Competizione
Il termine competizione (dal latino tardo competitio, derivato da competere, "competere") designa la gara, la lotta, il misurarsi con qualcuno per la conquista di un primato. La competizione si manifesta nello sforzo attraverso il quale individui e gruppi cercano l'affermazione e testimoniano la propria condizione di soggetti interagenti con gli altri. In ecologia, la competizione tra specie diverse o all'interno della stessa specie è fattore fondamentale di regolazione ambientale, elemento di modificazione delle condizioni di sopravvivenza e di accrescimento tra specie diverse o nella stessa specie. Come ambito molteplice di azione interumana, essa racchiude i campi dello scambio amichevole, dal gioco alla competizione sportiva, fino a fenomeni di violenza e distruttività. In ogni caso, lo stato competitivo individua e rivela la formazione di meccanismi gerarchici tra singoli individui interagenti e tra gruppi sociali.
La competizione indica una relazione di opposizione, che è espressione dei meccanismi biochimici primari, di quelli psicologici individuali, di gruppo e tra gruppi, e definisce le dinamiche per la conquista della supremazia. Con il perfezionarsi del livello di evoluzione del suo organismo, l'uomo organizza il proprio comportamento mediante connessioni sempre più complesse tra contesti funzionali diversi e sequenze innate e apprese, tra programmi di origine filogenetica e repertori comportamentali preordinati, tra stati motivazionali biologicamente determinati e istanze psicologiche non biologicamente determinate. Gli studi sulla competizione hanno messo in rilievo non solo l'elemento invariante dell'aggressività (v.), ma anche quelli dell'autoaffermazione, del bisogno di successo, di realizzazione, di possesso, sfere distinte dalla mera aggressività. A questi elementi si aggiungono i meccanismi specifici della tensione emotiva, della relazione d'insieme, della rispondenza alle attese di gruppo, dell'obbedienza all'autorità, della complessità dell'esperienza, del movimento, del gioco. La competizione, dunque, non può essere assimilata tout court all'aggressività. In essa, con il conflitto interpersonale entrano in gioco altri fattori importanti: la valutazione della convenienza, l'aspetto del calcolo, il possibile guadagno rispetto al sacrificio richiesto, l'analisi del rapporto tra costi e benefici: tutte operazioni cognitive, anche se inconsapevoli, emotivamente fondate, che spingono o limitano il meccanismo competitivo. Diversamente, considerare l'aggressività quale suo carattere unico connoterebbe il comportamento competitivo esclusivamente come processo distruttivo fondato su una pulsione di morte, anziché su una pulsione di vita, che è invece la motivazione primaria della spinta all'autoaffermazione.
a) La prospettiva sociobiologica. Negli ultimi decenni, la corrente sociobiologica dell'evoluzionismo - che attraverso i suoi modelli ha integrato le teorie ecologico-sistemiche con quelle genetiche - ha applicato il paradigma darwiniano all'evoluzione della società. Secondo tale paradigma, l'economia della natura in quanto tale è, come anche quella umana, sempre competitiva. L'altruismo, e qualunque sentimento o comportamento volto al miglioramento della nostra concezione della società, sono mere illusioni: ognuno agisce sempre alla ricerca del proprio vantaggio e, anche quando l'altruista sacrifica sé stesso per altri, contribuisce alla riproduzione del proprio corredo genetico. Ma se è vero che già l'uomo dell'Età della Pietra era in competizione con i propri simili per la conquista di territori di caccia e di raccolta, il principio secondo cui il comportamento umano sarebbe fondato sull'assunto di base dell'esclusiva sopravvivenza genetica e gli organismi agirebbero solo in ragione di una tendenza egoistica, introduce un meccanismo 'necessitante' difficilmente sostenibile. Se è vero che l'azione umana è in gran parte retta, adattativamente, dal principio della diffusione dei propri geni, considerare alla stregua di illusioni la simpatia, l'amicizia, l'amore per il prossimo vuol dire affermare che ogni organismo cerca esclusivamente il proprio vantaggio a spese di un altro.
b) La prospettiva etologica. Gli studi etologici integrano i risultati della ricerca psicobiologica del comportamento con quelli delle teorie dell'apprendimento, non trascurando l'incidenza che l'ambiente ha sugli schemi competitivi e sui meccanismi innati predeterminati filogeneticamente. Aiutano a chiarire, inoltre, fuori dalle semplificazioni del determinismo biologico, la genesi della competizione e le sue conseguenze sull'adattamento filogenetico. Non è chiara la misura di tali adattamenti in relazione alle disposizioni innate, ma sul piano percettivo, su quello motorio e su quello motivazionale, sembrano avere un ruolo decisivo fattori causali interni. Sebbene lo slancio competitivo e i relativi 'meccanismi motivanti' abbiano correlati sperimentali certi, non è chiaro quali fattori contribuiscano alle motivazioni endogene. Un ruolo, in tal senso, potrebbero averlo gli ormoni androgeni, le catecolamine cerebrali implicate nell'attivazione spontanea dei meccanismi neuronali.
c) La prospettiva psicoanalitica. Dal punto di vista psicoanalitico, il comportamento competitivo nei confronti degli altri, di cui spesso l'individuo non è consapevole, è sovente motivato da inconsci sentimenti di inferiorità che il soggetto cerca di compensare attraverso il raggiungimento di risultati esteriori. Secondo Freud (1930) la costruzione dei codici della civiltà corrisponde, in quanto tale, a uno sforzo di sublimazione. La competizione rappresenta una situazione di 'drammatizzazione', una produzione di tensioni che reca in sé inevitabili effetti catartici e, appunto, sublimatori. C'è una continuità strutturale, isomorfica, che tiene insieme la competizione sportiva e il conflitto bellico nelle loro articolazioni e funzioni simboliche sostitutive e sublimatorie, come è dimostrato da studi psicologici, interdisciplinari, polemologici.
I processi in gioco nella competizione riguardano aspetti generali comuni a ogni situazione e sono tanto più rilevanti quanto più è accentuato l'agonismo. Gli attori della competizione sono legati in una relazione definita, che vincola i soggetti alle caratteristiche fondamentali della coesione tra gli elementi della struttura. In altri termini, essi manifestano un minimo comune denominatore, hanno medesime caratteristiche, si attraggono. La durezza della competizione dipende anche dalla forza dei livelli di omogeneità, di attrazione reciproca e da altri aspetti ancora.
D'altra parte, gli attori della competizione esprimono una diversità interna alla struttura di relazione d'insieme, asimmetrie reciproche, e presentano profili dissonanti sovente incompatibili. Spesso la realizzazione dell'uno coincide con la frustrazione dell'altro. Sebbene la loro relazione sia decisiva, essi si differenziano fino alla 'disidentificazione'. L'intensità della competizione dipende però anche dai livelli di intensità di tale differenziazione, dal numero e dalla visibilità dei fattori in gioco e dei loro indicatori essenziali. Fra i soggetti della competizione, l'incompatibilità reciproca aumenta in funzione di questi fattori. Nei suoi livelli di intensità, essa è definita dal grado di rilevanza delle componenti in gioco e dalla relazione fra tali componenti: la validità degli attori, le capacità di prestazione e di sforzo, il loro carisma, l'incidenza e l'importanza soggettiva, l'evidenza psicologica del Sé, delle figure dei partner e degli avversari. Infatti, se una competizione forte non avviene tra individui validi e di uguale potenza, la sproporzione tra i soggetti o la prevedibilità del risultato indebolisce la competizione stessa. Come, d'altronde, risulta debole una competizione dove gli attori conferiscono scarso rilievo ai fini perseguiti, dove la situazione creatasi attenua le necessarie discrepanze e asimmetrie, dove sono presenti fattori di interferenza, di distrazione, di deconcentrazione, di disinvestimento emotivo e affettivo.
4. I luoghi della competizione
In generale, la competizione si esprime con una sequenza bifasica: un periodo di progressione e di accelerazione che giunge a un suo punto massimo, e una fase di riduzione e declino che va fino alla sua risoluzione. Tale andamento si manifesta nella competizione sportiva come anche nei conflitti sociali e bellici, ed è caratterizzato da due opposte esigenze: quella per cui il confronto è ricercato, istituito e potenziato, e quella per cui esso viene attenuato e neutralizzato. In tal senso, sia la tendenza naturale ad accentuare la competizione, sia quella opposta, tendente a ridurla, non smettono di coesistere nei conflitti sociali, come anche in caso di guerra.
La competizione sportiva riproduce forme e schemi di contesa comportamentale ed è definita e regolata da una fitta serie di codici atti a salvaguardare l'integrità degli avversari. I concorrenti, infatti, possono e devono entrare in conflitto solo per un aspetto, quello messo in palio nella competizione, cioè il primato. Ogni altra espressione è vietata: il divieto e la dissuasione prendono corpo in regolamenti scritti, leggi, costumi, procedure di diritto, istituzioni normative. In tal senso, ciò che acquista rilievo è l'inibizione della violenza, l'istituzione di regole valide per tutti. Questa regolamentazione indica una canalizzazione delle energie su binari precostituti e dichiarati, verso mete ben note, su percorsi rigorosamente delimitati e temporalmente definiti. Fuori da tali ambiti deve regnare la pace; e dentro tali ambiti l'infrazione dei codici e la trasgressione dei limiti comporta la riprovazione, la sanzione, l'uscita dal sistema.
Nello sport, la competizione può svolgersi in campo neutro, o in casa di uno dei concorrenti, e richiede la compresenza. In linea generale, la stima reciproca e un comune sentire rendono più accesa la competizione, anziché attenuarla. In alcuni tipi di gare svolte 'in solitario' la compresenza competitiva assume una dimensione fantasmatica e si realizza mediante l'immaginazione, nel senso di una introiezione e interiorizzazione dell'avversario. Le immagini fantastiche costituiscono un importante materiale simbolico per l'espressione e il soddisfacimento parziale delle ulteriori esigenze insoddisfatte. La focalizzazione immaginaria riveste significati facilitativi per l'apprendimento e l'intuizione produttiva, strumenti utili per il perfezionamento dei risultati. Le rappresentazioni immaginarie, inoltre, accrescono le capacità e arricchiscono la vita emotiva dei singoli, come anche quella dei gruppi. C'è parallelismo tra la soddisfazione simultanea delle diverse motivazioni dominanti nell'individuo e l'esperienza estetica. La competizione, intrecciata ai livelli di rappresentazioni mentali, percezioni, emozioni e azioni che si verificano nell'attivazione competitiva, compensa le diverse richieste presenti in una determinata personalità.
Tuttavia, tra competizione sportiva e guerra non vi è solo continuità isomorfica, vi è anche differenziazione alternativa. Dove ha luogo la prima non può svolgersi la seconda e viceversa. Come è noto, i greci sentivano di dover interrompere le ostilità ogni volta che si svolgevano giochi atletici di un certo rilievo e, in occasione della morte in guerra di un condottiero, sospendevano i combattimenti cruenti per sostituirli con i combattimenti sportivi, nei ludi funebri.
Lo stato agonale comprende quelle situazioni nelle quali i conflitti sono stati disinnescati e sostituiti da altre espressioni come la contesa, la concorrenza, il concorso. Lo sport, come osservato precedentemente, ne è una rappresentazione efficace, largamente diffusa, con un'articolazione nei differenti ambiti disciplinari. Lo stato agonale, comunque, oltrepassa la dimensione propriamente ludica e investe sfere come quelle dell'economia, dell'amministrazione, della religione, dell'arte. La sua caratteristica precipua è che i rivali si comportano non più da nemici, ma da avversari, il che esclude fin dall'inizio la violenza e l'intenzione ostile, ma non la possibilità di vincere o di superare il concorrente, secondo modi stabiliti e accettati in anticipo (Freund 1995).
L'equilibrio dello stato agonale è provvisorio e dinamico e in qualunque momento fattori di turbamento difficilmente controllabili possono metterlo a rischio. Tuttavia, la preoccupazione di creare, mediante norme e regolamentazioni, condizioni di armonia, può generare un processo opposto che si rivolge contro lo stato agonale, determinando veri e propri processi di violenza. Dunque, ai fini della sua affermazione, uno stato agonale esclude la possibilità di armonia. Ciò, proprio in ragione del fatto che l'equilibrio che lo caratterizza è di natura provvisoria, precaria, e il suo risultato deriva da movimenti e forze opposti ed eterogenei che si neutralizzano senza mai annullarsi.
Si compete, si gareggia, si gioca sempre per qualcosa. Questo qualcosa non è tanto il fatto materiale che consegue alla competizione, quanto il risultato immateriale e, cioè, la riuscita della sfida. La vittoria procura soddisfazione, onore, stima. Nella competizione non è presente solo un mero spirito di potenza o di dominio sugli altri, ma anche e soprattutto l'aspirazione a superare gli altri, a essere onorati, stimati, a ottenere il trionfo. Si concorre, ci si sfida, si lotta in qualcosa e con qualcosa: in forza, in sapienza, in destrezza; col corpo, con l'intelletto, con le armi, con le parole. Nelle società arcaiche, ove il sapere è qualcosa di magico e dunque di sacro, la forma più diffusa di competizione è quella in scienza e saggezza. Nelle feste sacre si compete con la parola, con gli indovinelli, con gli enigmi. In quelle civiltà lo spirito di competizione ha la funzione di promuovere il coraggio personale ed eroico, di spronare la civiltà medesima e lo sviluppo della sua vita sociale. Nei secoli passati, la vita dei nobili acquista la forma di un gioco di onore e di coraggio; ma quel gioco, non potendo essere utilizzato nelle tensioni cruente della guerra, ha uno sbocco sociale nella rivalità idealizzata e costruita sui valori di onestà, di virtù, di bellezza. Tali categorie prendono corpo nei valori della cavalleria, dell'atletica guerriera, della religione dell'onore propria dei codici dei samurai, quel senso del dovere che permea di sé le regole di società antiche.
È importante osservare che uno dei processi decisivi nell'evoluzione della cultura umana è proprio la ritualizzazione dei conflitti dannosi, processo che svolge un vero e proprio ruolo di pressione selettiva. In tal senso, la competizione verbale rappresenta una ritualizzazione estrema del comportamento agonale. La possibilità di spostare i conflitti sul piano verbale contribuisce in maniera decisiva ad armonizzare la coesistenza umana. Il più elevato grado di ritualizzazione della lotta si esprime nella contesa verbale, che da sempre rappresenta il terreno della maggior parte dei conflitti intraspecifici. Gli studi sull'argomento dimostrano che, nell'uso degli schemi che presiedono all'agire verbale, esistono invarianze culturali (la delegittimazione, l'accusa, la diffamazione, la calunnia ecc.) che rappresentano le regole di condotta su cui vengono strutturate strategie di interazione sociale.
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