COORDINAZIONE, Composti di
Si definiscono c. di c. (I, p. 326; XXXIV, p. 911) molecole o ioni comprendenti almeno uno ione metallico, detto atomo centrale o centro di c., circondato da atomi o molecole in una ben definita disposizione spaziale, detti leganti, il cui numero è detto numero di c. e le cui strutture geometriche più comuni sono la ottaedrica, la tetraedrica e la tetragonale piana.
L'atomo centrale è normalmente un elemento di transizione, cioè un elemento caratterizzato da una distribuzione elettronica tale da lasciare degli orbitali interni non completamente riempiti. I leganti sono o ioni o molecole dotate di momento dipolare, come Cl-, CN-, acqua, ammoniaca, ecc. Il numero di c., cioè il numero di leganti che circondano lo stesso atomo centrale, può variare da 2 a 9, anche se i casi più comuni sono 4 e 6. Alcuni esempi di complessi e le indicazioni della loro struttura chiariranno meglio questo punto:
La caratteristica principale di questi composti è quella di presentare proprietà affatto diverse da quelle degli ioni o delle molecole che li compongono e ciò vale non solo per le proprietà fisiche (stabilità, colore, momento magnetico), ma anche per altre proprietà (attività biologica, catalitica).
Secondo la definizione, sono complessi gli ioni idrati, cioè lo stato normale degli ioni in soluzione, ma sono pure in forma di complessi quasi tutti i metalli che si ritrovano nelle sostanze coloranti organiche e in quelle biologiche o biologicamente attive. L'emina, la vitamina B12, l'emocianina e la clorofilla sono complessi con lo stesso aggruppamento di 4 anelli pirrolici rispettivamente del ferro, cobalto, rame e magnesio.
Isomeria. - Un aspetto importante di molti complessi è la possibilità di dare forme isomere. Si hanno diversi tipi d'isomeria: a) Isomeria di conformazione: ci sono complessi, come NiCl2(Φ2PCH2Φ)2, in cui è Φ = C6H5, che possono comparire nella forma tetraedrica o quadrata planare. b) Isomeria geometrica, con forme cis e trans, per es.:
c) Isomeria di coordinazione, per es.: [Co(NH3)6] [Cr(CN)6]; [Cr(CN)6] [Co(NH3)6]. d) Isomeria di ionizzazione, per es.: [Co(NH3)5Br] SO4; [Co(NH3)5SO4] Br. e) Isomeria ottica, soprattutto con leganti bidentati, come etilendiammina (en) e simili (fig. 1):
Preparazione. - La preparazione dei complessi si basa su reazioni diverse. Per es., alcuni complessi possono essere preparati da reazioni di sostituzione:
da reazioni di ossido-riduzione, come:
o da reazioni di dissociazione termica:
Stabilità. - Una delle grandezze che stabilisce una proprietà importante dei complessi è la loro costante di stabilità, definita come l'inverso della costante di equilibrio di dissociazione. L'esempio seguente si riferisce a un complesso esamminocobalto:
Talvolta un complesso può formarsi per gradi, secondo lo schema (dove M ed L rappresentano rispettivamente lo ione metallico centrale e il legante):
con le costanti parziali
Il prodotto delle costanti parziali K1, K2, ...Kn dà la costante totale che s'indica con β = K1K2 ... Kn = ∉K.
È ovvio che tanto più stabile è il complesso tanto maggiori sono i valori rispettivi di K o di β.
Labilità o inerzia. - Il concetto di "stabilità" è un concetto termodinamico che prescinde completamente dal tempo impiegato caso per caso per raggiungere l'equilibrio. Vi è però un altro problema: la velocità con cui un certo complesso può essere trasformato, per es., sostituendo un legante con un altro o isomerizzandolo a una forma diversa. Questo concetto puramente cinetico s'indica con "labilità" o "inerzia". Si definiscono "inerti" i complessi dove la sostituzione AB6 + C → AB5C + B è lenta; si definiscono invece labili i complessi ove questa sostituzione avviene in pochissimi secondi.
Gli esempi seguenti chiariranno ancora meglio il punto.
a) Esempi di scambio isotopico:
[Ni(CN)4]2- [Pd(CN)4]2- [Hg(CN)4]2- scambiano completamente entro 5 minuti;
[Mn(CN6]3- scambia il 43% in 4 minuti;
[Co(CN)6]3- [Fe(CN)6]3- [Fe(CN)6]4- [Cr(CN)6]3- [Mo(CN)8]4- scambiano meno del 2% in 100 ore;
[Fe(Ox)3]3- e [Co(Ox3]3- scambiano poco.
b) Esempi di sostituzione:
esempio del tipo labile sono lo ione [Fe(H2O)6]3-, che trattato con HCl dà immediatamente il complesso cloridrico, e lo ione [Cu(NH3)4]++, che pure con HCl dà immediatamente [Cu(H2O)4]++; esempio di complesso inerte è [Cr(H2O)6]3-, che trattato con HCl dà un precipitato [Cr(H2O)6] Cl3 e solo lentamente passa ai complessi del tipo [Cr(H2O)4Cl2]+, o analoghi; altro complesso inerte è [Co(NH3)6]3+ che trattato con HCl dà solo con velocità misurabile [Co(NH3)5H2O]3+. Per quanto riguarda i limiti di questa velocità, basta ricordare che [Fe(H2O)6]3+ reagisce con S2O3= per dare il complesso [FeS2O3]+ con una velocità specifica pari a k = 2•104, mentre la velocità specifica della reazione d'idratazione di [Rh(NH3)5Br]++ ha una costante di velocità k = 10-6. Già quindi fra queste due reazioni che non rappresentano affatto la più veloce e la più lenta, intercorre un fattore di 1010.
Come si è detto prima, la labilità o inerzia non è funzione della costante di stabilità; infatti detta costante per la dissociazione
mentre quella analoga per
pur essendo il primo labile e il secondo inerte. Così, l'equilibrio della reazione
è tale che la concentrazione del luteosale scende allo o,01% del valore originario, pure la reazione è lenta.
Analogamente, l'equilibrio [Fe(CN6]3- + 6H+ + Fe3+ + 6HCN è tale che, con (H+) = l(HCN) = 1, risulta [Fe(CN)6]3- = 10-7(Fe3+). Ciononostante una soluzione simile al buio si può conservare piuttosto a lun go.
c) Isomerizzazione. Non ci sono molti esempi, però se il complesso è inerte, si possono risolvere le forme d e l. Questo è il caso dei complessi con leganti bidentati di Cr3, Co3, Ru3, Rh3, Os2, Ir3, Pt4.
Se si vogliono trarre delle conclusioni generali dagli esempi esposti, si deve prendere in considerazione la struttura elettronica dei diversi complessi e vedere se quelli del tipo labile o rispettivamente inerte si differenziano per qualche elemento costante e caratteristico.
Esistono due meccanismi con cui un complesso può scambiare uno dei leganti. Uno è un meccanismo di secondo ordine:
In questo caso il complesso intermedio è un eptacoordinato, e cioè può formarsi solo se il complesso di partenza ha un orbitale legante libero che possa accettare i due nuovi elettroni portati dal settimo legante. Per es., sono labili, in questo senso, complessi del titanio tetravalente, dello zirconio tetravalente, del molibdeno esavalente, del titanio trivalente, del vanadio tetravalente, del renio pentavalente.
Un altro meccanismo dissociativo è:
In questo caso è ovvio che un orbitale rimane comunque a disposizione per i leganti da introdurre. C'è però la possibilità comunque di far delle previsioni sulla labilità o inerzia, basate su un'applicazione della teoria del campo cristallino, di cui è detto più avanti.
Teorie dei complessi. - Per quanto riguarda le teoria sulla struttura di questi c., il periodo di tempo che ha caratterizzato la loro conoscenza si può suddividere in tre parti, in relazione specie ai metodi d'indagine impiegati.
Nel primo periodo i metodi erano essenzialmente chimici, e questo periodo è dominato dalla figura di A. Werner.
Il secondo periodo è ancora del tempo di Werner, ma già s'iniziano determinazioni di proprietà fisiche e interpretazioni delle stesse. Il terzo, che è più recente, parte essenzialmente dalle più moderne teorie del legame e le applica ai composti di coordinazione, avvalendosi per la verifica sperimentale non solo dei mezzi classici quali roentgenografia, spettroscopia, elettrochimica, magnetochimica, ma anche di quelli più moderni, quali risonanze di spin nucleare, elettronico, di quadrupolo nucleare, di Mössbauer, ESCA (Electron Spectroscopy for Chemical Analysis), ecc.
Il problema centrale consiste ovviamente nello stabilire il tipo di legame esistente tra ione centrale e leganti, o in altri termini, le forze che tengono uniti ioni e molecole pur suscettibili di esistenza propria indipendente come ioni metallici, molecole d'acqua, ammoniaca e altri.
Si può partire da due concezioni opposte prendendole naturalmente come approssimazioni: o il legame è di pura natura elettrostatica, o è un vero legame covalente.
Senza entrare nei dettagli di teorie, si possono compendiare le idee informative e i risultati nel modo seguente:
1°) Teoria elettrostatica. Questa non ammette nessun legame chimico fra ione centrale e legante, ma studia l'effetto nel campo elettrico prodotto dalle cariche dei leganti se sono ioni negativi, o dal momento dipolare, se sono molecole neutre, sugli orbitali del metallo centrale.
Com'è noto, gli orbitali possono essere s, p, d, f, ecc., con caratteristiche diverse ma sopra tutto diverse per la distribuzione nello spazio attorno al nucleo; si comprende allora che l'effetto repulsivo delle cariche elettriche dei leganti sarà diverso a seconda che l'orbitale punti più o meno verso i leganti. Per dare un esempio, nel caso dei complessi ottaedrici, due orbitali puntano direttamente verso il vertice dell'ottaedro, quindi verso le cariche dei leganti, tre invece hanno posizioni intermedie. Per questi allora è logico aspettarsi che i primi due orbitali sentano l'influsso delle cariche più degli altri tre e che quindi i cinque orbitali che negli atomi isolati sono degeneri, cioè hanno la stessa energia, si smistano in due a energia maggiore e tre a energia inferiore (fig. 2).
Considerazioni analoghe si possono fare per tutte le altre strutture e il risultato complessivo è illustrato nella fig. 3, che rappresenta appunto i modi di scissione dei 5 orbitali d per le diverse strutture geometriche dei complessi.
Se fissiamo l'attenzione, per es., sui complessi ottaedrici, ove, come si è detto, i cinque orbitali si sono smistati in due gruppi rispettivamente di due orbitali a energia superiore e di tre orbitali a energia inferiore, la differenza di energia fra i due gruppi s'indica col termine di energia di stabilizzazione del campo cristallino Δ. Questa energia ha una grande importanza perché permette l'interpretazione esatta delle proprietà magnetiche e spettroscopiche dei complessi stessi. È noto infatti che gli elettroni si distribuiscono nei livelli energetici secondo due principi: il primo, chiamato della minima energia, significa che si riempiono prima i livelli a energia più bassa e poi a quella più alta; il secondo, detto della massima molteplicità, afferma che fra livelli di energia uguale gli elettroni preferiscono disporsi singolarmente su ogni livello anziché a coppie. Se consideriamo la prima serie degli elementi di transizione dallo scandio al rame, si vede che abbiamo elementi che hanno da 1 a 10 elettroni d. È ovvio che per gli atomi con un elettrone d oppure 2 o 3, se gli elettroni si dispongono nei tre livelli più bassi hanno soddisfatto contemporaneamente al principio della minima energia e della massima molteplicità, ma, da quattro elettroni in su, ci sono due alternative: se la stabilizzazione del campo cristallino è molto forte, tutti e quattro si dispongono sui tre orbitali inferiori e nessuno su quello superiore; la differenza fondamentale tra i due esempi è che nel primo caso ci sono 2 elettroni dispari, nel secondo 4. Tenendo presente che le proprietà paramagnetiche delle sostanze derivano dal numero di elettroni dispari, si vede che la disposizione degli elettroni come abbiamo detto, determina queste proprietà; così molti ioni che sono paramagnetici se non complessati (per es., uno ione ferro bivalente) diventano diamagnetici quando complessati, in quanto gli elettroni d si dispongono tutti sui tre livelli inferiori. La seconda proprietà che viene spiegata è il colore dei complessi. Una sostanza è colorata se assorbe luce nel visibile, però l'energia dei fotoni della luce visibile è piccola rispetto a quella, per es., dei fotoni ultravioletti. In uno ione isolato, come abbiamo già detto, i 5 orbitali d sono degeneri, quindi il passaggio di un elettrone da uno a un altro di questi orbitali non comporta variazioni di energia, quindi non comporta nemmeno uno spettro; se invece, come si è visto, nei c. di c. i cinque orbitali d si sono smistati in due gruppi, si può avere il passaggio dal gruppo inferiore al gruppo superiore e questo avviene spesso nel visibile; questa è la ragione per cui molti ioni che sono praticamente incolori se non complessati, diventano colorati nei complessi. Uno degli esempi più caratteristici è dato dal rame, che non complessato è di un azzurro pallido e diventa blu intenso quando è complessato con ammoniaca. Ci si può adesso chiedere da chi dipende quel valore di stabilizzazione del campo cristallino. Ebbene, esso dipende da due fattori; in primo luogo dai leganti, che appunto si possono allineare in una serie chiamata serie spettrochimica: questa va dai più deboli leganti, gli alogeni, ai più forti, come lo ione CN- oppure la molecola CO. Un secondo fattore da cui dipende la stabilizzazione del campo cristallino è il tipo di metallo centrale, ma soprattutto il suo numero di ossidazione. Mediamente si può dire che gli ioni trivalenti hanno una stabilizzazione di campo cristallino all'incirca una volta e mezzo quella degli ioni bivalenti.
2°) Teorie del legame omeopolare. - Veniamo ora alla seconda teoria, quella del legame omeopolare tra ione centrale e leganti. Il problema è stato trattato secondo le due grandi linee teoriche, quella detta del legame di valenza e quella dell'orbitale molecolare. La seconda, che è la più interessante nel caso dei complessi, afferma il concetto che per formarsi un legame tra due atomi questi debbono avere degli orbitali così disposti nello spazio che sia possibile una loro sovrapposizione. Siccome un orbitale rappresenta solamente quella regione dello spazio ove è molto probabile trovare l'elettrone, la sovrapposizione dei due orbitali indica che esiste una regione nello spazio ove è probabile trovare sia l'elettrone di un atomo sia quello dell'altro, e quindi avere un legame. La fig. 4 illustra l'esempio di due atomi d'idrogeno separati e combinati per dare una molecola.
Le condizioni perché due orbitali di atomi diversi possano sovrapporsi sono: energie non troppo diverse, stessa simmetria e infine o che ognuno contenga un solo elettrone (legame omeopolare) oppure uno contenga due elettroni e l'altro sia vuoto (legame dativo). Un'altra conseguenza della teoria è che quando due orbitali atomici si mescolano per formare orbitali molecolari, si formano due orbitali, uno a energia più bassa di quella degli orbitali di partenza che si chiama orbitale legante e uno a energia più alta che si chiama orbitale antilegante. La fig. 5 illustra quanto detto per l'idrogeno.
Nel caso dei complessi, e ci si riferisce ancora agli ottaedrici, gli orbitali del metallo atti a sovrapporsi con orbitali dei leganti sono due orbitali d, l'orbitale s e i tre orbitali p; in tutto quindi 6, in cui possono entrare 12 elettroni portati dai sei leganti, una coppia ciascuno. I rimanenti tre orbitali d contengono gli elettroni del metallo, non partecipano al legame e si chiamano quindi non leganti. Inoltre gli orbitali a energia più alta che sono risultati dallo sdoppiamento degli orbitali atomici sono tutti orbitali antileganti. Quei tre orbitali non leganti possono eventualmente dare la retrodonazione, cioè dare elettroni loro ai leganti se questi ultimi hanno degli orbitali vuoti. Tenendo presente quanto detto, che a ogni orbitale legante ne corrisponde uno antilegante, lo schema energetico per un complesso ottadrico nella teoria detta del campo dei leganti è illustrato nella fig. 6.
Negli orbitali indicati con σ vanno i dodici elettroni portati dai leganti, cioè si formano sei legami omeopolari in cui l'atomo metallico fa da accettore e i leganti da donatori. I tre orbitali non leganti del metallo T2g conservano inalterata la loro energia e quindi contengono gli elettroni del metallo (fino a sei, ovviamente). La stabilizzazione del campo dei leganti è uguale a quella del campo cristallino vista prima ed è la differenza di energia fra gli orbitali non leganti e i primi antileganti. L'eventuale retrodonazione dal tripletto di orbitali non leganti è fonte di ulteriore stabilizzazione dei complessi; per questa ragione complessi con alogeni che non presentano orbitali dei leganti vuoti risultano meno stabili degli analoghi complessi con lo ione CN-. Questo infatti possiede due orbitali antileganti vuoti esattamente nella posizione voluta.
Utilizzazione dei complessi. - La ragione per cui, specie negli ultimi anni, lo studio dei c. di c. ha avuto un enorme incremento dipende non solo dall'interesse scientifico di questa classe di composti, ma anche dalle numerose possibilità di utilizzazione pratica come catalizzatori, pesticidi o modelli di enzimi.
L'effetto catalitico generalmente si può rappresentare nel modo seguente. Sia A + B ⇄ C una reazione termodinamicamente possibile ma lenta; il catalizzatore K è in grado di formare un composto intermedio AK oppure BK, sicché la reazione diventa, per es.,
con una velocità globale superiore a quella delle reazioni non catalizzate.
Perché un complesso sia un buon catalizzatore deve soddisfare ad alcuni requisiti, e precisamente:
1) essere coordinativamente non saturo, in modo da poter formare il complesso intermedio con un meccanismo di associazione; per es.:
2) possedere almeno un legante labile, in modo da poterlo sostituire con uno dei reagenti previo processo di dissociazione; per es:
3) poter dar luogo a reazioni d'inserzione nel legame metallo-legante; per es.:
I diversi tipi di reazioni catalizzate dai complessi possono essere suddivisi in alcune categorie: 1) attivazione di piccole molecole, come ossigeno, azoto, ione cianidrico, acido cianidrico, etilene, anidride solforosa, ecc.; 2) idrogenazioni, isomerizzazioni, dimerizzazioni e polimerizzazioni; 3) reazioni stereospecifiche o stereoselettive.
Si hanno numerosi esempi di catalisi industriale che utilizzano come catalizzatori composti di coordinazione; fra essi si possono ricordare: il processo Walcher, cioè l'ossidazione dell'etilene ad anidride acetica con palladio tetracloruro, la preparazione di nitrili aromatici da ione CN- e alogenuri aromatici su complessi del tipo NiL4, la carbonilazione di olefine su complessi del rutenio, la preparazione di esteri dell'acido carbonico o solforico da ossido di carbonio o rispettivamente da anidride solforosa e alcoli, su catalizzatori al platino, l'idroformilazione di olefine su carbonili di cobalto, l'aromatizzazione di composti acetilenici su complessi di platino o di nichel. Meritano una speciale menzione le sintesi asimmetriche catalizzate da composti organometallici asimmetrici, l'idroformilazione asimmetrica di α-metil-stirene su carbonili di cobalto, le polimerizzazioni stereospecifiche sui catalizzatori tipo Ziegler-Natta a base di complessi di titanio.
Per quanto riguarda lo studio di complessi come modelli di enzimi, lo spunto viene dato dal fatto che spesso i coenzimi sono complessi metallo-organici con atomi di ferro, di cobalto, di manganese, di rame, di molibdeno, sia pure con numeri di coordinazione meno usuali di quelli comuni. Mentre lo studio diretto degli enzimi è difficoltoso per la complessità delle molecole e per la loro sensibilità alle condizioni ambientali, si sono raggiunti buoni risultati con modelli costituiti da complessi dei metalli, chelati con macrocicli più semplici; di questi si sono studiate diverse proprietà chimico-fisiche e la reattività rispetto soprattutto a ossigeno, acqua, CN-, azoto, radicali vari, ecc. Per es., complessi del cobalto con basi di Schiff hanno fornito utili indicazioni sulla natura della vitamina B12; analogamente, complessi del ferro con anelli pirrolici servono da modelli dell'emoglobina e complessi del rame con leganti azotati dell'emocianina.
Bibl.: L. E. Orgel, Introduzione alla chimica dei metalli di transizione, Milano 1963; F. Basolo e R. Johnson, Chimica dei composti di coordinazione, Bologna 1967; S. F. A. Kettle, Coordination compounds, Londra 1969.