Complessità economica
Il concetto di complessità è differentemente definito e utilizzato in discipline anche assai diverse fra loro. Il fisico S. Loyd ha contato ben 45 possibili definizioni di complessità, ma le definizioni forse più ampiamente usate e note sono quelle adottate in informatica e in teoria dell'informazione, che si basano per es. sulla lunghezza di un algoritmo per la soluzione di uno specifico problema. Questo tipo di approccio alla c. e. ha parzialmente influenzato il lavoro di alcuni economisti (Albin 1998). Altre possibili concezioni di c. e. vanno dal punto di vista strutturale, che si concentra sul numero di diverse interconnessioni fra diversi settori di economie tecnologicamente avanzate (visione più vicina all'idea di 'complicatezza'), a una posizione più filosofica, secondo cui le relazioni fra esseri umani e natura costituiscono un sistema coevolvente in cui emergono regolarmente nuove forme e processi.
Benché alquanto generica, quest'ultima concezione, che si può ritenere prevalente in economia, implica che la c. e. riguardi processi intrinsecamente dinamici. Secondo R.H. Day (1994), un sistema economico può considerarsi dinamicamente complesso se non converge a un punto, a un ciclo limite, o a una semplice espansione o contrazione dovuti a fattori endogeni. Sistemi di questo tipo implicano un certo grado di non linearità, anche se non tutti i sistemi non lineari generano una dinamica complessa. È ben noto che un sistema classico in equilibrio stabile sottoposto a shock stocastici esogeni si comporterà in modo erratico, pur non dando vita a una dinamica economica complessa. J.B. Rosser Jr (1999) ha sostenuto che questa definizione si riferisce a un concetto di c. e. in senso ampio (broad tent complexity), includendo fenomeni che non sempre sono considerati elementi della c. e., in particolare le cosiddette quattro C della dinamica non lineare: cibernetica, teoria delle catastrofi, teoria del caos e complessità in senso stretto (small tent complexity). Qui ci si limiterà a considerare la c. e. in senso stretto, rammentando comunque che molti dei problemi metodologici e di politica economica sono presenti negli altri tre elementi (Rosser Jr 2004).
La concezione più diffusa di c. e. in senso stretto è caratterizzata da alcuni studiosi del Santa Fe Institute (Arthur, Durlauf, Lane 1997, pp. 3-4) in base alla presenza di sei differenti elementi: a) diffusa interazione fra agenti eterogenei che interagiscono localmente in un certo spazio (spesso ritenuto l'elemento più importante); b) assenza di un 'controllore' globale in grado di sfruttare tutte le opportunità e le interazioni proprie dell'economia, anche se potrebbero essere presenti alcune interazioni globali deboli; c) presenza di un'organizzazione gerarchica trasversale con numerose e complicate interazioni; d) adattamento continuo grazie ad agenti in grado di evolvere e apprendere; e) continuo insorgere di novità, in quanto nuovi mercati, tecnologie, comportamenti e istituzioni creano nuove nicchie nell'ecologia del sistema; f) dinamiche fuori dall'equilibrio in situazioni in cui non esiste un equilibrio oppure ne esistono molteplici ed è improbabile che il sistema sia prossimo a un optimum globale.
Benché questo approccio alla c. e. sia strettamente associato al Santa Fe Institute, vi sono stati dei predecessori sin dalla fine degli anni Ottanta del 20° secolo; in particolare il gruppo di I. Prigogine alla Université libre de Bruxelles e il gruppo di H. Haken e W. Weidlich dell'Istituto di fisica teorica dell'Università di Stoccarda, che si sono entrambi occupati di problemi economici. Anche altri studiosi come F. Hayek e T. Schelling (Rosser Jr 1999; 2004) hanno lavorato lungo linee simili ed è possibile trovare riferimenti all'idea di c. e. anche in studiosi di periodi precedenti.
La crescente influenza fra gli economisti di idee connesse al concetto di c. e. ha coinciso con l'indebolimento di approcci più ortodossi, in particolare dei modelli caratterizzati da unicità e stabilità dell'equilibrio. La dinamica di sistemi economici complessi non può essere facilmente prevista né si possono facilmente identificare i fattori da cui dipende; ciò comporta che la formulazione di aspettative razionali da parte della maggior parte degli agenti sia improbabile se non impossibile. Gli agenti possiedono una razionalità limitata del tipo considerato da H. Simon, un altro progenitore dell'idea di complessità. L'ampia gamma di possibili risultati generabili dalla c. e. può essere considerata uno dei fondamenti dell'idea postkeynesiana di incertezza fondamentale. In ogni caso, lo studio della c. e. ha indotto alcuni precedenti sostenitori dell'ipotesi di aspettative razionali, in particolare T. Sargent, a cambiare le loro posizioni. Va tuttavia fatto presente che il mutamento di idee di molti è stato influenzato da concreti fenomeni economici inattesi, come, solo per fare qualche esempio, il relativamente improvviso collasso del sistema sovietico e il crollo di numerosi mercati finanziari.
Il fatto che elementi di c. e. siano presenti in molti sistemi economici rende ardua l'applicazione delle usuali metodologie di analisi empirica. È improbabile che le distribuzioni sottostanti di risultati variabili siano di tipo gaussiano e, inoltre, non sono soddisfatte molte delle condizioni necessarie per l'applicazione delle tecniche econometriche standard. In questo quadro, come è stato sottolineato da Ch. Manski, sorgono seri problemi di identificazione delle variabili endogene. Un metodo più ampiamente utilizzato è stato quello basato su simulazioni al computer, favorito da innovazioni a livello sia di software sia hardware. Tuttavia, molti vedono seri problemi nell'eccessiva fiducia nelle simulazioni e continuano nella ricerca di metodi empirici di verifica e analisi.
Non è quindi sorprendente che se, da un lato, la c. e. ha rappresentato una sfida per la teoria economica e per l'analisi empirica, dall'altro, costituisce una sfida ancor più seria per i responsabili delle scelte di politica economica. Per certi osservatori, ciò è chiaramente espresso in alcuni interventi dell'ex governatore della Federal Reserve statunitense, A. Greenspan, che invocava alla cautela nei confronti dei rischi di recessione presenti nell'economia mondiale. Per alcuni la c. e. rende necessario un maggior ruolo delle politiche di stabilizzazione al fine di ridurre l'incertezza, selezionare fra possibili equilibri mediante coordinamento, limitare potenziali ampie fluttuazioni, consolidare dinamiche fortemente erratiche o caotiche, oppure in generale sviluppare istituzioni economiche più robuste che si adattino velocemente a cambiamenti inattesi del sistema. Dall'altra parte, alcuni teorici della c. e. appartenenti alla scuola austriaca ritengono che il sistema economico sia in grado di dar vita a un ordine dinamico che emerge spontaneamente dai suoi elementi decentrati e differenziati, sebbene esso non sia necessariamente costituito da una sequenza di stati di equilibrio e non sia neppure il migliore dei mondi possibili. Questi sostenitori del laissez faire mettono così in guardia dal rischio che i tentativi di stabilizzazione dei responsabili della politica economica possano peggiorare la situazione esistente, poiché essi non sono in grado di prevedere gli effetti delle loro azioni meglio di quanto possano i singoli agenti economici. Quindi antichi dibattiti riappaiono nel nuovo contesto della complessità economica.
bibliografia
R.H. Day, Complex economic dynamics, i° vol., An introduction to dynamical systems and market mechanisms, Cambridge (Mass.) 1994.
The economy as an evolving complex system ii, ed. W.B. Arthur, S.N. Durlauf, D.A. Lane, Reading (Mass.) 1997.
P.S. Albin, Barriers and bounds to rationality: essays on economic complexity and dynamics in interactive systems, Princeton 1998.
J.B. Rosser Jr, On the complexities of complex economic dynamics, in Journal of economic perspectives, 13, 4, 1999, pp. 169-92.
Complexity in economics: the international library of critical writings, ed. J.B. Rosser Jr, Cheltenham 2004.