compiere (compire; part. pass. compiuto e compito)
Non pare sussistano differenze semantiche fra le voci del verbo ‛ compiere ' e quelle del verbo ‛ compire '; anzi, si può affermare che ai tempi di D. i due verbi fossero ancora sentiti come uno solo, direttamente derivato dal latino classico complere; esistevano già alternanze nella coniugazione che portarono poi alla formazione di due verbi, con coniugazioni e significati diversi.
Le due occorrenze che ci presentano un uso del verbo più strettamente in relazione col latino complere, sono quelle di Pd XIII 28 e XXXI 40. Nella prima, infatti (Compié 'l cantare e 'l volger sua misura), significa: " l'inno e il moto circolare compierono la misura loro assegnata " (Sapegno), e nella seconda (di che stupor dovea esser compiuto!) il participio è interpretato come " colmo ", " ripieno " di stupore, di meraviglia, da tutti i commentatori; fra le altre, notevole la nota del Venturi, secondo la quale " la parola dantesca comprende un concetto di sovrabbondanza e fors'anco di perfezione "; egli mostra di non avvertire la priorità semantica del senso di " riempire " (cfr. complere) rispetto al significato di " porre termine ", " concludere " (cfr. perficere).
Il passaggio dal senso di " riempire " a quello di " completare ", " porre termine ", " condurre a fine ", " concludere ", è rappresentato da occorrenze come quelle di Vn XXVIII 1 (compiuta n' avea questa soprascritta stanzia), di If XXVII 130 (Quand'elli ebbe 'l suo dir così compiuto) e di Cv IV XIII 7 (avvegna che pochi, per male camminare, compiano la giornata: " pochi, perché non si conosce il cammino, giungono alla meta prefissasi, alla fine della giornata "). Altre volte il verbo fa parte di locuzioni riguardanti il viaggiare, come in Pg XX 38 s'io ritorno a compiér lo cammin corto / di quella vita ch'al termine vola, " a compiervi la breve vita mortale " (Scartazzini-Vandelli); così in Cv II XIV 12. Altri casi in cui il verbo vale " finire ", " terminare " (in senso attivo): Cv II XIII 29, III V 14, If XXIII 34 Già non compié di tal consiglio rendere (in cui il verbo regge un infinito, ed è perciò ausiliare), e Cv IV XXVIII 16, in cui la differenza fra il feci e il compiei sta nel fatto che c. è intensivo di ‛ fare ', e vuoi dire non tanto " eseguire ", quanto " eseguire fino in fondo " (perficere).
Al passivo (o nel costrutto intransitivo pronominale) vale " aver termine ", " concludersi ", " giungere al fine ", " esaurirsi ": poi che le prime etadi fuor compiute (Pd XXXII 79), " finite ", " trascorse " le età antiche; Cv III v 15 queste rote sono compiute, questi giri " sono terminati, conclusi "; III IX 8 questo discorso... sì si compie, " ha termine ", " finisce "; e così la gioventute nel quarantacinquesimo anno si compie (Cv IV XXIV 4). Il verbo in ogni modo potrebbe non essere in tutto corrispondente a ‛ cessare ' nell'esempio di Pg XX 141 fin che 'l tremar cessò ed el compiési (tuttavia i commentatori vi leggono una perfetta identità: " il canto ,giunse alla fine... e si tacque al cessare del terremoto " (Rossi); " il canto... fu compiuto, cantato fino in fondo, cessando contemporaneamente al terremoto " (Mattalia).
L'occorrenza di Cv IV XXVIII 16 spiega bene il passaggio dal senso di " completare ", " porre fine ", a quello di " eseguire ", ma si deve in tutti i casi tener conto del fatto che c. non equivale mai puramente e semplicemente a " fare ", come si accerta anche in Vn XXIII 10 io avea veduto compiere tutti li dolorosi mestieri che a le corpora de li morti s'usano di fare. Similmente, in Cv IV v 4, la gloriosa Roma doveva ‛ compiere ', per divino provedimento, l'alto ufficio di unificare il mondo: doveva, cioè, " attuare ", " realizzare " il disegno divino. Infine in Pg VI 38 cima di giudicio non s'avvalla / perché foco d'amor compia in un punto / ciò che de' sodisfar chi qui s'astalla, ‛ c. in un punto ' vale " risarcire in un solo istante ", " soddisfare pienamente anche in un attimo ", cosa che Iddio concede per sua bontà, e che non avvalla, non " abbassa " l'altezza del suo giudizio. Anche in questi valori c. può essere usato al passivo: Pd XII 61 le sponsalizie fuor compiute, " furono celebrate "; Cv II III 5 la quale [rivoluzione]... si compie quasi in ventiquattro ore; IV XV 13, in ablativo assoluto, la domandagione compiuta, male rispondono.
Assume sfumature diverse con diversi complementi: " realizzare " un desiderio, " soddisfare " un'aspirazione, " saziare ", ad es. la sete de la cupiditate (Cv IV XII 6): cfr. Cv III XV 8 e 9, IV XII 19 quello che dirittissimo vae a la cittade... compie lo desiderio... e quello che va in contrario mai nol compie e mai posa dare non può; XIII 7 certo termine quello [desiderio] compie; Rime dubbie XXII 13, Cv IV XII 6, XIII 2 e 6, e Pg v 86 Deh, se quel disio / si compia che ti tragge a l'alto monte. Il verbo appare talvolta (ma quasi esclusivamente nella Vita Nuova e nel Convivio), per indicare il " ricorrere " di una data, di un avvenimento, di un numero, il passare di un certo numero di anni: Vn XXXIV 1 In quello giorno... si compiea l'anno che questa donna era fatta de li cittadini di vita eterna; oppure: erano compiuti li nove anni appresso l'apparimento soprascritto (III 1), e così in XXIX 1 lo perfetto numero nove volte era compiuto.
Infine si cita l'occorrenza di If XXI 114 mille dugento con sessanta sei / anni compié che qui la via fu rotta, si compie il milleduecentosessantaseesimo anno da quando Gesù discese all'Inferno per salvare le anime dei giusti, morti prima della sua nascita; ma va notato l'uso attivo e la presenza della terza persona singolare invece della terza persona plurale.
Le due forme del participio (‛ compiuto ' e ‛ compito '), che si alternano senza alcuna differenza di significato, appaiono talvolta con funzione più aggettivale che verbale. Hanno senso di " completo ", " appagato ", " soddisfatto ", in Cv III XII 13 (come druda de la quale nullo amadore prende compiuta gioia) e in Fiore CLXXX 8 (poi stea, che lor gioia sia compita); in Cv IV XXIII 6 il cerchio compiuto vale " un cerchio intero ", " un'intera circonferenza "; in I I 19 la compita e cara liberalitate significa " generosità affettuosa e degna "; in Pd XXVIII 69, analogamente, le parti egualmente compiute sono non tanto le parti " perfette ", bensì " ordinate secondo il loro fine ", " ugualmente disposte a perfezione " (Sapegno). Infine in If XIV 66 nullo martiro, fuor che la tua rabbia, / sarebbe al tuo furor dolor compito, il participio va spiegato come " adeguato ", " adatto ", " sufficiente ", in paragone non tanto alla gravità della colpa, quanto alla caratteristica del temperamento orgoglioso e furente.