COMMISSIONE
- Giuridicamente il contratto di commissione è una specie del mandato commerciale; da cui differisce perché il commissionario tratta l'affare in nome proprio benché per conto del committente, laddove il mandatario tratta in nome e per conto del mandante.
Storia. - Dopo l'anno mille, quando Firenze e le repubbliche marinare italiane andarono estendendo per l'Europa e per il bacino del Mediterraneo i loro traffici di esportazione e d'importazione, giovani intraprendenti, al servizio di produttori e di commercianti, cominciarono a dedicarsi al commercio con l'estero viaggiando per vender merci nei luoghi di consumo e per acquistarne in quelli di produzione. Bentosto, per la difficoltà di trattare in rappresentanza di persone lontane e per lo spirito d'indipendenza dei nuovi ausiliarî, si stabilirono nei paesi stranieri fattorie o agenzie autonome, le quali, compensate a provvigione, concludevano affari in nome proprio ma per conto dei committenti lontani, verso cui si rendevano garanti. Cosi ebbe origine l'istituto della commissione, il quale andò crescendo d'importanza finché perdurarono le condizioni favorevoli al suo sviluppo. Gl'impedimenti frapposti nei tempi passati e in più paesi al commercio esercitato direttamente dagli stranieri e agli acquisti in grande nei luoghi di produzione, il sistema dell'artigianato, che rendeva necessario ai lontani commercianti di servirsi per gli acquisti o per la fabbricazione dei prodotti di persone le quali, risiedendo nei luoghi dove talune arti erano esercitate, conoscessero i singoli artigiani, erano circostanze propizie alla fortuna dell'istituto. Molti altri vantaggi esso offriva: il segreto sulla speculazione del committente; la fiducia del terzo nella persona del commissionario a lui noto e verso lui responsabile, sì da potersi risparmiare il disturbo di verificarne l'estensione dei poteri o di assumere informazioni sul committente; l'agevolazione nella conclusione di affari che difficilmente si sarebbero conclusi direttamente tra persone reciprocamente sconosciute o comunque ignare della loro rispettiva probità e solvibilità; l'affidamento, reso necessario dalla mancanza di mezzi rapidi di trasporto, di notevoli quantità di merci a commissionarî che le vendessero e le consegnassero; le anticipazioni che il commissionario poteva fare al committente sul prezzo delle merci vendute, avendo egli il diritto di farsi pagare dai terzi compratori. Dalla difficoltà, per il commerciante straniero, di organizzare la spedizione di grandi quantità di merci dal luogo d'acquisto, nacque la commissione di trasporto. Nei tempi moderni, col sorgere della grande industria e delle grandi organizzazioni commerciali, sviluppatisi considerevolmente i mezzi di trasporto e di comunicazione, divenuto possibile l'avere esatte informazioni sul conto di terzi per mezzo di speciali agenzie e più conveniente per i grossi commercianti il servirsi di commessi viaggiatori e di procacciatori (rappresentanti) di affari, l'istituto della commissione è andato decadendo. Rimane tuttavia rigoglioso in taluni traffici per i quali occorrono speciali organizzazioni e cognizioni, come i trasporti e le operazioni di borsa. Nel concetto di commissione rientra un tipo di contratto oggi abbastanza frequente, la vendita con patto d'esclusiva, quando il produttore fissa il prezzo di vendita delle merci al pubblico, cedendole a un prezzo minore al commerciante di cui controlla il guadagno e sorveglia lo spaccio.
Natura giuridica del contratto. - Nei rapporti tra committente e commissionario valgono gli stessi principî che regolano i rapporti interni tra mandante e mandatario, salvo alcune modificazionì derivanti dalla diversità specifica tra i due istituti. Mancando nel commissionario la qualità di rappresentante del committente, tra questo e il terzo contraente non si costituiscono rapporti diretti, ancorché il terzo conosca l'esistenza della commissione e la persona per conto della quale il commissionario si obbliga. Verso il terzo il commissionario si obbliga direttamente come se l'affare fosse suo ed è responsabile verso il committente dell'esecuzione dell'incarico ricevuto. Egli può agire direttamente contro il terzo per l'adempimento, ma al committente spetta il diritto di farsi cedere le azioni del commissionario contro il terzo. Questi, se creditore del commissionario, può esercitare in surrogazione i diritti e le azioni che il suo debitore eventualmente vantasse verso il committente, eccetto quelli personali. La remunerazione dovuta al commissionario (provvigione) è determinata dalla convenzione o dalle consuetudini.
Rimanendo il committente estraneo al contratto tra il commissionario e il terzo, quest'ultimo può risentire danno per il fallimento del commissionario, ma non già per quello del committente; il commissionario può compensare il suo debito verso il terzo col credito che abbia acquistato per conto del committente; il terzo può compensare il suo debito verso il commissionario derivante dalla commissione col credito che abbia verso il commissionario per obbligazione da questo contratta in proprio. È da avvertire che, nel contratto di assicurazione stipulato per conto altrui, chi stipula l'assicurazione non è un commissionario a sensi di legge ma un mandatario munito di rappresentanza, onde l'assicurato può esercitare direttamente contro l'assicuratore le azioni derivanti dal contratto.
Norme di legge regolatrici del contratto. - Concernono principalmente la commissione di comprare e di vendere, giuridicamente la più importante perché la più feconda di questioni. Stante la mancanza di rapporti giuridici diretti tra il committente e il terzo, nasce anzitutto l'importantissima questione se il diritto di proprietà sulle cose acquistate dal commissionario passi dal terzo al commissionario e da questo al committente, oppure passi immediatamente a quest'ultimo tosto che l'acquisto si perfezioni. Per alcuni scrittori il commissionario diventa il proprietario della cosa acquistata perché è soltanto in suo favore che il terzo si spoglia del diritto di proprietà; ma la dottrina più autorevole - per il fatto che nei rapporti interni tra committente e commissionario vi è un contratto di mandato, onde il commissionario come esecutore della volontà del committente deve acquistare per conto e nell'interesse di lui e non può voler acquistare per sé stesso - reputa che la proprietà passi direttamente dal terzo al committente, come passa direttamente dal committente al terzo quando la commissione ha per oggetto l'incarico di vendere. Inoltre, riconoscendosi dalla legge al commissionario, come al mandatario commerciale, il diritto privilegiato di ritenzione di garanzia delle anticipazioni delle spese e della provvigione, e non potendosi questo diritto esercitare su cose proprie, se ne inferisce che le cose acquistate dal commissionario e da lui detenute sono di proprietà del committente.
Le norme concernenti gli obblighi del commissionario costituiscono il risultato definitivo di lunghi dibattiti e il riconoscimento di una diuturna pratica mercantile. Poiché generalmente il commissionario è un impresario di commissioni, egli deve tener distinte fra loro e dalle proprie le cose dei varî committenti, tenendo nei suoi libri nota separata di ciascuna operazione. Se ha verso un terzo contraente crediti provenienti da operazioni diverse fatte per conto di più committenti, o per conto proprio e altrui, deve esigere dal debitore tanti documenti distinti quanti gli affari, e ricevendo dei pagamenti deve annotare nei suoi libri i crediti a cui si riferiscono; in mancanza di annotazioni i pagamenti si imputano proporzionalmente a ciascun credito. Se il commissionario non osserva le istruzioni ricevute, le operazioni fatte con violazione o con eccesso di mandato restano a suo carico. Se ha venduto sotto il prezzo fissatogli, o, in difetto, sotto quello corrente, deve pagare al committente la differenza qualora non provi che la vendita a quel prezzo non era eseguibile e che con la vendita eseguita il committente fu preservato da un danno. Si reputa generalmente dalla dottrina che così operando il commissionario si tramuti in un gestore degli affari altrui; ma perché in tal caso egli possa conservare il diritto alla provvigione occorre che dimostri di aver compiuto una gestione effettivamente utile al committente. Il commissionario che sia sul punto di vendere sotto il prezzo deve avvisarne il committente; questi è obbligato a sua volta a rispondere e, se ritarda oltre il tempo richiesto dalla natura degli affari o dagli usi del commercio, si presume abbia dato la sua approvazione. Quando il commissionario abbia comprato a un prezzo superiore, il committente può respingere l'operazione e considerarla fatta per conto del commissionario, ove questi non offra di sopportare la differenza di prezzo; il committente può altresì rifiutare la cosa comprata se non corrisponde a quella commessa. È vietato al commissionario di fare operazioni a fido, salvo che sia espressamente autorizzato; se però nella piazza in cui opera sono d'uso termini di fido, egli si presume autorizzato, salvo diversa disposizione del committente. Violando il divieto di compiere operazioni a fido, il commissionario assume a proprio carico il rischio dell'eventuale insolvenza del terzo ed è tenuto verso il committente all'immediato pagamento, restando però cessionario degl'interessi e degli altri vantaggi derivanti dal fido. Comunque, egli deve informare il committente, altrimenti si ritiene che l'operazione sia stata fatta a pronti contanti, esclusa ogni prova del contrario. Anche in questo caso, se il committente non risponde nel tempo richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi del commercio, si presume che abbia approvato l'operazione a fido.
Di regola sarebbe logicamente inconcepibile che un mandatario potesse concludere con sé stesso il contratto commessogli dal mandante (autocontratto) e specialmente quello di vendita di cui è elemento essenziale il prezzo: mancherebbe evidentemente l'incontro di due consensi, e vi sarebbe tra mandante e mandatario contrasto di interessi. Nel diritto romano l'autocontratto come principio era inammissibile e nella compravendita è espressamente vietato dalle fonti. Nel Medioevo, col sorgere della pratica dei prezzi correnti o di mercato, nacque la consuetudine che riconosceva l'ammissibilità del contratto del commissionario con sé stesso, dato che la notorietà e la controllabilità del prezzo eliminavano il contrasto di interessi. Con tale consuetudine era connessa l'altra che riconosceva al commissionario il diritto di tacere al committente il nome del terzo contraente, per evitare che il committente facesse a meno dell'intermediario nelle future contrattazioni. I nostri antichi commercialisti, per esigenze pratiche e nei limiti sufficienti e necessarî alla tutela degl'interessi rispettivi del committente e del commissionario, riconobbero la validità di codeste consuetudini, senza però elevarle al grado di principî giuridici. L'interesse del commissionario a non comunicare il nome del terzo contraente può essere giustificato, purché il committente non abbia un legittimo interesse a conoscerlo; la qual cosa può accadere in caso di lite per l'accertamento del prezzo realmente riscosso o pagato dal commissionario, sì che occorra la testimonianza del terzo, o nel caso che il commissionario si trovi a dover agire contro il terzo inadempiente alle obbligazioni assunte. Ma quando si tratti di commissione che abbia per oggetto la vendita o la compera di cose aventi un prezzo corrente e il commissionario assuma sopra di sé la responsabilità dell'adempimento, non avendo il committente interesse a conoscere il nome del terzo, non pare - teoricamente - che la pratica di consentire al commissionario di entrare personalmente nel contratto e di tacere il nome del terzo cagioni inconvenienti. Perciò tali consuetudini persistono, sono riconosciute dagli scrittori e sono regolate da talune legislazioni.
Per la nostra legge, nella commissione di compera e di vendita di cambiali, di obbligazioni dello stato o di altri titoli di credito circolanti in commercio, o di merci che hanno un prezzo di borsa o di mercato, il commissionario, se il committente non dispose altrimenti, può somministrare egli stesso al prezzo corrente come venditore le cose che deve comperare, o ritenere per sé al prezzo corrente come compratore le cose che deve vendere per conto del committente, salvo restando il suo diritto alla provvigione. Per la costruzione giuridica questa facoltà va intesa come un modo, consentito dalla legge, di esecuzione del mandato conferito al commissionario. Perché sia eliminata ogni possibilità di contrasto d'interessi, autorevoli scrittori pongono anche la condizione che il commissionario tenga calcolo del possibile aumento o ribasso del prezzo corrente, in modo che la facoltà concessagli non torni di danno o di pericolo al committente. Ma cotesta facoltà - non scevra d'inconvenienti soprattutto perché il prezzo corrente determinato da listini ufficiali non sempre corrisponde al prezzo effettivo di mercato e inoltre può essere il risultato di manovre artificiose - costituendo un'eccezione alle regole generali, è di stretta interpretazione. Qualche legislazione straniera l'ammette, alcune la respingono espressamente, altre ne tacciono, e in questo caso il silenzio vale divieto. La dottrina più autorevole generalmente l'avversa. Nei casi in cui l'autocontratto è consentito, se nel dare avviso al committente della commissione eseguita il commissionario non nomina il terzo con cui ha contrattato, il committente ha diritto di ritenere che egli abbia venduto o comprato per conto proprio e di esigere da lui l'adempimento: sia che entri effettivamente nel contratto in proprio, sia che taccia il nome del terzo, il commissionario assume le obbligazioni di un compratore o venditore diretto o di un mallevadore del terzo, restando altresì responsabile dei danni derivanti eventualmente dalla cattiva esecuzione del mandato (così, per es., nel caso che per omissione di qualche formalità abbia cagionato la nullità del contratto, o sia incorso in contravvenzioni fiscali).
Di regola il commissionario non è responsabile verso il committente delle obbligazioni assunte dal terzo, salvo convenzione o uso contrario, o salvo che sia incorso in dolo o colpa grave nella scelta del terzo. La convenzione con cui egli assume tale responsabilità è detta star del credere, che significa stare mallevadore del credito fatto al terzo contraente; il qual credito, se formalmente appare del commissionario, in realtà appartiene al committente suo mandante. Lo stesso nome è dato alla provvigione speciale a cui in tal caso il commissionario ha diritto, e che è determinata secondo gli usi del luogo dove è eseguita la commissione. L'origine di codesta malleveria risale al tempo in cui i committenti, per affidare merci da vendere in paesi lontani a terzi sconosciuti, esigevano che i commissionarî assumessero la garanzia della puntualità del pagamento; in compenso i commissionarî, valendosi della facoltà di tacere il nome del terzo, corrispondevano al committente il prezzo da lui fissato e ritenevano esclusivamente per sé i maggiori profitti ricavati dalla vendita. Nella pratica odierna, salvo che nei casi sopra spiegati nei quali è consentito l'autocontratto, è di regola che il commissionario incaricato di vendere merci, per lo più su campione, manifesti al committente i nomi dei terzi da cui riceve le ordinazioni; onde la garanzia dello star del credere, che si suole convenzionalmente limitare a una frazione del credito concesso ai terzi, ha soltanto lo scopo di evitare che il commissionario, per lucrare forti provvigioni, venda a terzi immeritevoli di fido, badando al proprio interesse più che a quello del committente.
All'estinzione del contratto di commissione si applicano le regole per l'estinzione del mandato commerciale.
Bibl.: A. Sraffa, Del mandato commerciale e della commissione, 1ª ed., Milano s. a., p. 141 segg.; C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, 5ª ed., Milano 1922-1926, I, pp. 132 n. 100 e 270 n. 254.