Comodato e casa familiare
L’assegnazione della casa familiare impone di individuare un difficile punto di equilibrio tra esigenze, talvolta antagonistiche, di protezione dei figli e di equilibrata ripartizione delle risorse economiche nella famiglia interessata dalla crisi del rapporto di coppia, ove emerge l’istanza di tutela della parte debole non proprietaria dell’immobile unitamente a quella di non eccessivo aggravio del proprietario, destinato a perdere per un significativo periodo di tempo la disponibilità di un cespite di considerevole importanza. Il problema di conciliare il diritto dei figli alla permanenza nella casa familiare e quello del proprietario al suo pieno godimento emerge anche nella particolare ottica del comodante che aspiri alla restituzione dell’immobile originariamente concesso alla famiglia unita ed oggetto di un provvedimento di assegnazione.
La disciplina dell’assegnazione della casa familiare – oggi compendiata nell’art. 337 sexies c.c. – è stata oggetto di molteplici interventi di riforma che hanno riguardato sia i profili sostanziali, sia la collocazione sistematica delle norme che la regolano.
Fino all’introduzione della l. 8.2.2006, n. 54, la disciplina dell’assegnazione della casa si articolava nelle previsioni formulate con riferimento alla separazione (art. 155, co. 4, c.c.) ed al divorzio (art. 6, co. 6, l. 1.12.1970, n. 898, d’ora in avanti l. div.) e veniva ricostruita in via interpretativa con riguardo alla crisi della famiglia di fatto1. In un primo momento si era aperto un contrasto tra l’orientamento che individuava la ratio dell’art. 155, co. 4, c.c. nell’esigenza di evitare ai figli la perdita della casa familiare nel momento già di per sé traumatico della separazione2 e quello che, sottolineando la funzione di tutela del coniuge economicamente debole, vedeva nell’assegnazione una componente dell’assegno di mantenimento3.
Il contrasto tra gli opposti indirizzi fu risolto da una decisione delle Sezioni Unite in cui fu stabilito che la compressione del diritto reale del coniuge titolare dell’abitazione poteva trovare eccezionalmente giustificazione solo di fronte all’interesse preminente alla permanenza dei figli nella casa4.
L’art. 6, co. 6, l. div., modificato dalla riforma del 1987, tuttavia, ha lasciato spazio per sostenere che la convivenza con i figli minori o non autosufficienti costituisse un titolo preferenziale, ma non necessario, ai fini dell’assegnazione della casa coniugale5. A tal riguardo si è valorizzata, in particolare, la chiara indicazione secondo cui la casa spetta di preferenza al coniuge affidatario, nonché la previsione per cui il giudice, «ai fini dell’assegnazione», è chiamato «in ogni caso» a «valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole»6. Sulla base di questi argomenti si è concluso che la categoria degli affidatari, pur costituendo la parte più rilevante del novero dei beneficiari del provvedimento di assegnazione della casa familiare, non la esaurisse7.
Questa impostazione, tuttavia, non ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità il cui orientamento prevalente, in linea con la citata decisione delle S.U., ha riconosciuto al coniuge non proprietario il diritto di abitare nella casa familiare solo in quanto affidatario dei figli minori o (incolpevolmente) non autosufficienti8, tutelandolo, quindi, solamente di riflesso e non in modo autonomo9.
Nel quadro delineato appare confermata l’idea per cui il sacrificio delle ragioni del coniuge unico proprietario è ammesso entro limiti assai ristretti e comunque solo a fronte del superiore interesse dei figli10.
Tale orientamento è emerso anche nell’ambito della dissoluzione della famiglia di fatto11: l’idea per cui il diritto dei figli a continuare ad abitare la casa familiare dovesse essere riconosciuto a prescindere dal fatto che i genitori fossero uniti in matrimonio o convivessero ha trovato conferma sulla base di principi generali “immanenti” nell’ordinamento12.
In linea con questo orientamento, il principio per cui il diritto dei figli a continuare a vivere nella casa familiare deve sempre essere garantito a prescindere dal tipo di unione che lega i genitori ha ricevuto piena ed esplicita attuazione laddove la l. n. 54/2006 ha introdotto l’art. 155 quater c.c., giusta il quale «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli» e ne ha esteso l’applicazione a qualsiasi situazione nella quale si ponga l’esigenza di garantire il diritto dei figli alla permanenza nell’habitat nel quale si era svolta la vita del nucleo familiare unito e quindi, non solo al caso della separazione, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio, ma anche quello della dissoluzione della convivenza (art. 4, co. 2, l. n. 54/2006). Portando a definitivo compimento questo disegno, poi, un successivo intervento riformatore (l. 10.12.2012, n. 219 e d.lgs. 28.12.2013, n. 154) ha collocato la disciplina dell’assegnazione della casa familiare nell’attuale art. 337 sexies c.c., di modo che, nel sistema attuale, l’assegnazione della casa familiare è regolata da un’unica disposizione applicabile a tutte le fattispecie nelle quali la disgregazione del rapporto di coppia pone il problema di garantire la continuità del godimento dell’habitat familiare ai figli non autosufficienti13.
Da ultimo occorre soffermare l’attenzione sul problema dell’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare. L’orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità era nel senso di ritenere opponibile il provvedimento trascritto per tutto il tempo della sua efficacia e limitare l’opponibilità del provvedimento non trascritto nell’ambito dei nove anni, così come previsto dall’art. 1599 c.c. in materia di locazione14. Sulla questione è intervenuta una recentissima sentenza delle Sezioni Unite, che ha ulteriormente confermato tale soluzione stabilendo opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione del domicilio coniugale, anche ove non trascritto, entro il novennio15.
Le motivate perplessità16 circa la complessiva tutela offerta al coniuge non proprietario – emerse soprattutto riguardo al consolidato orientamento secondo cui, in assenza di figli non autosufficienti, esso può vantare un diritto alla permanenza nella casa coniugale – permangono a seguito dell’introduzione dell’art. 337 sexies c.c.
Infatti, non è escluso che seguendo il criterio per cui la casa spetta al coniuge che convive con i figli si possa talvolta giungere a soluzioni inique. Basti pensare, in proposito, all’ipotesi in cui il coniuge che non convive con i figli sia anche economicamente debole ed affetto da patologie fisiche o mentali17. Di qui l’opportunità di pensare che, da un lato, la regola in virtù della quale si tende a privilegiare il coniuge che convive con i figli sia in linea di massima gerarchicamente sovraordinata rispetto agli altri criteri, ma anche che, dall’altro, si tratti di una gerarchia così elastica da poter essere derogata e capovolta di fronte a situazioni particolari.
Alla luce di queste considerazioni si può affermare che l’interesse del coniuge malato (e/o debole) a rimanere nell’abitazione familiare può risultare ingiustamente compresso anche qualora non vi siano figli conviventi minorenni o non autosufficienti, essendo evidente che, se si considera ingiusto che le sue esigenze possano essere sacrificate di fronte all’interesse dei figli18, a maggior ragione dovrebbe ritenersi iniqua una estromissione che si giustifica esclusivamente su di una logica proprietaria.
A seguito dell’introduzione della disciplina della casa familiare regolata dall’art. 155 quater c.c. (oggi collocata nell’art. 337 sexies c.c.), la posizione del coniuge non proprietario appare poi ulteriormente compromessa dalla previsione secondo cui «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio». Tale previsione avrebbe potuto condurre a determinare l’automatico venir meno del diritto ad abitare nella casa familiare – conseguito in ragione della convivenza con i figli – laddove avesse avuto luogo l’instaurazione di una nuova convivenza o la celebrazione di un nuovo matrimonio; e ciò in ragione di una variabile del tutto indipendente rispetto al criterio dell’interesse dei figli19.
Sulla base di questi rilievi sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale della disciplina contenuta nell’art. 155 quater c.c.20. La successiva pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale21 ha chiarito che il disposto dell’art. 155 quater c.c. (oggi art. 337 sexies c.c.) deve essere letto nel senso che l’instaurazione di una nuova convivenza o il nuovo matrimonio contratto da parte del genitore beneficiario del provvedimento di assegnazione comporta necessariamente una rinnovata valutazione dell’interesse dei figli riferita alla nuova situazione. Pertanto la modifica del provvedimento di assegnazione originario presuppone necessariamente una simile valutazione e non può scaturire automaticamente dalla sola circostanza delle seconde nozze del coniuge assegnatario o dall’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza more uxorio.
Con riferimento, invece, alla fattispecie in cui si tratti di decidere riguardo al diritto alla permanenza nella casa familiare di figli di uno soltanto dei coniugi, la Suprema Corte ha chiarito che il sacrificio del genitore proprietario è giustificato solo laddove l’esigenza di garantire il diritto del figlio alla permanenza nella casa familiare sia riferito a figli comuni della coppia22.
2.1 Il comodato d’uso della casa familiare
Questioni particolarmente complesse si sono poste con riferimento all’ipotesi in cui la casa familiare sia stata concessa in comodato dai genitori di uno dei coniugi (generalmente il marito) e sia oggetto di un provvedimento di assegnazione a favore dell’altro (generalmente la moglie) in seguito alla sopravvenuta crisi del rapporto di coppia; considerazioni analoghe possono essere estese anche all’ipotesi della famiglia non fondata sul matrimonio. Sulla delicata questione concernete il diritto alla restituzione dell’immobile del proprietario è intervenuta, ormai undici anni orsono una pronuncia delle Sezioni Unite, stabilendo che la concessione del comodato d’uso di un immobile adibito a casa familiare è da considerarsi sottoposto ad un implicito termine di restituzione, coincidente con il venir meno della destinazione convenuta dalle parti, che limita le pretese del comodante alla restituzione ex art. 1810 c.c., fatto salvo l’imprevisto e urgente bisogno del comodante ex art. 1809 c.c. Il termine imposto al comodato, pertanto, coincide con il soddisfacimento degli interessi familiari del comodatario23.
La crisi coniugale, quindi, non incide sul vincolo di destinazione sull’immobile concesso dal proprietario al figlio e destinato da quest’ultimo ad abitazione familiare: pertanto il diritto del comodante alla restituzione dell’immobile cede di fronte al diritto alla permanenza nell’immobile del coniuge che – in ragione del collocamento prevalente dei figli – abbia conseguito un provvedimento giudiziale di assegnazione24. Questo principio ha trovato applicazione anche con riferimento all’ipotesi di “crisi familiare tra conviventi”25 e risulta ampiamente confermato anche dalla casistica giurisprudenziale di merito26.
D’altra parte occorre tenere conto del fatto che lo stesso criterio illustrato è stato oggetto di opinioni critiche che hanno messo in evidenza incongruenze e paradossi difficilmente contestabili. In questo senso si è rilevato che la possibilità di sacrificare il diritto del comodante alla restituzione del bene per consentire ai suoi nipoti ancora in tenera età la permanenza nell’abitazione familiare27 fa assumere alla «circostanza che il comodatario sia coniugato ed abbia dei figli» una valenza tale da renderla «idonea a modificare, (anche) sotto il profilo contenutistico i rapporti contrattuali che il medesimo mantiene generalmente con i terzi»28; valenza che appare del tutto inappropriata e non trova riscontro nei principi generali che governano la restituzione dei beni concessi in comodato. Si è osservato, inoltre, che il principio esposto «contrasta con la disciplina normativa del comodato» e desta perplessità rispetto alla «funzione causale tipica» di detto contratto: in particolare «lascia perplessi per la ben più intensa tutela che viene attribuita al comodatario rispetto al conduttore»29.
2.2 La tutela dei diritti del comodante
L’analisi della casistica giurisprudenziale successiva alla decisione delle Sezioni Unite del 2004 fa emergere, nel complesso, la tendenza a circoscrivere una «funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà del terzo a tutela dei diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale»30.
La prevalenza del diritto del comodante alla restituzione dell’immobile destinato ad abitazione familiare è stata sancita con riferimento ad una fattispecie in cui la coppia separata non aveva figli e la moglie non proprietaria pretendeva di continuare ad abitare nella casa messa gratuitamente a disposizione dalla suocera al momento delle nozze31. È significativo, in questo senso, che la Cassazione precisi che in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti la separazione determini anche il venir meno della destinazione del bene a casa familiare, di modo che il coniuge non titolare del contratto di comodato si trovi ad «occupare l’alloggio senza essere in possesso di alcun titolo opponibile al titolare di diritti reali sullo stesso». Il comodante, pertanto, – a differenza di quanto accade in presenza di figli minori che vivono nella casa familiare – non ha alcun obbligo a consentire la continuazione del godimento e può pretendere l’immediata restituzione del bene32.
Ancor più significativo è stato il riconoscimento ad una società di capitali, che aveva concesso in comodato un immobile al proprio amministratore unico, del diritto ad ottenerne la restituzione escludendo dal godimento i figli e la moglie del comodatario a cui l’immobile era stato assegnato in sede di separazione giudiziale33.
L’analisi congiunta dei principi espressi da quest’ultima decisione e da quella delle Sezioni Unite ha indotto ad affermare che quel limite al diritto di restituzione del comodante che le Sezioni Unite avevano potuto costruire sulla base della comune intenzione delle parti genitore-comodante e figlio-comodatario non è ravvisabile nella diversa ipotesi in cui non sussistano legami di parentela tra i contraenti. Dunque, pur muovendo dalla ricostruzione della comune volontà delle parti, ciò che risulta determinante al fine di individuare un termine implicito di restituzione del bene concesso in comodato è il concorso di tre elementi: la destinazione ad abitazione familiare, la presenza di figli non autosufficienti del comodatario e uno stretto rapporto di parentela tra comodante ed i figli del comodatario.
La tendenza a circoscrivere le situazioni in cui il proprietario-comodante incontra un limite all’esercizio del diritto alla restituzione del suo immobile ha valorizzato quelle ragioni di necessità ed urgenza alle quali l’art. 1809 c.c. subordina la limitazione dei diritti del comodatario34 dandone una lettura maggiormente funzionale ad attuare le esigenze del proprietario-comodante ed introducendo, così, una sorta di “contrappeso” a protezione degli interessi di quest’ultimo35.
L’analisi delle molteplici decisioni di legittimità successive alla pronuncia delle S.U. del 2004 fa emergere una situazione di persistente incertezza rispetto al problema dell’assegnazione della casa familiare in comodato. Indubbiamente l’individuazione di un termine implicito di durata basato sulla ricostruzione della volontà delle parti costituisce un criterio “flessibile”, che permette di giustificare il perdurante godimento della casa familiare in comodato e valorizzare i vincoli di solidarietà anche nel momento della disgregazione della famiglia.
In senso critico, tuttavia, si ricava l’impressione che la ricostruzione di un termine di restituzione “implicitamente” apposto dai contraenti rifletta solo in parte la loro volontà e gli interessi che essi mirano a perseguire. Ciò che è realmente “implicito” nel comodato tra familiari è la presenza di una solidarietà e di una fiducia reciproche, di una comunione di intenti che non fa emergere nelle parti il bisogno di ricorrere a strumenti che disciplinino in modo formale e rigoroso il diritto alla permanenza nell’immobile o alla sua restituzione. In questa prospettiva è possibile affermare che il comodato tra familiari si regge sul presupposto inespresso dell’affectio e della solidarietà che normalmente caratterizza le relazioni di un gruppo familiare unito. La sopravvenuta crisi della famiglia beneficiaria del comodato costituisce un evento che verosimilmente altera quella comunione di intenti, quella affectio e quella solidarietà; essa costituisce un evento, che le parti non prendono in considerazione come una evoluzione possibile, “normale” e – soprattutto – preventivamente accettata della vita familiare futura, che fa emergere esigenze di regolamentare in modo puntuale e formale il diritto al godimento dell’immobile destinato ad abitazione familiare.
Non vi è dubbio che in questa fase della vita del nucleo familiare si ponga la necessità di affermare la persistenza di quella solidarietà che nella famiglia unita si dava per presupposta e che a seguito della crisi della coppia beneficiaria del comodato si è verosimilmente incrinata e dissolta.
L’introduzione di un termine implicito di durata che giustifica l’applicazione dell’art. 1809 c.c. incide significativamente sull’equilibrio del comodato tra familiari, soprattutto ove si consideri che la condizione di non autosufficienza dei figli maggiorenni può giungere ad un’estensione temporale estremamente ampia (art. 337 septies, co. 1, c.c.)36; essa, inoltre, può risultare tendenzialmente illimitata con riferimento al caso del figlio affetto da gravi patologie (art. 337 septies, co. 2, c.c.)37.
In questa prospettiva la soluzione adottata dalle Sezioni Unite, seppur apprezzabile laddove protegge l’affidamento dei figli del comodatario, fa emergere profili di asimmetria tra le parti e si presenta in termini di assoluta eccezionalità rispetto ai principi generali che governano il recesso dal contratto38.
3.1 Le possibili soluzioni interpretative
Muovendo da una prospettiva che valorizza le peculiarità del “comodato tra familiari” rispetto al comodato concluso tra soggetti non legati da rapporti di parentela o affezione appare opportuno individuare una regola che consideri adeguatamente il particolare affidamento che caratterizza le relazioni all’interno di un gruppo familiare unito e permetta di addivenire a soluzioni equilibrate nell’eventualità in cui il venir meno dell’unità familiare alteri e metta in pericolo gli affidamenti reciproci sui quali il contratto di comodato si reggeva originariamente. Dunque quella solidarietà che era presupposta nella famiglia unita e viene a mancare a seguito della crisi della coppia dovrebbe essere richiesta alle parti sia nella prospettiva di garantire il persistente godimento dell’immobile ai beneficiari, sia, talvolta, nell’ottica di non gravare ingiustificatamente la posizione del comodante.
In questa prospettiva sembra che la ricostruzione più convincente sia quella espressa nella decisione ove è valorizzata una lettura dell’art. 1809 c.c. in ragione della quale viene inteso il presupposto delle impreviste ed urgenti necessità in termini meno rigorosi di quelli normalmente adottati nel contesto del comodato concluso tra soggetti che non sono legati da rapporti di parentela39. Così, prendendo come modello di riferimento la fattispecie dell’abitazione concessa in comodato da una coppia di genitori di mezza età al figlio in procinto di formare una nuova famiglia, si può affermare che quel vincolo di destinazione dell’immobile alle esigenze della famiglia e quel termine di restituzione che le parti avevano implicitamente previsto dovrebbe essere valutato con un’intensità differenziata in ragione del passare del tempo e del mutare delle condizioni economiche e personali delle parti.
La soluzione che privilegia l’interesse dei nipoti alla permanenza nella casa familiare concessa in comodato dal nonno in linea di massima appare adeguata laddove il problema dell’assegnazione della casa si ponga per una famiglia che si è divisa dopo un periodo di armonia relativamente breve. In questo caso è richiesto al comodante-proprietario un sacrificio funzionale ad assicurare la permanenza nell’ambiente domestico ai nipoti ancora in tenera età e che grava su un comodante la cui condizione personale e patrimoniale dovrebbe essere ancora abbastanza simile a quella in cui si trovava al momento della consegna dell’immobile.
Nel caso in cui la crisi della coppia intervenga dopo un rapporto di lunga durata, invece, l’esigenza di valorizzare i legami di solidarietà nella famiglia anche quando la crisi della coppia abbia fatto venire meno quella armonia su cui il comodato tra familiari si fondava dovrebbe emergere avendo particolare riguardo alla posizione del comodante che, verosimilmente, concesse la casa in comodato confidando (implicitamente) sulla disponibilità del nucleo familiare beneficiario a venire incontro alle sue esigenze economiche e personali. A fronte di situazioni che possano rientrare nella fattispecie indicata, ad esempio, appare ragionevole adottare una lettura dell’art. 1809 c.c. che assecondi il diritto del comodante a conseguire la restituzione dell’immobile anche in presenza di mutamenti delle condizioni che – pur non rivestendo il carattere del bisogno urgente ed imprevisto – incidano significativamente sulla sua sfera personale ed economica e richiedano una particolare solidarietà da parte del nucleo familiare che durante il matrimonio abbia beneficiato della casa familiare in comodato.
Questa prospettiva, in effetti, appare condivisibilmente valorizzata proprio da una decisione delle Sezioni Unite, nuovamente intervenute sul tema, a distanza di dieci anni dalla prima decisione. In particolare la recente pronuncia di legittimità appare apprezzabile laddove – pur mantenendo fermo l’orientamento secondo cui il genitore convivente con i figli minorenni o maggiorenni non autonomi economicamente, assegnatario della casa familiare, può opporre il provvedimento di assegnazione al comodante che chieda il rilascio dell’immobile, qualora il contratto di comodato abbia originariamente previsto la destinazione del bene a casa familiare – valorizza significativamente il profilo della ricorrenza di bisogno del comodante; bisogno che deve presentarsi come imprevisto ed urgente, ma che, tuttavia, non deve necessariamente presentare il requisito della “gravità”40. La Corte ha, inoltre precisato che il coniuge separato, convivente con la prole minorenne o maggiorenne non autosufficiente ed assegnatario dell’abitazione già attribuita in comodato, che opponga alla richiesta di rilascio del comodante l’esistenza di una destinazione dell’immobile a casa familiare, ha l’onere di provare che tale era la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento, mentre spetta a chi invoca la cessazione del comodato dimostrare il sopraggiungere del termine fissato per relationem e, dunque, l’avvenuto dissolversi delle esigenze connesse all’uso familiare.
Da ultimo conviene osservare che, nell’attuale contesto normativo e giurisprudenziale, un’ulteriore possibile soluzione percorribile per limitare le gravi incertezze che inevitabilmente si pongono allorché si tratta di decidere sull’assegnazione della casa familiare in comodato può essere individuata nella valorizzazione dell’autonomia privata. In questa prospettiva si potrebbe immaginare, ragionando in termini ipotetici, che il proprietario, debitamente informato e consapevole dei complessi scenari che potrebbero delinearsi nel caso in cui sopraggiunga una crisi della coppia41, conceda in comodato un immobile al proprio figlio affinché lo destini all’abitazione familiare e, al tempo stesso, predisponga clausole nelle quali è previsto il diritto di recesso in caso di specifici eventi che attengono alla sua condizione personale e patrimoniale (riduzione del reddito, pensionamento, peggioramento delle condizioni di salute, vedovanza, ecc)42. Sempre in questo senso è possibile immaginare che il proprietario, d’accordo con il comodatario, stipuli un contratto che prevede un termine esplicito e lo rinnovi periodicamente.
1 C. cost., 613.5.1998, n. 166. In argomento v. Ferrando, G., L’assegnazione della casa familiare, in La separazione personale dei coniugi, a cura di G. Ferrando e L. Lenti, XXIII, Padova, 2011, 312 ss.; Amaglini, R., L’assegnazione della casa familiare, in Persone, famiglia e successioni nella giurisprudenza costituzionale, a cura di M. Sesta e V. Cuffaro, Napoli, 2006, 424426; Roma, U., L’assegnazione della casa familiare, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta e A. Arceri, Torino, 2012, 152.
2 Finocchiaro, M., Casa familiare (attribuzione della), in Enc. dir., Aggiornamento, I, Milano, 1997, 271; Tamburrino, G., Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, II, Torino, 1978, 277; Ceccherini, A., I rapporti patrimoniali nella crisi della famiglia e nel fallimento, Milano, 1996, 523. In giurisprudenza Cass., 5.6.1990, n. 5384; Cass., 18.9.2001, n. 11696.
3 Cass., 31.1.1986, n. 624; Cass., 19.6.1980, n. 3900.
4 Cass., S.U., 23.4.1982, n. 2494.
5 Morace Pinelli, A., La crisi coniugale tra separazione e divorzio, Milano, 2001, 251 e 258; Giacobbe, E., L’assegnazione della casa coniugale tra separazione e divorzio, in Rass. dir. civ., 1990, I, 138. In giurisprudenza Cass., 28.1.1998, n. 822; Cass., 26.9.1994, n. 7865; Cass., 7.7.1997, n. 6106.
6 Cass., 26.9.1994, n. 7865; Cass., 9.6.1990, n. 5632; Cass., 24.8.1990, n. 8699; Cass., 12.1.2005, n. 408.
7 Bianca, C.M., Diritto civile, II, Milano, 2014, 220; Zatti, P., I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Tratt. Rescigno, II, Torino, 1996, 265.
8 Per una rassegna giurisprudenziale, v. Cass., 9.6.1990, n. 5632; Cass., 20.11.1991, n. 12428; Cass., S.U., 28.10.1995, n. 11297, Cass., 17.7.1997, n. 6559; Cass., S.U., 22.7.2015, n. 15367; Cass., 15.1.1989, n. 376; Cass., 18.9.2013, n. 21334; Cass., 20.8.1997, n. 7770; Cass., 17.7.1997, n. 6559; Cass., 8.5.1998, n. 4679.
9 Cfr., da ultimo, Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20448; Cass., 22.7.2015, n. 15367.
10 Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20448.
11 Balestra, L., Gli effetti della dissoluzione della convivenza, in Riv. dir. priv., 2000, 493.
12 C. cost., 13.5.1998, n. 166; Trib. Milano, 23.1.1997, in Fam. dir., 1997, 560, decisione criticata da Carbone, V., Crisi della famiglia di fatto con figli: quale sorte per l’ex casa comune?, ibidem, 568.
13 Arceri, G., Sub art. 337sexies c.c., in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, Milano, 2015, 1313; Sesta, M., Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2015, 302.
14 Cass., S.U., 26.7.2002, n. 11096; Cass., 18.9.2009, n. 20144.
15 Cass., 22.7.2015, n. 15367.
16 Quadri, E., Assegnazione della casa familiare e tutela del coniuge più debole, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 237; Mantovani, M., Casa familiare (assegnazione della), in Enc. giur. Treccani, Roma, 2008; Id., L’assegnazione giudiziale della casa familiare tra interesse dei figli, interesse dei coniugi e diritti dei terzi, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, 441; Scarano, L.A., La casa familiare, in Familia, 2001, 148; Zatti, P., La separazione personale, in Tratt. Rescigno, III, Torino, 1996, 261; Di Nardo, M., Attribuzione giudiziale della casa familiare al coniuge non affidatario della parole, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I, 127; Id., Verso nuovi sviluppi del principio di eguaglianza tra i coniugi, ivi, 2004, II, 395; Bianca, C.M., Diritto civile, II, 1, Milano, 2014, 221; Quadri, E., L’attribuzione della casa familiare in sede di separazione e di divorzio, in Fam. dir., 1995. 277; De Paola, S., Il diritto patrimoniale della famiglia nel sistema del diritto privato, I, II ed. aggiornata con la collaborazione di S. De Paola, Milano, 2002, 421; Cubeddu, M.G., La casa familiare, Milano, 2005, 299.
17 Cass., 19.6.980, n. 3900; Cass., 24.8.1990, n. 8705.
18 Sesta, M., L’assegnazione della casa familiare tra «preminente» interesse dei figli e diritti degli altri familiari, 2014, 104; App. Venezia, 25.1.2013, n. 25, in DeJure; Quadri, E., Assegnazione della casa familiare e tutela del coniuge più debole, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, 240.
19 Sesta, M., Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, 387; C. cost. n. 308/2008, cit.
20 Trib. Napoli, 9.11.2006, in Foro it., 2007, I, 302; Trib. Firenze, 16.5.2007, in Fam. dir., 2007, 834.
21 C. cost., 30.7.2008, n. 308.
22 Cass., 2.10.2007, n. 20688; Cass., 15.9.2011, n. 18863.
23 Cass. SU, n. 13603/2004; Cass., 13.2.2006, n. 3072; Cass., 6.6.2006, n. 13260; Cass., 18.7.2008, n. 19939.
24 Cass. n. 19939/2008, cit.
25 Cass., 21.6.2011, n. 13592.
26 Tra le tante v. App. Firenze, 24.11.2011, n. 1337, in DeJure; Trib. Roma, 6.11.2009, n. 21656, in Guida dir., 2010, fasc. 2, 72; App. Ancona, 28.9.2010, n. 634, in DeJure.
27 Cass., S.U., n. 13603/2004, cit.; Cass., 2.10.2012, n. 16769.
28 In questo senso Scarano, L.A., Comodato di casa familiare e provvedimento di assegnazione in sede di separazione personale dei coniugi o di divorzio, in Familia, 2004, 895.
29 Acierno, M., L’opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale, in Fam. dir., 2005, 561.
30 Così Cass., 4.5.2005, n. 9253.
31 Cass. n. 9253/2005, cit.
32 Cass. n. 9253/2005, cit.; Cass., 13.3.2015, n. 5108.
33 Cass n. 3179/2007, cit.
34 Cass., 28.2.2011, n. 4917.
35 Cass. n. 4917/2011, cit.; per altri casi peculiari, cfr. Cass., 30.6.2010, n. 18619; Cass., 7.7.2010, n. 15986.
36 Sesta, M., Sub art. 147 c.c., in Codice della famiglia,a cura di M. Sesta, Milano, 2009, 611; Arceri, G., Sub art. 155 quinquies c.c., in Codice della famiglia, cit., 783; Rossi, C., Il mantenimento dei figli, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di M. Sesta e G. Arceri, Torino, 2011, 256.
37 Arceri, G., Sub art. 155 quinquies c.c., cit., 762.
38 Gabrielli, G.Padovini, F., Recesso, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, 4; De Nova, G., Recesso e risoluzione nei contratti: appunti da una ricerca, in Recesso e risoluzione dei contratti, a cura di G. De Nova, Milano, 1994, e ora in De Nova, G., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 637; Fragali, M., in Comm. c.c. Scialoja-Branca, II, Bologna-Roma, 1967, 316; Torrente, A.Schlesinger, P., Manuale di diritto privato, a cura di F. Anelli e C. Granelli, Milano, 2011, 761; Schininà, G., Il comodato, in Tratt. dir. civ. Lipari-Rescigno, coordinato da A. Zoppini, Milano, 2009, 214; Cass., 3.11.2004, n. 21059.
39 Sul punto cfr. Cass. n. 4917/2011, cit.
40 Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20448.
41 Balestra, L., Gli effetti della dissoluzione della convivenza, cit., 488.
42 Cass., 12.3.2008, n. 6678.