COMMERCIO (X, p. 947; App. I, p. 451; II, 1, p. 655)
Storia del commercio. - I gravissimi danni subiti dal commercio internazionale durante la guerra del 1939-45, per la distruzione di gran parte del naviglio mercantile, di molti impianti portuali e di interi tronchi ferroviarî nell'Europa centro-occidentale e per l'esclusione quasi totale della Germania dagli scambî mondiali, furono superati assai prima di quanto, nella seconda metà del 1945 e per tutto il 1946, nemmeno i più ottimisti avrebbero osato sperare. Infatti già nel 1949 il volume delle esportazioni dai paesi dell'Europa occidentale, che nel primo semestre del 1947 era stato di poco al disopra della metà di quello del 1938, fu di un terzo superiore al livello di quell'anno, mentre il volume delle importazioni totali si mantenne pressoché costante, con un indice leggermente inferiore a quello del 1938. Anche più significativa fu la discesa delle importazioni dall'America del Nord, che, dopo aver raggiunto nel 1947 l'indice di 165, rimasero nel 1949 più o meno al disotto del 100, determinando un sensibile miglioramento nella bilancia dei pagamenti, fin allora disastrosa, e soprattutto una forte diminuzione nella tanto lamentata "fame di dollari".
Questo miglioramento fu determinato - non vi ha dubbio - in larga parte dagli aiuti americani. Nel 1947 il 40% almeno dei cereali da pane, del cotone, dell'alluminio e del rame consumati nell'Europa occidentale, provenivano dall'America; e alla continuazione di queste importazioni, senza delle quali si sarebbe avuta una carestia generale, si poté provvedere con gli aiuti americani che si mantennero per i primi anni nella misura di 4500 milioni annuali di dollari. Nello stesso anno, per il miglior impiego di questi aiuti e per promuovere e guidare l'opera di restaurazione economica, si creò a Parigi l'OECE (v.), che si propose - riuscendovi soltanto in piccola parte - di avviare i singoli stati ad un'azione più solidale e alla graduale soppressione di tutti gli ostacoli ancora frapposti al commercio internazionale (prime fra tutti le limitazioni quantitative), di arrivare cioè alla cosiddetta liberalizzazione degli scambî, da raggiungersi non tanto con la riduzione delle tariffe doganali, quanto con la graduale soppressione dei contingentamenti.
Alla rapida e insperata ripresa del commercio fra gli stati dell'Europa occidentale e fra essi ed il resto del mondo, concorsero pure, nello stesso tempo, l'ardore e la disciplina con cui la maggior parte dei paesi d'Europa si avviarono a gran passi a riguadagnare il terreno perduto durante gli anni della guerra. Per fortuna fra le condizioni interne dei paesi europei negli anni che seguirono le due guerre mondiali si è avuta una differenza profonda: è mancato completamente, dopo il 1945, il precipizio della moneta, con la conseguenza dell'aumento pauroso dei prezzi, che aveva turbato la vita economica, sociale e politica di gran parte d'Europa fra il 1919 e il 1923; non vi sono state le agitazioni popolari, che avevano accompagnato quella crisi e avevano paralizzato, con gli scioperi frequentissimi, l'attività delle industrie e i trasporti per terra e per mare, creando difficoltà spesso insuperabili allo sviluppo normale del commercio interno e internazionale. Il triennio 1947-49 - quando se ne escluda la disoccupazione, che per cause diverse ha raggiunto un livello altissimo in Italia e in Germania - è stato caratterizzato invece in tutta l'Europa occidentale da una relativa stabilità monetaria, da una indisturbata pace sociale, da continuità e intensità di lavoro, da un sensibile aumento degli scambî.
Dopo il 1949 i progressi degli scambî internazionali sono continuati con ritmo molto più rapido, interrotti soltanto, fra il 1952 e il 1953, dalla grave crisi della guerra di Corea, e minacciati poi per breve tempo dalla crisi del canale di Suez. Oltre a quelle crisi, che poterono - più o meno felicemente - essere superate, non erano mancate nei rapporti internazionali altre fonti di preoccupazione, costituenti una grave minaccia per l'equilibrio della pace mondiale e in particolare per l'avvenire dell'Europa occidentale. Il risveglio del sentimento e delle forze nazionali in Asia e in Africa, il crollo degli imperi coloniali inglese, olandese e francese nel continente asiatico, la crociata antieuropea in Egitto, il gravissimo conflitto antifrancese, che dura ormai da più di 5 anni, in Algeria, a cui si sono aggiunti recentemente il conflitto fra negri e Afrikaans nell'Unione Sudafricana e l'insurrezione dei negri del Congo contro i Belgi, non hanno interrotto i commerci fra l'Europa e quei due continenti, ma hanno creato ad essi gravissime difficoltà.
D'altra parte gli sforzi dell'OECE per stabilire fra gli stati dell'Europa occidentale una più stretta solidarietà e per aumentare, in un regime di maggiore libertà, i loro scambî reciproci, non sono stati nei primi anni coronati da alcun successo effettivo e il 2 dicembre 1949 l'OECE decise che era necessario prendere nuove misure se si voleva che le restrizioni quantitative sparissero abbastanza presto, e i paesi partecipanti concordarono di abrogare queste ultime entro il 15 dicembre sulla metà almeno delle loro importazioni provenienti dagli altri paesi partecipanti. I risultati di questa decisione furono notevoli e si ebbe un rovesciamento della tendenza che per venti anni aveva dominato la politica commerciale dell'Europa. La maggior parte dei paesi membri dell'OECE ha raggiunto e talvolta sorpassato gli obiettivi che in tal modo erano stati fissati. L'obiettivo del 50% è stato cioè raggiunto per le derrate alimentari e superato, nella maggior parte degli stessi paesi, per le materie prime, per le quali la soppressione delle restrizioni quantitative si applica talvolta sui due terzi delle importazioni. Per i manufatti le misure di liberazione variano da paese a paese, dal 25 fino a circa il 100%.
Sebbene questi provvedimenti, ostacolati dal pericolo di compromettere la bilancia dei pagamenti, abbiano avuto talvolta un'applicazione parziale, l'allargamento o la totale soppressione dei contingenti hanno raggiunto in ogni modo, nonostante le difficoltà, un risultato molto più efficace delle cosiddette unioni doganali, strette fin dal 1946 tra Olanda, Belgio e Lussemburgo, e nel 1948 tra Francia e Italia. Queste ultime infatti sono rimaste effettivamente lettera morta, per quanto fossero destinate ad assumere o per lo meno si sperava che avrebbero potuto assumere ben altra importanza. Il primo passo effettivo fu compiuto nel 1951-52 con la costituzione e l'entrata in vigore della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (v. CECA) fra i 5 stati suddetti e la Germania, seguita finalmente, dopo il fallimento dell'istituzione di una Comunità europea di difesa, dal trattato firmato a Roma il 20 febbraio 1957, che ha istituito fra gli stessi stati la Comunità economica europea (v. CEE). È forse troppo presto per giudicare se questa istituzione, più comunemente designata col nome di Mercato Comune, otterrà l'effetto sperato di sopprimere totalmente le divisioni economiche fra i paesi associati. È certo tuttavia che qualche parziale risultato è già stato realizzato, ed è sperabile che, raggiunto l'accordo col Regno Unito e con i paesi scandinavi, si arrivi finalmente alla tanto auspicata unione, se non di tutta l'Europa, almeno dell'Europa centro-occidentale.
Intanto però sia per l'azione svolta dall'OECE, sia - e forse in misura maggiore - per la rapida ripresa economica della Germania, con l'aumento generale della produzione industriale e in parte anche con la riattivazione, ancora modesta, di rapporti commerciali coi paesi d'oltre cortina, gli scambî internazionali hanno compiuto nel decennio 1949-59 progressi fortissimi non solo in valore, ma anche in volume. Per citare poche cifre soltanto il commercio mondiale, valutato nel 1950 ad un totale di 105 miliardi di dollari, sarebbe salito nel 1958 a 193 miliardi.
Molto maggiore è stato nello stesso intervallo di tempo l'incremento del commercio metropolitano dei paesi membri dell'OECE, passato da 44 a 83 miliardi di dollari. Anche maggiore, e veramente incoraggiante, è stato poi l'incremento degli scambî fra tutti i 17 stati dell'OECE e i 6 stati della costituenda Comunità europea, saliti, fra il 1950 e il 1958, da 10 a 23 miliardi di dollari; e particolarmente significativo è il fatto che il massimo incremento da 15 a quasi 24 miliardi di dollari si sia avuto tra il 1955 ed il 1957, negli anni cioè in cui la Comunità europea ha incominciato ad assumere una qualche consistenza. In un periodo in cui tanti altri, e spesso gravissimi, segni inducono a temere una irreparabile decadenza dell'Europa, questo rapido progresso degli scambî permette invece di sperare che essa conservi ancora insperate forze di resistenza e di ripresa.
Bibl.: OECE, Bulletins Statistiques, Série Ie: Commerce extérieur par zones géographiques, Parigi 1956-59; id., Commerce total par origine et destination, Parigi 1959; International Monetary Fund, Annual Report on exchange restrictions, Washington 1950 e sgg.; G.A.T.T., International trade, 1952 e sgg.
Organizzazione del commercio nei singoli paesi (X, pp. 962, 964; App. I, p. 451; II, 1, p. 657).
Si è detto che la seconda guerra mondiale ha profondamente mutato le condizioni nelle quali precedentemente si svolgeva il commercio sia interno sia internazionale. Se per quest'ultimo l'affermazione appare esatta, in relazione ai notevoli sconvolgimenti che la guerra ha determinato in campo politico, sociale ed economico internazionale, non si può, invece, attribuire alla guerra, almeno come causa diretta, la notevole evoluzione che si sta compiendo nella organizzazione del commercio interno in quasi tutti i paesi di Europa. Si tratta piuttosto del dilagare delle teorie e delle esperimentazioni statunitensi, che hanno raggiunto su quel mercato, in forza del formidabile sviluppo del potenziale del consumo e delle nuove tecniche produttive, livelli spettacolari.
La diffusione dei nuovi metodi della distribuzione, perseguita attraverso serî studî scientifici (introdotti anche con nuove cattedre specializzate in quasi tutte le università del mondo), attraverso le numerose missioni di studiosi e di operatori economici che hanno potuto visitare negli ultimi anni il mercato statunitense, attraverso l'azione delle associazioni professionali di categoria, attraverso l'opera divulgatrice dell'Agenzia Europea della produttività e dei Centri nazionali di produttività, e in mille altri modi, sta portando in quasi tutti i paesi di Europa una notevole evoluzione degli apparati distributivi esistenti. Il marketing, potentemente coadiuvato dalle nuove tecniche di analisi del mercato, ha reso possibile di misurare in via comparativa l'efficienza delle strutture organizzative commerciali dei varî paesi e di meglio rilevare i notevoli squilibrî di sviluppo che sussistono al riguardo. L'azione, sviluppata su ampio raggio, dopo le notevoli inchieste promosse dall'OECE (fra queste, rimarchevole quella pubblicata nel rapporto Jefferys: La productivité dans la distribution en Europe, Parigi 1954) sta ottenendo ovunque risultati notevoli nelle trasformazioni delle organizzazioni di vendita e delle relative tecniche.
Il dato più significativo dei moderni apparati distributivi è quello del movimento verso la concentrazione aziendale, cioè verso la creazione di grandi e potenti imprese all'ingrosso e al dettaglio che possano realizzare volumi amplissimi di vendita.
Alcune cifre della evoluzione dei negozî al dettaglio degli S.U.A. illustrano bene il fenomeno. Secondo il censimento del 1939 v'erano a quella data, negli S.U.A., su 100 negozî al dettaglio, 96,5 negozî vendenti sotto i 100.000 dollari annui, i quali raggiungevano in complesso un volume di vendita del 57,7%, mentre 3,5 negozî, vendenti oltre 100.000 dollari annui, raggiungevano il volume del 42,3%. Secondo il successivo censimento del 1948, i negozî della prima categoria, che potremmo definire piccoli e medî, sono passati all'85,2% come numero e al 33,7% come volume di vendita, mentre quelli della seconda categoria, i grandi, sono aumentati, in numero al 14,8%, e in volume di affari al 66,3%. Ciò vuol dire che nell'anno 1948, un settimo del totale dei negozî al dettaglio dominava il mercato con oltre i due terzi delle vendite. Nel decennio 1949-59 il fenomeno si è andato sempre più sviluppando in questo senso e le grandi imprese al dettaglio dominano ormai sul mercato statunitense per oltre l'80% del totale della spesa dei consumatori finali.
Le trasformazioni più notevoli si sono verificate nel settore del commercio alimentare, dove accanto ai tradizionali piccoli negozî di commercianti individuali si vanno sostituendo i grandi "supermercati", organismi di vendita di dimensioni imponenti, che acquistano direttamente alla produzione vendendo ai consumatori col metodo del self-service o servizio libero, cioè senza bisogno di commessi rivenditori, e realizzando in tal modo larghe economie nei costi di distribuzione. Ma accanto a questi grandi organismi aziendali, a carattere societario accentrato, si è trovata un'altra forma organizzativa ancor più economica e redditizia, che è data dai cosiddetti magazzini a succursali, cioè da catene di negozî appartenenti ad uno stesso imprenditore. In queste catene societarie l'accentramento non è spaziale ma funzionale.
I piccoli negozî tradizionali si sono difesi da queste moderne forme competitive organizzandosi a loro volta in catene volontarie, cioè in raggruppamenti di dettaglianti facenti capo ad uno o più grossisti, in modo da economizzare al massimo nell'approvvigionamento collettivo e nella centralizzazione di molti servizî.
Ma l'aspetto esteriore più appariscente è quello della diffusione del metodo di vendita a servizio libero, adottato su larga scala anche dai piccoli negozî indipendenti. Questo metodo si è reso possibile con il diffondersi della pratica dal preconfezionamento dei prodotti alla fase della produzione e con l'allacciamento pubblicitario diretto tra il produttore e il consumatore finale.
Per avere un'idea del rapido diffondersi di questo metodo di vendita a servizio libero basterà ricordare che in Europa i negozi che adottavano tale sistema nel 1948 erano una trentina, mentre alla fine del 1957 superavano i 16.000 (in testa a tali statistiche si trovano: Inghilterra, Svezia, Francia, Germania, Svizzera). Una recente inchiesta italiana ha rilevato che al 31 dicembre 1958 già funzionavano in Italia 106 negozî a self-service, quasi tutti del settore del commercio alimentare, e dei quali una diecina classificabili come supermercati.
Anche per le "catene volontarie", in Italia, le prime manifestazioni si sono avute nel 1959 con la costituzione della Spar Italiana, della Végé italiana, e della Vivo italiana, organismi già funzionanti in altri nove paesi europei con una forza di raggruppamento considerevole (la "Spar tedesca" raggruppa, ad esempio, 53 grossisti e 11.690 dettaglianti, la "Spar francese" 43 grossisti e 5.554 dettaglianti). L'ampiezza di questi circuiti di distribuzione su quasi tutto il territorio dell'Europa occidentale diventerà sempre più funzionale ed economicamente operante nel quadro della Comunità economica europea.
Anche nel commercio non alimentare le forme delle grandi aziende o dei vasti raggruppamenti sono largamente diffuse. Superate in parte le formule dei grandi magazzini e delle case di vendita a mezzo posta, hanno preso sempre più largo sviluppo i cosiddetti magazzini a succursali (nel campo delle tabaccherie, cartolerie, negozî di abbigliamento e calzature, ferramenta, ecc.) e le catene volontarie. Di recente si sono inseriti nella categoria del dettaglio su larga scala anche i cosiddetti magazzini sconto, per la vendita in massa di prodotti elettrodomestici, la cui organizzazione consente in genere ribassi anche del 40% rispetto ai prezzi di analoghi articoli praticati dai negozî tradizionali.
L'evoluzione della organizzazione commerciale di vendita è in marcia nei varî paesi e si manifesta non solo nelle nuove forme aziendali ma anche nelle diverse tecniche gestionali che tendono a incrementare la produttività del servizio della distribuzione. Rimarchevole il fatto dello spostamento sempre più considerevole delle forze di lavoro dai settori primario e secondario al terziario, che è appunto in prevalenza quello della distribuzione. I paesi che hanno raggiunto e superato l'occupazione al 50% nel settore terziario, come gli S.U.A. (dove l'agricoltura assorbe circa il 12% e l'industria il 36%), hanno plaudito a questo traguardo, considerandolo come un indice di maggior benessere.
Di fronte alle trasformazioni industriali, realizzate soprattutto con le produzioni in serie e di massa, anche per i beni di consumo finale (alimentari e non), i sistemi distributivi non potevano mantenersi sulle strutture pressoché artigianali che li originarono, ed essi perciò si vanno necessariamente trasformando in organizzazioni idonee alla distribuzione di massa. Ciò comporta l'assunzione da parte delle forze produttrici di rilevanti nuclei di funzioni e di rischi che prima erano disimpegnati e assunti dalle categorie intermediatrici mercantili, grossisti e dettaglianti. In particolare la categoria dei grossisti ha avvertito una regressione sensibile nella propria attività che solo le moderne forme catenarie consentono in certo qual modo di superare.
Il movimento di evoluzione degli apparati distributivi, chiaramente in atto quasi in tutti i paesi, è conseguenza anzitutto della profonda trasformazione industriale, che richiede per il deflusso delle imponenti quantità di beni prodotti, in forma tipizzata e standardizzata, nuovi canali di distribuzione e unità di vendita allo stadio finale, di diversa funzionalità e struttura. Ma è anche conseguenza delle mutate esigenze e richieste delle masse acquirenti finali, che richiedono oggi un servizio di distribuzione caratterizzato da assortimenti qualitativi sempre più vasti, da quantità crescenti di prodotti in vendita, e soprattutto da forme di vendita più igieniche, più rapide, più economiche.
Si parla, così, più propriamente di razionalizzazione dei sistemi distributivi, con obiettivi di utilizzazione più razionale dei luoghi di vendita, del personale addetto, dei tempi di preparazione e di smercio. Congiuntamente si mira ad ottenere una certa compressione nei costi di distribuzione, che per altro verso tendono invece, e in misura crescente, alla dilatazione per l'aggiunta di nuove aliquote di spese. Gravano, infatti, in continuo aumento sui prezzi finali dei prodotti le spese del personale, le spese di pubblicità, gli oneri fiscali e finanziarî, e solo con l'aumento del volume di vendita nella stessa unità aziendale è possibile controbilanciare, per riduzione unitaria dell'incidenza dei costi fissi, tale espansione di spese.
Le trasformazioni in atto sono talora ostacolate dalla legislazione commerciale vigente, dal radicato senso tradizionalista dei vecchi imprenditori, dalle caratteristiche del sistema tributario, e da scarsità e costosità di mezzi creditizî occorrenti al riammodernamento.
Per quanto riguarda l'Italia, i provvedimenti di legge che disciplinano il commercio di vendita al pubblico sono il r. decr. legge 16 dicembre 1926 n. 2174 e il r. decr. legge 21 luglio 1938 n. 1468 che regolano differentemente la materia per il rilascio delle licenze di commercio ai piccoli negozî e ai grandi magazzini (a prezzo unico e supermercati). Tali dispositivi, fortemente sostenuti o avversati dalle varie categorie interessate secondo i differenti punti di vista, hanno dimostrato la loro vetustà in questa fase di trasformazione della organizzazione commerciale, ostacolando più che favorendo il movimento evolutivo in corso.
Bibl.: W. Alderson, Marketing behavior and executive action, Homewood 1958; F. E. Clark e C. P. Clark, Principles of marketing, New York 1947; C. Fabrizi, Aspetti e problemi della distribuzione commerciale, Padova 1959; I. B. Jefferys, The distribution of consumer goods, Cambridge 1950; id., Retail trade in Great Britain 1850-1950, Cambridge 1953; J.-M. Jeanneney, Les commerces de détail en Europe Occidentale, Parigi 1955; Ministero dell'Industria e Commercio, Caratteri strutturali del sistema distributivo in Italia, Roma 1958; F. Nepveu-Nivelle, Distribution et organisation commerciale, Parigi 1949; P. H. Nystrom, Marketing hand-book, New York 1951; OECE, La productivité dans la distribution en Europe, Parigi 1954; id., Productivité dans le commerce de gros, Parigi 1956; R. Simmat, Scientific distribution, Londra 1940; G. Tagliacarne, Tecnica delle ricerche di mercato, Milano 1957; N. Tridente, I grandi magazzini, Bari 1954. Si vedano inoltre gli articoli sui problemi della distribuzione pubblicati sulle riviste Produttività, Roma; Studi di mercato, Roma; Il direttore commerciale, Milano; Vendere, Milano, ecc.