COMO
(lat. Comum, Novum Comum)
Città della Lombardia, capoluogo di provincia, situata in una piccola conca all'estremità meridionale del ramo occidentale del Lario, tra formazioni montuose a N-E e collinari verso S e O. Fin dall'epoca romana C. era la località più importante del territorio prealpino lombardo occidentale, in posizione strategica lungo il percorso del crinale che collega lo Spluga a Milano, al centro di un antico sistema di comunicazioni.Dopo aver sconfitto i Celti Insubri e i Comensi nei pressi di C., nel 196 a.C. Marco Claudio Marcello fondò nella convalle un castrum, di cui sono state riconosciute cinque fasi di sviluppo dal sec. 1° a.C. al periodo tardo imperiale (Caniggia, 1971). Nella sua ultima fase l'impianto romano riprendeva la pianta rettangolare del castrum ad assi incrociati, con decentramento del cardine (od. via Indipendenza) rispetto al decumano (od. via Cesare Cantù), divisa in isolati regolari e con il foro identificabile nella zona di S. Fedele. Le mura, che risalgono probabilmente all'età cesariana, furono restaurate alla fine del sec. 3° con rinforzi e ampliamenti sul lato orientale del recinto (Struffolino Albricci, 1976; Milano capitale, 1990); sotto l'attuale liceo Parini sono stati rinvenuti resti della porta Pretoria, costituita da due torri ottagonali che serravano un passaggio a doppio fornice, ricostruzione imperiale di strutture precedenti.L'antica cerchia continuò a esistere nell'Alto Medioevo e venne consolidata in età gota con torri quadrangolari piene, costruite con materiale di reimpiego. Nell'isolato del palazzo vescovile sono state rinvenute diverse costruzioni in muratura che fanno ipotizzare l'esistenza di un centro fortificato di fronte al porto lacustre, forse sede del gastaldo dopo la conquista della città da parte dei Longobardi (569).Fino all'inizio della guerra decennale con Milano (1118-1127) la città murata fu contenuta su tre lati da bastioni alti e robusti, rinforzati da modeste torri in corrispondenza di quelle romane, con varchi al posto dell'od. porta Vittoria (o porta Torre) e forse di porta S. Vitale. Inoltre la riva occidentale del lago presentava una cittadella fortificata, Vico, con due torri difensive, mentre a N-E sorgeva il borgo di Coloniola, od. Sant'Agostino, con altre due torri.Nel corso dell'assedio i Milanesi eressero una fortificazione stabile detta Castelnuovo. La zona in collina del Baradello, che permetteva il controllo dell'arteria d'accesso a C. dalla pianura Padana, presentava in quell'epoca muri e difese risalenti al periodo tardoantico, forse enucleati intorno ai resti di una torre romana, e venne organizzata in castello nel 1158 da Federico Barbarossa; altre difese esterne dovevano essere offerte dal castel Carnasino e da una torre posta in corrispondenza dell'eremo di S. Donato.Dopo il 1192 furono rinnovate le mura cittadine con l'apertura di tre accessi fortificati sul lato meridionale: porta Vittoria, quadrangolare con cinque ordini di fornici arcati, porta Nuova e porta S. Vitale, entrambe pentagonali, entro le cui pareti di pietra sono ritagliati alti arconi (Romanini, 1964; Ragghianti, 1968-1969). Le mura furono parzialmente demolite nel 1447, compresa una porzione in corrispondenza del transetto dell'attuale duomo (Zastrow, 1988). La principale fortificazione di C., il castello della Torre Rotonda, fatta edificare nel settore nordorientale da Giordano e Lotario II Rusca tra il 1284 e il 1286, venne in seguito incorporata nella cittadella viscontea, costruita a partire dal 1335 durante la signoria di Azzone Visconti e includente anche i due fortilizi preesistenti, massicce costruzioni collegate da mura e alte torri; la cittadella, interessata da diverse aggiunte e ristrutturazioni fino al sec. 16°, fu demolita nel 1811 (Zecchinelli, 1959; Romanini, 1964; Rodi, 1971; Gianoncelli, 1974-1975).La rete viaria del centro medievale seguiva per lo più i tracciati del reticolo romano; l'antico decumano, lungo il quale risulta ubicato il vecchio broletto, subì una variante di percorso, con deviazione verso E in direzione della piazza S. Fedele, sede tra l'altro del mercato del grano; lungo la contrada retrostante S. Fedele (od. via Vittorio Emanuele) erano sorti i più antichi insediamenti religiosi.Secondo la tradizione il primo vescovo comasco, Felice, avrebbe stabilito nel 386 la sede episcopale al di fuori delle mura, sull'altura di Camerlata, probabilmente trasformando in chiesa un tempio dedicato a Mercurio e associandovi la prima comunità cristiana. L'edificio, verosimilmente trasformato nel corso del sec. 8° e dedicato a s. Carpoforo, fu incorporato nel rifacimento romanico del sec. 11° (Fasola, 1977; Chierici, 1978; Belloni, Zecchinelli, 1987; Della Torre, 1987). Seconda sede della cattedrale potrebbe essere stata la basilica paleocristiana extramuranea dei Ss. Pietro e Paolo, più vicina all'abitato, lungo il tracciato della via Regina, promossa a tal rango dal vescovo Amanzio nella prima metà del sec. 5° e dove poi fu sepolto Abbondio, organizzatore del cristianesimo nella diocesi; importanti resti sono comparsi durante i lavori di restauro del 1863 sotto la chiesa romanica di S. Abbondio, che a essa si sovrappose. L'antica basilica era a una navata, a croce immissa con abside semicircolare, due lunghi ambienti laterali paralleli adiacenti a uso dei catecumeni e un portico addossato alla facciata (Verzone, 1953; Magni, 1960; Balzaretti, Gini, 1966; Chierici, 1978; Mirabella Roberti, 1984; Belloni, Zecchinelli, 1987). Cattedrale intramuranea divenne in seguito S. Eufemia (od. S. Fedele), forse riedificazione del sec. 7° con nuova dedica di un'originaria basilica intitolata alla Vergine nell'area dell'antico foro. Con un impianto a tre navate concluse da absidi, di cui la centrale poligonale, S. Eufemia era in asse con il battistero di S. Giovanni in Atrio e associata alla chiesa sussidiaria di S. Pietro; addossato alla facciata era un nartece, parte integrante dell'atrium che organizzava la piazza e la distribuzione del complesso dei tre edifici (Zastrow, 1972; Rocchi, 1973; Chierici, 1978; Belloni, Zecchinelli, 1987; Di Salvo, 1987).Dopo un possibile ulteriore trasferimento della sede vescovile presso S. Abbondio nel sec. 10° (Mirabella Roberti, 1984), nel 1013 il vescovo Alberico rese definitivamente cattedrale S. Maria Maggiore, la chiesa preromanica a tre navate terminanti con tre absidi semicircolari, ancora in funzione tra la fine del sec. 14° e gli inizi del 16°, durante le complesse lunghe operazioni di costruzione del nuovo duomo (Frigerio, 1950; Zastrow, 1972; 1988). L'antica cattedrale forse occupava lo spazio rettangolare della navata centrale attuale, fino a poco oltre l'inizio della terza campata, e la sua facciata, logicamente allineata a un lato del broletto, doveva coincidere con quella odierna, eccetto che per lo sviluppo laterale e l'alzato (Zastrow, 1988). Da S. Maria Maggiore proviene l'importante sepolcro del vescovo Bonifacio da Modena, datato da un'iscrizione al 1347, ora posto nel duomo, un lavoro variamente legato dalla critica all'influsso campionese (Frigerio, 1950, p. 145), a quello di Giovanni di Balduccio (Toesca, 1951, p. 385) oppure riferito a un ambiente più strettamente locale (Zastrow, 1989, pp. 68-71).Del palazzo vescovile, anch'esso fatto erigere da Alberico nel 1013, sono ancora leggibili pochi resti, tra cui i capitelli di un portico e alcune trifore dell'avanzato sec. 11° nella controfacciata e all'interno della struttura in piazza Grimoldi, più volte riedificata. Nel complesso è inglobata la coeva cappella di S. Michele a due absidi sovrapposte, impostata su avanzi di un sacello polilobo, poi battistero altomedievale (Frigerio, 1941; Magni, 1960; Rocchi, 1971).Il battistero di S. Giovanni in Atrio, in asse alla facciata di S. Eufemia, di impianto ottagonale a nicchie estradossate alternatamente rettangolari e semicircolari, richiama una tipologia diffusissima nei secc. 5°-6°, anche se l'alzato si presenta in forme romaniche, sormontato da cupola e lanternino del Settecento. L'edificio, provvisto di ambienti di servizio e di un nartece, venne in seguito diviso in due piani e convertito a uso abitativo (Magni, 1960; Zastrow, 1972; Rocchi, 1973; Belloni, Zecchinelli, 1987).Il rifacimento romanico di S. Carpoforo, dopo l'ipotizzata trasformazione longobarda, venne impostato prima del 1040. La basilica è a tre navate, divisa in cinque campate irregolari da pilastri rettangolari coronati da un listello, sorreggenti arcate di diversa ampiezza, su cui scaricano arconi trasversi alleggeriti da finestrelle. Il presbiterio è rialzato, voltato a crociera e concluso dall'abside poligonale con paramento policromo e da due absidi laterali in spessore di muro (su quella meridionale è impostata la torre campanaria quadrangolare, della fine del sec. 11°), con sottostante cripta a oratorio del 12° secolo. La facciata, parzialmente interrata e addossata al monte, non presenta accessi, ubicati invece lungo il fianco meridionale. La soluzione della terza campata, molto più ampia, compresa tra due archi trasversi e alti arconi longitudinali visibili all'esterno, fa pensare a un transetto, alto e largo quanto la navata centrale ma allineato lungo i muri d'ambito delle navate minori; l'eventuale presenza di un altro transetto, non emergente in pianta, in corrispondenza del presbiterio, farebbe rientrare S. Carpoforo tra le chiese a doppio transetto di tipologia ottoniana (Magni, 1960; Fasola, 1977; Chierici, 1978; Belloni, Zecchinelli, 1987; Della Torre, 1987).La chiesa di S. Abbondio, capolavoro dei magistri comacini, venne riedificata unitariamente dai Benedettini tra il 1013 e il 1095 sopra la primitiva basilica dei Ss. Pietro e Paolo. La facciata a salienti profilati da archetti ciechi, divisa in cinque scomparti da larghe lesene - contro le quali sono addossate quattro semicolonne dell'originario esonartece a due piani -, rivela la suddivisione dello spazio interno in cinque navate molto strette e graduate in altezza, in rapporto di 2:1 con la principale, dotate ciascuna di cleristorio indipendente. Le navate sono separate da quattro file di colonne e pilastri cilindrici sorreggenti arcate a pieno sesto che definiscono sei campate, rettangolari nella navata centrale e quadrate in quelle laterali, coperte dal soffitto piano. L'imponente spazio centrale trova la sua conclusione orizzontale nel profondo coro, scandito in due campate quadrate voltate a crociera e concluso da un'abside semicircolare nervata; alla terminazione delle navate minori è inserito uno pseudo-transetto con quattro absidiole ricavate in spessore di muro, precedute da ridotti vani coperti a crociera, separati tra loro da pilastri polistili e dal corpo delle navate da pareti. Alla controfacciata si appoggia un endonartece a due piani, con loggia superiore sorretta da volta a crociera su pilastri polistili. Innestate dietro le pareti delle absidi intermedie si levano due torri quadrangolari di derivazione nordica, serranti il presbiterio, alleggerite da bifore e trifore. Le pareti esterne del fianco meridionale, del coro e dell'abside sono ritmicamente suddivise da semicolonne in doppie specchiature, sottolineate da cornici marcapiano, che in regolare alternanza accolgono grandi monofore rettangolari profondamente strombate e concluse da ampia ghiera; il culmine dei cleristori è valorizzato da una successione continua di archetti ciechi. La decorazione scultorea è piuttosto limitata ma di notevole fattura e di esecuzione unitaria: il portale di facciata è ornato da capitelli a motivi animali e ghiere con trecce e girali di fogliami; le sette finestre del coro e dell'abside presentano temi astrattogeometrici integrati talvolta da motivi zoomorfi decoranti piedritti, plastici capitelli, colonnine e cordonature, nonché le ghiere delle aperture inferiori; le lastre che definiscono i piedritti di una finestra del coro e la ghiera di quella centrale nell'abside sono profondamente incavate con rilievi di animali mostruosi entro medaglioni fogliati. All'interno capitelli a dado scantonato sormontano quasi senza emergenze i pilastri cilindrici, mentre le colonne sono coronate per lo più da composizioni di foglie lisce o nervate e caulicoli, di diversificata complessità (Balzaretti, Gini, 1966; Chierici, 1978). Le murature, ora intonacate, conservano tracce della decorazione pittorica a temi astratto-geometrici e figurativi, che sottolineava le membrature architettoniche nella formulazione realizzata tra l'inizio del sec. 13° e la fine del 14° (Autenrieth, 1984). Le pareti del coro e dell'abside sono rivestite da un ciclo di affreschi dei primi anni del sec. 14°, con episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento, opera di artisti lombardi legati alla tradizione figurativa dell'Italia settentrionale (Boskovits, Travi, 1984; Travi, 1986b). La chiesa subì pesanti trasformazioni alla fine del Cinquecento e i restauri del 1863-1874 hanno riportato l'edificio all'aspetto romanico, con integrazioni per analogia come il campanile settentrionale. Nel corso di scavi condotti nel secolo scorso sono stati rinvenuti materiali lapidei scolpiti a intrecci diversificati, di età carolingia (Como, Mus. Civ. Archeologico P. Giovio; Moltrasio, villa Passalacqua, cappella funeraria Lucini Passalacqua), forse parte di una recinzione presbiteriale altomedievale (Zastrow, 1981).Per sistemare l'area della piazza Grimoldi, a metà del sec. 16° fu abbattuta oltre la metà del corpo longitudinale della chiesa di S. Giacomo, della fine dell'11° secolo. L'edificio si presenta attualmente diviso da due file di colonne, con capitelli a dado scantonato, in tre navate coperte da travature lignee al centro e da volte a crociera ai lati, con transetto a bracci emergenti coperti a semiottagono, e al centro una cupola ottagonale su pennacchi, sorretta da pilastri cruciformi. L'abside centrale è scandita internamente da una serie di nicchie allungate e da tre alte monofore centinate, mentre all'esterno corre una galleria praticabile di sette archi sorretti da colonnine, sovrastata da un coronamento a fornici e da una cornice; le absidiole sono ricavate in spessore di muro, precedute da volte a crociera.Il motivo della scansione dell'abside con nicchie ricavate nel perimetro interno aveva avuto uno dei primi riscontri nella chiesa di S. Giorgio, edificata nel quartiere di Borgovico nella seconda metà dell'11° secolo. Della struttura originaria l'attuale rifacimento del sec. 17° conserva proprio la terminazione a tre absidi, le due minori ricavate nella parete e quella centrale ritmata all'esterno da semicolonne appoggiate a lesene. Dalle absidi sono stati strappati e riportati su tela affreschi - databili almeno in parte al 1082, grazie a un'epigrafe contenente un riferimento al ventunesimo anno di vescovato di Rainaldo - che rappresentano apostoli e sante, una piccola crocifissione, la sepoltura di un santo vescovo e il committente diacono Gualterano (in deposito presso il Seminario Maggiore; Magni, 1960). Questi dipinti sono stati ultimamente riferiti a più interventi, dalla fine del sec. 10° al 13° (Zastrow, 1984, pp. 217-221).L'edificazione della chiesa di S. Fedele sulla precedente S. Eufemia iniziò probabilmente alla fine del sec. 10° e interessò tutta l'icnografia dell'edificio, sia che si ipotizzi un nucleo originario trilobato dei secc. 5°-6°, cui per ampliamento sarebbe stato innestato il corpo basilicale (Magni, 1960; Di Salvo, 1987), sia invece che si presupponga l'evoluzione dell'impianto longitudinale a tre navate absidate con l'aggiunta a E di una pianta centrale tricora, i cui due deambulatori laterali costituirebbero la continuazione del percorso delle navate minori (Rocchi, 1973). All'interno, alterato da numerose aggiunte, sei pilastri cruciformi ripartiscono la navata centrale in quattro campate rettangolari di diverso interasse, sorreggendo due serie di bassi archi; le navatelle laterali, coperte da volte a crociera rifatte, reggono piani-matroneo affacciantisi sull'ambiente centrale tramite archi più slanciati e coperti da volte a crociera rampanti. La volta a botte seicentesca, segnata da archi trasversi del sec. 15°, che conclude la nave centrale (in origine la copertura era a tetto), comportò la chiusura delle finestre dell'attico alterando l'illuminazione, un tempo diffusa e graduata, dell'interno. Quattro sostegni polistili alla terminazione delle navate sorreggono il tiburio ottagonale, sopraelevato nel 1805, mentre ai lati si dipartono i due ambulacri semicircolari, sovrastati da successioni di voltine a crociera sopra cui proseguono i matronei; entrambi i livelli si collegano all'attacco dell'abside orientale, affiancata da due piccole absidiole in spessore di muro e preceduta dalla campata presbiteriale rettangolare voltata a botte. L'abside, pentagonale all'interno, è ritmata da cinque nicchie semicircolari, inquadrate in eleganti arcature impostate sui complicati capitelli a fogliame delle semicolonne; sopra, una galleria praticabile si affaccia all'interno tramite arcatelle su eleganti colonnine; la parete esterna è divisa in tre piani, segnati verticalmente da quattro semicolonne addossate, con capitello cubico; in ogni scomparto inferiore si apre una finestrella circolare.Alla facciata cinquecentesca di S. Fedele è stata sovrapposta nel 1914 la restituzione in forme romaniche, priva della porzione sinistra perché vi è addossata un'antica abitazione; della torre campanaria, impostata sulla prima campatella settentrionale, per gran parte riedificata agli inizi del secolo, si conserva fino all'altezza di ca. m. 12 la ricostruzione della fine del 13°, con una bifora ancora dell'11° secolo. La decorazione scultorea romanico-gotica è testimoniata da cornici di pilastri e lesene e dalla proliferazione di capitelli di differenti periodi, coronanti semicolonne e colonne dei due piani interni e delle gallerie absidali: alcuni di spoglio appartengono al sec. 11°, altri possono essere confrontati con esemplari a foglie carnose di S. Abbondio e di S. Celso a Milano, mentre i più complessi sono databili tra il 12° e il 13° secolo. I pannelli dei montanti del portale settentrionale, istoriati nell'ultimo quarto del sec. 11° (Rocchi, 1973) o intorno al 1100 (de Francovich, 1935-1937), recano scolpiti secondo forme monumentali di tradizione lombarda (Gandolfo, 1988) soggetti dell'Antico Testamento e figurazioni tratte da bestiari. I materiali, il tipo di mensole, gli archetti, le basi delle colonne, l'abside orientale avvicinano S. Fedele a S. Giacomo (Magni, 1960). Le due acquasantiere, collocate entro gli ingressi laterali, sono sorrette da leoni stilofori, forse appartenenti in origine al portale della facciata di S. Eufemia. L'altare della chiesa, eretto dal vescovo Stefano Gatti nel 1365, presenta sulla facciata anteriore una rara incorniciatura composta da vetri graffiti su fondo oro, in parte ancora originale e in parte rifatta nel sec. 18°, con raffigurazioni di busti di santi e papi entro riquadri polilobati alternati a elementi vegetali, riferibili ad artefici di ambito sia bolognese sia locale (Bertelli, 1985).A fianco della cattedrale è situato il broletto, marmoreo edificio a fasce orizzontali bianche, brune e rossicce, voluto dal podestà Bonardo da Cadazzo e portato a compimento nel 1215, secondo lo schema tipologico dei palazzi comunali dell'Italia settentrionale, con un doppio portico di quattro arcate a ogiva sorrette da pilastri ottagonali e al piano superiore un unico ampio salone, illuminato da grandi trifore binate strombate, contenute entro un arco di scarico e con una parlera a balconata sulla fronte principale; nell'angolo sinistro si leva la massiccia torre quadrangolare in pietra, di cui una notevole porzione superiore, compresa la cella campanaria, fu ricostruita nel 1927. Lo scalone esterno d'accesso, posto sul retro, fu demolito nel 1447, contemporaneamente alla mutilazione della prima campata destra, per lasciar spazio a due campate della navata settentrionale del nuovo duomo (Frigerio, 1950; Romanini, 1964; Belloni, Zecchinelli, 1987; Zastrow, 1988).Presso l'antico borgo di Coloniola gli Eremitani, agli inizi del Trecento, fondarono la chiesa di S. Agostino, l'unica fabbrica comasca che presenti ancora forme gotiche, parzialmente restituite malgrado le modifiche risalenti al 1773. La fronte a capanna è tripartita da lesene e valorizzata dal rosone centrale, mentre le pareti laterali sono forate da slanciate monofore ogivali; l'interno è diviso da archi a sesto acuto su sottili pilastri quadrangolari in tre alte navate, coperte a capriate e concluse da tre strette absidi quadrangolari (Romanini, 1964).Lungo la via Regina rimangono le vestigia della chiesa di S. Lazzaro, degli inizi del sec. 14°, descritta nel 1592 negli Atti della visita pastorale di Feliciano Ninguarda come edificio a una navata duplicata in altezza; nell'abside dell'ambiente superiore si conserva un importante ciclo di affreschi, realizzati da pittori lombardi postgiotteschi tra il 1360 e il 1380 ca. (Matalon, 1963; Della Torre, 1978).Dal sacello di S. Giovanni Battista, facente parte del complesso del monastero di S. Margherita e demolito dopo il 1810, provengono gli affreschi con Storie delle ss. Liberata e Faustina (Mus. Civ. Archeologico P. Giovio). Il ciclo venne realizzato entro il primo quarto del sec. 14° dal lombardo Maestro di S. Margherita, cui si attribuiscono anche due affreschi staccati dalle pareti interne del broletto, raffiguranti il Giovane e la morte e una Madonna con il Bambino in trono (Mus. Civ. Archeologico P. Giovio; Travi, 1986a; Rizzini, 1988; Affreschi, 1989).A Milano (Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica) nel 1881 venne trasferito dalla chiesa di S. Francesco a C. il sepolcro della famiglia Rusca, il più importante lavoro di scultura comasca della metà del 14° secolo. Il monumento è composto da un'edicola cuspidata su colonne, con il Cristo assiso entro una mandorla nel timpano, e da un sarcofago con nove santi a rilievo sulla fronte, al di sopra del quale due angeli reggicortina sostengono un trittico con statue di S. Francesco, della Madonna con il Bambino e di un personaggio femminile.Nel Mus. Civ. Archeologico P. Giovio sono invece raccolti numerosi elementi scolpiti medievali, provenienti da alcune significative fabbriche della città, come le lastre del sec. 9° provenienti da S. Abbondio e un importante capitello figurato con storie dell'Infanzia di Cristo, del sec. 12°, forse della stessa chiesa (Zastrow, 1972). Oltre a queste opere, sono di particolare importanza un rilievo, recante la data 1347, proveniente dal demolito ospedale dell'antica via di S. Gerolamo, che rappresenta l'offerta della chiesa del complesso da parte del vescovo committente Bonifacio da Modena e una grande lastra di provenienza incerta con S. Giorgio e il drago e un offerente accompagnato da santi (Zastrow, 1989, pp. 101-108).
Bibl.:
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