, l'Export Promotion Department. Lo scopo di tale mutamento è stato quello di realizzare una più stretta cooperazione con il Commercial Relations and Treaties Department del Board of Trade, che ha la responsabilità della politica commerciale con l'estero, assommando tutta la materia sotto la direzione del presidente del Board of Trade. Un importante servizio ausiliario di informazioni viene, inoltre, svolto da un ente privato creato nel 1945, il British Export Trade Research Organization (BETRO), sotto i cui auspici è sorta la British Export Trade Advertising Corporation.
In Francia i servizî del commercio estero sono affidati alla Direction des relations économiques extérieures del Ministero degli affari economici. In considerazione del fatto che altri enti partecipano alla direzione della politica commerciale con l'estero, nel febbraio 1948 è stato creato presso il Ministero delle finanze e degli affari economici un Comité des importations con il compito di studiare i bisogni e le disponibilità valutarie e di preparare i programmi d'importazione da sottoporre al Comitato economico interministeriale, nonché di curarne in seguito l'esecuzione.
Nell'URSS, mentre è rimasto pienamente in vigore il monopolio del commercio estero instaurato nel 1918, durante la guerra nel commercio interno si è accentuato il fenomeno della creazione di un mercato ufficiale a prezzi liberi rifornito attraverso la vendita dei prodotti agricoli dei Kolchozy, eccedenti la quota da consegnare allo stato; inoltre nel dicembre 1947 è stato abolito il razionamento dei prodotti alimentari e manufatti.
Una profonda modifica alle preesistenti strutture commerciali è stata apportata nei paesi dell'Europa orientale (Albania, Bulgaria, Iugoslavia, Polonia, Romania e Ungheria), nei quali, in relazione al processo di nazionalizzazione generale delle attività economiche, il commercio estero e il commercio interno all'ingrosso sono stati praticamente monopolizzati.
La monopolizzazione del commercio estero e il controllo di quello interno si sta, altresì, attuando in Argentina. Nel maggio 1946 veniva creato l'Instituto argentino de Promoción del Intercambio (IAPI), al quale nell'agosto seguente venivano concessi i più ampî poteri in materia di disciplina del commercio interno ed estero. Contemporaneamente, veniva instaurato il monopolio statale per l'esportazione di varî prodotti e - nell'ottobre seguente - per le importazioni. Peraltro il criterio che costituiva l'IAPI in unico esportatore e importatore è stato temperato consentendo agli operatori privati di agire per conto dell'IAPI o con licenze rilasciate da questo, che, per l'esportazione, si riserva di fissare il prezzo della merce e la misura della provvigione, attribuendone a sé un'aliquota.
In Italia durante la guerra si è accentuato l'orientamento verso forme unitarie di scambî, sia attraverso monopolî di stato, sia attraverso organismi volontarî per l'acquisto all'estero di materie prime o prodotti di massa. Tale sistema non ha mai avuto, peraltro, largo sviluppo nel campo delle esportazioni. Un'ampia revisione di tutta la materia concernente l'organizzazione e la disciplina del commercio estero si è avuta dopo l'armistizio. Nell'aprile 1944 è stato soppresso il Ministero per gli scambî e valute, attribuendone le funzioni al Ministero del tesoro per la parte valutaria e al Ministero dell'industria, commercio e lavoro per tutto quanto concerne i rapporti economici con l'estero e la regolamentazione delle importazioni e delle esportazioni. Nel contempo veniva disposta la cessazione dell'Istituto nazionale per i cambî con l'estero e il trasferimento dei suoi compiti e funzioni a un nuovo organismo, l'Ufficio italiano dei cambî, alle dipendenze del Ministero del tesoro.
La complessità delle norme in materia di rapporti commerciali e valutarî con l'estero facevano ravvisare l'opportunità di procedere a un adeguato accentramento delle funzioni demandate ai numerosi organismi esistenti, al fine di ovviare agli inconvenienti di un ordinamento rivelatosi complesso e inorganico. Pertanto, nel dicembre 1946, veniva istituito il Ministero del commercio con l'estero, che esercita tutte le attribuzioni relative ai rapporti commerciali con l'estero, sia rispetto ai privati, sia alle pubbliche amministrazioni. In particolare il Ministero provvede: a) al coordinamento e alla esecuzione dei programmi di importazione e di esportazione e alla disciplina delle relative operazioni; b) alla trattazione di convenzioni e accordi internazionali per lo scambio di merci e servizî e i relativi pagamenti; c) alla disciplina dei movimenti valutarî concernenti le importazioni e le esportazioni e alla distribuzione, per il pagamento delle importazioni, dei mezzi valutarî, sia che provengano dalle esportazioni, sia da altre disponibilità assegnate dal Ministero del tesoro; d) all'esame e approvazione di operazioni di finanziamento relative a scambî di merci con l'estero; e) alla definizione e alla esecuzione di qualsiasi altra forma di intesa o accordo riflettenti l'approvvigionamento del paese; f) alla trattazione dei problemi relativi al commercio di deposito, transito e ad ogni altra forma di attività intermediaria.
Norme amministrative per la disciplina del commercio in italia (X, p. 970).
Le innovazioni introdotte alla disciplina amministrativa della attività commerciale sono notevoli.
Polizia sanitaria. - Le principali norme di polizia e il diritto penale dell'alimentazione pubblica, dell'acqua potabile e degli oggetti di uso personale sono contenute nel t. u. 27 luglio 1934, n. 1265 (art. 242, 252, 262) e nel cod. pen. (art. 439 e 448). L'ispezione sanitaria, che prima era limitata agli esercenti le professioni sanitarie e ad altri esercenti fra cui droghieri, profumieri e colorari, è ora estesa a tutti i locali di produzione e di vendita delle sostanze alimentari e delle bevande di ogni specie (art. 242 t. u.). Particolari provvidenze mirano ad evitare il pericolo di diffusione delle malattie pel tramite delle persone addette alla preparazione, manipolazione e vendita di alimenti e di bevande, dando facoltà all'autorità sanitaria di imporre la visita medica preventiva e periodica di tali persone, e di escludere quelle che risultino affette da malattie diffusive. (art. 262 t. u.). È prevista una nuova figura di contravvenzione, la quale prescinde dalla pericolosità per la salute pubblica: la contaminazione delle acque, che consiste nell'intorbidarle, e si distingue sia dalla corruzione, che è alterazione sostanziale e particolarmente dannosa delle acque, sia dall'adulterazione e avvelenamento, che costituiscono le figure delittuose previste e punite dal codice penale (art. 439 e 440). È ora richiesta l'autorizzazione governativa per l'apertura di officine di prodotti chimici e di preparati galenici, al fine di adeguare il numero delle officine alle necessità del servizio e di accertare che, per l'idoneità degli impianti e per le condizioni igieniche dell'ambiente, garantiscano la qualità del prodotto (art. 144). Tali officine sono anche soggette a ispezioni periodiche da parte del medico provinciale, così come si pratica per le farmacie (art. 145). A opportune cautele è sottoposto il commercio delle sostanze velenose e stupefacenti. Alla vendita al pubblico delle sostanze velenose sono autorizzati i farmacisti e i commercianti di prodotti chimici, di droghe e di colori. La vendita è consentita solo a persone conosciute o munite di un attestato dell'autorità di polizia (art. 146-147). Per la coltivazione del papavero e la raccolta di capsule di papavero occorre l'autorizzazione del Ministero dell'interno. Per l'importazione, l'esportazione, il commercio e la detenzione dell'oppio e delle altre sostanze o preparati ad azione stupefacente, è richiesta l'autorizzazione del prefetto, tranne che per le farmacie, le quali somministrano le dette sostanze a dose e forma di medicamento. Obblighi rigorosi sono, peraltro, imposti ai farmacisti. La vendita non può aver luogo che su prescrizione medica e nella quantità prescritta. La ricetta deve contenere le generalità dell'ammalato, la dose della sostanza prescritta, e i modi di somministrazione o di applicazione nei riguardi del mezzo e del tempo. Pene sono stabilite a carico del sanitario che rilascia prescrizioni senza che vi sia una necessità curativa o in proporzioni superiori ai bisogni della cura. Per i trasgressori può essere ordinata dal prefetto la chiusura del locale e la sospensione o la revoca dell'autorizzazione, indipendentemente dall'azione penale (art. 144-158).
Polizia di sicurezza. - Le disposizioni fondamentali sono contenute nel t. u. 18 giugno 1931, n. 779 e nel regol. 6 maggio 1940, n. 635, le quali riproducono sostanzialmente le norme del t. u. 1926 e del regol. 1928, coordinate con i codici penale e di procedura. Per effetto della soppressione dei circondarî, le attribuzioni dell'autorità circondariale di pubblica sicurezza sono state conferite ai questori, mentre al Ministero dell'interno sono stati avocati l'esame e l'approvazione delle produzioni teatrali di ogni specie (art. 73 legge). Profonde innovazioni risultano apportate, invece, nel settore del commercio e della produzione cinematografica (v. cinematografo, in questa App.)
Norme politico-economiche. - Con la guerra sono stati introdotti nell'ordinamento italiano l'Alto commissariato per l'alimentazione, il Comitato per la disciplina dei prezzi e l'istituto degli ammassi collettivi (v. approvvigionamenti e consumi, in questa App.).
Per completare il quadro delle limitazioni di polizia all'attività commerciale, sono da ricordare le norme sulla distribuzione della carta da giornali in bobina (r. decr. legge 29 maggio 1946, n. 476); sugli approvvigionamenti dei prodotti industriali e dei materiali ferrosi (decr. legge 19 maggio 1947, n. 405); sul divieto di esportazione del platino, dell'oro, dell'argento, delle perle e delle pietre preziose, nonché di vendita delle monete d'oro (decr. legisl. luog. 26 aprile 1946, n. 343). Va cadendo in desuetudine la disciplina della vendita dei prodotti dolciarî (decr. legge 12 aprile 1947, n. 210), delle carni (decr. legge 12 aprile 1947, n. 211), e dei grassi suini (decr. legge 20 novembre 1946, n. 356), mentre non è stata mai praticamente attuata la disciplina dei ristoranti (decr. legge 14 maggio 1946, n. 355; 20 novembre 1946, n. 341; 14 aprile 1947, n. 212).
Bibl.: N. Pappalardo, Commento alle leggi sanitarie, Torino 1935; G. Zanobini, Corso di dir. amm., IV, Milano 1947; F. Ferrara, Gli ammassi obbligatorî, Roma 1940; A. Senin, Struttura e disciplina degli ammassi granarî obbligatorî, in Riv. dir. agr., 1935, p. 462; 1937, p. 39; Giur. Ital., IV, 1936, pp. 33-48.