Competenza all’emissione del mandato di arresto europeo
Le questioni problematiche legate alla corretta determinazione della competenza funzionale nell’emissione del mandato di arresto europeo (m.a.e.) hanno dato luogo a un contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione di una disposizione normativa interna che solo apparentemente può sembrare di agevole lettura. Tale dissonanza di orientamenti, la cui definitiva ricomposizione con un intervento regolativo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione pare altamente auspicabile, presenta una diretta incidenza sulle dinamiche delle vicende processuali de libertate.
Con una recente pronuncia emessa a Sezioni Unite1, la Corte di cassazione, senza risolvere espressamente la controversa questione della individuazione dell’organo funzionalmente competente all’emissione del mandato di arresto europeo, rimessa alla sua attenzione con ordinanza n. 12321/2012 della Sesta Sezione2, si è arrestata sulla soglia di una preliminare questione di rito, ribadendo il principio3 secondo cui non sono impugnabili nell’ordinamento interno, neanche ai sensi degli artt. 111, co. 7, Cost. e 568, co. 2, c.p.p., il mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna (artt. 28, 29 e 30 l. 22.4.2005, n. 69) ed il provvedimento emesso dalla stessa autorità (eventualmente in forma di m.a.e.) nell’ambito della procedura di estensione attiva della consegna di cui agli artt. 32 e 26 l. n. 69/2005, potendo i loro eventuali vizi essere dedotti solo nello Stato richiesto, qualora incidano sulla procedura di sua pertinenza, e secondo le regole, le forme ed i tempi previsti nel relativo ordinamento.
Nel caso di specie, infatti, l’oggetto del ricorso atteneva non propriamente al “modello” del m.a.e. attivo ordinario, finalizzato ad ottenere la consegna della persona ricercata, ma ad un m.a.e. utilizzato dall’organo richiedente come “veicolo” per attivare la procedura di assenso all’estensione della consegna di cui alle su citate disposizioni degli artt. 26 e 32 l. n. 69/2005, assenso necessario al fine di superare gli effetti limitativi del principio di specialità.
1.1 La competenza nella procedura “attiva” di consegna
L’art. 28 l. n. 69/2005, in conformità al criterio direttivo enunciato nell’art. 6, par. 1, decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo ed alle procedure di consegna fra gli Stati membri dell’UE, che attribuisce alle legislazioni interne dei singoli sistemi nazionali la facoltà di individuare l’autorità giudiziaria competente ai fini dell’emissione del mandato d’arresto europeo, introduce nel nostro ordinamento un criterio di riparto della competenza «attiva», stabilendo che il mandato d’arresto europeo può essere emesso: a) dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari (si tratta, in questo caso, dell’ipotesi di mandato emesso per finalità “processuali”); b) dal p.m. presso il giudice dell’esecuzione che ha emesso, ex artt. 656 ss. c.p.p., l’ordine di esecuzione della pena detentiva o della misura di sicurezza a carattere detentivo ordinata con la sentenza (in questo caso, invece, si tratta dell’ipotesi di mandato emesso per finalità “esecutive”). La competenza viene dunque attribuita sulla base del provvedimento la cui esecuzione il m.a.e. tende a soddisfare, distinguendosi, in particolare, tre diverse ipotesi: a) l’esistenza di un provvedimento che applica una misura cautelare coercitiva di tipo custodiale; b) l’esistenza di una sentenza irrevocabile di condanna a pena detentiva; c) l’esistenza di una sentenza irrevocabile che abbia applicato una misura di sicurezza.
Nell’ipotesi dell’euromandato cd. esecutivo, qualora lo stesso sia preordinato all’esecuzione di una sentenza di condanna a pena detentiva, il legislatore ha stabilito che la competenza all’emissione spetti al p.m. presso il giudice indicato dall’art. 665 c.p.p. – il giudice dell’esecuzione – che ha emesso l’ordine di esecuzione della pena detentiva di cui all’art. 656 c.p.p. Qualora, invece, l’euromandato tenda a dare esecuzione ad una misura di sicurezza personale detentiva, competente alla sua emissione è il p.m. individuato ai sensi dell’art. 658 c.p.p.: si tratterà, pertanto, del p.m. presso il magistrato di sorveglianza competente per i provvedimenti di cui all’art. 679 c.p.p., ovvero, se la misura di sicurezza sia stata applicata ai sensi dell’art. 312 c.p.p., di quello presso il giudice che ha emesso il provvedimento. La natura eminentemente giudiziaria della nuova procedura di consegna “non estradizionale” ha determinato la scelta, del tutto innovativa nel sistema processuale interno, di attribuire la competenza ad emettere il m.a.e. allo stesso organo competente ad adottare, all’interno del procedimento penale, il provvedimento coercitivo su cui è basata la circolazione della cd. “eurordinanza”. Al riguardo, peraltro, la dottrina ha posto in evidenza l’intento del legislatore di mantenere, nell’individuazione della competenza, gli stessi criteri operanti nel diritto interno per l’esecuzione del provvedimento che incide sulla libertà personale4.
L’emissione del mandato di arresto europeo, inoltre, presenta una connotazione di tipo esclusivamente giudiziario, poiché essa non è sottoposta ad alcun giudizio di “gradimento” da parte dell’autorità politica: la richiesta di consegna, infatti, è avanzata dall’autorità giudiziaria italiana ed è rivolta ad altra autorità giudiziaria che ad essa dovrà dare esecuzione. Entro tale prospettiva, dunque, la competenza funzionale del giudice de libertate e la legittimazione a procedere attribuita al p.m. sono dalla legge individuate secondo un criterio di derivazione, in virtù del quale il m.a.e. si pone come “decisione giudiziaria” (ex art. 1, par. 1, decisione quadro 2002/584/GAI) che attua in concreto il provvedimento irrevocabile, ovvero il titolo custodiale, adottato dall’autorità giudiziaria interna, consentendo al comando in esso contenuto di circolare liberamente nello spazio territoriale europeo con la forza tipica dell’esecutività5. Spetta dunque al giudice, ovvero al p.m. presso il giudice dell’esecuzione, individuati secondo la regola posta dall’art. 28 l. n. 69/2005, valutare sia la sussistenza dei presupposti di legge per l’emissione del mandato di arresto europeo, sia l’an debeatur, vale a dire la concreta necessità di richiedere l’arresto e la consegna della persona ricercata ad un altro Stato membro dell’Unione europea.
Appare invece notevolmente ridimensionato il ruolo delle procure generali rispetto all’ampia sfera di competenze ad esse riservate nella procedura estradizionale, poiché al procuratore generale è attribuito solo il compito di informare immediatamente il Ministro della giustizia della perdita di efficacia del mandato di arresto, per la conseguente comunicazione allo Stato di esecuzione (ex art. 31 l. n. 69/2005), e di emettere il m.a.e. nella sola ipotesi in cui lo stesso procuratore generale abbia provveduto ad emanare l’ordine di esecuzione della pena detentiva in relazione ad una sentenza di condanna irrevocabile (ex art. 28 l. n. 69/2005).
L’analisi delle numerose implicazioni problematiche legate all’applicazione della disposizione di cui all’art. 28 l. n. 69/2005 ha inizialmente indotto la Corte di cassazione, intervenuta nel definire un conflitto negativo di competenza insorto tra il g.i.p., che aveva emesso le ordinanze di custodia cautelare, ed il tribunale, presso il quale il procedimento risultava successivamente pendente per il merito, a ritenere che, sulla base di un’interpretazione logico-sistematica degli artt. 28, 30 e 39 l. n. 69/2005, la competenza deve essere attribuita all’autorità giudiziaria che procede6.
2.1 Il contrasto giurisprudenziale
La ragione giustificativa di tale orientamento è stata individuata non solo nel considerevole lasso di tempo che può intercorrere tra l’emissione della misura coercitiva e l’emissione del mandato d’arresto europeo, ma anche nell’esigenza che l’organo emittente sia pienamente a conoscenza dell’iter processuale compiuto, sì da assolvere ai numerosi incombenti che la legge pone al riguardo (quali, ad es., le informazioni, la relazione di accompagnamento, la trasmissione di informazioni integrative, ecc.).
La prevalenza in tal modo attribuita all’interpretazione logico-sistematica, rispetto a quella strettamente letterale, della disposizione di cui all’art. 28, co.1, lett. a), l. n. 69/2005, si radica, pertanto, sulla natura delle informazioni che, a norma dell’art. 30, devono corredare il mandato di arresto europeo, e che necessariamente postulano la disponibilità degli atti processuali: lo Stato richiesto, infatti, ben potrebbe richiedere la trasmissione di ulteriori elementi di informazione, che solo il giudice che ha quella disponibilità e conosce l’evoluzione del procedimento sarebbe in grado di offrire.
Ponendosi entro tale prospettiva ermeneutica, inoltre, la Suprema Corte ha rilevato che se, nel caso di un “fisiologico iter processuale”, è corretto prevedere che chi emette la misura custodiale, avendo interesse a farla eseguire, disponga se del caso gli opportuni accertamenti sulla persona ricercata e in base ad essi emetta – entro termini ragionevolmente ristretti – anche il m.a.e. (in linea con i dati acquisiti e dei quali ha piena cognizione), non sembra possibile accedere, di contro, alla medesima soluzione allorquando tra l’emissione della misura restrittiva e l’emissione del mandato d’arresto europeo intercorra un “considerevole lasso di tempo”: in ragione della evoluzione dell’iter processuale, della fluidità che spesso caratterizza l’ipotesi accusatoria e delle non rare modifiche dell’impianto probatorio, il m.a.e. potrebbe, infatti, non coincidere in toto con la misura originariamente emessa, imponendo in tal modo la sua emissione da parte dell’autorità giudiziaria che risulti essere a piena conoscenza dell’evoluzione processuale nel frattempo intervenuta.
Successivamente, tuttavia, la Suprema Corte si è discostata da tale indirizzo interpretativo, ed ha stabilito che la competenza ad emettere il mandato di arresto europeo spetta al giudice che ha emesso la misura cautelare, ancorché non sia più il giudice “che procede”7 . Il mutamento di prospettiva è avvenuto sulla base di uno stretto ancoraggio alla formulazione letterale del testo normativo, che fa riferimento non al giudice che procede ai sensi dell’art. 279 c.p.p., ma al giudice che ha emesso la misura cautelare. Muovendo da tale premessa argomentativa si è osservato, in particolare: a) che l’art. 29 l. n. 69/2005 non subordina l’emissione del m.a.e. ad una valutazione di merito, ma solo alla condizione che l’imputato o il condannato risultino nel territorio di uno Stato membro dell’UE, con la conseguenza che la sua adozione “non appare espressione dell’esercizio del potere cautelare, ma uno strumento per consentire l’esecuzione in campo europeo dell’originario provvedimento”; b) che l’art. 30 della stessa legge prevede che il m.a.e. contenga un apparato informativo legato esclusivamente alla misura cautelare emessa, e dunque “nulla che attenga all’iter processuale in corso”.
A tale nuovo orientamento si è adeguata la successiva evoluzione della giurisprudenza di legittimità, stabilendo anche in un altro caso8 la competenza del giudice del dibattimento che aveva emesso la misura cautelare. Più in particolare, il nuovo indirizzo interpretativo è stato confermato, ragionando sulla base del rilievo che la compilazione e la spedizione del m.a.e. non costituiscono espressione della potestà coercitiva e, pertanto, non rientrano nelle generali attribuzioni del giudice procedente, ai sensi dell’art. 279 c.p.p.: si tratterebbe dunque, «di un’attività di carattere meramente certificativo-amministrativo-strumentale, preordinata alla esecuzione della ordinanza cautelare fuori dei confini dello Stato, la quale non offre alcun margine di discrezionalità al compilatore e costituisce adempimento assolutamente dovuto e a contenuto vincolato».
Né, peraltro, gioverebbe, al riguardo, la considerazione di supposte esigenze di carattere pratico, eventualmente apprezzabili in relazione alla immediata disponibilità degli atti occorrenti per attingere i dati necessari per la compilazione del provvedimento e al correlato aspetto del principio di economia processuale, sotto il profilo che, specie ove sia decorso un notevole lasso di tempo dall’emissione dell’ordinanza coercitiva, il giudice che l’ha deliberata non è più in possesso del fascicolo, in dipendenza della evoluzione della fase o del grado del processo. Siffatta, possibile, obiezione non è stata ritenuta fondata, essenzialmente sulla base di due argomenti: a) in primo luogo, perché la stessa ordinanza che ha disposto la misura coercitiva (necessariamente non ancora in corso di esecuzione, se è richiesto il mandato di cattura europeo) non deve essere allegata al fascicolo formato per il dibattimento, sicché il giudice procedente non ha la disponibilità del provvedimento; b) inoltre, secundum id quod plerumque accidit, gli atti sulla base dei quali è fondata la coercizione sono custoditi nel fascicolo del p.m., e neppure di essi il giudice dibattimentale procedente ha la disponibilità.
Tra i due contrapposti orientamenti, la sopra citata ordinanza di rimessione n. 12321/2012 ha ritenuto maggiormente condivisibile il primo, sul rilievo che esso meglio riflette la natura strumentale del m.a.e., ed il necessario raccordo tra il mandato e l’ordinanza cautelare emessa nel procedimento “domestico”: il mandato d’arresto europeo, infatti, rappresenta solo il profilo esterno di un provvedimento, cautelare o definitivo, la cui legittimità è comunque subordinata al necessario rispetto delle regole interne che ne disciplinano l’emissione.
Mentre il secondo degli orientamenti giurisprudenziali sopra illustrati tende a privilegiare un’esegesi strettamente letterale della norma contenuta nell’art. 28 l. n. 69/2005, il primo di essi, ad avviso della sezione rimettente, ritiene necessario “leggere” tale disposizione unitamente agli artt. 30-39 della medesima, al fine di evitare che, sulla base di un approccio meramente testuale al dato normativo, si pervenga a soluzioni non in linea con gli intendimenti e le finalità del legislatore.
Procedendo, ora, ad una sintetica disamina delle principali argomentazioni su cui ha fatto leva l’ordinanza di rimessione per motivare tale assunto, è necessario anzitutto rilevare come l’applicazione della regola posta dall’art. 28, co.1, lett. a), l. n. 69/2005, debba compiutamente inserirsi all’interno di un quadro normativo che presuppone il rispetto, «in quanto compatibili», delle disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari (ex art. 39, co. 1, l. n. 69/2005). In tal senso, la disposizione attributiva della competenza nella fase di emissione del mandato (art. 28, co. 1, lett. a, l. n. 69/2005) fa riferimento al «giudice che ha applicato la misura cautelare», utilizzando la stessa formulazione lessicale impiegata dal legislatore nell’art. 279 c.p.p. (che fa riferimento, oltre che all’ “applicazione”, alla “revoca” delle misure ed alle “modifiche” delle loro modalità esecutive) per delineare i criteri che regolano la legittimazione all’emissione dei provvedimenti de libertate, sui quali, come è noto, «provvede il giudice che procede» al tempo della richiesta, ovvero il g.i.p., nell’eventualità che il petitum cautelare si collochi in un momento antecedente all’esercizio dell’azione penale.
Il mancato coordinamento del testo normativo con la regola di sistema enunciata nell’art. 279 c.p.p. è probabilmente dovuto al fatto che, nel corso dei lavori parlamentari, era stato proposto un testo alternativo che assegnava la competenza per l’emissione del m.a.e. al «procuratore generale presso la corte d’appello del distretto in cui si procede» (a tal fine sollecitato dal p.m. presso il giudice de libertate, ovvero da quello che ha emesso l’ordine di esecuzione), testo poi abbandonato in favore dell’attuale, senza peraltro provvedere all’introduzione delle necessarie disposizioni di raccordo normativo.
Di contro, secondo l’impostazione accolta dall’ordinanza di rimessione, è proprio il rilievo della stretta interdipendenza tra il m.a.e. ed il provvedimento restrittivo dello status detentionis, sulla cui adozione si fonda l’emissione del primo, a suggerire il rispetto del requisito della identità soggettiva tra l’ “autorità giudiziaria emittente” e l’“autorità giudiziaria procedente”, in conformità alle regole generali dell’ordinamento processuale (arg. ex art. 39, co.1, l. n. 69/2005), la cui piena “compatibilità” all’interno del nuovo meccanismo di consegna non sembra possa essere messa validamente in discussione, se non alterando la fondamentale ratio di garanzia che individua la figura del giudice de libertate parallelamente alla dinamica evoluzione del rapporto processuale ed alla sua progressiva articolazione nelle varie fasi e nei diversi gradi, sulla base della disponibilità materiale e giuridica degli atti.
Al riguardo, ad esempio, appare emblematico il riscontro derivante dall’analisi della disposizione di cui all’art. 31 l. n. 69/2005, la quale stabilisce il principio della non autonomia del mandato d’arresto europeo rispetto al provvedimento interno, prevedendo che il mandato d’arresto perda efficacia quando il provvedimento restrittivo della libertà personale, «sulla base del quale è stato emesso», venga revocato, annullato, o sia divenuto inefficace (sulla base dei principi generali e delle ordinarie regole processuali fissate dagli artt. 272 ss. c.p.p., in tal modo implicitamente richiamate nella legge di attuazione). Ne discende che il venir meno del presupposto giustificativo della richiesta di consegna – ossia del provvedimento restrittivo dello status libertatis – non può che travolgere il mandato e gli effetti dallo stesso scaturiti. Altro argomento fatto proprio dal giudice rimettente è quello incentrato sul fatto che la decisione sull’emissione del m.a.e., lungi dall’esaurirsi in un’attività di riscontro certificativo, o di tipo meramente compilativo, costituisce il risultato dell’esercizio di una prerogativa rimessa al giudice e, nella fase esecutiva, al pubblico ministero, cui spetta valutare essenzialmente i seguenti profili, di ordine sostanziale e processuale: a) la sussistenza dei presupposti di legge per l’emissione del m.a.e. (artt. 28 e 29, co. 1, l. n. 69/2005); b) l’an debeatur in merito alla richiesta di arresto e consegna da rivolgere agli altri Stati membri dell’UE.
I presupposti di legge, come è noto, sono tre: a) che nel procedimento penale siano stati emessi l’ordinanza di custodia cautelare o un ordine di esecuzione della pena detentiva, non eseguiti per irreperibilità dell’imputato o del condannato; b) che sia certa, probabile o possibile la presenza dell’imputato o del condannato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza; c) che ricorrano determinati limiti di pena. A tali considerazioni, però, deve aggiungersi l’ulteriore, dirimente, rilievo per cui la valutazione in ordine alla sussistenza dei profili dell’an debeatur poggia su un apprezzamento largamente discrezionale, anche in tal caso oggettivamente ricollegabile ad un’operazione di attenta verifica e ponderazione del complesso degli elementi storico-fattuali e probatori a disposizione dell’autorità giudiziaria che procede nella fattispecie concreta.
3.1 I criteri direttivi per l’emissione del m.a.e.
Non a caso si è ritenuto possibile enucleare, al riguardo, taluni criteri direttivi di ordine generale, il cui prudente bilanciamento, come posto in luce nel Vademecum per l’emissione del mandato d’arresto europeo, elaborato dal Ministero della giustizia – Direzione Generale della giustizia penale, e nel Manuale europeo sull’emissione del mandato di arresto europeo, adottato dal Consiglio dell’Unione europea il 18 giugno 2008 (8216/2/08), dovrebbe in ogni caso essere condotto dall’autorità competente per l’emissione del m.a.e.:
a) in primo luogo, l’arresto e la consegna possono essere richiesti, ad un altro Stato membro, soltanto ai fini dell’effettiva esecuzione del provvedimento detentivo emesso nel procedimento penale; per questo motivo la legge, da un lato, non consente di emettere il m.a.e. in presenza di misure coercitive non custodiali (artt. 281-283 c.p.p.), che comporterebbero l’immediata liberazione della persona, dopo la consegna; dall’altro lato, prevede espressamente la perdita di efficacia del mandato d’arresto europeo, già emesso dal giudice, nei casi di estinzione della custodia cautelare (ex art. 31 l. n.69/2005);
b) in secondo luogo, la stretta correlazione tra lo status detentionis e il mandato d’arresto europeo ne rende problematica l’emissione sulla base della misura coercitiva degli arresti domiciliari (art. 28, co.1, lett. a, l. n. 69/2005, in relazione all’art. 284 c.p.p.), inducendo il giudice ad adottare, in questo caso, particolari cautele nella decisione;
c) in terzo luogo, e soprattutto, la valutazione sull’an debeatur, che nella prassi applicativa risulta essere molto diversa, a seconda dello Stato membro interessato e dell’autorità che procede, non può prescindere dal fatto che l’emissione del m.a.e. è comunque soggetta al rispetto dei limiti generali di ragionevolezza e proporzionalità sui quali si fonda l’azione comune dell’Unione europea, anche nel settore della cooperazione giudiziaria (art. 5 TUE).
Ne consegue che il giudice e il pubblico ministero, quando agiscono come autorità “di emissione” del m.a.e., sono chiamati sempre ad operare una duplice valutazione: a) sul piano interno, essi devono tener conto di una serie di elementi indicativi, quali quelli rappresentati, a titolo esemplificativo, dalla gravità del reato, dalla personalità dell’autore, dall’entità della pena e dalla durata della misura cautelare, anche in considerazione della scadenza dei termini di fase; b) sul piano internazionale, inoltre, devono considerare che dall’emissione del m.a.e. scaturisce una complessa attività di cooperazione internazionale tra organi di polizia e autorità giudiziarie, e che l’esecuzione del mandato comporta l’arresto e la detenzione del ricercato, nel territorio di un altro Stato membro, per un lungo periodo di tempo, sollecitando l’instaurazione di un continuo interscambio informativo tra le autorità giudiziarie interessate e, talora, tra queste ultime ed Eurojust (ex artt. 16 e 17 della decisione quadro del 13 giugno 2002). Si tratta, evidentemente, di una “griglia” di valutazioni che solo l’autorità procedente è in grado di esercitare con ampiezza di prospettive ed effettività di risultati, traendone le necessarie determinazioni ai fini dell’atto d’impulso della procedura attiva di consegna.
3.2 Le prospettive
Dal testo normativo emerge con evidenza una scelta asimmetrica nell’articolazione della competenza giurisdizionale tra la fase attiva e quella passiva della procedura di consegna, attraverso l’introduzione di un significativo elemento di novità nella disciplina dei rapporti giurisdizionali con le autorità straniere: per la prima volta, infatti, la competenza non viene radicata a livello distrettuale presso le procure generali delle corti d’appello, come nel precedente sistema estradizionale, ma viene attribuita al giudice titolare del potere cautelare, che non può essere individuato se non alla stregua delle regole generali, implicitamente richiamate, di cui agli artt. 279 c.p.p. e 91 disp. att. c.p.p.9
Inoltre, l’imprecisa formulazione letterale del testo normativo, non coordinato con il quadro di regole che presiedono all’individuazione del giudice competente in ordine alle misure cautelari (artt. 279 c.p.p. e 91 disp. att. c.p.p.), è stata ritenuta10 foriera di gravi complicazioni sul piano applicativo, poiché, ove intesa in senso restrittivo, porterebbe ad assegnare al giudice che ha adottato la misura cautelare una competenza “ultrattiva”, il cui radicamento resisterebbe finanche nell’ipotesi in cui l’emissione del mandato di arresto europeo dovesse verificarsi all’interno di fasi o gradi successivi, come, ad esempio, nelle situazioni in cui la corte d’appello per qualsiasi ragione decidesse di ripristinare una misura cautelare precedentemente revocata da un altro giudice.
È dunque assai agevole ipotizzare che il “nodo” problematico giunto all’attenzione della Corte di cassazione vi torni di nuovo in un prossimo futuro, per essere sciolto con una statuizione che faccia definitiva chiarezza sui numerosi dubbi sinora emersi, dubbi la cui soluzione pare ancor più necessaria osservando l’incerto evolversi della più recente prassi giurisprudenziale, in ragione della particolare delicatezza dei meccanismi legati all’esatta individuazione di una regola di competenza funzionale oggettivamente incidente sulla dinamica delle procedure de libertate.
1 Cass. pen., S.U., 21.6.2012, n. 30769.
2 Cass. pen., 13.3.2012, n. 12321.
3 Cass. pen., 31.10.2007, n. 45769.
4 Chelo, A., Il mandato di arresto europeo, Padova, 2010, 336; De Amicis, G. –Iuzzolino, G., Guida al mandato d’arresto europeo, Milano, 2008, 110.
5 Cimadomo, D., La procedura attiva di consegna, in Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, Kalb, L., a cura di, Milano, 2005, 518 ss.
6 Cass. pen., 29.4.2008, n. 26635.
7 Cass. pen., 26.3.2009, n. 15200.
8 Cass. pen., 16.4.2009, n. 18569.
9 De Amicis, G. -Iuzzolino, G., Al via in Italia il mandato d’arresto UE, in Dir. giust., 2005, 9, 61 s.
10 Siracusano, F., Il procedimento di emissione del mandato d’arresto europeo, in Mandato d’arresto europeo, Bargis, M. -Selvaggi, E., a cura di, Torino, 2005, 395.