Comparazione giuridica
Accanto al metodo sperimentale la comparazione rappresenta uno dei mezzi fondamentali di acquisizione delle conoscenze, che può essere utilizzato per illuminarci e per favorire il progresso nelle diverse scienze. Nel campo delle scienze naturali il primo posto spetta senza dubbio al metodo sperimentale, mentre al contrario il metodo comparativo sembra dover avere il primo posto nelle scienze sociali. In queste ultime, in effetti, non è facile tentare degli esperimenti che gli interessati potrebbero non accettare o dei quali rischierebbero di fare le spese e di essere le vittime; sarà invece sempre possibile osservare come i rapporti sociali sono organizzati in posti diversi, per ricavare una lezione dai risultati, felici o meno, ottenuti.
Il metodo comparativo, in campo giuridico, può essere considerato sotto un duplice aspetto. In primo luogo, senza superare le frontiere di uno Stato, si possono confrontare le soluzioni date ad alcuni problemi di natura giuridica nei diversi campi del diritto in vigore in un determinato Stato: quale sia la procedura seguita, quali le soluzioni adottate sulla base delle diverse consuetudini (regionali, etniche o religiose) o secondo che si abbia a che fare con un rapporto che rientra nell'ambito del diritto civile o del diritto penale, del diritto amministrativo o del diritto del lavoro. In secondo luogo, a livello internazionale, si può confrontare il modo in cui è concepito il diritto e amministrata la giustizia nei diversi paesi. Si tratta di una comparazione 'interna' nel primo caso, mentre nel secondo si tratta di quello che viene definito sia nei paesi di lingua latina che in quelli di lingua inglese 'diritto comparato' (droit comparé, comparative law).
È una terminologia consolidata che noi accetteremo, anche se comporta un certo pericolo: quello di vedere nel diritto comparato una branca speciale del diritto analoga a quello che sono, per esempio, il diritto amministrativo, il diritto penale o il diritto del lavoro, con la conseguenza che tale branca interesserà una sola categoria di giuristi, quelli che si definiscono 'comparatisti'. Il diritto comparato, invece, non è altro che un metodo - il metodo comparativo - applicato per comparare tra loro più ordinamenti giuridici distinti e interessa tutti i giuristi, in qualunque branca particolare del diritto siano specializzati. La natura della comparazione giuridica viene specificata in modo più preciso nelle lingue germaniche o slave: in tedesco dal termine Rechtsvergleichung, in russo con sravnitel'noe pravovedenie.
Occupiamoci anzitutto di quella che abbiamo definito comparazione interna, vale a dire quella che può essere stabilita tra concezioni, tecniche o norme relative al diritto, che si possono osservare all'interno di un determinato Stato. A questo proposito occorre fare due osservazioni. La prima è che il diritto è per sua natura un fenomeno sociale, non necessariamente statuale. Il diritto è esistito di fatto prima della nascita e dello sviluppo dello Stato, qual è concepito al giorno d'oggi, e può esistere in comunità diverse da quelle formate dalle varie nazioni. Ancor oggi non si è ritenuto necessario, desiderabile o praticabile, in alcuni Stati, identificare diritto e Stato come invece è avvenuto in altri. Per molto tempo, anche in Europa, il diritto è consistito in una molteplicità di consuetudini regionali e locali; ancor oggi, in Gran Bretagna, il diritto scozzese è ben diverso dal diritto inglese, e in Spagna, accanto al derecho común, esistono forme di diritto specifiche di alcune regioni (derechos forales). Anche in numerosi Stati che hanno una struttura federale, accanto a un diritto federale valido per l'intera nazione, con un suo maggiore o minore campo di applicazione, si possono trovare una pluralità di diritti particolari propri dei diversi Stati (Stati Uniti d'America, India, Brasile, Australia), delle diverse repubbliche (ex URSS), delle diverse province (Argentina, Canada) o cantoni (Svizzera). In altri casi il diritto è stato unificato solo in alcuni campi, e lo 'statuto personale' - inteso in modo più o meno vasto - è ancora regolato da diritti diversi (secondo la religione degli interessati o la loro appartenenza etnica). Il dharma indù, la cui autorità non è stata minimamente annullata dall'instaurazione di un diritto statale, tiene conto delle caste e delle sottocaste per regolare i diritti e i doveri degli indù. In numerosi paesi dell'Africa si distingue allo stesso modo un diritto 'moderno', applicabile in alcune circostanze, da un diritto 'tradizionale', applicabile in altre. Una prima applicazione del metodo comparativo, in campo giuridico, consiste nel comparare tra loro i differenti sistemi o ordinamenti giuridici che coesistono in un determinato Stato.
La seconda osservazione consiste nel rilevare che le possibilità che si aprono a una comparazione interna non si fermano a questo punto. Può accadere, e infatti avviene spesso, che il diritto di un determinato paese sia stato unificato. C'è quindi, in questo paese, solo un diritto statale, sottoposto alla volontà degli organi sovrani dello Stato. Anche in questo caso, tuttavia, resta possibile e pieno di interesse un certo tipo di comparazione interna. Il diritto, quando si sia respinta una concezione pluralista giudicata spesso superata e inaccettabile ai nostri giorni, non diventa per questo un blocco compatto e monolitico interamente omogeneo. Continua a dividersi in un certo numero di settori. Secondo le diverse tradizioni giuridiche si possono distinguere diritto pubblico e diritto privato, common law ed equity, diritto tradizionale e diritto moderno, e all'interno di questi grandi settori spesso ne verranno riconosciuti e accettati altri: diritto civile e diritto commerciale, diritto penale, diritto costituzionale e diritto amministrativo, diritto sociale e diritto del lavoro, diritto dei kolchozy, diritto internazionale privato, diritto processuale, ecc. Si presenta così una seconda possibile applicazione del metodo comparativo: comparare ciò che viene fatto rispetto alla procedura e alle soluzioni sostanziali nelle diverse branche, i concetti e le tecniche che sono utilizzati, l'ideologia che li guida.
La comparazione interna, nelle due applicazioni che se ne possono fare, sembra dover essere relativamente facile e si può sperare d'altra parte che essa possa dare dei risultati. È relativamente facile in quanto è fatta tra elementi alla portata dei giuristi, i quali sono perfettamente in grado di conoscerli e comprenderli; la comparazione ha luogo in un ambito che è loro familiare, tra forme di diritto che non sono loro interamente 'estranee'. Può dare inoltre dei risultati in quanto un organismo, lo Stato, domina l'intera scena ed è qualificato per mettere a profitto le osservazioni e i suggerimenti che i giuristi potranno fare a conclusione dei loro studi.
Soprattutto nel primo campo che abbiamo segnalato, la storia ci insegna che è stato necessario molto tempo perché venisse avvertito l'interesse che avrebbero potuto presentare studi comparativi e ci dice che vennero perfino sollevate obiezioni di principio rispetto a studi di questo tipo. Tali studi risvegliavano infatti il sospetto che si volesse, attraverso la comparazione, preparare un riavvicinamento o una riunificazione dei diritti presi in considerazione e questa prospettiva era in molti casi inaccettabile agli occhi degli interessati. Il diritto musulmano in particolare, essendo parte di una religione rivelata, non si prestava ad alcun cambiamento, né la situazione era molto diversa nel caso di diritti relativi ad altre comunità religiose o etniche che consideravano fondamentale, per preservare la loro identità e le loro credenze, difendere il proprio diritto contro le contaminazioni derivanti da altri sistemi giuridici.In teoria sarebbe stato vantaggioso procedere a delle comparazioni avendo come unico scopo la comprensione e la conoscenza, ma in pratica questo è avvenuto raramente perché ogni comparazione sarebbe stata sospetta. Sono stati più che altro gli stranieri, pur in condizioni meno favorevoli per farlo rispetto agli indigeni, che hanno potuto procedere talvolta a questi tentativi. I giuristi locali, che in generale erano soprattutto dei semplici operatori, si sono limitati allo studio della particolare consuetudine applicata dalla loro giurisdizione. Sono state così compilate raccolte di giurisprudenza legate specificamente alle consuetudini nazionali, ma è stato necessario attendere molto tempo perché ci si preoccupasse di comparare tra loro le consuetudini - del resto sempre in vista di una qualche unificazione - per scoprire, al di là delle loro differenze, un fondo comune.
In Francia, se già Antoine Loisel, nella prefazione alle sue Institutions coutumières del 1607, afferma che intende "portare alla conformità di una sola legge" le province francesi, soltanto nel 1679 un editto prescrive che nelle università vengano insegnati "i principî del diritto francese", e soltanto nella prima metà del XVIII secolo appaiono opere che già nel titolo manifestano l'intenzione dei loro autori di superare il quadro delle consuetudini particolari: Le droit commun de la France et la coutume de Paris réduits en principes (1720) di François Bourjon, Règles du droit français (1730) di Claude Pocquet de Livonnière. Già nel 1631 nei Paesi Bassi, approfittando di un suo soggiorno in prigione, Grozio pubblica una Introduzione alla scienza del diritto olandese, ma bisogna attendere la svolta del XX secolo perché Otto von Gierke in Germania e Eugen Huber in Svizzera facciano riconoscere che in certe materie, al di sopra delle consuetudini o delle compilazioni regionali, esistono un Deutsches Recht e dei principî che regolano la varietà dei diritti cantonali. In Gran Bretagna, già dal regno di Giacomo I si pensa alla possibilità di unificare diritto inglese e diritto scozzese, ma nessuna opera giunge a preparare questa unificazione comparando i due diritti e il progetto così formulato resta in queste condizioni lettera morta.
Le cose avrebbero potuto cambiare nel XIX secolo, quando in un numero crescente di paesi si è dato inizio a un'opera di codificazione. Tuttavia la scuola del diritto naturale che ispira questa nuova tendenza ripone una tale fiducia nella 'ragione' - e i promotori della codificazione hanno una tale volontà di rinnovare la società dalle fondamenta - che ci si cura assai poco di esplorare il terreno su cui ci si accinge a costruire un ordine nuovo. Personalmente ho ritrovato lo stesso stato d'animo in Etiopia quando, incaricato di redigere un abbozzo per un progetto di codice civile, mi sono sentito dire: "Perché volete studiare e conoscere i nostri costumi, dal momento che vi accingete a cambiarli?"
Gli studi di diritto comparato, in questo campo della comparazione interna, sono stati dunque frenati, quando non completamente dismessi, dal timore di vederne scaturire un'opera di unificazione di cui non si voleva sentir parlare o che era prematura. Quando sono scomparse le reticenze relative a una tale opera, gli stessi studi sono stati a torto giudicati inutili, in quanto si è creduto di potersi collocare sotto la guida della sola ragione e si è sottovalutato il substrato della tradizione mentre si sopravvalutava il potere dell'autorità statale.
Malgrado il tono un po' scettico che caratterizza queste osservazioni, resta vero che la comparazione giuridica può svolgere, e ha effettivamente svolto, un ruolo assai importante nel campo qui considerato. Nella Francia antica il diritto romano da una parte e le consuetudini di Parigi dall'altra sono stati certamente presi in considerazione e utilizzati, in larga misura, per completare e all'occasione modificare consuetudini locali o regionali giudicate insufficienti o desuete. Nei paesi a maggioranza musulmana il diritto musulmano ha determinato l'abbandono delle consuetudini da parte delle popolazioni non musulmane in alcuni settori in cui i loro costumi e le loro credenze non imponevano di resistere a questa 'invasione': così i cristiani dell'Armenia hanno potuto adottare la norma del diritto musulmano che nelle successioni attribuisce una parte doppia ai figli maschi rispetto alle figlie femmine. Ultimo esempio, infine, più recente: si è temuto negli Stati Uniti che, nelle materie in cui non esisteva legge federale, la giurisprudenza dei tribunali degli Stati, non sottoposta al controllo della Corte Suprema, giungesse a intaccare l'uniformità, almeno teorica, della common law americana. Su iniziativa di un'associazione privata, l'American Law Institute, è stata intrapresa un'opera di vasta portata: il Restatement of the law. Nelle materie non particolarmente trattate dai legislatori degli Stati, gli autori del Restatement hanno analizzato la giurisprudenza dei tribunali dei diversi Stati e proposto di seguire le norme che, in base a questa analisi, sembravano più conformi allo spirito della common law americana. È difficile valutare con precisione l'influenza che ha potuto svolgere nella pratica quest'opera d'informazione, con i suggerimenti che essa comportava: si ritiene comunque che questa influenza non sia stata affatto trascurabile.
Altrettanto importante, negli Stati Uniti, è risultato il modo in cui è stato concepito l'insegnamento nelle scuole di diritto delle grandi università. Questo insegnamento ha dato largo spazio alla comparazione giuridica prendendo in considerazione in tutte le materie, al di là della giurisprudenza dello Stato in cui le diverse scuole si trovavano, la giurisprudenza di tutti gli Stati dell'Unione, e chiedendo agli studenti di conciliare questa giurisprudenza in un'opera di sintesi improntata a una preoccupazione unitaria rispetto alla common law americana.
Al giorno d'oggi, in molti paesi, la pluralità degli ordinamenti giuridici che ancora coesistevano fino a poco tempo fa è venuta a cadere e vi è ormai soltanto un diritto nazionale dello Stato, applicabile a tutti da parte dei tribunali. Non per questo tuttavia la comparazione giuridica interna è fuori gioco, in quanto un altro problema sollecita a questo punto i giuristi.
Il diritto, per quanto coerente e uniforme sia divenuto, si presenta inevitabilmente - data la sua attuale complessità e non fosse altro che a fini di insegnamento - come un tutto che comprende un certo numero di branche. In ciascuna di queste si trovano norme diverse, processuali e sostanziali, e può accadere che nella formulazione e nell'applicazione di queste norme regni uno spirito diverso. Il desiderio di comparare ha provocato, come si è detto, forti reticenze e ha, tutto sommato, ispirato pochi tentativi negli Stati in cui regnava, in campo giuridico, il pluralismo. Che cosa avviene quando si consideri quest'altro aspetto della questione dovuto alla divisione del diritto in branche?
In questo caso non si tratta più dell'autonomia che tenderebbero a conservare comunità legate a determinate credenze o preoccupate delle loro tradizioni. La divisione del diritto in branche è soprattutto un fatto tecnico, che a prima vista sembra dovuto all'esigenza di facilitare l'esposizione, la conoscenza e l'insegnamento del diritto. Questo è soprattutto il punto di vista costantemente affermato nei paesi di lingua inglese dove regna la common law: le divisioni del diritto, si afferma volentieri in questi paesi, sono soltanto un'espressione di convenienza e non si riuscirebbe a scoprire un solo elemento specifico che possa distinguerle le une dalle altre. Allo stesso modo, in questi paesi, non si potrà trovare nessuna opera che abbia la pretesa di comparare le procedure e le soluzioni accettate nel campo del diritto civile, commerciale, amministrativo o sociale; l'unità della common law sembra opporsi a ogni lavoro di questo tipo. Questo modo di vedere, tuttavia, corrisponde veramente alla realtà? L'esame dei paesi della famiglia romano-germanica e più ancora, forse, quello della famiglia del diritto 'socialista' (marxista-leninista) inducono a dubitarne, o almeno ci mostrano che in alcuni paesi la cosa può svolgersi in modo diverso. Certamente, per quanto concerne organizzazione giudiziaria, procedura e prove, in numerosi paesi possono essere state adottate soluzioni diverse a seconda che si tratti di questioni relative a questa o quella branca del diritto. Esistono giurisdizioni organizzate differentemente in materia civile (e talvolta commerciale), penale, costituzionale, amministrativa (e talvolta fiscale), sociale e del lavoro. È un buon esempio di questa realtà la Germania Federale, che conta almeno cinque Corti Supreme federali per queste diverse materie. Che vi sia unità o pluralità di giurisdizioni, sono spesso previste procedure differenti a seconda che ci si trovi in un campo piuttosto che in un altro, e lo stesso può avvenire per il diritto delle prove. Quando si osservino queste differenze, non ci si può non domandare se esse siano giustificate e se in una giurisdizione non sarebbe opportuno regolare la procedura adottata su quella seguita in un'altra giurisdizione: la comparazione, approdi o no a un risultato concreto, serve almeno a illuminare il nostro diritto.
Lasciando da parte organizzazione giudiziaria e procedure, succede spesso che vengano applicate norme sostanziali diverse a seconda che ci si trovi in questa o quella branca del diritto. Questa diversità può essere giustificata: può essere giusto in questa o quella materia ispirarsi a considerazioni specifiche e a un certo spirito proprio della materia. Lo spirito umano - e più in particolare forse quello dei giuristi - è portato, o almeno disposto, a essere conservatore e abitudinario. La comparazione è feconda in quanto stimola lo spirito critico. La comparazione, in Francia, tra diritto civile e diritto commerciale da una parte, diritto civile e diritto amministrativo dall'altra, non può mancare di dar luogo a riflessioni che non si imporranno nello stesso modo se ciascuno resterà chiuso nell'ambito della propria specialità.
Esistono ancora oggi ragioni valide per applicare regole diverse secondo che si abbia a che fare con un commerciante o con un non commerciante, oppure con un'azione che rientra o no nell'ambito del commercio? La distinzione poteva essere giustificata in altri tempi, ma non può esserlo oggi, almeno in tutta la portata che le viene data. Senza chiamare in causa la distinzione in linea di principio tra diritto pubblico e diritto privato, è conforme a giustizia che soluzioni diverse vengano applicate dai tribunali giudiziari e amministrativi in caso di imprevidenza, o quando si tratta di un incidente automobilistico, oppure quando viene imposta una servitù al proprietario di un immobile? Quando si arriva a comparare le soluzioni accettate nelle diverse branche del diritto, si può addirittura essere turbati dalla loro diversità, non giustificata da alcuna considerazione valida, anche se all'origine può esserci stata una buona ragione per applicare regole diverse.
In Gran Bretagna, benché i giuristi insistano sull'unità della common law, per diversi secoli si è fatta una distinzione tra la common law stricto sensu e l'equity. Già nel XVI secolo, nel 1523, Christopher Saint-Germain si era dedicato a comparare tra loro, nella sua opera Doctor and student, queste due componenti del diritto inglese. Nel corso degli ultimi cento anni la comparazione ha sollecitato la realizzazione di importanti riforme che hanno dato una nuova base a questa divisione e che l'hanno, in una certa misura, razionalizzata prendendo da ciascuna delle due componenti ciò che essa portava di positivo.Sottolineando l'interesse della comparazione giuridica, noi non intendiamo in alcun modo raccomandare una uniformazione del diritto, che metterebbe fine all'autonomia delle sue diverse branche. Può essere perfettamente legittimo e addirittura auspicabile che siano osservate norme, procedure e pratiche diverse a seconda che ci si trovi nell'uno o nell'altro campo. Ma non è certo meno legittimo e auspicabile chiedersi se in questo o quel caso tale diversità sia, nella sua attuale portata, giustificata. Le diverse branche del diritto, in ragione dell'autonomia che esse rivendicano e che è loro riconosciuta, offrono al giurista un campo di osservazione pieno di interesse. Non sono soltanto le norme processuali e sostanziali che possono essere prese in considerazione; andando al di là di questi elementi di ordine tecnico, la comparazione giuridica applicata alle diverse branche del diritto può prendere in considerazione la concezione stessa del diritto alla quale si è dato corso, lo spirito che anima e guida le diverse branche. Essa osserverà che in una certa branca (per esempio il diritto privato) viene messa al primo posto l'eguaglianza tra le parti, mentre un'altra (il diritto amministrativo) è fondata su un'idea di gerarchia: non si può quindi ritenere che, in molti casi, l'eguaglianza tra le parti nei rapporti di diritto privato costituisca una pura finzione? La comparazione farà anche emergere che per quanto concerne alcuni tipi di rapporti vengono messi in primo piano il rigore e la certezza delle norme mentre per altri rapporti vi è una fondamentale preoccupazione per l'equità e l'armonia sociale. In un caso la nozione centrale del diritto è quella dei 'diritti soggettivi', in altri si può vedere nelle prerogative riconosciute ai cittadini il compito a essi affidato di esercitare una certa 'funzione sociale'; le prerogative attribuite loro lo saranno nell'interesse di altri: della società o di individui incapaci che hanno bisogno di una protezione. Per utilizzare una terminologia inglese, essi saranno dei trustees in cui la società, un gruppo sociale, o anche una persona privata avrà riposto la sua fiducia (trust) perché essi agiscano secondo la loro coscienza - o secondo norme più precise - in vista di un certo interesse, che potrebbe non essere esclusivamente il loro interesse personale.
La comparazione giuridica, tenendo conto di queste diverse concezioni, si interrogherà sullo spazio che deve essere riconosciuto alle une e alle altre. Il principio di eguaglianza, che è alla base del diritto privato, non deve forse essere abbandonato da questo diritto, in virtù di altre considerazioni, per difendere i privati contro i pericoli della produzione di massa e della pubblicità (diritto dei consumatori) o per tener conto della diversa forza degli uni e degli altri (diritto del lavoro)? Si può anche pensare che alle norme debba essere accordata una maggiore flessibilità nel caso di rapporti che si vogliono basati su una preoccupazione di armonia e di coesistenza (diritto di famiglia, diritto sociale); la situazione è diversa quando si tratta di rapporti tra estranei o di rapporti tra persone che, unite da legami familiari o dalla loro partecipazione a un'impresa comune, sono destinate a vivere insieme. Una eterna rivalità oppone 'diritto stretto' ed equità, certezza del diritto e cambiamento. Quale ruolo deve essere attribuito all'una e all'altra di queste rivendicazioni contrapposte?
Le osservazioni che si possono fare a questo proposito non interessano soltanto la tecnica giuridica: andando più in là, esse possono riflettere una certa visione della società. Un episodio drammatico ha avuto luogo nell'URSS, con la 'liquidazione', in una certa fase, di coloro che, contestando il rigore del principio della legalità socialista, hanno voluto dispensarne le imprese collettivizzate, sottoponendole soltanto alla nuova categoria del 'diritto economico' che, secondo la formula di Lenin, sarebbe soltanto un semidiritto. Il momento non era ancora maturo per l''estinzione del diritto' annunciata da Engels, e i protagonisti del diritto economico pagarono assai cara la loro fretta eccessiva, che venne condannata dal procuratore generale dell'URSS, Vyšinskij.
Per quanto utile possa apparire, non ci si può attendere che la comparazione interna - quella che si riferisce ai diritti o alle branche del diritto riconosciuti in un determinato paese - riceva l'attenzione di numerosi giuristi. Nella loro stragrande maggioranza i giuristi sono uomini votati alla pratica: vogliono sapere come si risolvono le controversie, non come si potrebbe migliorare il diritto; la loro preoccupazione non è il diritto come scienza, in quanto sono sufficientemente occupati a studiare nella sua crescente complessità il corpus giuridico o la branca del diritto nella quale sono specializzati.
La comparazione tra sistemi giuridici nazionali diversi - il diritto comparato - offre un campo di studio di ampiezza assai maggiore. Questa comparazione è indispensabile per chi si interessa al diritto internazionale, ma presenta un notevole interesse anche nel caso di rapporti non internazionali, in quanto nella nostra epoca si pongono in numerosi paesi problemi nuovi simili tra loro, per la cui soluzione non si può trovare alcun punto d'appoggio nella tradizione. Noi studieremo qui, nell'ordine, il caso dei rapporti giuridici internazionali, quindi quello dei rapporti giuridici interni, prima di mostrare, nell'ultimo paragrafo, come si è sviluppata la comparazione giuridica in questi due settori e come ci si sforza oggi di facilitarne l'utilizzazione, nonostante le notevoli difficoltà di vario genere che essa incontra.
Il diritto internazionale non può essere costruito nell'ignoranza dei diritti che in ciascun paese esprimono un determinato senso del giusto e del modo in cui la giustizia può e deve essere amministrata. La comparazione tra gli ordinamenti giuridici nazionali deve essere posta alla base di ogni tentativo di migliorare il diritto internazionale: colmando le sue lacune e al tempo stesso adattandolo alle condizioni del mondo di oggi, in modo da far cessare uno stato di cose che si può definire anacronistico.Questo è vero anzitutto nel caso del diritto internazionale pubblico, che concerne i rapporti tra gli Stati. Lo Statuto della Corte internazionale di giustizia dell'Aia lo riconosce esplicitamente, prevedendo all'art. 38 che la Corte - accanto alle convenzioni interstatali e alla consuetudine internazionale - deve tener conto dei "principî generali del diritto comuni alle nazioni civilizzate". Ma tutto questo non è men vero se si prende in considerazione il diritto internazionale privato, che regola i rapporti di natura internazionale che possono stabilirsi tra 'persone' (pubbliche o private) diverse dagli Stati.
Occorre riconoscere che gli Stati, in virtù del principio di sovranità, non sono tenuti a fissare il regime giuridico di questi rapporti, che per loro natura sono di competenza del diritto internazionale. Può succedere, e spesso succede, che il diritto internazionale privato, in considerazione degli elementi che comporta il rapporto in questione, affidi a un determinato Stato la cura di regolare questo rapporto; ed è anche vero che ogni Stato, essendo pienamente sovrano sul proprio territorio, potrà far intervenire o no la forza pubblica di cui dispone per assicurare l'osservanza di una norma vigente o di una soluzione data dal diritto internazionale. Tuttavia il diritto internazionale, in sé considerato, è indipendente dai diritti nazionali; è equivoco e inopportuno parlare di un diritto internazionale privato italiano, inglese o sovietico. Questo modo di esprimersi, che pure è corrente, è in linea di principio riprovevole, nella misura in cui rischia di dare l'impressione che il principio di sovranità nazionale autorizzi gli Stati a regolare a loro modo i rapporti internazionali. Una tale conclusione approda, in fin dei conti, alla negazione del diritto internazionale privato, sostituito da una molteplicità di diritti nazionali relativi alle relazioni di natura internazionale. Ancor meno si può accettare il fatto che nella situazione del mondo attuale le frontiere tra diritto internazionale pubblico e diritto internazionale privato siano divenute estremamente fluide e imprecise, in quanto gli Stati si sono trovati a svolgere un ruolo cruciale nell'economia e le imprese economiche - industriali o commerciali - hanno assunto nei diversi paesi forme molteplici a causa delle quali spesso è difficile dire se esse debbano essere definite statali o semplicemente sociali, pubbliche o semipubbliche.
Il diritto comparato è chiamato a svolgere un ruolo cruciale nel campo del diritto internazionale senza che si possa distinguere, in linea di principio, tra diritto internazionale pubblico e privato. La pratica degli affari lo dimostra chiaramente: sempre più spesso le imprese - pubbliche o private - quando stabiliscono un rapporto con uno Stato o con un'impresa straniera, prevedono che questo rapporto sarà regolato, al di fuori o a fianco di un determinato diritto nazionale, dal diritto internazionale o dai principî comuni agli Stati interessati dal rapporto così stabilito. Giurisdizioni internazionali o arbitrali, che non decidono in nome di uno Stato, sono spesso investite del compito di precisare il contenuto di queste formule, nel caso in cui si determini una controversia tra le parti.
Come concepire il ruolo del diritto comparato per quanto concerne la regolamentazione dei rapporti giuridici internazionali? Occorre a questo scopo liberarsi della concezione del diritto che è divenuta dominante nel pensiero dei giuristi occidentali durante il XIX secolo. Si volle allora vedere nel diritto un complesso di norme risultanti dalle consuetudini o più spesso, durante la nostra epoca, stabilite dalle autorità pubbliche (diritto positivo). Si tratta di una concezione limitata, in contrasto col modo di vedere prevalente in numerosi paesi - in particolare in Estremo Oriente - e tradizionale nella stessa Europa. Fissare delle norme giuridiche, in certi campi e in molti casi, è auspicabile e anche necessario; ma è solo una tecnica cui si può fare ricorso. L'oggetto del diritto non consiste nel formulare norme; consiste in qualcosa di molto più nobile: far regnare l'ordine e la pace ed essenzialmente risolvere le controversie in conformità di ciò che, in una certa epoca e in un certo luogo, viene ritenuto giusto (id quod iustum est). Non dimentichiamolo: per molti secoli in Occidente il diritto ha comportato delle procedure, prima che emergessero delle norme sostanziali ben precise (remedies precede rights), e in certe civiltà si è sempre respinta l'idea che sia giusto e opportuno rinchiudersi entro norme imperative, che potrebbero essere pericolose per la necessaria armonia sociale.
I giuristi occidentali hanno voluto vedere il diritto soltanto sotto l'aspetto delle norme che esso può consacrare, e pertanto il diritto comparato è loro apparso spesso come una chimera. Vi hanno visto solo un tentativo fatto per realizzare norme di portata internazionale, tentativo votato al fallimento in quanto non esistevano autorità transnazionali o sovranazionali e, d'altra parte, le autorità degli Stati erano assai reticenti a uniformare i loro diritti attraverso accordi interstatali.
Cessiamo tuttavia di vedere le cose in modo così ristretto e astratto. Riconosciamo anzitutto che l'accordo tra gli Stati su norme giuridiche uniformi, anche se non è realizzabile su un piano universale e in tutti i campi, e può quindi essere preso in considerazione soltanto entro limiti tutto sommato assai ristretti, può comunque essere realizzato su un piano regionale - soltanto tra alcuni Stati - e relativamente ad alcune materie di ordine eminentemente tecnico. Il diritto internazionale non è necessariamente un diritto mondiale e non è irrealistico pensare che, in molti campi, ci si possa intendere almeno per stabilire quale diritto nazionale dovrà essere applicato (fissando delle norme per i conflitti tra le diverse leggi).
Ciò che è essenziale sottolineare, tuttavia, non è questo. È piuttosto che la comparazione giuridica può operare anche in un altro modo, chiarendo ciò che è ritenuto giusto nei diversi paesi, e può su questa base contribuire alla soluzione di numerosi casi concreti di conflitto, senza che per questo sia necessario fissare delle norme di portata generale che dovrebbero in futuro essere prese in considerazione in ogni circostanza.
Occorre tener presente la situazione che ha dominato in Europa per diversi secoli e notare anche la tendenza che, in numerosi Stati, induce attualmente il legislatore ad aumentare il potere dei giudici (soprattutto in campo costituzionale) ma anche a restringerne il controllo sulle sentenze arbitrali. Il futuro del diritto internazionale si trova indubbiamente nella creazione di organi giurisdizionali che dovranno risolvere nel modo migliore i conflitti, piuttosto che nella conclusione di convenzioni tra Stati volte a fissare regole uniformi. Rivelatrice a questo proposito è l'espansione dell'arbitrato come modalità di regolamentazione delle contestazioni nel commercio internazionale: l'innegabile successo di questa istituzione è dovuto in larga parte al fatto che l'arbitro, scelto con oculatezza dalle parti, è largamente svincolato da ogni concezione giuridica nazionale e disposto a prendere in considerazione, da comparatista, i punti di vista diversi che nel caso in questione appaiono alle parti conformi a giustizia (v. Arbitrato).
Le cose si presentano in modo diverso se si considera il ruolo che il diritto comparato - la comparazione tra i diritti - può svolgere nel caso di relazioni non internazionali. Il principio di sovranità degli Stati può vedere riconosciuta in questo caso la sua piena efficacia, se si aderisce a una dottrina di positivismo giuridico illimitato e non si vede nel diritto nulla di diverso da una coazione esercitata conformemente alla volontà della classe dirigente. Una tale concezione del diritto, apparsa solo nei tempi moderni, ha costituito nella nostra epoca la dottrina ufficiale dei paesi che aderivano all'ideologia marxista-leninista. Senza prendere in considerazione i paesi extraeuropei, dove non trova alcuna udienza, essa è contestata e giudicata sbagliata anche in Occidente da numerosi pensatori, che si rifiutano di accettare oggi il dogma della sovranità assoluta delle autorità statali. Alcuni 'valori', alcuni principî sembrano dominare tutto l'ordine giuridico e imporsi allo stesso legislatore, soprattutto quando sono stati proclamati intangibili dai testi costituzionali.
Lasciamo da parte comunque questa disputa e limitiamoci ad alcune osservazioni: indipendentemente da ogni riconoscimento di principî di diritto naturale o divino o di qualche altra forma di lex superior (higher law), la comparazione giuridica può svolgere quando si prendano in considerazione i diritti nazionali - l'ordine giuridico interno degli Stati - un ruolo considerevole, sia per quanto concerne la creazione del diritto, sia per quanto concerne la sua interpretazione; questo duplice ruolo sembra destinato a crescere d'importanza nelle condizioni del mondo di oggi e anche del futuro.Consideriamo anzitutto la creazione del diritto da parte del legislatore. Negli Stati moderni il legislatore si vede riconoscere un potere di legiferare che appare pressoché illimitato. L'opportunità tuttavia gli impone di legiferare soltanto con un certo discernimento. Questa preoccupazione già giustifica in molti campi, prima che il legislatore operi, la considerazione del diritto comparato. Come è stata regolata, nei paesi stranieri, la materia che si vuole regolamentare, e quali risultati, positivi o negativi, ne sono derivati? Invece di praticare la sperimentazione sui propri concittadini, con tutti i rischi che questo comporta, il legislatore sarà indotto a trarre profitto dalle esperienze fatte all'estero, tenendo conto naturalmente della situazione diversa in cui tali esperienze sono state praticate.
In quest'ottica il diritto comparato può essere utilizzato a tutti i livelli e in tutte le branche del diritto. A un livello superiore, relativo alla concezione stessa del diritto, ci si può chiedere - prendendo in esame alcuni sistemi giuridici stranieri o facendo ricorso alla storia - se per risolvere un determinato problema sia opportuno creare delle norme o se non sia invece preferibile lasciare che il giudice (questo o quel giudice) dia una soluzione non prestabilita, cercando ciò che richiedono, nelle diverse circostanze, la coscienza sociale e l'equità. Occorre che il diritto comporti norme precise e riconosca dei 'diritti soggettivi' assoluti, o non si deve piuttosto, guidati dalla considerazione dell'interesse della società e dalla ricerca dell'armonia, dar prova di maggiore flessibilità e basare il diritto, più che sui diritti riconosciuti agli individui, sulla ricerca di un compromesso tra i loro interessi contraddittori?
A un livello inferiore, che non tocca allo stesso modo la filosofia del diritto, ma che non è meno importante per la vita dei cittadini e per l'economia e la pratica quotidiana, il diritto comparato può fornire elementi al legislatore chiamato a intervenire in un certo campo del diritto. Il ruolo del diritto comparato a questo proposito è destinato a crescere, grazie ai progressi spettacolari che la tecnologia ha fatto nella nostra epoca e se si considera d'altra parte il grande movimento di riforma che in numerosi paesi ha creato lo Stato assistenziale.
La giustizia di ieri non può essere la giustizia di oggi: ogni nostra tradizione deve essere rivista prendendo in considerazione un ambiente che è diverso e nuovo rispetto a quello precedente. Essa d'altra parte non offre alcuna base per la regolamentazione di numerose materie nuove, relative a campi ai quali i giuristi finora non si erano interessati. Tenere presenti le esperienze fatte nei paesi stranieri può rappresentare il modo migliore di portare avanti riforme ragionevoli ed efficaci in campi quali la lotta contro l'inquinamento e la difesa dell'ambiente, la sicurezza sociale e la protezione dei lavoratori, la lotta contro la droga e la criminalità internazionale, la direzione e il controllo del credito e delle imprese industriali o commerciali. I problemi che si devono risolvere relativamente a questi diversi settori si pongono in generale nello stesso modo nei diversi Stati nei quali si vuole trasformare la società per render la vita più facile a tutti i cittadini. A questo fine tuttavia possono essere stati utilizzati metodi diversi: è interessante quindi sapere quali ne sono stati gli effetti.
Anche nelle materie in cui il diritto è tradizionalmente intervenuto, la rivoluzione industriale, che ha determinato uno sconvolgimento della società, ha aperto la strada alla possibilità di realizzare una giustizia migliore. Facilitare l'accesso alla giustizia e lottare contro la paralisi dei tribunali, riformare a questo doppio fine il diritto procedurale: sono problemi che si sono posti in tutti gli Stati moderni. La comparazione tra diritti diversi non può non risultare feconda per il legislatore al quale il desiderio di giustizia impone la necessità di porre mano a una riforma del sistema giuridico.
Infine, la comparazione può risultare utile su un altro piano, la cui importanza pratica non è certo minore, cioè quello dell'informazione. Conoscere lo stato del diritto è sempre stato un difficile problema e tale difficoltà è notevolmente aumentata nella nostra epoca per la crescente complessità della società e per l'espansione dei campi nei quali il diritto pretende di intervenire. Oggi è forse più importante che in passato che il diritto sia facile da conoscere per i cittadini, in quanto spesso e sempre di più la loro cooperazione appare necessaria perché il diritto sia applicato correttamente e risulti sovrano nella pratica.
In nessun paese si è giunti a questo proposito a soluzioni perfette. E tuttavia sono stati utilizzati metodi diversi e sono stati creati strumenti diversi per avvicinarsi all'ideale proclamato di un diritto più facile da conoscersi. Si tratta di un problema fondamentalmente comune a tutti i paesi: è quindi del massimo interesse sapere in che modo nei diversi casi ci si è sforzati di risolverlo.
Tutto quello che abbiamo detto finora può sembrare interessi il legislatore più che i giuristi e la scienza politica più che il diritto. Il ruolo dei giuristi tuttavia non consiste soltanto nell'applicare le norme prescritte dall'autorità statale. È vero che, secondo una certa dottrina, i giudici, in particolare, non avrebbero altro compito che quello di 'affermare' il diritto. E tuttavia, se questa opinione persiste nella teoria, è oggi generalmente riconosciuto che si tratta soltanto di una convenzione e che in pratica i giuristi, e in particolare i giudici, svolgono inevitabilmente un ruolo molto più attivo: l'interpretazione del diritto che essi devono fare è per forza di cose, come ogni interpretazione, un'opera creativa.
È sempre stato così, ma lo è ancora di più oggi che si assiste alla moltiplicazione, nelle leggi degli Stati democratici, di formule generali che conferiscono ai giudici un vasto potere discrezionale nell'applicazione che essi sono chiamati a fare delle leggi o della costituzione. Quando si chiede loro di giudicare secondo equità, li si invita a prendere in considerazione il principio della buona fede, l'interesse della famiglia o dell'impresa, l'esistenza di circostanze eccezionali o di circostanze attenuanti in campo penale. Al di sopra delle leggi ordinarie queste formule hanno trovato posto nelle costituzioni, in particolare con l'affermazione di 'diritti economici e sociali' di tipo nuovo, che assumono un significato soltanto se si consente ai giudici di intervenire in modo attivo e dinamico per concretizzarli.
L'esempio degli Stati Uniti mostra con particolare evidenza l'importanza che può assumere il ruolo dei giudici come 'creatori di diritto' attraverso l'interpretazione che essi devono dare di queste formule. Basta ricordare il modo in cui si è giunti a interpretare, in questo paese, espressioni quali due process of law o equal protection of the law, o il modo in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha imposto la riforma della legge elettorale del paese perché venisse assicurata nel modo migliore la rappresentanza dei cittadini al Congresso. Il potere dei giudici di creare il diritto non è minore negli altri paesi democratici: il diritto contrattuale è stato interamente riformato in Inghilterra grazie all'opera di Corti che in teoria non hanno altro compito che quello di applicare la common law; i termini della responsabilità civile sono stati interamente riformulati in Francia e quelli delle obbligazioni in Germania, sulla base di articoli dei codici civili di questi paesi. E si potrebbero moltiplicare gli esempi.
Ciò che qui è importante sottolineare è il ruolo che può svolgere, stando così le cose, il diritto comparato. Questo ruolo è raramente messo in evidenza nei giudizi, in quanto raramente gli avvocati delle parti si preoccupano di informare i giudici sulle soluzioni adottate in altri paesi. Si può pertanto solo riconoscere la sua legittimità e constatare come essa divenga effettiva quando sia possibile farvi ricorso in modo accessibile ai giudici. Così grazie alla lingua comune, sentenze emanate in Scozia o in Australia si sono viste riconoscere una grande autorità di fatto anche in Inghilterra (e viceversa); allo stesso modo negli Stati Uniti viene fatto uno sforzo costante perché i diritti dei diversi Stati, che sono in teoria indipendenti, abbiano, almeno quando si tratti di common law (opposta al diritto legislativo), una identica evoluzione.
Un maggior interesse per la comparazione può essere rilevato, e appare anche più naturale, negli Stati federali o tra paesi che siano appartenuti a una stessa entità o che possano essere avvicinati tra loro da una tradizione comune, per i quali vi può essere la preoccupazione di mantenere una certa uniformità del diritto. Nulla impedisce tuttavia che questa stessa tendenza si manifesti tra paesi che non sono uniti da questi legami: l'influenza che il diritto francese ha avuto in numerosi paesi, europei ed extraeuropei, ne è la prova migliore.
Per quanto evidente possa apparire oggi la sua importanza, è stato necessario molto tempo perché venisse riconosciuto l'interesse del diritto comparato. Solo nel XIX secolo si è presa gradualmente coscienza nel mondo dei giuristi dell'utilità che vi poteva essere a conoscere e comparare tra loro i diritti dei diversi paesi. Spesso si fissa come data di nascita del diritto comparato il 1869, anno in cui venne creata a Parigi una Società di legislazione comparata. Prima di questa data è lecito dire che, con alcune eccezioni, i giuristi si sono preoccupati assai poco di conoscere il diritto straniero e ancor meno di compararlo con quello del loro paese.
La tardiva scoperta dei vantaggi che si possono ricavare in campo giuridico dalla comparazione ha numerose spiegazioni. La prima e più antica di queste ragioni è che per molto tempo - e questo modo di vedere esiste ancora in molti paesi e per molti studiosi, anche al giorno d'oggi - non si è considerato il diritto come possibile opera degli uomini. Il diritto, fin quando gli si è attribuita una natura quasi religiosa o mitica, non poteva essere migliorato attraverso l'osservazione delle pratiche più o meno maldestre attraverso le quali, nei diversi paesi, si era cercato di realizzarlo. Queste pratiche - queste consuetudini, queste leggi, la giurisprudenza dei tribunali - dovevano anch'esse essere considerate come pertinenti al diritto? Si poteva dubitarne. Le università, in Inghilterra e in Scozia come nell'Europa continentale, le trascuravano: il 'diritto nazionale' (o locale) è stato fatto oggetto di insegnamento in Svezia soltanto nel 1620, in Francia nel 1679, in Germania nel 1707, in Inghilterra nel 1772, e sempre soltanto in alcune università e con carattere accessorio e secondario. Nel mondo islamico avveniva la stessa cosa: le università si interessavano esclusivamente al diritto, legato alla religione, che era parte integrante della sharī'a. Nei paesi dell'Estremo Oriente non vi era alcun insegnamento del diritto, in quanto questo concetto risultava estraneo a una civiltà fondata su un ideale completamente diverso di armonia sociale, basato sulla conformità a certi riti. Quanti in Occidente si interessavano a ciò che noi chiamiamo oggi 'diritto positivo' non avevano alcun rapporto con il diritto straniero, in quanto la loro preoccupazione era semplicemente di ordine pratico: esporre le procedure e le norme sostanziali che erano applicate dai tribunali della regione e la materia alla quale era dedicato il loro studio.
Dopo la fine del XVIII secolo si è determinata una vera e propria rivoluzione nella concezione stessa del diritto. Gli uomini, ma anche i governanti, erano considerati fino a quel momento come servitori del diritto. La filosofia illuministica rovescia questo principio. Collocando al vertice la ragione umana, essa afferma l'autonomia del diritto rispetto alla religione e alla morale. Il sovrano non è più il servitore del diritto; egli ne viene proclamato il signore - e questo tanto più volentieri in quanto si magnifica, e sta per essere realizzato, un nuovo sistema di governo in cui il popolo sarà sovrano. Vox populi, vox Dei: questa formula può essere invocata per giustificare con una immagine il nuovo modo di vedere. Si dimentica, o si tende a dimenticare, la concezione antica, che in Inghilterra il giudice Coke contrapponeva, agli inizi del XVII secolo, al re Giacomo I ricordandogli: "Rex est sub Deo et sub lege".
Il nuovo modo di vedere, che collega il diritto alla ragione umana, avrebbe potuto portare con sé il ricorso al metodo comparativo. Questo tuttavia non è avvenuto perché, nello stesso tempo, ha trionfato un principio di democrazia che proclamava la piena sovranità delle autorità statali, con la conseguenza pratica di un fenomeno nuovo: la nazionalizzazione del diritto.
L'uomo è divenuto il padrone del diritto, il cui contenuto viene determinato d'ora innanzi dalla sua ragione. Ma chi di fatto è autorizzato a dire che cosa comanda la ragione? Si è naturalmente indotti a investire di questa missione - in particolare, ma non soltanto, nelle democrazie - gli organi sovrani dello Stato. Il diritto, elaborato e applicato dagli organi dello Stato, a partire da questo momento viene ad assumere esso stesso, come lo Stato, un carattere nazionale. Gli organi che in ciascuno Stato si accingono a determinare ciò che è il diritto - creare e applicare il diritto - agirebbero sicuramente bene se facessero ricorso, a questo scopo, al metodo comparativo; ma ci si può difficilmente attendere che lo facciano nella misura in cui sarebbe auspicabile.
Fieri di essere l'avanguardia di una nuova civiltà, i dirigenti degli Stati in cui trionfa la democrazia non si preoccupano di prendere in considerazione ciò che viene fatto negli Stati vicini, dove non splendono ancora i lumi della nuova era. Quando viene messo in cantiere un codice civile in Francia, si stabilisce che per aiutare il legislatore a scoprire che cosa impone la ragione umana, vengano a questo scopo tradotti una serie di codici o di leggi stranieri; ma, dopo che è stato tradotto l'Allgemeines Landrecht prussiano del 1794, si rinuncia a questo lavoro, giudicato inutile: non vi è forse tra i nostri governanti abbastanza saggezza perché essi possano fare a meno di preoccuparsi del diritto degli altri paesi? Lo stesso sentimento tende a prevalere in tutti gli altri Stati: esso perpetua una tradizione che non si preoccupava della pratica, è rafforzato da un complesso di superiorità nazionale e giustificato dalle difficoltà di ogni genere che presenta un'informazione accurata sul diritto degli altri paesi, e infine il legislatore è sempre sopraffatto dall'estensione ognora crescente dei suoi compiti. Non si ha né il desiderio né il tempo di fare del 'diritto comparato'.
L'utilità di conoscere il diritto degli altri paesi e di fare del diritto comparato si è tuttavia imposta sempre più nella nostra epoca. Lo 'splendido isolamento', che era auspicato ancora fino a poco tempo fa dalle nazioni, oggi può essere visto soltanto come una pericolosa chimera. Nelle condizioni del mondo moderno l'interdipendenza tra le nazioni è un dato saliente di cui occorre tener conto, piaccia o no, se si vuole assicurare la pace e nell'interesse stesso dello sviluppo di ciascun paese. La sicurezza, la salute, la prosperità, la sopravvivenza stessa di ciascuno di noi sono intaccate, o possono esserlo, dalle condizioni che regnano o dagli sviluppi che si determinano presso i nostri vicini - e in larga misura tutti i paesi stranieri sono divenuti oggi nostri vicini.Il cambiamento intervenuto è indubbiamente soltanto quantitativo; dalle invasioni barbariche all'espansione del cristianesimo o dell'islamismo, dalla filosofia dei lumi al marxismo, dalle grandi epidemie al terrorismo, dalla scoperta della radio alla politica economica degli Stati Uniti o del Giappone, è sempre stato inutile per una nazione pretendere di isolarsi dalle altre. Ma oggi più che in ogni altra epoca siamo costretti a riconoscere che il mondo è divenuto uno solo, one world. L'idea di sovranità nazionale può ancora restare in primo piano nei discorsi dei politici: quale che sia il suo valore, è tuttavia evidente che essa comporta dei limiti e che questi limiti non sono più quelli di una volta. Un nuovo compromesso deve essere stabilito tra questa idea e quella, più estesa e più esigente che in passato, di solidarietà internazionale. Per tenere adeguatamente conto di questa necessità di solidarietà internazionale e per darle attuazione è necessario anzitutto che fra Stati diversi e popolazioni appartenenti a civiltà diverse venga portato avanti un processo di conoscenza e di comprensione.
Al momento attuale l'interesse della comparazione giuridica e soprattutto quello della comparazione tra i sistemi giuridici dei diversi paesi sono universalmente riconosciuti. Occorre ammettere tuttavia che nella pratica il metodo comparativo non è adottato nella misura in cui si potrebbe immaginare e auspicare. Numerose sono le spiegazioni di questo fatto.
Una prima spiegazione è evidentemente di ordine pratico. Il diritto dei diversi Stati presenta già in sé una complessità tale che si hanno spesso grandi difficoltà a scoprirne il contenuto. Si può capire facilmente che giudici e operatori si limitino a questo compito e non estendano le loro ricerche al di là del diritto nazionale, tanto più che se volessero farlo incontrerebbero enormi difficoltà di documentazione e di lingua. Questo argomento ha un grande valore; ma, per quanto concerne la giurisprudenza, non dovrebbe costituire un ostacolo alla comparazione almeno in due casi.
Il primo è quello delle giurisdizioni internazionali. Alla Corte internazionale di giustizia lo impone il suo statuto: i principî generali del diritto, alla luce del diritto comparato, sono una fonte a cui questa Corte deve fare ricorso quando non è legata dal dovere di applicare una convenzione internazionale. La stessa soluzione si impone per tutte le giurisdizioni internazionali esistenti o che, come è prevedibile, esisteranno in futuro. Il secondo caso è quello delle giurisdizioni arbitrali, alle quali convenzioni private possono dare competenza per il regolamento di contestazioni derivate dal commercio internazionale. Tali giurisdizioni, non essendo investite della loro missione da uno Stato e non deliberando in nome di uno Stato, non possono non utilizzare il metodo comparativo, e possono d'altra parte avere a loro disposizione un personale capace di farlo.
Oltre alla giurisprudenza occorre anche considerare, d'altra parte, il legislatore e la dottrina. Il legislatore subisce in un grado minore, rispetto ai giudici e agli operatori, la costrizione legata ai limiti di tempo e dispone di risorse umane e finanziarie che non sono a disposizione di questi ultimi. A lui è permesso, abbandonata l'illusione dell'onniscienza, guardare quello che avviene all'estero per determinare come sia opportuno regolamentare una determinata questione o materia. Di fatto, almeno in certi paesi, il legislatore si cura di farlo, nonostante questa abitudine sia ben lungi dall'essere generale e gli studi di diritto comparato condotti a questo scopo siano troppo spesso superficiali e insufficienti.
Resta infine la dottrina. Nella misura in cui essa vuole elevarsi al di sopra di un livello che siamo tentati di definire commerciale - senza tuttavia attribuire a questo termine un senso peggiorativo - ci sembra evidente che la dottrina debba fare largo uso del diritto comparato e che fino a oggi lo abbia fatto in modo del tutto insufficiente. Una delle spiegazioni di questa situazione, oltre alla difficoltà presentata dallo studio del diritto dei paesi stranieri, è senza dubbio il legame arbitrario che esiste per numerosi studiosi tra comparazione giuridica e unificazione del diritto. Lo abbiamo potuto rilevare sia per la comparazione interna che per la comparazione tra i diversi sistemi giuridici nazionali. Storicamente l'una e l'altra sono state portate avanti principalmente allo scopo di preparare un'unificazione del diritto, sul piano nazionale o su quello internazionale. È stato necessario attendere la nostra epoca perché venisse dissipato - ancora in modo incompleto - il pregiudizio che associa diritto comparato e unificazione del diritto e perché ci si rendesse conto che la comparazione giuridica presenta un interesse che prescinde dall'unificazione, che essa può essere 'disinteressata' e ispirata dal semplice desiderio di conoscere e di comprendere gli altri - quelli con cui abbiamo abitualmente e necessariamente rapporti.
L'unificazione internazionale del diritto, anche se forti argomenti di carattere pratico sembrano raccomandarla, suscita in molti giuristi una viva ostilità, mentre molti altri, senza esserle propriamente contrari, la guardano comunque come una chimera. È una ragione sufficiente per respingere lo studio degli altri sistemi giuridici e dobbiamo rimanere nell'ignoranza per paura di esserne 'contaminati'?
Ai nostri giorni uniformare tra loro i diversi diritti è soltanto una preoccupazione accessoria dei comparatisti. Essi si sentono sempre più staccati da ogni punto di vista politico; ciò che interessa loro, indipendentemente da ogni scopo concreto, è di portare un contributo alla scienza del diritto. La comparazione giuridica ha in sé l'obiettivo di fornire delle informazioni. A quanti si interessano alla filosofia del diritto essa spiega come è concepito il diritto e come, di conseguenza, viene assicurato l'ordine sociale e amministrata la giustizia in questo o quel paese. È difficile per il comparatista comprendere come una filosofia del diritto degna di questo nome possa pretendere di rinchiudersi dentro i confini di un quadro nazionale; si può capire bene cosa è il diritto in un certo paese solo comparandolo con il modo in cui il diritto è concepito entro altre comunità.
Lo studio del diritto dei diversi paesi ci consente in molti campi di conoscere meglio il nostro diritto nazionale, mettendone in evidenza alcuni elementi distintivi, i meriti e le insufficienze. Portare il nostro sguardo al di là delle frontiere, farci prendere coscienza che il nostro modo di vedere non è il solo, mostrarci che la preoccupazione di realizzare la giustizia ha potuto manifestarsi all'estero attraverso regole diverse da quelle del nostro diritto nazionale, farci conoscere anche come viene amministrata la giustizia e quali esperienze sono state fatte per facilitare la conoscenza del diritto: sono alcuni dei vantaggi che ci si può attendere dalla comparazione giuridica.
Questi vantaggi possono essere ottenuti quale che sia il diritto preso in considerazione e senza tralasciare il diritto dei paesi ex socialisti e neppure quello dei paesi dell'Estremo Oriente o del Terzo Mondo. È vero che, in questi casi, sarà indubbiamente più difficile ricavare dalle conoscenze acquisite conseguenze concrete riguardo a un possibile miglioramento del nostro sistema giuridico; sarà sufficiente tuttavia aver preso coscienza che il modo di vedere al quale siamo abituati non ha in tutti i casi un valore universale. Questo è necessario per stabilire un ordine giusto nei rapporti internazionali e non è privo di importanza anche per quanto concerne gli ordinamenti giuridici nazionali.
Soprattutto quando mette il giurista di fronte a un diritto fondato su una tradizione o legato a una struttura politico-economica diverse da quelle con le quali egli ha familiarità, la comparazione deve essere condotta con estrema prudenza e richiede che il giurista vi sia, in una certa misura, preparato. È certamente auspicabile che il maggior numero possibile di giuristi riceva questo tipo di preparazione, ma è evidente tuttavia che essa non può essere data a tutti e altrettanto evidente è che non ci si può aspettare da ogni giurista una preparazione tale da consentirgli di prendere in esame tutti i diversi sistemi giuridici.
Tutto ciò a cui si può mirare è che tutti i giuristi riconoscano l'interesse del diritto comparato e abbiano una qualche idea della diversità delle concezioni prevalenti nel mondo di oggi rispetto al diritto e all'amministrazione della giustizia; inoltre che un numero sufficiente di giuristi sia in grado di conoscere e far conoscere nel proprio paese gli sviluppi a loro giudizio interessanti intervenuti all'estero, a cominciare naturalmente dal diritto dei paesi con i quali si intrattengono i rapporti più stretti o dalla cui considerazione si attendono i risultati migliori.
Ciò che importa quindi è che nei diversi paesi vi siano dei 'comparatisti' in grado di svolgere il primo ruolo qui ricordato e che vi siano anche dei giuristi che conoscano ognuno almeno un ordinamento giuridico straniero. Riconosciamo allo stesso tempo, tuttavia, l'esistenza di un pericolo di dilettantismo al quale sono esposti i comparatisti, quando pretendono di abbracciare nei loro studi un numero eccessivo di ordinamenti giuridici. La soluzione che si impone, perché il metodo comparativo possa essere utilizzato con profitto, è quella di organizzare la più ampia cooperazione tra giuristi dei diversi paesi. Occorre che il giurista desideroso di fornire informazioni su un diverso sistema giuridico sia preparato a questo compito, ma ciò non è sufficiente: occorre anche che egli abbia la possibilità di rivolgersi, nel paese interessato, a un interlocutore in grado di rispondere in un linguaggio comprensibile alle domande che gli verranno poste. Istituti, società e congressi di diritto comparato hanno come compito principale quello di costituire appunto reti di questo tipo, senza le quali la comparazione corre forti rischi di rimanere superficiale e incapace di svolgere il ruolo al quale è chiamata. (V. anche Sistemi giuridici).
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