COMUNE
L'uso sostantivato dell'aggettivo comune (dal lat. communis 'comune, mediocre', composto da cum e munus) indica storicamente la forma di governo tipica delle città (v.) medievali dell'Europa occidentale a partire dal Mille, sorta come risultato di un'associazione volontaria di determinati gruppi di cittadini o dell'intera popolazione, sviluppatasi fino al raggiungimento di un'ampia autonomia dal potere centrale.Mentre Oltralpe il fenomeno comunale fu di natura prevalentemente economica, in Italia il C. assunse un'effettiva indipendenza politica; proprio per questo carattere particolare, il termine C., attestato già nel sec. 13°, è riferito normalmente alla sola realtà italiana.
L'attività urbanistica dei C. dell'Italia centrale e settentrionale si sviluppò gradualmente a partire dalla seconda metà del sec. 12°, raggiungendo tra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento la massima capacità realizzativa e la più coerente sistemazione legislativa. Pur considerando la grande diversità delle situazioni legate alle vicende di ciascuna città, si può affermare che il C. riuscì ovunque a estendere il proprio controllo su un contado più o meno vasto, cercando di trasformarne la struttura viaria e insediativa a proprio vantaggio, promuovendo il miglioramento della rete stradale, il più razionale sfruttamento delle risorse e la fondazione di nuovi insediamenti. Nella città la massima cura venne riservata alla viabilità interna, alla cinta difensiva, ai palazzi e alla piazza comunale, ai problemi legati all'igiene, ai servizi e al controllo dell'edilizia privata.In molte città l'estensione dell'abitato si attuò sulla base di precisi progetti urbanistici; nella generalità dei casi il C. riuscì a coordinare anche le principali opere di edilizia ecclesiastica, intervenendo direttamente o indirettamente nelle grandi fabbriche di committenza vescovile e nella localizzazione dei conventi degli Ordini mendicanti.Apposite magistrature (boni homines, magistri viarum) furono preposte alle normali operazioni di controllo, estese progressivamente a ogni settore. Per i diversi aspetti dell'attività del C. la fonte documentaria privilegiata è costituita dagli Statuti, che in alcuni grandi centri presentano, nella seconda metà del Duecento, interi libri dedicati all'assetto urbano e territoriale.In linea generale si osserva in una prima fase, tra i secc. 12° e 13°, un'attenzione prioritaria agli spazi di proprietà comunale (mercati, strade), che vennero misurati, ampliati e resi percorribili dai mezzi di trasporto commerciali (1179, Brescia, nuova piazza del mercato; 1186, Genova, rilevamento delle piazze mercantili; fine sec. 12°, Vicenza, decreto edilizio). Con l'inizio del Duecento prese avvio la grande stagione dell'apertura delle piazze comunali, attuata con estesi espropri e sventramenti (a Bologna già nel 1202-1203), della costruzione dei palazzi pubblici e dell'estensione dei parametri urbani. Il coordinamento delle differenti iniziative urbanistiche, come anche dell'attività normativa, venne favorito dall'accentramento dei poteri nelle mani del podestà forestiero, che utilizzava un agguerrito gruppo di tecnici e trasmetteva da una città all'altra le proprie esperienze.I fitti scambi tra le diverse città-stato comunali assicurano una discreta paragonabilità, se non un parallelismo, anche nel campo della cultura urbanistica; si possono indicare già nel corso del Duecento alcune situazioni caratterizzate da una particolare creatività, che anticipano soluzioni tecniche ed estetiche in seguito diffusamente adottate. In linea generale nel corso del secolo si tese a rettificare e ampliare le piazze e le strade preesistenti, mettendo a frutto le esperienze maturate nella fondazione delle città nuove a pianta regolare e abbandonando progressivamente il tracciamento di spazi curvilinei a vantaggio di soluzioni rettilinee. Questa importante evoluzione rispondeva anche a motivazioni di carattere militare, poiché nelle guerre urbane favoriva le nuove milizie comunali - composte essenzialmente di pedoni armati di balestre - contro i vecchi eserciti della nobiltà feudale, formati soprattutto da militi a cavallo. Alla fine del Duecento era ormai diffuso ovunque il modello della via urbana geometricamente disegnata con picchetti e corde, a larghezza e pendenza costante, diretta spesso verso un fondale strategico (porte o torri della cinta muraria) o monumentale.Una sintetica rassegna di progetti urbanistici fondamentali, veri e propri capisaldi validi anche per i secoli successivi, deve tener conto almeno delle esperienze di Milano, Brescia, Firenze e Assisi. La grande Milano, all'avanguardia, grazie alla forte componente mercantile, nella sistemazione della rete stradale e idrica del territorio lombardo, dalla pianura ai valichi alpini, fu la prima città a essere razionalizzata nella sua struttura radiocentrica, con la costruzione del monumentale complesso del broletto (1228) e la sistemazione di sei principali percorsi viari di collegamento con le porte. Il piano di Brescia del 1237 costituisce, anche grazie al Liber potheris communis civitatis Brixiae, dettagliatissimo documento progettuale, il termine di riferimento e il principale monumento dell'urbanistica comunale. L'ampliamento cittadino, rapidamente attuato, fu programmato nei minimi dettagli e in ogni sua fase, dal censimento dei beni da espropriare alla definizione dei prezzi di esproprio, alla misurazione delle nuove strade e della nuova imponente cinta muraria. Nel piano di espansione di Firenze, delimitato dall'ultima cerchia di mura (1284), attribuita ad Arnolfo di Cambio, trovarono spazio tutte le componenti più moderne dell'urbanistica comunale: l'equilibrato rapporto tra antico centro e nuovi borghi residenziali, l'adozione sistematica della strada rettilinea e di modelli funzionali, quali il tridente, che ebbero ampia diffusione nei secoli successivi. La nuova Firenze si propose così come prototipo di città 'bella' in ogni sua parte: non solo nei monumenti ma anche e soprattutto nella limpida misura spaziale delle strade e delle piazze. Il piano di espansione di Assisi (1316) rappresenta infine una sintesi delle capacità organizzative in campo urbanistico di un C. di media grandezza. Nel documento programmatico convivono armonicamente la ristrutturazione della piazza comunale e della rete stradale, l'assegnazione dei lotti edificabili ai nuovi immigrati, la dotazione di servizi per le zone periferiche, la nuova e più estesa cinta difensiva.
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Dopo che con i numerosi diplomi imperiali dei secc. 9°-10° la proprietà e quindi la cura delle mura erano passate, insieme agli altri beni pubblici, nelle mani dell'autorità ecclesiastica, tra i secc. 11° e 12° tale prerogativa spettò alle nuove istituzioni comunali. La politica difensiva comunale si innestò dunque, senza soluzione di continuità, su una secolare tradizione di utilizzo delle cinte difensive antiche, basata essenzialmente sull'attività e la cura del vescovo (defensor civitatis). Sul piano della gestione degli interventi e del rapporto tra la città, le mura e l'area suburbana, si osserva una precisa corrispondenza topografica tra le partizioni urbane interne, le porte cittadine e le comunità rurali più vicine, che si dimostra efficace nella costruzione, nella manutenzione e nella difesa.A queste caratteristiche diffuse, ben radicate già nell'Alto Medioevo, i C. tentarono di sovrapporre una strategia innovativa, centralizzando e razionalizzando la progettazione di nuovi, sempre più ampi circuiti murari e smantellando contestualmente le cinte più antiche rimaste all'interno delle città. Le nuove mura assunsero quindi, già nel sec. 12°, all'epoca delle guerre contro Federico I, il significato simbolico di baluardo della libertà comunale e insieme di proiezione verso più ampie dimensioni urbane (Pisa, Genova, Milano). Dal punto di vista tecnico-architettonico, si può osservare come nella generalità dei casi il primo tracciato si materializzasse nello scavo del fossato, nell'innalzamento del terrapieno e nella costruzione di palizzate e porte in materiale ligneo. A questa prima fase, quasi sempre imposta da immediate esigenze militari, seguì in un periodo più o meno lungo, da alcuni anni ad alcuni decenni, la vera e propria costruzione muraria, in pietra o mattoni, che iniziava solitamente dalle porte e procedeva poi per tratti contigui e per progressive elevazioni delle cortine.Se alcune città, come Pisa, costruirono la loro più ampia cinta difensiva già nel sec. 12°, subendo successivamente una sostanziale stasi nello sviluppo urbanistico, in altre, come Siena, il processo ritardò di quasi due secoli. Un'importante conseguenza di ciò fu nella qualità progettuale e nelle caratteristiche architettoniche delle mura, che, nell'ultima fase comunale, tesero ad acquistare in monumentalità e in geometria, oltre che in efficacia difensiva.In questa graduale evoluzione verso una sempre più controllata progettazione architettonico-urbanistica e verso un superamento di condizionamenti topografici va segnalato l'esempio di Reggio Emilia (fine sec. 12°-inizi 13°). Il grandioso impianto esagonale delle nuove mura comunali, condotto con ampiezza di mezzi e rigore stereometrico, fu certamente il modello cui si ispirarono in seguito tutte le maggiori cinte duecentesche e trecentesce dell'Italia centrosettentrionale, disegnate sul terreno in forme poligonali (Parma, Bologna, Brescia, Firenze, Siena). Questa perimetrazione, formalmente definita e chiaramente innovativa, se da un lato ribadì il carattere artificiale della costruzione e il superamento di ogni mimetismo naturalistico, dall'altro conferì una nuova e più moderna immagine alle antiche città. La costruzione delle mura divenne così il principale banco di prova delle capacità tecniche comunali, il primo e più solido impegno che esaltava l'unità e l'orgoglio cittadino, contrapposti alla logica delle frazioni e delle fortezze private.I criteri di progettazione delle nuove cinte si attennero, nella generalità dei casi, al principio della estensione equilibrata dell'abitato nelle diverse direzioni, escludendo, se non quando ciò fu imposto da vincoli naturali, ogni sviluppo monodirezionale.Questo principio fu la logica conseguenza della partizione interna delle città in terzieri, quartieri, sestieri, che, riflettendosi anche nel contado, impose condizioni di difesa e di sviluppo equivalenti per le diverse componenti politico-amministrative. Inoltre, l'accessibilità da ogni settore urbano del centro politico-economico comunale suggerì di ricercare costantemente la soluzione ottimale, consistente nel mantenere la piazza e il palazzo comunale in posizione baricentrica rispetto a ogni successivo circuito difensivo; soluzione questa che fu anche la più efficace nell'organizzazione della resistenza agli assedi e del sistema delle vedette e degli allarmi.Acquistarono quindi grande rilievo le torri, sia quelle che a intervalli regolari interrompevano le cortine sia, ancor più, quelle che sovrastavano le porte, dotate di sentinelle e di campane al pari della grande torre civica situata sulla piazza.
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Tipologie edilizie specificamente legate al fenomeno comunale vennero elaborate quasi esclusivamente nell'Italia padana prima (secc. 12°-13°) e centrale poi (secc. 13°-14°). Non mancano comunque alcuni casi isolati che attestano la diffusione di una coscienza civica persino nell'estrema periferia dell'Europa: al principio del sec. 13° le autorità della città portoghese di Bragança (Trás-o-Montes) fecero erigere, sopra una cisterna d'acqua, una domus municipalis in granito a pianta pentagonale, aperta su tutti i lati per lo svolgimento delle assemblee pubbliche.Espressione massima del potere del C. fu il palazzo pubblico, simbolo, in quanto sede effettiva dell'amministrazione civica, dell'autorità consolare o podestarile, noto anche con le denominazioni di broletto (v.), arengario, palazzo della Ragione o dei Priori. Esso, il più autentico prodotto "della sola arte a buon diritto definibile Comunale" (Romanini, 1989), si manifestò in forme riconoscibili e compiute soltanto dopo il 1183, anno della pace di Costanza. La concessione delle libertà politiche alle città della Lega Lombarda da parte dell'autorità imperiale sveva imponeva inoltre un definitivo affrancamento del potere civico da quello vescovile, che fino ad allora lo aveva sostenuto, ricevendo nuova forza dalle emergenti corporazioni mercantili. Il lento abbandono delle primitive sedi comunali, messe a disposizione dalla cittadinanza ma anche dalle autorità religiose locali, come a Pavia, si compì con l'avvio, sul finire del sec. 12°, di un programma edilizio pressoché unitariamente esteso a tutto il settentrione della penisola italiana, tale da rispondere - nella struttura del palazzo con loggiato aperto al piano terreno sovrastato da un'aula rettangolare - al doppio compito politico di luogo di adunanza pubblica e consiliare. Ebbero in principio ruolo determinante nell'iniziale trasmissione di un modello uniformato, in un'area regionale piuttosto vasta e non sempre culturalmente omogenea, i podestà milanesi, che, per l'abitudine di affidare le massime cariche politiche a forestieri, furono attivi in molte città padane tra i secc. 12° e 13° (Brescia, Cremona, Verona, Bologna, Padova), nonché promotori di molte di queste imprese edilizie (Guidoni, 1980).Nel corso della prima metà del Duecento a questo modello non mancò comunque l'apporto di varianti architettoniche spesso motivate da ragioni di pianificazione urbana, che imposero l'isolamento dell'edificio pubblico, con conseguente apertura del portico su tutti e quattro i lati (1228-1233 ca., Milano, palazzo della Ragione; seconda metà del sec. 13°, Monza, palazzo dell'Arengario; 1282 ca., Piacenza, palazzo Gotico), mantenendo la sua perfetta adattabilità alle tradizioni costruttive locali. Una migliore organizzazione e funzionalità degli spazi interni fu perseguita, prima dell'addizione di nuove ali al nucleo originario, attraverso la realizzazione contestuale di piccoli ambienti in ammezzati disposti tra la sala assembleare e i muri di testata della fabbrica (1223-1227, Brescia, palatium novum maius; Marconi, 1990).Benché non sia possibile ricostruire le origini del palazzo comunale lombardo, la maturità progettuale dei più antichi broletti - 1197-1199, Pavia (Vaccari, Annoni, Bariola, 1929; Berutti, 1967); 1206, Cremona (Tanzi, 1981); ante 1208, Novara (Viglio, 1928) - ha fatto ipotizzare un probabile prototipo nella residenza vescovile (Gardelles, 1976; Romanini, 1989), la cui ripresa sembrerebbe favorita da almeno due motivi: da un lato la presenza del palazzo vescovile come unico edificio di potere nel panorama urbano del tempo, anche in contrapposizione ai palatia regi (Brühl, 1972), e come sede dell'istituzione che fin dai primordi aveva sostenuto politicamente e logisticamente le rivendicazioni autonomistiche; dall'altro l'adattabilità di tale tipologia alle iniziali esigenze amministrative del Comune.Già nella versione pavese la compiutezza della fabbrica si manifesta del resto nel caratteristico impianto planimetrico regolarizzato e modulare di matrice cistercense, presumibilmente mediato dall'azione degli Umiliati (Romanini, 1989), e nell'alzato, ancora parzialmente leggibile sul prospetto principale, edificato con estrema attenzione al disegno architettonico e al dato tecnico-costruttivo, attraverso l'impiego differenziato di pietra da taglio per il portico e di mattoni per la sala assembleare, illuminata da ampie polifore. Rispetto agli esempi protoduecenteschi (Cremona, Novara, Como), il broletto pavese conserva un linguaggio formale maggiormente ancorato alla tradizione romanico-lombarda nella sequenza di pilastri circolari sovrastati da capitelli a cubo scantonato che organizzavano l'ambiente al piano terra in due navate, aperto ad arcate soltanto sulla fronte.Anche dopo il 1183 l'area urbana preposta ad accogliere la sede del potere comunale rimase quella situata presso il centro vescovile (Cremona, Crema, Lodi, Brescia, Mantova, Novara), quando non addirittura un lotto limitrofo alla stessa primaziale (Pavia, Como, Bergamo). Soltanto dal 1230, in conseguenza soprattutto di una nuova realtà politica - inaugurata a Milano nel 1228 (Bocchi, 1989; Ghisalberti, 1989; Guidoni, 1989) e seguita anche da altre città padane - che comportava il riordino urbano attraverso la promulgazione di appositi statuta, il C. ebbe la possibilità di dotarsi di un centro amministrativo e giudiziario totalmente autonomo o, come per il palazzo di Cittanova a Cremona (1256-1257), alternativo e in competizione con la primitiva sede comunale (Gualazzini, 1975; Moreni, 1984).Tuttavia, a differenza di quanto si sarebbe verificato nei C. dell'Italia centrale, dove a partire dalla seconda metà del Duecento spesso si assistette, con lo sviluppo delle diverse istituzioni cittadine, alla frammentazione delle sedi politiche (palazzo del C. o dei Priori; palazzo del Capitano del popolo; palazzo Pretorio), in Lombardia si riuscì a soddisfare le esigenze organizzative del potere civico - laddove non venne programmata la ricostruzione del palazzo pubblico (Milano, Monza, Piacenza) - attraverso l'addizione di ali al nucleo più antico, così da costituire un blocco edilizio continuo intorno a uno (Novara, Brescia) o più cortili (Cremona). A Brescia l'ampliamento del palatium novum maius, iniziato nel 1223, con due corpi di fabbrica si rese necessario in tempi relativamente brevi, conformandosi quanto possibile nel caso del palatium novum minus all'elegante disegno della fabbrica primitiva (Marconi, 1990).Anche a livello costruttivo il broletto non subì considerevoli mutazioni nel corso del Duecento. Si continuò infatti a evitare l'impiego di coperture in muratura, consentendo modeste varianti strutturali individuabili, oltre che nel piano terra porticato - non sempre aperto su tutti i lati (Pavia, Novara, Brescia) e sostenuto da semplici sostegni rettilinei (pilastri ottagonali nel broletto di Como, del 1215; Frigerio, 1950) -, anche nel sistema scalare di accesso alla sala, esterno (Novara, Como, Milano, Monza) o interno (Brescia) al corpo di fabbrica, nella presenza della torre campanaria, di regola inglobata in un angolo dell'edificio (Brescia, Como, Monza), e nell'adattamento dei cantieri alle tradizioni costruttive locali.Il palazzo della Ragione di Milano, del 1228-1233 ca. (Romanini, 1964; 1989; Grimoldi, 1983), rappresenta, nella realizzazione architettonica e nel repertorio plastico adottato, il prodotto più maturo di un modello edilizio che trovava origine nel broletto di Pavia. Nella fabbrica milanese le forti rispondenze, non soltanto a livello planimetrico, con il contemporaneo centro umiliate di S. Maria di Brera inducono a presupporre un apparentamento progettuale tra i due cantieri e un possibile impiego di maestranze di medesima formazione (Romanini, 1989). Comunque inedito appare il valore urbano della costruzione, che, isolata all'interno di una corte chiusa e comunicante con la città attraverso cinque o forse sei porte (B. Corio, Patria historia, Milano 1503, c. 74; Guidoni, 1980, pp. 118-126; Grimoldi, 1983, p. 72), divenne centro virtuale della nuova pianificazione cittadina, sancita storicamente dalla statua equestre del podestà Oldrado da Tresseno (1233) posta sulla facciata del palazzo (Romanini, 1989).La celebrazione dei fasti comunali diventava sistematica nel Duecento padano, come nel secolo seguente in Toscana, anche attraverso cicli pittorici narrativi e aveva nel palazzo pubblico il luogo deputato per tali rappresentazioni (Cremona, Milano, Brescia, Siena, San Gimignano; Panazza, 1946-1947; Tanzi, 1981; Gavazzoli Tomea, 1990), sebbene di problematica lettura risulti il fregio novarese, del 1240-1270 (Gavazzoli Tomea, 1979), assieme ai due splendidi acroteri a testa umana (1210 ca.) in origine collocati ai vertici delle testate occidentale e orientale dello stesso broletto (Novara, Mus. Civ.; Il Broletto, 1987).Meno lineare si dimostra invece il percorso dello sviluppo architettonico del palazzo pubblico nell'Italia centrale, dove esso ebbe una veste monumentale e al tempo stesso funzionale a partire dall'ultimo quarto del Duecento, con iniziative non sempre riconducibili a un preciso modello edilizio e, in linea di massima, raggruppabili in circoscritte 'famiglie' territoriali. Piuttosto limitate e comunque successive alla metà del secolo si dimostrarono le influenze del broletto lombardo, marcate soprattutto dove il fenomeno comunale appare ampiamente condizionato da impulsi esterni (1257 ca., Roma, palazzo Senatorio) o in quelle fabbriche direttamente riferibili all'opera di maestranze settentrionali itineranti, già documentate (1266 ca., Tarquinia, palazzo Comunale) in più antichi cantieri cittadini.Il palazzo Senatorio a Roma, innalzato in laterizi antichi di reimpiego presso il Tabularium durante il governo di Brancaleone degli Andalò (Pietrangeli, 1960; Righetti Tosti-Croce, 1991) e riprodotto nell'Ytalia dipinta da Cimabue nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi nel 1280 ca. (Andaloro, 1984, pp. 144-152), rimane un valido esempio di quella esportazione tipologica che nella città aveva già avuto nel palazzo di Innocenzo IV in Vaticano, del 1253 ca. (Pistilli, 1991), un significativo precedente. Esso venne realizzato forse già in origine su tre piani, come sembrerebbe denunciare la testata settentrionale dell'edificio, così da costituire un blocco di forma parallelepipeda, mentre il vasto ambiente al piano terreno, diviso internamente da possenti pilastri rettilinei a sostegno di volte ribassate in mattoni, venne provvisto sul davanti di un portico a giorno secondo lo schema ridotto del broletto lombardo. Soltanto nel 1299 la sala maggiore, i cui muri perimetrali sono strutturalmente solidali con la primitiva fabbrica, fu dotata sulla fronte di un ampio loggiato (lobium), ripreso in seguito anche nell'aula superiore, per l'occasione sopraelevata (inizi sec. 14°).Il ritardo delle maggiori fabbriche centroitaliane (Roma, Siena, Firenze, Pistoia, Perugia, Todi, Orvieto, Tarquinia), sebbene l'istituto comunale si fosse consolidato quasi contemporaneamente al fenomeno padano nella seconda metà del sec. 12°, venne determinato soprattutto sia da un più disordinato clima politico interno, risoltosi a favore del partito guelfo dopo il 1270, sia dalla pratica comune di insediare le autorità cittadine in complessi di tipo abitativo (case-torri o residenze borghesi), per l'occasione unificate in un solo nucleo - come a Pisa (palazzo degli Anziani; Redi, 1982), a Volterra (palazzo Pretorio), a Narni (palazzo del Podestà) e a Tarquinia (palazzo dei Priori) -, consuetudine ripresa ancora successivamente nel palazzo Comunale di Massa Marittima, del 1330 ca.-1344 (Carli, 1976). L'esempio pisano non mancò peraltro di influenzare, forse nel tardo Duecento, l'organizzazione del palazzo dei Priori di Vicopisano, dove in chiave monumentale appare l'artificioso accorpamento di finte case-torri.I pochi casi di edilizia pubblica commissionati entro la metà del Duecento (1208-1254, Volterra, palazzo dei Priori; 1230 ca., Massa Marittima, palazzo Pretorio; 1255 ca., Firenze, Bargello) dimostrano però come in Toscana si fosse avvertita, quasi parallelamente all'Italia settentrionale, la necessità di assegnare alle diverse istituzioni politiche del C. edifici di prestigio e di rappresentanza che, a differenza dei numerosi esempi padani, rispettassero anche fisicamente l'autonomia dei poteri in via di formazione (per es. il capitano del popolo).Benché venissero ampiamente rimaneggiate sul finire dello stesso secolo con interventi destinati ad aggiornare il decoro e a migliorare la luminosità degli ambienti principali mediante l'apertura di nuovi registri di finestre, le fabbriche di Volterra e di Firenze conservarono entrambe l'armonica struttura primitiva in un unico blocco compatto su diversi piani, conclusa da una merlatura e sormontata da un'alta torre interna al corpo di fabbrica, in seguito ripresa nel palazzo Pretorio di Prato, del 1284 ca. (I saggi archeologici, 1978). Siffatta tipologia venne definitivamente fissata nella più importante committenza pubblica toscana di fine secolo, l'arnolfiano palazzo della Signoria a Firenze, del 1299-1310 ca. (Romanini, 1969), destinato a costituire per il Trecento il prototipo dei palazzi di governo nelle terrenuove fiorentine (1306 ca., Scarperia, palazzo Pretorio; inizi del sec. 14°, San Giovanni Valdarno, palazzo Pretorio; Boldrini, De Luca, 1988) e anche per altri cantieri al di fuori dei confini della regione (1334-1352, Città di Castello, palazzo del C.).Una vicenda sostanzialmente a sé stante presenta invece il Palazzo Pubblico di Siena, del 1297 ca.-1348 ca. (Cairola, Carli, 1963; Brandi, Cordaro, Borghini, 1983), che, insediandosi nella parte bassa del Campus fori - inglobando e parzialmente conservando i più antichi edifici della dogana e della zecca -, sanciva la creazione di un polo laico cittadino, regolato dal 1297 da precisi statuti edilizi, a cui anche il nascente cantiere civico doveva scrupolosamente attenersi nell'organizzazione della fronte principale. L'innalzamento in tre fasi della fabbrica - dapprima il torrione centrale, poi l'ala dei Nove e quindi quella del Podestà con la torre del Mangia - non impedì tuttavia un equilibrio progettuale che ha fatto pensare all'esistenza di un unico disegno, parcellizzato per esigenze di cantiere (Brandi, Cordaro, Borghini, 1983). Diversamente dagli altri centri toscani e umbri, si assistette a Siena alla realizzazione di un'unica sede per i governi comunali, anche se all'unitarietà di facciata corrispondono all'interno tre distinti nuclei edilizi, concepiti secondo schemi funzionali alla loro destinazione.Il prevalere del partito guelfo, all'indomani della caduta degli Svevi (1270 ca.), nelle vicende di molti C. dell'Italia centrale creò le condizioni per un riconoscimento delle libertà cittadine anche nei territori storicamente posti sotto l'influenza della Chiesa (Umbria, Marche, Lazio); tali condizioni furono la premessa necessaria per una progressiva apertura di cantieri di committenza pubblica, alcuni di notevoli dimensioni e destinati all'edificazione di palazzi (secc. 13°-14°, Ancona, palazzo degli Anziani; 1266 ca., Tarquinia, palazzo Comunale; 1293-sec. 14°, Perugia, palazzo dei Priori; 1332-1337, Gubbio, palazzo dei Consoli; 1340 ca., Città di Castello, palazzo del Podestà) - talvolta arricchiti da bassorilievi esterni con storie bibliche e temi profani di possibile monito per la cittadinanza (Ancona, palazzo degli Anziani, sculture in parte in situ e in parte nella locale Pinacoteca Com. Francesco Podesti; Narni, palazzo dei Priori) - di frequente inseriti in più ampi interventi di progettazione urbana (Siena, Perugia, Assisi, Todi, Orvieto, Gubbio).Il Palatium Populi di Orvieto venne innalzato a uso del capitano del popolo al centro di una piazza, secondo lo schema dei broletti lombardi più tardi (Milano, Monza, Piacenza) e a quel modello sembrerebbe attenersi anche la primitiva realizzazione del 1284 con porticato al piano terra, non completamente estranea però alle influenze locali o territorialmente vicine (Tarquinia, palazzo Comunale; Orvieto, palazzo dei Papi; Viterbo, palazzo dei Papi) nell'abbondante impiego di archi-diaframma a sostegno dei solai e delle coperture. Un medesimo sistema, in questo caso direttamente ripreso dall'architettura cistercense, si ravvisa nel blocco centrale del palazzo pubblico di Anagni (metà sec. 13°), concepito in stretta connessione con il sistema urbano, mentre l'opera di lapicidi formatisi nell'officina di Fossanova impronta le fabbriche di Priverno, di Terracina (Cavalieri, 1989) e di Sezze (avanzi attualmente inglobati nell'Antiquarium Com.), tutte riferibili alla seconda metà del sec. 13°, che segnano a meridione il limite di espansione del fenomeno comunale italiano. Questa dipendenza dai modi costruttivi e decorativi cistercensi ancora nella seconda metà del Duecento non sembra comunque arrestarsi ai modesti esempi laziali, ma interessa anche le vicende del palazzo Gotico di Piacenza (1282 ca.), ultimo grande cantiere pubblico padano, in relazione alla contemporanea ricostruzione del vicino monastero di Chiaravalle della Colomba.Un gruppo distinto infine è costituito dai palazzi comunali dell'Umbria centrale (Spello, Bevagna, Montefalco), sorti intorno al 1270 e tradizionalmente ricondotti alla mano di un unico architetto, il maestro Prode menzionato nel cantiere di Spello. La sovrapponibilità del palazzo dei Consoli a Bevagna con i pochi resti del palazzo Comunale di Spello resta in effetti impressionante, ma il linguaggio sobrio di queste architetture rimane un fatto episodico nella stessa regione, la quale, nell'elegante veste gotica del tardoduecentesco palazzo dei Priori a Perugia, appare invece suggestionata dalla moda d'Oltralpe, trasmessa in una parlata più schiettamente locale nel palazzo del Capitano a Todi (prima metà sec. 14°).
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