COMPASSO (fr. compas; sp. compás; ted. Zirkel; ingl. pair of compasses)
È uno strumento costituito essenzialmente di due aste di eguale lunghezza collegate fra di loro a cerniera, capaci dì assumere quindi un'iuclinazione relativa qualsiasi (v. fig.: n. 5); dev'essere possibile regolare l'attrito nella cerniera, con opportuno stringimento, per modo che nell'uso l'angolo delle due aste si conservi praticamente invariato sotto l'azione di deboli pressioni della mano. Questo strumento, quando le due aste si facciano terminare a punta, permette di trasportare un segmento qualsivoglia (limitatamente a un massimo di lunghezza) da una posizione a un'altra; e di tracciare un cerchio di centro e raggio arbitrarî: all'uopo una delle due punte, normalmente metallica, potrà essere scrivente (v. fig.: nn. 1-3).
Si deve ritenere che il compasso sia nato insieme con la necessità di descrivere cerchi e trasportare segmenti: la sua origine non può dunque essere che remotissima; ne fa fede la circostanza che lo si trova nella mitologia greca, che attribuisce il compasso a un nipote di Dedalo.
Per comprendere l'importanza teorica del compasso nella geometria basta riflettere alla vastissima classe di problemi risolubili col solo uso della riga e del compasso, vale a dire tracciando esclusivamente rette e cerchi. Convien ricordare che i geometri dell'antica Grecia s'imponevano, nelle operazioni geometriche, l'uso esclusivo di codeste due linee; ne venne di conseguenza che si trovarono, in più d'un caso, nell'impossibilità di risolvere un problema: dovettero così rinunziare alla soluzione (s'intende teoricamente completa) dei classici problemi della trisezione dell'angolo, della duplicazione del cubo, della quadratura del cerchio. Vi è ragione di credere che alcuni di loro fossero giunti a intuire l'esistenza di condizioni sotto le quali un problema è risolubile adoperando soltanto la riga e il compasso, ma la questione non fu mai posta esplicitamente. Bisogna arrivare al sec. XIX per vedere i matematici entrare decisamente in tale ordine d'idee, che fa parte, del resto, d'un ordine più ampio: l'esame, cioè, della possibilità di risolvere una determinata classe di problemi geometrici, algebrici o analitici, con mezzi prestabiliti.
Comunque, il mondo greco ci tramandò un'opera che è un saggio, nel suo genere, perfetto, di ciò che possono la riga e il compasso insieme adoperati senza limitazione: gli Elementi di Euclide (300 a. C.), che inspirano ancora oggi, e definiscono con sufficiente precisione, ciò che si suol chiamare Geometria elementare. Quali sono dunque i confini di questa geometria? Più precisamente: sotto quali condizioni, necessarie e sufficienti, un problema geometrico è risolubile con riga e compasso? La risposta a questa domanda non si può dare ricorrendo a mezzi elementari, cioè a quelli che ci vengono forniti dagli Elementi di Euclide o dalle prime nozioni dell'algebra: è d'uopo ricorrere a mezzi più moderni, alla geometria analitica e a qualche capitolo meno noto di algebra.
Quando si parla di problemi geometrici, in cui debbano comparire soltanto rette e cerchi, è chiaro che sia i dati che le incognite si possono sempre pensare ridotti a punti, poiché con due punti s'individua una retta, mentre un cerchio è individuato dal suo centro e da un suo punto; d'altra parte i punti si otterranno come intersezioni mutue di rette e di cerchi. Per ciò che riguarda i problemi risolubili con la sola riga, essi sono tutti e solo quelli in cui intervengano unicamente operazioni grafiche (proiezioni e sezioni) ma non proprietà metriche, come parallelismo, perpendicolarità, distanze, ecc. Traducendo quelle semplici operazioni nel linguaggio della geometria analitica, con l'introdurre, per rappresentare i punti, le coordinate proiettive non omogenee, si trovano, fra le coordinate dei punti incogniti, dei sistemi di equazioni lineari: sistemi per la cui risoluzione si richiedono soltanto operazioni razionali (somma algebrica, moltiplicazione, divisione) sui coefficienti. In breve, la riga (adoperata liberamente, ma esclusivamente) consente di risolvere tutti e solo i problemi grafici di 1° grado. Eseguendo con la riga un qualsiasi numero di operazioni sui punti di una figura si riesce a ricavarne quanti altri se ne vogliono, che, peraltro, sono ben lungi dall'esaurire tutti i punti del piano. Supponiamo ora d'aggiungere alla riga, come mezzo costruttivo il compasso: saranno allora ottenibili altri infiniti punti che con la sola riga non si potevano raggiungere; in altre parole, viene ad estendersi la classe dei problemi geometrici di cui è possibile la soluzione.
In che cosa consiste l'estensione in parola? La risposta che l'algebra moderna dà a questa domanda è esauriente e costituisce in pari tempo uno degli esempî più salienti di ciò che valga l'algebra in connubio con la geometria. Per la completa comprensione della questione occorrerebbe la nozione dei campi di razionalità (v. algebra): questa nozione, insieme con l'osservazione che il compasso, associato con la riga, permette di costruire un angolo retto, porta a concludere che il compasso dà modo, in unione con la riga, di costruire i segmenti x = √k; quindi i due strumenti riuniti consentono di ricavare, da un qualsiasi sistema dato di punti, non soltanto quelli le cui coordinate (cartesiane ortogonali) sono funzioni razionali di quelle dei punti dati, ma anche i punti le cui coordinate si ottengono da quelle dei dati eseguendo quante si vogliono estrazioni di radici quadrate. Dopo ciò non è difficile comprendere che saranno risolubili con riga e compasso tutti quei problemi che, tradotti nel linguaggio della geometria analitica, dànno luogo ad equazioni di 1° e 2° grado nelle coordinate (cartesiane ortogonali) dei punti incogniti. Anzi, le equazioni in discorso potranno essere anche di grado superiore al 2°, purché siano riducibili a sistemi di equazioni di grado ≤ 2. Per esaurire la questione rimarrebbe a vedere se una data equazione di grado > 2 sia o no risolubile per radicali quadratici. L'algebra fornisce i mezzi per risolvere tale questione; non è però possibile dare in poche parole un'idea dei procedimenti da seguirsi, che escono dal campo elementare. Ad es., si riconosce che è risolubile per radicali quadratici l'equazione:
da cui dipende la divisione della circonferenza in un numero primo p di parti eguali, sempre e solo quando p sia della forma 2+1. Si potrà dunque dividere, con l'uso della riga e del compasso, la circonferenza in 3, 5, 17... parti uguali, ma non in 7, 11, 13. Le equazioni x3 − 2 = 0 e 4x3 − 3x − cos w = 0 da cui dipendono rispettivamente i problemi della duplicazione del cubo e della trisezione dell'angolo, non sono invece risolubili nel modo voluto; ciò spiega l'inanità degli sforzi compiuti dai geometri greci per ottenerne una soluzione elementare. La stessa cosa si dica di un terzo problema, che sempre esercitò, e seguita ad esercitare, una certa suggestione su chi non ne conosce la vera posizione nella matematica: il problema della quadratura del cerchio, o l'analogo della rettificazione della circonferenza, dove la cosa appare algebricamente anche più complicata che non nei due esempî che precedono, tanto che solo nel 1882 riuscì a Lindemann di collocare definitivamente il problema della quadratura del cerchio tra quelli che non sono risolubili con riga e compasso.
La teoria e la pratica delle costruzioni con riga e compasso suggeriscono ovviamente una domanda: queste costruzioni esigono veramente i due strumenti adoperati in piena libertà, oppure è possibile ridurre l'uso dell'uno o dell'altro? Cominciamo dalla riga. Diciamo subito che questa si può senz'altro sopprimere: ogni problema risolubile con riga e compasso è risolubile col solo compasso. A questo risultato giunsero indipendentemente L. Mascheroni nella sua Geometria del compasso (Pavia 1797) e il geometra danese G. Mohr nel suo Euclides danicus (Amsterdam 1672). Nel 1890 lo ritrovava F. Adler, da un punto di vista più elevato. Volendo operare col solo compasso, è chiaro che si potranno tracciare soltanto i cerchi, mentre una retta dovrà pensarsi individuata da una coppia di punti; inoltre, mentre si può ritenere risolto senz'altro il problema di trovare i punti comuni a due cerchi, la determinazione delle intersezioni di due rette oppure di una retta e di un cerchio richiederà l'indicazione di costruzioni apposite, che non si trovano nei libri di Euclide. Se allora si vuol dimostrare la possibilità di eliminare la riga, si dovrà, seguendo il Mascheroni, dimostrare che si possono risolvere col solo compasso i due problemi fondamentali: 1° trovare il punto comune a due rette; 2° trovare i punti comuni ad una retta e ad un cerchio. A ciò si perviene premettendo le soluzioni, col solo compasso, di alcuni problemi comunissimi che si trovano risolti, con riga e compasso, in tutti i libri di geometria elementare: risolti questi problemi, se ne ricava come applicazione la risoluzione dei due problemi fondamentali sopra enunciati. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, i metodi della Geometria del compasso non complicano eccessivamente le costruzioni; anzi, in alcuni casi, ricorrendo ad opportuni accorgimenti, si hanno soluzioni anche più semplici di quelle comunemente note in cui si adopera pure la riga. La possibilità di eliminare la riga è dimostrata dall'Adler con un metodo che esce propriamente dai limiti della geometria d'Euclide. Egli ricorre a quella corrispondenza denominata inversione rispetto ad un cerchio o trasformazione per raggi vettori reciproci, mediante la quale si può, servendosi d'un cerchio fondamentale tracciato nel piano del disegno, trasformare una figura composta soltanto di rette e di cerchi in un'altra costituita unicamente di cerchi. Ora, questa trasformazione si può effettuare, come esplicitamente mostra l'Adler, usando esclusivamente il compasso. Ne risulta cosi dimostrata la possibilità dell'eliminazione della riga nelle costruzioni di geometria elementare.
Vediamo ora fino a qual punto si possa ridurre l'uso del compasso. La massima riduzione possibile consiste nell'adoperarlo una volta sola per tracciare nel piano un cerchio col centro in un punto qualunque e con un raggio qualunque. Un tal cerchio, di cui sia noto il centro, può sostituire completamente il compasso. La cosa si vede subito per via algebrica, osservando che il cerchio fisso permette di costruire le espressioni irrazionali del tipo √1k2, e che dalla costruibilità di questa espressione si deduce quella di √a. Il risultato, trovato da Poncelet nel 1822, fu iitrovato e ampliato da Steiner nel 1833. Per stabilirlo in modo geometrico conviene fare capo a considerazioni di natura proiettiva. In primo luogo, dato un cerchio fisso col suo centro, si può, usando soltanto la riga, condurre una perpendicolare ad una retta comunque data; se ne ricava la possibilità di risolvere ogni problema di 1° grado, sia grafico, sia metrico, sostituendo il compasso con un cerchio fisso di centro noto. Per estendere il risultato ai problemi di 2° grado bisogna riferirsi alla nozione di punteggiate proiettive sovrapposte. È ben nota una costruzione la quale fornisce i punti uniti della proiettività (quando esistono) mediante la riga e un cerchio fisso nel piano del disegno (v. coniche, n. 14). Ed ora supponiamo che si vogliano trovare i punti comuni ad una retta r e ad un cerchio γ, oppure a due cerchi γ e γ′: s'intende che bisognerà ritenere i cerchi γ e γ′ individuati ciascuno dal centro e da un punto. Orbene, applicando la costruzione accennata dei punti uniti di una proiettività, si possono ottenere, con la sola riga e con l'ausilio del cerchio fondamentale, i punti comuni sia a γ e ad r, sia a γ e a γ′. Rimane così dimostrato che tutti i problemi euclidei sono risolubili con la sola riga quando sia dato nel piano del disegno un cerchio col suo centro.
I risultati conseguiti procedendo in due sensi opposti, ricercando cioè la possibilità di ridurre l'uso della riga o del compasso, mostrano come quest'ultimo s'imponga per un maggior grado di necessità in confronto con la prima: esso non è completamente eliminabile dalle costruzioni elementari, mentre lo è la riga.
È interessante segnalare un corollario del risultato di Poncelet-Steiner, che ha una notevole importanza storica, perché rappresenta il primo tentativo di riduzione degli strumenti costruttivi. Si disponga di un compasso ad apertura fissa: un tale strumento, in unione con la riga, consente di risolvere tutti i problemi risolubili con un compasso ordinario; difatti si potrà disegnare, in una parte qualunque del piano del disegno, un cerchio di centro noto, e con ciò si rientra nel caso di Poncelet-Steiner. Naturalmente potendosi tracciare col nostro compasso quanti cerchi si vogliono, ne risulterà una semplificazione costruttiva in confronto col caso del cerchio fisso. Questo tentativo fu compiuto dai geometri italiani del sec. XVI, Scipione Dal Ferro, Ferrari, Tartaglia, Benedetti.
Aggiungiamo un'osservazione su un particolar modo di adoperare il compasso: esso può venire usato esclusivamente come trasportatore di segmenti. Considerazioni algebriche del tipo di quelle cui si ebbe già ad accennare, dimostrano che il trasportatore di segmenti non può supplire completamente il compasso. Come appare da uno studio contenuto in una classica monografia di Hilbert, un problema elementare può risolversi mediante la riga e il trasportatore a condizione che tutte le soluzioni algebriche del problema siano reali, e pertanto atte a costruzioni grafiche. A questa condizione soddisfa per esempio il problema della divisione del cerchio in parti eguali.
Bibl.: F. Enriques, Questioni riguardanti le matematiche elementari, parte 2ª (articoli di Castelnuovo, Daniele, Giacomini), Bologna 1926; F. Klein, Conferenze sopra alcune quistioni di geometria elementare, trad. it., Torino 1896; D. Hilbert, Grundlagen der Geometrie, Lipsia 1909; L. Mascheroni, Geometria del compasso, Pavia 1797; A. Quemper de Lanascol, Géométrie du compas, Parigi 1925; H. Geppert, G. Mohr e la geometria del compasso, in Periodico di mat., s. 4ª, IX (1929), pp. 149-160; id., Sulle costruzioni geometriche che si costruiscono con la riga ed un compasso ad apertura fissa, ibid., pp. 292-319.
Compassi speciali. - I compassi, secondo gli usi particolari cui sono destinati, assumono forme diverse. Ci limitiamo ad indicarne alcune.
Nel disegno geometrico, per tracciare circonferenze di raggio. piccolissimo, si usa il cosiddetto balaustrino (v. fig.: n. 4), che è un compasso avente la solita struttura, ma di dimensioni minori delle consuete. È caratterizzato da un dispositivo a vite, che permette di farne variare per gradi quasi insensibili l'apertura. Invece, per descrivere archi di circonferenza di grande raggio, si usa il c. a stecca o a randa, costituito, schematicamente, da una lunga riga, la quale porta ad un'estremità una piccola punta metallica, che si può infiggere sulla tavola di disegno come centro, mentre verso l'altra estremità è fornita di un corsoio portante la punta scrivente, che, mediante speciali e svariati dispositivi, si può fissare, lungo la riga, alla distanza voluta dal centro (raggio dell'arco circolare, che si vuole descrivere).
Esistono anche strumenti, che, per quanto siano di struttura molto diversa dall'ordinario compasso, si chiamano c. trisettori o polisettori, perché servono a dividere un qualsiasi angolo in tre o più parti uguali (cfr., p. es., A. Conti, Problemi di 3° grado, in F. Enriques, Questioni riguardanti le matematiche elementari, 3ª ed., II, Bologna 1926, pp. 396-492).
Va particolarmente ricordato il c. di proporzione del Galilei (1597). Esso è costituito da due aste piatte uguali, terminanti ad entrambe le estremità in punte di compasso (v. fig.: n. 6); nelle due aste sono praticate, lungo l'asse, due fenditure perfettamente collimanti, entro cui scorre un pattino recante la cerniera, che collega a compasso le due aste. Per mezzo d'una vite questa cerniera si può fissare in un punto qualsiasi della fenditura, in modo da ottenere, per così dire, due compassi opposti al vertice (ciascuno a gambe uguali, ma generalmente diverse dall'altro). Nello stesso rapporto che intercede fra i due tratti in cui risulta divisa ciascuna asta dalla cerniera, stanno, per qualsiasi apertura, le distanze fra le coppie di punte dei due compassi. Sui bordi visibili della fenditura è segnata la graduazione dei principali rapporti di riduzione.
Ricordiamo ancora i c. di spessore, con le gambe ricurve a tenaglia, che servono a rilevare (e a misurare, grazie ad un arco di cerchio graduato, di cui spesso sono forniti questi compassi) gli spessori degli oggetti (v. fig.: nn. 7, 8), e i c. di calibro, aventi invece le gambe ricurve all'infuori, che servono a rilevare e misurare i diametri interni delle cavità (v. fig.: n. 10). Vi sono compassi che possono essere usati sia come compasso di spessore, che come compasso di calibro (v. fig.: n. 9). Per il cosiddetto c. del Weber, v. estesiometria.