Comparatistica
Nell'ambito degli studi umanistici la c. è fra i campi che hanno subito negli ultimi decenni le trasformazioni più radicali. Questo è avvenuto soprattutto grazie a un allargamento dei suoi confini, che rischia talvolta di produrre una perdita di specificità, o un appiattimento su altri settori paralleli come l'antropologia o la storia culturale (i Cultural Studies). D'altronde già nel 1958 R. Wellek parlava di crisi delle letterature comparate, dovuta proprio alla difficoltà di definirne l'oggetto di studio. Il comparatista è pertanto una figura che viola i confini: fra le tradizioni nazionali, fra la letteratura e le altre arti, fra la critica letteraria e gli altri saperi. La sua specificità istituzionale risiede proprio nell'invadere i campi altrui, alla ricerca di costanti che legano epoche, culture, generi e forme spesso assai distanti fra di loro.
L'allargamento più consistente dei confini della c. ha coinvolto l'aspetto che più definisce il suo statuto di disciplina: il rapporto fra letterature nazionali e dimensione sovranazionale. Le letterature comparate nascono infatti proprio nel momento in cui si percepiscono e si propugnano le identità nazionali, nel primo romanticismo, e non a caso nello Stato-nazione più antico e più orgoglioso, la Francia: è la coscienza stessa delle singole tradizioni che spinge a compararle. Il modello eurocentrico di un confronto tutto interno alla tradizione occidentale, sia nella variante del rapporto fra due letterature (la scuola francese), sia in quella pluralistica dello studio di temi e di generi (la scuola americana), è comunque entrato fortemente in crisi nell'epoca del multiculturalismo (Comparative literature in the age..., 1995). L'apertura verso l'alterità, che è un po' la quintessenza dell'atteggiamento comparatista, non è stata però un processo anodino: non si tratta infatti soltanto di aggiungere nuove e più esotiche voci al confronto letterario, e di fare quindi una sommatoria di etnie, sempre più chiuse nel proprio microcosmo. L'ideale liberal del melting pot americano, della coesistenza pacifica fra le diverse nazionalità, si è rivelato da tempo insufficiente: sia perché rimuoveva le varie forme di conflittualità, sia perché si basava su un'idea troppo rigida ed essenzialista di identità etnica, contestata soprattutto da parte degli studi postcoloniali, che vi hanno contrapposto un modello più dinamico, basato sulla continua ibridazione con l'altro. Il problema che caratterizza la c. del 21° sec. non è dunque solamente l'ampliamento a dismisura dei suoi oggetti di studio, che comporta sempre il rischio di un accumulo di testi analizzati senza la dovuta attenzione ai loro contesti di origine; ma ancor più la crisi radicale che investe il concetto stesso di nazione; la tensione fra localismo e cosmopolitismo si fa infatti più acuta in un'epoca che appare dominata dalla deterritorializzazione.
Ritorna dunque al centro della c. un fortunato concetto di J.W. Goethe, la Weltliteratur: Goethe lo aveva espresso sottolineando la straordinaria circolazione delle opere in epoca moderna; dopo è stato inteso di volta in volta come insieme tendenzialmente infinito di tutta la produzione letteraria mondiale, o come canone delle opere più significative, o di quelle che hanno maggiore diffusione. Ormai si tende a leggerlo non più in una forma estensiva (lo scambio internazionale), ma come segno di una dimensione transnazionale della letteratura: una dimensione in cui le differenze fra centro e periferia sono continuamente sovvertite. La c. contemporanea predilige infatti una serie di temi, che diventano simbolo di un'identità mobile e fluttuante: il nomadismo, la diaspora, la migrazione, l'esilio, il meticciato. Temi che rientrano in una visione della scrittura letteraria come viaggio attraverso l'alterità: in quella che lo scrittore martinicano E. Glissant definisce poetica della relazione, basata sull'erranza e sullo sradicamento (o, meglio, sull'idea deleuziana di radice multipla; Glissant 1990 e 1996; I volti dell'altro, 2003).
All'interno di questa serie assume un forte rilievo il tema dello straniero: soprattutto da quando in tempi recenti si è sviluppata una scienza autonoma, l'imagologia, una branca della letteratura comparata che, in parallelo con le ricerche di antropologia e di etnopsicologia, studia le immagini culturali che i popoli hanno di sé stessi e degli altri; immagini, stereotipi, miraggi, che la letteratura contribuisce nello stesso tempo a formare e a smontare criticamente (Pageaux 1992; Lo straniero, 1997). Lo straniero è una figura liminale, che sta a metà fra l'interno e l'esterno della comunità, nei suoi interstizi: posizione privilegiata da cui può osservarla criticamente; proprio per questo, da Ch. Baudelaire in poi, è stato accostato all'artista, che non si sente in patria in nessun luogo. Non a caso lo straniamento è considerato, dai formalisti russi, il procedimento che più caratterizza la creazione: vedere la realtà da occhi estranei, come se fosse la prima volta, e guadagnare così una prospettiva eccentrica e rivelatrice.
L'allargamento più significativo della c. contemporanea, e più foriero di sviluppi per il nuovo millennio, è il confronto sistematico fra le letterature orientali e quelle occidentali: gli East and West Studies. Le due civiltà che si sono per secoli contrapposte, e su cui si sono stratificati innumerevoli stereotipi (l'orientalismo, l'occidentalismo), tentano dunque di leggersi in parallelo, senza sovrapporre i propri schemi preconcetti, e ascoltando la voce e il linguaggio dell'altro (è un fenomeno strettamente legato all'espansione che la c. sta vivendo in Paesi come il Giappone e la Cina).
Il problema di un ascolto attento dell'altro è centrale. Nel suo Death of a discipline (2003, titolo che sfrutta uno stilema per certi versi abusato; trad. it. 2003), G.Ch. Spivak - teorica femminista e postcoloniale molto ispirata, fra l'altro, da A. Gramsci - propugna una nuova c., che dovrebbe nascere dalle ceneri di quella eurocentrica, e che dovrebbe evitare sia gli eccessi ideologici dei Cultural Studies, sia la superficialità degli studi di area, proprio grazie alla sua attenzione allo studio dei testi nella lingua originale; un'attenzione che la c. ha avuto in realtà da sempre, così come da sempre si è occupata dei problemi della traduzione come mediazione fra le culture (Bassnett 1993). Un simile, cauto, ritorno all'umanesimo si ritrova anche in un altro intellettuale guida degli studi postcoloniali, E. Said, che ha indicato nella figura di E. Auerbach (con cui ha sentito forte congenialità) il modello di una c. che nasce dal trauma dell'esilio (Mufti 2000).
L'allargamento dei confini della c. è dunque un fenomeno ambivalente: da un lato ne accresce il potenziale euristico, mettendola in dialogo con i nodi cruciali della cultura contemporanea; dall'altro rischia di far svanire ogni specificità dell'immaginario letterario, identificando in modo troppo meccanico la letteratura e la cultura che la esprime. Queste osservazioni valgono anche per un altro campo in cui si è mossa la critica degli ultimi decenni: l'identità sessuale. Non c'è dubbio che il comparatismo femminista abbia dato un contributo fondamentale, attaccando alcune chiusure eurocentriche del femminismo tradizionale; così come gli studi sul gender e la teoria queer hanno superato una rivendicazione ingenua della differenza che c'era all'inizio negli studi gay e lesbici, delineando una visione complessa e destabilizzante della sessualità e dei suoi binarismi (maschile/femminile, eterosessualità/omosessualità). Sono ricerche che rientrano nella c., perché lavorano sull'elaborazione di alcuni temi, e su come la letteratura abbia contribuito alla costruzione o allo sgretolamento dei ruoli sociali e sessuali; se ne allontanano talvolta però, quando mettono fra parentesi l'analisi dei testi, usandoli come documenti ideologici.
Un'altra frontiera su cui si muove la c. contemporanea, ricca di potenzialità per il futuro, è il confronto fra la letteratura e le altre arti (Interrelations of literature, 1982; La letteratura e le altre arti, 2006). Un confronto che è sempre stato attuato dall'estetica e dalla teoria letteraria (da Orazio a G.E. Lessing, da R. Wagner a S.M. Ejzenštejn), ma che assume un significato particolarmente pregnante, in un'epoca in cui, a causa delle nuove tecnologie, l'immaginario è diventato sempre più polimorfico. Di fronte a questa situazione, in cui la letteratura gioca inevitabilmente un ruolo più marginale rispetto al passato, non ha senso chiudersi nella difesa puristica della tradizione; al contrario, confrontare la letteratura con gli altri linguaggi artistici (dai più antichi ai più recenti, dall'arte figurativa a Internet), rinunciando a ogni imperialismo della scrittura, e a ogni senso logocentrico di superiorità, significa mettere meglio a fuoco le sue peculiarità, e in fondo la sua insostituibilità. Il confronto con le altre arti si può esplicare a vari livelli: il primo, e più immediato, è l'analisi degli adattamenti (performances teatrali, film, illustrazioni, video), analisi che va condotta evitando di considerare la trasposizione come una mera applicazione del testo letterario, sulla scia dell'infausto mito della fedeltà; una prospettiva interessante è studiare i cosiddetti talenti plurimi: artisti che si sono espressi in più linguaggi (per es. Michelangelo, W. Blake, A. Strindberg, P.P. Pasolini). Altra prospettiva ricca di potenzialità è quella tematica, in grande espansione nella teoria letteraria: sia nel senso della trasmigrazione dei temi in più generi artistici, sia in quello più specifico delle singole arti che diventano temi letterari, come la musica nel romanticismo, o il cinema nel postmoderno. D'altronde la letteratura ha sempre teso a trascendere le limitazioni della parola, descrivendo opere d'arte o brani di musica, e più in generale mirando a una dimensione visiva, sonora, o performativa.
Si parla sempre più spesso di crisi della critica letteraria, sia a causa della marginalità che gli studi letterari rivestono nella cultura contemporanea, sia come reazione a un eccesso di tecnicismo e di gergalità (Lavagetto 2005; Theory's empire, 2005). Talvolta vi si contrappone, come antidoto, il concetto di eticità della letteratura; ma se è vero che i testi letterari hanno una funzione conoscitiva, è anche vero che è assai rischioso leggerli solo come espressione di valori, proprio perché la letteratura è un linguaggio ambiguo, che tende a destabilizzare ogni verità, e a esprimere il represso e l'indicibile. Questa crisi deriva anche da un'eccessiva unilateralità: se a suo tempo si è privilegiato lo studio delle strutture narrative o delle figure retoriche, negli ultimi anni ci si è concentrati solo sulle dinamiche dell'etnia, del potere, e della differenza sessuale. Forse un pragmatico eclettismo (Ceserani 1999) può essere una risposta valida a questa crisi dei metodi, soprattutto perché asseconda le innumerevoli sfide che la densità dei testi letterari continua a porre, senza incasellarla in un'unica lettura onnicomprensiva. La c. è per sua natura un campo di studi eclettico, che non rifiuta lo studio specialistico delle singole letterature (da cui inevitabilmente parte), ma tende continuamente a trascenderlo: se evita di assecondare troppo le mode culturali e i gergalismi, e se conserva allo stesso tempo un'apertura dialogica verso i grandi temi della contemporaneità, può svolgere un'importante funzione - anche nel livello istituzionale di insegnamento in trasformazione - mostrando come la letteratura abbia ancora un potenziale simbolico inesauribile.
bibliografia
R. Wellek, The crisis of comparative literature, in Concepts of criticism, ed. S.G. Nichols Jr, New Haven 1963 (trad. it. Bologna 1970).
Interrelations of literature, ed. J.-P. Barricelli, J. Gibaldi, New York 1982.
E. Glissant, Poétique de la rélation, Paris 1990.
D.H. Pageaux, De l'imagologie à la theorie en littérature comparée. Eléments de réflexion, in Europa provincia mundi. Essays in comparative literature and european studies offered to Hugo Dyserinck, ed. J. Leerssen, K.U. Syndram, Amsterdam 1992, pp. 297-308.
S. Bassnett, Comparative literature. A critical introduction, Oxford 1993 (trad. it. Introduzione critica alla letteratura comparata, Roma 1996).
Comparative literature in the age of multiculturalism, ed. C. Bernheinmer, Baltimore 1995.
E. Glissant, Introduction à une poétique du divers, Paris 1996 (trad. it. Poetica del diverso, Roma 1998).
Lo straniero, a cura di M. Domenichelli, P. Fasano, 2 voll., Roma 1997.
R. Ceserani, Guida allo studio della letteratura, Bari 1999.
A.R. Mufti, "Auerbach in Istanbul": Edward Said, secular criticism and the question of minority culture, in Edward Said and the work of the critic, ed. P.A. Bové, Durham 2000, pp. 229-56.
I volti dell'altro. Letterature della diaspora e migranti, a cura di P. Boi, R. Ben Amhara, Cagliari 2003.
M. Lavagetto, Eutanasia della critica, Torino 2005.
Theory's empire. An anthology of dissent, ed. D. Patai, W.H. Corral, New York 2005.
La letteratura e le altre arti, a cura di M. Polacco, in Contemporanea, 2006, 3.