Comunicare l’architettura
Nel mutevole vortice della contemporaneità tutti i linguaggi, le espressioni della cultura – dalla moda al cinema, dalla pubblicità al teatro, dalla musica alla fotografia, all’architettura, al design, alla danza – sono oggi accomunati, più che mai, da una medesima chiave di lettura: la volontà di rinnovare le proprie metodologie espressive. È un ampio contesto di creatività, capace di dialogare con le altre forme della ricerca e della comunicazione. In tale ambito, la comunicazione dell’architettura ha assunto, negli anni più recenti, dimensioni e proporzioni decisamente superiori a quanto era mai accaduto. Non a caso, il XXIII Congresso mondiale degli architetti, organizzato a Torino nel 2008 dall’Union internationale des architectes (UIA), è stato incentrato sulla comunicazione dell’architettura (Transmitting architecture – Comunicare l’architettura), tema più che mai importante nella cultura architettonica contemporanea.
La ragione di ciò è principalmente dovuta a quanto teorizzato da Marshall McLuhan sul villaggio globale (Understanding media. The extensions of man, 1964, trad. it. Gli strumenti del comunicare, 1967; M. McLuhan, B.R. Powers, The global village, 1989, trad. it. 1989): un metaforico ossimoro adottato per indicare come, con l’evoluzione dei mezzi di comunicazione e tramite l’avvento del satellite che ha permesso comunicazioni in tempo reale a grande distanza, il mondo sia diventato piccolo e abbia assunto, di conseguenza, i comportamenti tipici di un villaggio.
Il tema (ancora per una nota tesi di McLuhan secondo cui ‘il mezzo è il messaggio’) è divenuto di notevole interesse non solo per chi si occupa di architettura, ma anche per coloro che la vivono e la utilizzano nei modi più vari. Non si tratta più, com’era accaduto fino in tempi anche molto recenti, di capire l’architettura e comunicarne il valore, quanto piuttosto di un nuovo modo allargato di concepirla, un modo in cui l’architettura, di per sé, è divenuta parte della comunicazione, strumento della e per la comunicazione. È noto infatti che la comunicazione trae forza non tanto dai contenuti che veicola, quanto piuttosto dai criteri strutturali con cui essa stessa è organizzata. Criteri che hanno via via instradato la comunicazione dell’architettura verso nuovi e inediti significati della disciplina stessa.
Accanto allo scopo principale finalizzato alla diffusione della cultura architettonica attraverso la sua ‘spettacolarizzazione’ (comunicare architettura è la linea seguita dagli addetti ai lavori per divulgare, nel senso più ampio del termine, l’arte del costruire), l’architettura è divenuta icona, simbolo, strumento comunicativo globale. Ciò è dovuto anche a una serie di molteplici canali di diffusione dell’arte del costruire. Accanto alle riviste specializzate, ai libri e alle rassegne espositive, numerosi sono stati i veicoli di divulgazione popolare che hanno accresciuto l’interesse per una materia che è divenuta espressione di cultura generale a tutti i livelli: uno per tutti, la pubblicità televisiva. Più concreta della letteratura, a volte più comprensibile dell’arte contemporanea, immediata e facilmente assimilabile, criticabile in maniera sia colta sia superficiale, l’architettura è divenuta così oggetto di discussione diffuso, tema letterario, più o meno sofisticato, e tema giornalistico. Ciò è dovuto anche alla spettacolarizzazione che i nuovi strumenti della rappresentazione dell’architettura hanno prodotto e consentito, proponendo al grande pubblico immagini il più delle volte effimere, ma soprattutto molto spesso di gran lunga superiori rispetto alla qualità delle opere architettoniche che successivamente ne sono in molti casi derivate.
Le nuove tecnologie hanno ampliato le dimensioni del progetto, ridefinendolo, dettagliandolo sempre più e, in questo modo, arricchendolo di particolari. Tali nuove prospettive hanno comportato la necessità di riarticolare il concetto stesso di architettura da comunicare in relazione agli interlocutori e alle finalità del tipo di trasmissione.
Definire il bacino d’utenza di un progetto di comunicazione (non solo d’architettura) implica l’individuazione del linguaggio più adeguato alla sua divulgazione. E rendere un progetto di comunicazione fruibile alle varie tipologie di utenti determina, a sua volta, la scelta degli strumenti e dei canali di divulgazione. Se si considera logico che a raccogliere e organizzare i dati riguardanti l’architettura debbano essere necessariamente, tra gli addetti ai lavori, le persone più esperte in materia (le più idonee a definirne i parametri di scientificità, sia in generale sia in ambito specialistico), non altrettanto evidente sembra essere il tipo di professionalità più adatta alla diffusione multimediale della materia stessa. Comunicare l’architettura, soprattutto tramite un medium come quello informatico, sembra richiedere l’approccio metodologico di figure professionali non soltanto specialisticamente formate (anche al di fuori del mondo dell’architettura), ma continuamente aggiornate.
Se il mezzo è il messaggio, quali sono i media più appropriati per comunicare l’architettura? La comunicazione del progetto d’architettura attraverso le nuove tecnologie rappresenta un’intuizione significativa se riferita all’esigenza di veicolare il senso del progetto e le sue cariche emozionali ai personaggi che lo vivono oppure lo vivranno, non attori sospesi, irreali, estranei al contesto, ma fruitori reali. L’utente, il cittadino, è oggi sempre più informato circa le trasformazioni urbane. Da ciò deriva un’immediatezza nella comprensione della comunicazione dell’architettura. Il disegno ‘promuove’ un prodotto ideale. La rappresentazione è rapida, funge da sfondo a immagini pubblicitarie vincenti in tutti i settori, dalle automobili ai superalcolici, dalla politica alla moda, dallo sport (esplicito il riferimento agli edifici dei Giochi olimpici di Pechino del 2008) agli orologi, dai cosmetici ai prodotti alimentari.
Una sorta di riscoperta del mondo costruito, anche se solo rappresentato, sembra pervadere il contemporaneo. Per la prima volta, gli architetti sono star assimilabili ai personaggi dello sport e dello spettacolo, quando, in positivo o anche in negativo, vengono utilizzati le loro opinioni e i loro edifici per scopi e finalità prefissati.
L’architettura comunicata va oltre l’architettura e costituisce quasi una sorta di nuova disciplina, molto simile alla e-economy, virtuale, come le quotazioni in borsa di prodotti ‘da rete’, slegata dalla materialità. Si presenta migliore nei propositi, talvolta negativa negli esiti. Incapace, forse perché alla ricerca d’altro, di produrre risultati concretamente legati alle sue finalità, quali un mondo dalla qualità estetico-funzionale, il conseguimento di una sostenibilità reale come il pianeta che abitiamo richiede, la soluzione a problemi ancora irrisolti come la ‘questione delle abitazioni’ o le problematiche di natura igienico-sanitaria.
Diversi i canali, diverse le finalità. Comunicare l’architettura è qualcosa di assai più complesso che non mostrarla come esito costruito, realizzazione inserita in un contesto. Comunicarla significa più cose: narrarne il percorso progettuale, evidenziarne il rapporto con l’architetto, la sua valenza come immagine; ma anche esplicitarne il mezzo stesso prescelto per la sua comunicazione perché, nel farlo, la si trasforma e la si adatta a una determinata utenza.
Riviste cartacee, riviste web, libri, rassegne espositive, premi di architettura, università, cinema, televisione, radio, convegni e congressi, politica e istituzioni, urban centers, industria e mondo della produzione in generale, pubblicità, studi professionali e laboratori di idee costituiscono altrettanti media attraverso i quali l’architettura viene veicolata e comunicata, talvolta enfatizzata quale immagine di un mondo vincente.
Riviste e giornali
Da decenni strumento principale della comunicazione dell’architettura, le riviste specializzate hanno subito, negli ultimi anni, una sensibile flessione nelle vendite, con il conseguente calo nella diffusione e con la perdita di valore a livello globale. Questo si deve a motivi diversi: non certo soltanto a questioni di costo, quanto piuttosto alla grandissima offerta di informazioni su molteplici e differenti canali. Soppiantata sia dal web, sia dal moltiplicarsi di notizie reperibili da varie fonti, la rivista d’architettura è stata relegata in un ruolo, se non marginale, certamente di secondaria importanza rispetto alla massa dei fruitori dell’architettura: ormai non più simbolo, non più oggetto di culto, non più supporto eletto alla trasmissione delle idee dell’architettura.
Lo scarso interesse per le riviste di settore, inoltre, si accompagna a una precisa retorica dominante: quella iconica. Il dibattito tra Charles Jencks e Deyan Sudjic (Can we still believe in iconic buildings?, «Pros-pect», 2005, 111, pp. 22-27) ha riportato l’attenzione sul valore di simboli, miti e utopie in una società e in un tempo che sembrerebbero averli dimenticati. Peraltro, al di là dell’attenzione quasi scontata per gli aspetti formali ed estetico-percettivi dell’architettura, difficilmente le riviste aiutano oggi il fruitore a capirne le ragioni funzionali, costruttive e distributive.
È poi anche in ragione di un allargato e semplificato pubblico, per sua natura maggiormente attento ai diversi aspetti del glamour piuttosto che a riflessioni teoriche, che storiche riviste di architettura, come «Architectural record», «Domus» o «Casabella» non svolgono più quella funzione critica e di indirizzo che avevano esercitato nel tempo. Le riviste italiane (fra le quali, oltre a quelle appena citate, si ricordano «Abitare», «Costruire», «Lotus», «Area», «Il progetto», «Ottagono», «l’Arca», «d’Architettura») come le non meno diffuse e blasonate riviste straniere (si pensi, tra le altre, a «The architectural review», «El croquis», «GA» ecc.) sono divenute a poco a poco uno strumento elitario, racchiuso nella cerchia culturale conclusa del mondo degli architetti più colti e delle accademie. Strumento di e per pochi, le riviste di architettura, moltiplicatesi negli ultimi decenni, sono state incapaci di suscitare interesse in un pubblico più vasto. Ancor più limitati i lettori di alcune, pur pregiate, riviste di nicchia, quali «Op. cit.» di Renato De Fusco o «Log» di Cynthia Davidson; quest’ultima non sembra essere riuscita a ripercorrere i successi della precedente e fortunata serie di «Any». Troppo sofisticate e dense di pensieri complessi per un mondo che ha decisamente moltiplicato la propria velocità a scapito, spesso, della qualità: ciò ha prodotto, insieme alla crisi economica degli ultimi anni, la chiusura di una serie cospicua di testate. Si pensi a riviste un tempo molto famose quali «L’architettura. Cronache e storia», fondata e diretta per decenni con grande intelligenza sperimentale da Bruno Zevi, o «L’architecture d’aujourd’hui», testata francese di primo piano, o ancora «Architecti», raffinata e prestigiosa rivista portoghese, così come a molte altre che hanno accompagnato la vicenda architettonica novecentesca.
Con ogni probabilità si è ormai concluso il tempo del supporto cartaceo come unico veicolo di trasmissione del sapere. Sono destinate a rimanere sul mercato dell’informazione solo quelle riviste che sapranno proporsi ai lettori mediante un approccio critico colto e sofisticato, distanziandosi, per qualità, dai canali di basso e medio contenuto culturale come i settimanali e i quotidiani. Resterà chi proporrà vera critica architettonica, selezionando progetti e articoli, chi riuscirà a collocarsi in una nicchia speciale, come ha fatto «El croquis», l’unica rivista che, nonostante il costo elevato, seleziona e produce numeri unici e irripetibili, completi e utili strumenti di lavoro e di ricerca, rendendo le proprie pubblicazioni raffinati volumi periodici di architettura.
La presenza di uno storico dell’architettura come Fulvio Irace sul supplemento domenicale de «Il Sole 24 Ore» e di un architetto come Massimiliano Fuksas sul settimanale «l’Espresso» (a partire dal gennaio del 2000) non è che un esempio di quello che sta accadendo nell’ambito della comunicazione, ossia una sempre più ampia diffusione dell’architettura nel mondo dell’informazione in Italia.
L’architettura, forse proprio per il posto crescente che occupa nell’immaginario collettivo, ha dunque oggi nuovo rilievo su giornali e settimanali. Non pochi sono i quotidiani con un loro critico o una loro rubrica fissa. A iniziare dai Paesi angloamericani, dove pure la divulgazione architettonica è stata un impegno civile per storici come Nikolaus Pevsner o John Summerson, per intellettuali come Lewis Mumford, Jane Jacobs o Ada Louise Huxtable, che aveva avviato una rubrica di architettura su «The New York times» già nel 1963. Oggi la critica architettonica costituisce una forma insieme di impegno civile e di cronaca. Frédéric Edelmann su «Le monde», Luis Fernández-Galiano su «El país», Nicolai Ouroussoff su «The New York times», Michael Sorkin su «The village voice» e «The nation», Sebastiano Brandolini per «la Repubblica», Edwin Heathcote per il «Financial times», Christopher Hawthorne per il «Los Angeles times» non sono che alcuni tra i tanti editorialisti specializzati di altrettante testate giornalistiche.
Sorte non più felice di quella delle riviste specializzate è toccata – e pare sia il triste destino dell’editoria in genere – ai libri di architettura, sempre meno letti e ricercati da architetti, studenti e appassionati. Laterza, Electa, Motta, Skira, Marsilio, Rizzoli, Logos in Italia, The Monacelli press, Actar, 010, Birkhäuser, Phaidon, Prestel, Springer altrove, per citare solo alcune delle maggiori case editrici specializzate in architettura, non trovano più lo spazio e la diffusione a loro dedicati e attribuiti negli ultimi decenni. Destino leggermente diverso è toccato a Benedikt Taschen che, nato come produttore di testi al di fuori del mondo dell’arte e dell’architettura, è riuscito, e riesce, con i libri a divulgare l’architettura e l’arte contemporanea in tutto il mondo. Tutto ciò probabilmente grazie a prodotti di alta qualità grafica, di facile consumo, venduti a basso costo: molte immagini, pochi testi, un continuo aggiornamento su quanto accade nel pianeta. Notizie, progetti e immagini accompagnate da titoli accattivanti che richiamano sempre la contemporaneità e lo stato dell’arte.
Ma anche per la casa editrice Taschen i tempi non sembrano essere più quelli di qualche anno fa. Ciò si deve innanzitutto a una generalizzata perdita d’interesse verso l’approfondimento critico legato ai temi dell’architettura, a favore di una crescita di interesse verso la sua immagine immediata, ai costi comunque elevati dei volumi e all’utilizzo della rete, dove l’accesso alle informazioni è spesso libero e gratuito. Un accesso in realtà non privo di insidie: è noto che l’eccesso di informazione uccide l’informazione, e che una moltitudine di informazioni disaggregate e prive di filtri critici può solo provocare disinformazione. È quanto sta avvenendo tra gli studenti di tutte le scuole, in tutto il mondo: per es., in Cina, ancor più che altrove, la copiosa divulgazione di informazioni architettoniche provocata da massicce presenze in rete finisce in realtà con il disinformare i progettisti i quali a loro volta, nella maggior parte dei casi, hanno come fonti ispiratrici dei loro progetti soltanto improbabili architetture orientate esclusivamente al gusto dominante del real estate.
Non tutto ciò che proviene dalla rete è ovviamente da eliminare. Accanto a siti, blog e forum inventati da persone talvolta più interessate a un successo effimero che alla qualità, quasi tutte le maggiori riviste hanno cercato di proporre una loro versione on-line, affiancando così le riviste nate esclusivamente per la rete, come «arch’it», «Architronic» o «Metropolis».
Rete e siti
È il world wide web, probabilmente, il luogo in cui oggi trionfa (se non altro dal punto di vista numerico) la divulgazione dell’architettura. Sono i siti degli architetti, degli studi professionali, delle riviste, delle amministrazioni, delle istituzioni che a vario titolo propongono quanto progettato, realizzato, promosso, spesso in forma di dichiarata autocelebrazione. È la forza della rete, della comunicazione immediata e incontrollata, on-line, virtuale, che tutto consente; è l’oceano di informazioni che annientano e fanno rivivere l’architettura in una nuova, iperdemocratica, diversa dimensione. Una dimensione irreale, dove emerge un dato su tutti: esiste e primeggia chi è più presente.
Una moltitudine di siti affolla dunque la rete, da quelli di giovani architetti inesperti a quelli di consumati professionisti, dalle società di ingegneria agli intellettuali dell’architettura, compresi quelli di chiunque abbia un sia pur minimo rapporto con i temi del progetto e della costruzione. Siti molto diversi tra loro, ma in grado di proporre visioni dell’architettura, di comunicare una possibile architettura al mondo. È il trionfo silenzioso dell’anonimato, di un’architettura ‘parallela’ che si configura come una sorta di Second life, un’altra architettura.
Cinema
Un ruolo di primo piano nella comunicazione dell’architettura è giocato poi dal cinema. La simulazione cinematografica consente oggi di trasmettere in tempo reale in tutto il mondo, di avere impatti ed esiti concreti ancor prima di arrivare alla realizzazione delle opere architettoniche. Consente, attraverso la simulazione del reale, di vivere pienamente l’architettura, apprezzandone o meno le qualità.
Dopo Blade runner (1982, di Ridley Scott), The matrix (1999; Matrix, di Andy e Larry Wachowski) e tutti gli altri film che hanno costruito nell’immaginario collettivo un’idea di architettura diversa e dinamica, il cinema si è confermato come il mezzo più efficace per rappresentare l’architettura contemporanea e il suo stesso progetto. Dinamiche, a volte provocatorie e in molti casi capaci di suscitare nuove emozioni, le opere cinematografiche sono in grado di raggiungere un ampio pubblico e di avere una vasta diffusione. La particolare struttura comunicativa di ogni medium lo rende non neutrale, suscitando negli utenti-spettatori determinati comportamenti e modi di pensare e portando, in definitiva, alla formazione di una nuova forma mentis. La comunicazione video diventa uno strumento che produce ‘visioni’, sollecita commenti, incoraggia la partecipazione emotiva e consente all’architettura di essere maggiormente fruibile.
Ricorrere a un film per illustrare un’idea può consentire di arrivare a rappresentare l’architettura in modi molto diversi. È possibile evocare un intero contesto con tutte le sue architetture. Si può passeggiare o volare intorno a un paesaggio costruito, attraverso e sopra gli edifici proposti, come se esistessero realmente. È possibile prefigurare il futuro, delineare nei dettagli i cambiamenti della città e delle sue quinte architettoniche con la stessa semplicità con la quale chiunque affronta attività semplici e quotidiane. Tutto può essere ricreato e riprodotto fedelmente: il film appare specchio della realtà. Non è possibile rendere tutto questo attraverso uno schizzo, un disegno tradizionale, un rendering digitale: l’effettiva riproduzione del reale è possibile solo attraverso una simulazione dinamica, in altre parole, attraverso un filmato. Quest’ultimo è lo strumento che aiuta a leggere il progetto in modo alternativo. L’esperienza dell’architettura è dinamica: ci si muove, attraverso gli spazi, nel tempo ed è proprio questo l’aspetto che il film è maggiormente capace di esplorare.
Grazie alla cinematografia l’architettura è divenuta oggetto di conoscenza comune. Non solo con i filmati prodotti dagli stessi architetti per illustrare il loro lavoro, ma anche e soprattutto quando essa è stata utilizzata come sfondo: il Guggenheim Museum di Bilbao, per es., fa da sfondo all’inizio di uno dei film di James Bond (The world is not enough, 1999, 007 – Il mondo non basta, di Michael Apted), e il teatro di Bregenz, in Austria, è, ancora, il luogo dove si svolgono le scene centrali e più spettacolari di 007 – Quantum of solace (2008, diretto da Marc Forster). Esempi analoghi, televisivi e cinematografici, sono davvero molti.
Anche da un punto di vista strettamente disciplinare, il film è oggi uno degli strumenti più comuni di esposizione e illustrazione del progetto, quello che consente diversi gradi di lettura, che può porsi come strumento colto e sofisticato, ma al tempo stesso immediato e ‘democratico’. Il film rende l’architettura subito comprensibile, le conferisce la forza del racconto, rende la dinamicità dei suoi percorsi, la trasforma in cosa vitale, comunicativa, visiva e istantaneamente percepibile, disponibile a tutti. L’architettura, anche solo progettata, grazie ai film può essere posta all’attenzione della gente in forma apparentemente reale. Tra i casi più interessanti ed esemplari, spicca quello della Squint/Opera, società di produzione cinematografica creata da Alice Scott, Martin Hampton, Oliver Alsop e Julius Cocke, che hanno raccontato il loro metodo di indagare e interpretare le risposte del cittadino alle trasformazioni del paesaggio urbano. Con Post Barnsley (2005), un cortometraggio realizzato per lo studio inglese Alsop architects, hanno descritto il futuro di una città postindustriale dello Yorkshire attraverso la fantascientifica passeggiata, ambientata nel 2025, di un postino dei vecchi tempi.
E di cinema di architettura, di festival del film di architettura si parla ormai da oltre un decennio. In Italia, nel 2009, Beyond media, un festival internazionale di architettura e media che si tiene a Firenze, ha celebrato la sua nona edizione. Dedicato alle più attuali visioni sull’architettura e al dibattito sulle relazioni del progetto con i media, esso accompagna dal 1997 lo sviluppo dei sistemi di comunicazione in architettura, misurando la loro incidenza sulla produzione attuale e promuovendo la qualità e la ricerca nell’elaborazione dei mezzi di rappresentazione del progetto. Ma non è che uno dei molteplici eventi legati alla comunicazione video dell’architettura e del progetto.
Premi e mostre
Nella comunicazione dell’architettura, un ruolo importante è quello giocato dai premi; fra tutti, il principale è il Pritzker architecture prize, massimo riconoscimento alla carriera a livello internazionale, una sorta di Nobel disciplinare. A seguire, il premio internazionale di architettura Francesco Borromini (istituito nel 2001 a Roma e attribuito un’unica volta: in quell’anno a Jean Nouvel); il premio per l’architettura contemporanea dell’Unione Europea Mies van der Rohe, ambito riconoscimento internazionale; lo Stirling prize, concorso annuale di architettura organizzato dal RIBA (Royal Institute of British Architects); il premio internazionale Antonio Feltrinelli per l’architettura e l’urbanistica dell’Accademia nazionale dei Lincei; il premio internazionale Dedalo Minosse alla committenza di architettura, di ALA (Associazione Liberi Architetti)-Assoarchitetti, che, coinvolgendo committenti, progettisti e aziende, è assurto al ruolo di maggiore premio di architettura internazionale organizzato in Italia; l’Aga Khan award for architecture, per l’architettura islamica. Nel loro insieme si tratta dei principali momenti di riconoscimento della critica a livello internazionale. Di notevole valore anche la Medaglia d’oro all’architettura italiana, organizzato dalla Triennale di Milano, e il premio IN/ARCH-ANCE (Istituto Nazionale di Architettura-Associazione Nazionale Costruttori Edili), promosso con cadenza biennale dal medesimo istituto: entrambi coinvolgono, come advisors, alcuni dei maggiori critici internazionali.
Accanto a questi, una moltitudine di premi e manifestazioni correlate contribuiscono a diffondere la comunicazione dell’architettura nel mondo, eventi che costituiscono il punto di partenza per altri canali di diffusione mediatica: quotidiani, settimanali, riviste specializzate, conferenze, televisione, radio.
Rassegne espositive, convegni e seminari
Luogo privilegiato per la comunicazione dell’architettura sono le tante rassegne espositive internazionali, spesso anch’esse accompagnate da premi che, a scadenza pluriennale, raccolgono e accolgono, attorno a temi prestabiliti dai curatori, il meglio della produzione internazionale. Si tratta di mostre biennali famose come quella di Venezia, forse la manifestazione di maggiore richiamo, ma anche di rassegne similari come quelle di Rotterdam, Pechino, Buenos Aires, Brasilia, San Paolo, Lubiana, Barcellona, Bordeaux, Montréal, Hong Kong-Shenzhen, L’Avana (la Biennale panamericana), o di quelle di Palermo, le Biennali dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo, o le varie triennali che rappresentano ancora, insieme alla pubblicità e al marketing che le accompagnano, una delle maggiori vetrine e dei principali canali nella comunicazione dell’architettura. Il moltiplicarsi di tali eventi ha tuttavia finito con il diminuire, in qualche modo, il loro peso.
Accanto a queste manifestazioni, i festival dell’architettura, come quello di Parma o quello, biennale, di Londra, ricercano un contatto mediatico e immediato con le città ospitanti. Significativa è anche una manifestazione come Archilab, grande vetrina tematica dell’architettura più sperimentale che si tiene a Orléans, dove si alternano curatori internazionali di prestigio e dove vengono invitati, oltre a trenta studi internazionali di architettura, ciascuno con un sostanziale spazio espositivo, un numero cospicuo di critici che presentano e guidano gli incontri nei tre giorni di conferenze aperte al pubblico. Ad autori consacrati è dedicata una esposizione monografica e la conferenza finale.
Si tratta, in genere, di manifestazioni che comunicano al vasto pubblico, spesso con una particolare attenzione alla sperimentazione, la dimensione artistica e culturale del progettare e del fare architettura. Sono momenti di notevole interesse per l’indotto che ne deriva, in termini di comunicazione generale, attraverso la televisione, la pubblicità, la stampa.
Un ruolo fondamentale nella comunicazione dell’architettura, anche se prevalentemente tra addetti ai lavori, è svolto dai convegni e dai seminari internazionali che richiamano oratori affermati e, conseguentemente, molto pubblico. Di particolare fascino e indubbio prestigio sono, per es., gli Oris days of architecture a Zagabria, in Croazia, che hanno portato un pubblico di oltre 2600 persone nel Centro congressi Vatroslav Lisinski, nell’ultimo fine settimana dell’ottobre 2008. Accanto a questi, i Piran days of architecture a Pirano, in Slovenia; i vari festival dell’architettura che si tengono in Italia, tra cui, in particolare, quello già citato di Parma; l’International Bauhaus colloquium di Weimar; Archi-Medis a Calcutta; la Integrated enterprise architecture conference di Londra. Giornate di studio che, oltre a illustrare agli specialisti lo stato della disciplina, cercano di coinvolgere un pubblico più vasto attraverso eventi correlati, anche di natura mondana, per attrarre spettatori e diffondere il tema a diversi livelli.
Scuole di architettura e istituzioni
Nel mercato globale dell’informazione e della trasmissione del sapere un ruolo di preminenza, per tutto ciò che riguarda l’architettura e la formazione dei progettisti, è svolto dalle principali scuole internazionali e dal fascino che esse suscitano nell’immaginario collettivo: il Massachusetts institute of technology (MIT), la Harvard university, l’UCLA (University of California Los Angeles), e le università di Columbia, Cornell, Rice, Princeton, Yale, Berkeley negli Stati Uniti; il Berlage institute nei Paesi Bassi, che ha avuto fra i suoi docenti personaggi quali Ben van Berkel, Winy Maas, Robert E. Somol, Alejandro Zaera-Polo ed Elia Zenghelis, ed è ora diretto da Vedran Mimica; la Architectural association school of architecture di Londra, da cui sono usciti gran parte dei maestri contemporanei; l’ETH (Eidgenössische Technische Hochschule) di Zurigo; l’ETSAB (Escola Técnica Superior d’Arquitectura de Barcelona): si tratta di centri di formazione e ricerca che continuano a suscitare interesse tra gli addetti ai lavori, comunicando i valori dell’architettura nella società contemporanea. Anche in Cina, scuole quali la Chongqing Jianzhu university, la Na-tional Cheng Kung university di Taiwan, la North-western polytechnical university, la Shenzhen university, la South China university of technology, la South East university, la Tianjin university, la Tongji university, la Tsinghua university, la Xi’an Jiaotong university, la Xi’an university of architecture and technology, dimostrano come il Paese si stia imponendo da protagonista, ormai da qualche anno, nel mondo del marketing culturale dell’architettura.
Accanto a tali prestigiose università, si ricordano istituzioni diverse come l’American institute of architects, il citato Royal institute of British architects e il Netherlands architecture institute (NAI). Quest’ultimo, in particolare, è diventato qualcosa di più di un semplice museo di architettura: si tratta infatti di un’istituzione culturale aperta al pubblico, ubicata nel Museumpark di Rotterdam e progettata da Jo Coenen, che ospita importanti archivi e collezioni, e promuove rassegne espositive, seminari, dibattiti, pubblicazioni per informare e ispirare non solo gli specialisti ma anche un pubblico più vasto.
Politica e istituzioni
In occasione di eventi di grande risonanza come i giochi olimpici o le esposizioni universali, l’architettura gioca un ruolo di primo piano nel mondo della politica e delle istituzioni. I primi anni del 21° sec. hanno visto nascere e proliferare architetture e zone di città di alta qualità, simbolicamente rappresentative di rinnovati mondi ideali.
Un ruolo da protagonista è stato assunto dal presidente francese Nicolas Sarkozy che, appena insediato, con notevole impatto mediatico ha chiamato Nouvel, Rem Koolhaas, Foster, R. Rogers, Jacques Herzog, Zaha Hadid, Christian de Portzamparc, Thom Mayne e M. Fuksas a discutere del futuro di Parigi e delle sue periferie. Un evento che si ricollega alla promulgazione della legge francese del 1977 sulla qualità architettonica. Qualcosa di simile hanno provato a fare gli organizzatori dell’Expo di Milano 2015, promuovendo un’immagine legata a grandi architetture e chiamando Daniel Libeskind a illustrare le trasformazioni della città italiana attraverso interviste televisive, dove straordinarie rappresentazioni grafiche facevano apparire Milano più come città ideale che come sede di un’esposizione. Hanno continuato a farlo i Paesi Bassi, unica nazione al mondo ad avere una sorta di ‘ministro’ dell’architettura che vigila e promuove la qualità dell’edificato. Diversa l’operazione condotta a New York con la nota vicenda della ricostruzione dell’area del World Trade Center: un concorso internazionale, cui hanno partecipato molti grandi nomi dell’architettura e in cui lo stesso Libes-kind è risultato vincitore, è parso a molti uno strumento di propaganda per coprire un’operazione di tipo sostanzialmente speculativo.
Analogamente impegnati sul fronte dell’architettura sono stati, negli ultimi due decenni, Paesi come Dubai, l’India e, soprattutto, la Cina che è stata capace di costruire nuove città in tempo record.
Urban centers
Un simile interesse per l’architettura si è diffuso un po’ dovunque nel mondo: non a caso in molte città stanno sorgendo gli urban centers, luoghi di incontro, dibattito e comunicazione dell’architettura ai cittadini. Strutturati per essere strumenti della comunicazione, vere e proprie stazioni multimediali che presentano i progetti più recenti, consentendo al visitatore la fruizione dei contenuti in formato interattivo, tali centri sono nati negli Stati Uniti e hanno avuto un forte sviluppo a livello globale negli ultimi dieci anni. Si tratta di spazi di informazione e di dialogo sulle città e sui territori, ‘centri urbani’ in senso sia geografico sia figurato, al servizio dei cittadini e delle istituzioni che, oltre a mostre temporanee, ospitano alcune volte esposizioni permanenti che descrivono l’evoluzione delle città attraverso mappe, disegni, fotografie, testi, modelli in scala, postazioni interattive e animazioni tridimensionali. Veri e propri laboratori di idee che promuovono la discussione collettiva e la progettazione condivisa del futuro della città, in cui le istituzioni pubbliche, i cittadini, le associazioni e i rappresentanti del mondo economico e sociale trovano un’occasione di reciproca informazione e di confronto.
Molte sono le città italiane che a questo proposito si possono citare, a partire da Roma con la Casa dell’architettura all’Acquario romano. Urban centers si trovano negli Stati Uniti a New York (con lo storico urban center in Madison Avenue), Los Angeles, San Francisco, Washington, Minneapolis, Chicago e in altre principali città nordamericane. In Canada a Toronto – il cui urban center è stato definito da Richard Florida uno dei migliori del mondo insieme a quelli di New York e Londra – e Montréal. In Europa, si devono segnalare in particolare Londra (con le sedi di London Bridge Bankside, Dean Street e Camden Town), Liverpool, l’Austria in generale con tutte le sue Häuser der Architektur e, soprattutto, con l’Architekturzentrum di Vienna diretto da Dietmar Steiner, la Francia con le molte Maisons de l’architecture. Nel resto del mondo si distinguono Il Cairo, Mumbay e Jabalpur in India, Huaxi, nella zona rurale più ricca della Cina, che ha recentemente costruito una spettacolare torre vetrata per ospitare il proprio centro; e ancora in Cina (che conta più di novanta urban centers), Pechino, Shanghai, Hong Kong, Nanchino, Suqian, Suining, Xiantao, Xinghua, Liuan. Gli urban centers si propongono come sedi di approfondimento sui progetti di sviluppo urbano, realizzati e in via di realizzazione, e sulle tematiche a essi legate (dall’architettura alle politiche ambientali), organizzando seminari, convegni ed eventi, ospitando esposizioni a tema, collaborando con enti e associazioni culturali.
In Italia, in particolare, tali centri sono stati costituiti per lo più sul finire degli anni Novanta, con alcune specificità che li hanno sensibilmente differenziati. La maggior parte di essi è costituita da strutture d’iniziativa pubblica, derivate dai municipi locali e frutto di una ricca stagione di governance urbana che ha dato origine a forme istituzionali più aperte e flessibili, con confini sfumati tra pubblico e privato e molteplicità di attori coinvolti nei processi decisionali. In questo contesto, a seconda delle loro attività, essi si sono collocati lungo un asse che va, idealmente, dalle istituzioni ai cittadini, dalla semplice informazione sui processi di trasformazione alla comunicazione più strutturata, fino al coinvolgimento e alla partecipazione. Nonostante lo scenario amministrativo appaia sostanzialmente diverso e la stagione della governance sembri finita, gli urban centers continuano a costituire, attraverso la loro azione, un efficace strumento di comunicazione, un’interazione imprescindibile tra i cittadini e le pubbliche amministrazioni. La maggioranza di essi riporta la centralità sull’informazione, nobilitando, in un certo senso, tale attività rispetto al coinvolgimento nei processi partecipativi.
Progetti di comunicazione
La rete ha aperto, sviluppato e promosso nuovi campi di sperimentazione. Programmi universitari di ricerca a livello nazionale, europeo e internazionale hanno ravvisato nell’architettura uno strumento di dialogo e coesione; numerose sono le istituzioni internazionali coinvolte, almeno nei Paesi occidentali. Diversi sono anche i progetti architettonici da esse promossi, con obiettivi più o meno simili, desunti dai programmi e dalle politiche comunitarie in Europa e da politiche di cooperazione nel mondo. Tra questi, di particolare interesse per i suoi contenuti, è stato il progetto pluriennale europeo GAUDI (2001-2004). L’acronimo GAUDI (Governance, Architecture and Urbanism: Democratic Interaction), che evoca una geniale personalità del modernismo catalano, è stato scelto per dar nome a questo progetto fondato sulla considerazione che città e architettura rappresentano i temi culturali maggiormente significativi e unificanti per l’Europa, e pensato per diffondere, a livello comunitario, una rinnovata cultura architettonica e urbana rispettosa della diversità.
L’obiettivo generale dei progetti comunitari più recenti consiste nell’incoraggiare una serie di riflessioni collettive sul ruolo dell’architettura a vari livelli, dalla produzione alla gestione alla fruizione, coordinandone le modalità nei diversi Paesi; genericamente, in ambito comunitario, si cerca di favorire una rinnovata e maggiore attenzione del pubblico verso le idee emergenti relative all’abitare, puntando anche su un maggiore coinvolgimento nella pianificazione dei cittadini.
Suddivisi in azioni raggruppate in ambiti tematici, i progetti europei riuniscono (in qualità di partner con diverso grado e responsabilità) partecipanti di grande prestigio attivi nel campo della cultura architettonica: musei di architettura, centri di informazione su architettura e urbanistica, associazioni professionali, enti di ricerca e di insegnamento superiore: tutte istituzioni con sedi nelle maggiori città d’Europa. Si tratta di progetti generalmente sviluppati dal comune impegno di istituzioni incaricate della diffusione dell’architettura e delle problematiche urbane, con il diretto coinvolgimento dei politici.
Lo stesso già citato Archilab di Orléans, con Archilab Europe – Strategic architecture, ha illustrato nel 2008 in Francia l’importanza, all’interno dell’Unione Europea, dell’architettura come strumento decisivo e strategico per lo sviluppo condiviso e consapevole delle città e delle regioni.
In tale ottica, il Libro bianco su una politica europea di comunicazione (2006) ha completato il processo avviato dalla Commissione delle Comunità europee nel luglio 2005 per la definizione del nuovo quadro strategico per l’informazione e la comunicazione. Rispetto alle precedenti due fasi in ambito comunitario (il Piano d’azione interno della Commissione per migliorare la comunicazione sull’Europa e il Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, entrambi del 2005), il Libro bianco rappresenta la proposta della Commissione per porre le basi di una politica di comunicazione dell’Unione adeguata alle sfide legate al futuro dell’Europa. «L’Unione Europea – si legge nel testo – è un progetto comune condiviso da tutti i livelli di governo, da tutti i tipi di organizzazioni e da tutti i cittadini. I cittadini hanno il diritto di essere informati sull’Europa e i suoi progetti concreti, di esprimere le proprie idee sull’Europa e di essere ascoltati. La sfida della comunicazione consiste proprio nell’agevolare questo scambio, il processo di apprendimento e il dialogo». Il Libro bianco rappresenta insomma l’invito della Commissione delle Comunità europee a tutte le parti interessate a concordare una serie di obiettivi da realizzare e un pacchetto comune di misure da prendere. A partire da ciò, Archilab Europe – Strategic architecture ha inteso promuovere il ruolo dell’architettura e del progetto quali strumenti indispensabili per lo sviluppo delle città e delle regioni. La partecipazione dei cittadini ai progetti di pianificazione costituisce infatti uno dei fulcri delle azioni tematiche scelte dalla maggior parte dei progetti e programmi comunitari con l’obiettivo di divulgare ampiamente l’architettura: in alcuni casi si organizzano manifestazioni culturali di diverso genere riunite in occasione di festival dove l’architettura diviene fonte di intrattenimento e arricchimento per il pubblico.
Queste iniziative destinate al grande pubblico, oltre che, naturalmente, ai professionisti dell’architettura e dell’urbanistica e ai responsabili istituzionali, sono state ideate non solo per migliorare il livello cognitivo dei cittadini, ma anche per rafforzarne la capacità d’intervento sulle problematiche legate all’architettura, all’urbanistica e all’ambiente e sulle decisioni che influiscono sulla loro qualità. Tali iniziative dovranno, nelle intenzioni di promotori e ideatori, permettere di capitalizzare l’esperienza delle organizzazioni partecipanti, trasmettendola ai cittadini, attraverso il loro più diretto coinvolgimento nella gestione e nella pianificazione e, soprattutto, in un uso più consapevole delle città da parte dei suoi abitanti.
I centri europei, sopra ricordati, dedicati all’architettura svolgono un ruolo chiave nella diffusione di informazioni in materia, in quanto in grado di cooperare con gli organismi locali di pianificazione, di esporre i problemi in occasione di mostre, di utilizzare i propri materiali di archivio, di pubblicizzare e presentare i progetti in corso di esecuzione e di organizzare dibattiti aperti ai diversi settori della società.
Accanto ai tanti ambiziosi progetti transnazionali, altri progetti e programmi, anche a livello regionale, hanno contribuito a comunicare e trasmettere le idee dell’architettura al grande pubblico. In qualche modo, esemplificativi di ciò sono i format televisivi, largamente diffusi nel mondo, nati dall’esigenza di comunicare l’architettura sulle diverse emittenti televisive a livello regionale e nazionale. Programmi, prevalentemente articolati in servizi e rubriche fisse, nei quali si divulga l’architettura con un linguaggio semplice e immediato: occupano uno spazio riconoscibile dove il bello viene declinato in vari modi, stili di vita e tendenze, e hanno quale punto di riferimento quello dei magazine (è il caso di programmi come Nonsolomoda; Pantheon, non solo architettura ecc.).
Categorie e studi professionali
Negli ultimi anni si è assistito, abbastanza diffusamente, al declino dell’importanza degli ordini professionali e dei relativi consigli nazionali. Figli di apparati corporativi, tali istituzioni si sono generalmente involute, caratterizzandosi sempre più come organizzazioni obsolete e burocratizzate. Un’eccezione è costituita dai congressi mondiali promossi dall’UIA, già citato organismo internazionale che ha sede a Parigi e che riunisce tutti i consigli nazionali degli architetti dei diversi Paesi membri.
La manifestazione (nata nel 1948 e la cui sede è stata assegnata, per la prima volta nel 2008, a una città italiana, Torino) ha rappresentato il punto d’incontro e di dibattito sul futuro dell’architettura nel 21° sec., in una società sempre più complessa e globalizzata. Come già sottolineato, tale evento, che ogni tre anni riunisce migliaia di architetti e di studenti attorno a un tema che coinvolge le prospettive dell’architettura in rapporto a grandi questioni sociali e culturali di attualità, in questa XXIII edizione, dopo quelle di Barcellona, Pechino, Berlino e Istanbul, ha avuto come tema proprio la comunicazione dell’architettura: Transmitting architecture – Comunicare architettura. Un titolo che racchiude due significati: l’architettura comunica la sua azione, progettuale e sociale, ma contemporaneamente raccoglie le energie positive e i fenomeni emergenti espressi dalla società. Si fa conoscere e apprezzare non solo per ciò che produce ma, soprattutto, per i valori che trasmette. Uno dei principali obiettivi è stato proprio proporre al grande pubblico un’immagine diversa dell’architettura e dimostrare che quest’ultima è davvero di tutti, il fil rouge che accompagna le grandi questioni che attraversano la società d’oggi.
La proliferazione della rete ha portato alla realizzazione di una moltitudine di siti web di architetti e studi professionali in tutto il mondo, collegati tra loro: www.world-architects.com ne costituisce un esempio significativo. Si tratta di portali di architettura in grado di veicolare in maniera globale il lavoro dei progettisti. La rete, anche in questo caso priva di filtri e gerarchie, propone di tutto, dai siti di architetti internazionalmente riconosciuti a quelli delle nuove leve. Non solo i principali studi professionali (per es., Coop Himmelb(l)au), ma anche quelli meno conosciuti, per informare sulla loro attività e sui loro progetti più recenti, utilizzano anche newsletters (bollettini d’informazione) che vengono periodicamente inviate a indirizzari mirati.
Star system e nuove icone architettoniche
Nel 2003, nel numero 6/7 di «Hunch», la rivista edita dal Berlage institute di Rotterdam, è stata pubblicata una serie di saggi e opinioni sul futuro dell’architettura. Da tali pareri è emersa, accanto alla rivendicazione dei numerosi compiti svolti dall’architettura e dagli architetti, la necessità avvertita dal cosiddetto star system degli architetti, dai media e dall’industria culturale dell’architettura, di un cambiamento di immagine della professione; cresce cioè l’esigenza di innovazione e, insieme, di nuovi ‘maestri’, ossia di star consacrate dai media per veicolare fra la gente, analogamente a quanto accade per la musica, il cinema e altre discipline, l’immagine del mito, dell’icona, dunque del ‘culto’. L’architettura, grazie alle sue icone, può assurgere ad altri, molteplici ruoli. Alcune figure di architetti accompagnano così, nell’immaginario collettivo, le trasformazioni delle città e del territorio, contribuendo alla comunicazione dell’architettura e dei suoi valori nei diversi ambiti e canali.
Alcuni edifici recenti sono divenuti veri e propri punti di riferimento, a diversi livelli. L’architettura quale nuova icona della comunicazione nasce con alcuni dei progetti più rivoluzionari entrati ormai di diritto nella storia dell’architettura: il discusso Beaubourg, il Centre Georges Pompidou realizzato nel 1977 a Parigi da Renzo Piano e Rogers, che forse maggiormente ha contribuito a comunicare un’idea dell’architettura come strumento di trasformazione dell’ambiente urbano, e il Guggenheim Museum di Bilbao, realizzato da F.O. Gehry nel 1997. A Bilbao si è poi pianificata una completa ristrutturazione urbana per permettere il passaggio da un’economia prevalentemente industriale, quindi in declino, a un’economia terziaria, legata al turismo, al business e alla cultura. A seguire, un’altra importante istituzione museale, la Tate Modern (2000), ha contribuito a cambiare il volto della città di Londra. La Tate, in particolare, è una ristrutturazione imponente, progettata da J. Herzog e Pierre de Meuron, lungo la riva meridionale del Tamigi, in un’area costituita in prevalenza da vecchie fabbriche. Il vasto lavoro portato avanti dall’amministrazione municipale ha trovato nel nuovo museo una vetrina del recupero e della riqualificazione di estese zone di città come di edifici e spazi pubblici di notevole qualità architettonica e urbanistica. Su questi binari Londra si sta muovendo per l’atteso evento dei Giochi olimpici del 2012: il sito prescelto è, infatti, una vasta area dismessa da recuperare.
Esempi simili si trovano anche in altre parti del mondo: progetti e opere che hanno contribuito a comunicare i valori dell’architettura al di fuori dei propri recinti disciplinari. Fra gli esempi migliori si ricorda il neofuturista e colorato parco scientifico tecnologico Kilometro rosso (2004) di Nouvel situato nei pressi di Bergamo lungo uno dei tratti autostradali più trafficati d’Italia; all’interno del parco ha sede, fra l’altro, il nuovo Centro ricerche e sviluppo di Brembo (2007), anch’esso su progetto di Nouvel. Analogamente evocativo e di grande forza comunicativa è il nuovo BMW Welt (inaugurato nel 2007) del citato gruppo Coop Himmelb(l)au, a Monaco di Baviera, interessante complesso in grado di comunicare, attraverso l’architettura, l’immagine della casa automobilistica tedesca. Un recente esempio è costituito dallo stadio realizzato a Pechino in occasione dei Giochi olimpici del 2008, per la sua forma chiamato bird’s nest («nido d’uccello»): una struttura dove oltre 35.000 tonnellate di acciaio si intrecciano, come esili ramoscelli, per dar vita a un ‘nido’ in grado di accogliere circa 90.000 spettatori. Il progetto, ideato dagli architetti svizzeri Herzog e de Meuron, è risultato il vincitore del concorso bandito nel 2002 proprio grazie alle sue originali forme organiche: un interessante e meticoloso capolavoro di ingegneria.
Molte altre opere recenti rappresentano e veicolano in maniera esemplare l’architettura: il recente ponte della Costituzione (2008) di Santiago Calatrava a Venezia; il nuovo Centro congressi Italia di M. e Doriana Fuksas a Roma (concorso 1998-2000; in costruzione dal 2009); la Cidade da cultura de Galicia (progetto del 1999) a Santiago de Compostela, in Spagna, di Peter Eisenman; l’Erasmus Bridge (1996) a Rotterdam di UN Studio, discutibile dal punto di vista strutturale ancorché straordinariamente comunicativo; il Porsche Museum (2009) di Delugan Meissl associated architects a Stoccarda; la Kunsthaus (2003) realizzata da Peter Cook e Colin Fournier sul lungo fiume Mur a Graz, nell’anno in cui la città austriaca è stata capitale europea della cultura; le Petronas Towers di Kuala Lumpur, ultimate da Cesar Pelli nel 1998; Burj Dubai di Adam Smith (studio Skidmore, Owing & Merrill), completata nel 2009 a Dubai, la torre più alta mai realizzata con i suoi 828 m; l’Hydra Pier nel Floriadepark (2002), a Haarlemmermeer, nei Paesi Bassi, opera dello studio Asymptote; la Caja de Granada (2001) di Alberto Campo Baeza, edificio di forma semicubica, che si propone come base di partenza per lo sviluppo della città in una zona ancora senza identità; il Jay Pritzker Pavilion (2004) di Gehry nel Millennium Park a Chicago.
Laboratori di idee
La comunicazione dell’architettura avviene anche attraverso strutture che potrebbero essere definite laboratori di idee.
Oliviero Toscani, il fotografo noto per le campagne pubblicitarie del gruppo Benetton, ne ha fondato uno nel 2005, detto la Sterpaia, presso San Rossore, in provincia di Pisa. Stimolante luogo d’incontro di architetti, intellettuali, artisti e progettisti in genere, il laboratorio prima produce idee e le divulga attraverso i media, successivamente investe in maniera concreta nel mondo della produzione.
Laboratori di idee possono essere considerati tutti quelli nati con obiettivi partecipativi largamente diffusi. Esemplare, al proposito, il progetto di Piano per le aree delle ex acciaierie Falck a Sesto San Giovanni, in provincia di Milano, dove la proposta di un programma integrato d’intervento, presentata nel 2006 all’Amministrazione comunale, prevede il recupero dell’area che, dopo lo smantellamento dell’industria siderurgica, si è trasformata in un vuoto urbano. Il progetto di riqualificazione elaborato da Piano ha inteso operare una ricucitura al fine di unire le due parti di Sesto San Giovanni divise dalla ferrovia e dalle vecchie aree industriali. La città delle fabbriche diventa ‘fabbrica delle idee’. Vivibilità, sostenibilità ambientale e coesione sociale rappresentano i temi-chiave su cui l’architetto ha focalizzato la propria attenzione. Un valido esempio di una rinnovata progettualità partecipata che sta contribuendo, un po’ dovunque, ma soprattutto in Europa, a trasmettere la cultura architettonica.
Pubblicità e industria
La comunicazione dell’architettura ha evidentemente grande rilievo nella pubblicità, sia nel caso in cui l’architettura venga utilizzata quale simbolo all’interno del racconto pubblicitario (come nelle numerose scene architettoniche e urbane che accompagnano, per es., gli spot delle maggiori case automobilistiche), sia nel caso in cui rappresenti sé stessa e venga quindi raccontata come tale.
Negli ultimi anni, fra l’altro, non è stato più esclusivamente l’architetto ad autopromuovere la propria opera, con la pubblicazione di libri, progetti, biografie e così via. Tale promozione è stata curata anche dalla committenza, che non solo ha organizzato spesso visite agli edifici e interviste all’autore, ma si è anche avvalsa di un apposito staff e di critici specializzati, quasi dei personal promoters. Il professionista diventa in questo modo elemento medio nella proporzione tra oggetto e utenza, trasformandosi in medium divulgativo. Così è accaduto in una campagna pubblicitaria di strumentazioni informatiche particolarmente attenta agli aspetti di accessibilità dell’informazione, dove il più volte citato Gehry è stato testimonial di un modo diverso di pensare, o in quella di una società di telefonia mobile in cui il museo Guggenheim, progettato dallo stesso Gehry, ha costituito l’eccezionale ambientazione del filmato.
Al fascino dell’architettura non si sottraggono i programmi di moda e costume, che spesso propongono inusuali ambientazioni, né la pubblicità di oggetti, gioielli e altri beni di lusso. La qualità rappresentata da progettisti quali Foster e Rogers ha fatto sì che una celebre casa produttrice di orologi abbia scelto di pubblicizzare i propri prodotti avvalendosi dell’immagine dei due noti architetti inglesi. Analogamente è avvenuto per la campagna pubblicitaria di una casa automobilistica francese, che ha ritratto Fuksas nell’atto di schizzare, sul finestrino di un’auto, la ‘nuvola’ del citato Centro congressi Italia.
Anche il mondo della produzione industriale pare aver trovato nell’architettura il cavallo vincente per la diffusione del proprio brand: Koolhaas per Prada; Guido Canali per Prada e Smeg; Tadao Ando e Afra e Tobia Scarpa per Benetton; Mario Cucinella per iGuzzini; Fuksas per Ferrari e Nardini; Nouvel per Brembo; Foster per McLaren (si pensi al McLaren Technology Centre, 2004, a Woking, in Inghilterra); Wolf Prix dello studio Coop Himmelb(l)au e Z. Hadid per BMW, sono solo alcuni degli esempi più significativi di come l’industria abbia di recente utilizzato l’architettura per pubblicizzare il proprio marchio o, come nel caso di Odile Decq per la Wally Yachts, per comunicare un’immagine architettonica di prestigio accanto a qualità tecnologiche già consacrate.
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