Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Tra Duecento e Trecento raggiunge il culmine l’età dei volgarizzamenti: attraverso la traduzione di testi di religione, primi fra tutti quelli agiografici, si persegue l’istruzione dei laici, sempre più partecipi della vita della Chiesa. Anche la nuova predicazione degli ordini mendicanti si pone lo stesso obiettivo svolgendo una funzione di mediazione tra il testo sacro e la cultura volgare. È in questo clima che matura un’esperienza mistica come quella di Caterina da Siena.
La traduzione dal latino o da altri volgari di testi di religione o di testi classici diviene tra XIII e XIV secolo così massiccia da spingere ad etichettare questo periodo come l’età dei volgarizzamenti. Questo continuo sforzo di rendere nella nuova lingua opere di argomenti disparati e in particolare i testi sacri mira all’istruzione dei laici incapaci di comprendere il latino. Tra le opere di carattere religioso assumono particolare importanza i testi agiografici: basti pensare al Ritmo su sant’Alessio, uno dei più antichi testi letterari italiani in volgare, collocabile tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, o ai volgarizzamenti derivati dalle Vitae Patrum o dalla Legenda Aurea, le più importanti raccolte di vite di santi, insieme ai Dialoghi di san Gregorio Magno. L’agiografia comprende le biografie di santi, sia singole che accorpate in raccolte collettive, come è appunto il caso della Legenda Aurea, composta dal domenicano Iacopo da Varazze tra il 1254 e il 1263 e successivamente rielaborata. L’opera raccoglie un gran numero di leggende – da intendersi alla lettera come “cose da leggere” –, ma abbreviate rispetto alla letteratura agiografica dell’alto Medioevo. È questo il leggendario più noto e diffuso che sarà tradotto in volgare italiano solo nel Trecento avanzato; accostabili ad esso per affinità tematica, anche se trattano specificatamente dei santi anacoreti del cristianesimo delle origini, sono le Vitae Patrum, diffuse soprattutto grazie agli Ordini mendicanti e volgarizzate infatti dal domenicano Domenico Cavalca. Anche il monachesimo occidentale è tuttavia fatto oggetto di particolare attenzione poiché lo stesso Cavalca volgarizza il Dialogo di san Gregorio, oltre ad essere autore di nove trattati originali, il più noto dei quali è lo Specchio di croce.
Di altro tenore, ma pur sempre parte del filone agiografico domenicano, sono le biografie femminili di terziarie. Figure come Caterina da Siena o Vanna da Orvieto sono illustrate e proposte a modello da parte di noti membri dell’Ordine quali Raimondo da Capua, agiografo di Caterina, e Tommaso Caffarini, che volgarizza la leggenda di Vanna. Se si guarda alla produzione agiografica dell’altro importante Ordine mendicante il tono risulta ben diverso: la forte personalità del fondatore non lascia spazio ad altri modelli di santità. Numerose sono le biografie di san Francesco d’Assisi, ma la più nota dopo la Legenda maior di san Bonaventura è un volgarizzamento di una precedente opera latina: si tratta dei Fioretti di san Francesco, composti tra il 1370 e il 1390 da un frate minore toscano che scelse di tradurre in volgare una cinquantina di aneddoti – da qui il titolo allusivo appunto al carattere antologico o di florilegio dell’opera – dagli Actus beati Francisci et sociorum eius. L’eredità del Santo va cercata anche nel ramo femminile dell’Ordine, presso personalità quali Umiliana de’ Cerchi e Angela da Foligno, le cui biografie mistiche sono presto volgarizzate.
Con l’affermarsi delle grandi scuole monastiche si impone il cosiddetto sermo modernus o scolastico o tematico, strettamente connesso alla nascita delle università e degli Ordini mendicanti.
Questi sermoni si riconoscono per la struttura “ad albero”: a partire dalla radice, costituita dal versetto tematico tratto dalla Bibbia o dalla liturgia, si sviluppano il “tronco” e i rami del sermone secondo precise divisioni e suddivisioni; scopo è quello di affermare in tutta la sua ampiezza la verità contenuta in una frase o in una sola parola della Rivelazione. I sermoni sono normalmente trasmessi in raccolte ordinate liturgicamente: vi sono raccolte de tempore, relative alle domeniche dell’anno, e raccolte santorali (de sanctis) con sermoni per le feste dei santi. Raccolte specifiche sono il Quaresimale e l’Adventuale, incentrate su periodi specifici dell’anno liturgico. Le grandi raccolte del XIII secolo sono quelle di Jacques de Vitry, Guibert de Tournay e Umberto de Romans, mentre nel secolo successivo dominano i sermonari di Iacopo da Varazze.
La più diffusa ars praedicandi del XIII secolo è il De octo modis dilatandi sermonem, attribuita al canonico inglese Richard di Thetford: essa si contraddistingue per la diversificazione dei metodi di sviluppo del tema a seconda del pubblico e per il legame istituito tra lectio, disputatio e praedicatio, ovvero tra la meditazione della Scrittura, le tecniche di insegnamento diffuse dalla Scolastica e la predicazione. Al XIV secolo appartengono la Forma praedicandi di Roberto di Basevorn – dove sono fornite indicazioni pratiche e sono codificati i metodi della predicazione antica e di quella contemporanea – e il De modo componendi sermones di Thomas Waleys, maestro domenicano di teologia ad Oxford, il quale si sofferma sulla preparazione del predicatore e si interessa anche degli aspetti non verbali della predicazione.
All’inizio del XIII secolo viene riaffermata l’importanza della cura pastorale e della predicazione e gli appartenenti ai nuovi ordini mendicanti sono raccomandati come coadiutori o sostituti dei vescovi, ai quali fino ad allora era sostanzialmente affidato il compito di predicare.
La predicazione medievale è sovraregionale e bilingue, declinandosi normalmente nelle due tipologie del sermone latino per il clero e nella predica volgare per i laici. In entrambi i casi sono adottate le tecniche del sermo modernus o tematico e si riscontra la presenza di frequenti similitudini ed esempi e il ricorso a continue citazioni bibliche. Altro carattere saliente di questo tipo di sermone è la tendenza alla suddivisione. La nuova predicazione degli appartenenti agli ordini mendicanti si configura come una mediazione tra il testo sacro e la cultura volgare, affiancandosi così al contemporaneo impegno di volgarizzamento ed esegesi dei testi sacri. Per il XIII secolo sono rimasti solo sermonari latini.
Oltre all’esortazione pressante alla penitenza e all’uso dei sacramenti, è centrale nella predicazione dei primi Francescani e Domenicani l’invito alla pacificazione sociale. Anche alcuni movimenti di origine laicale di quest’epoca hanno di mira questo obiettivo, come il movimento dell’Alleluia diffusosi nel 1233 a partire da Parma e Bologna, o quello dei Disciplinati che muove da Perugia nel 1260 per giungere sino al Nord Europa. Il tema della pace è centrale anche per i Domenicani del convento di Santa Maria Novella a Firenze, come Remigio de’ Girolami, maestro dello Studio dal 1273/1274 fino alla morte, il quale identifica il bonum commune con l’armonia cittadina, e Giordano da Pisa, che torna più volte sul problema delle divisioni cittadine.
È dell’inizio del Trecento il più ampio corpus dell’antica predicazione volgare italiana: si tratta delle reportationes – ovvero registrazioni stese dagli ascoltatori – di oltre settecento prediche tenute dal frate predicatore Giordano da Pisa tra il 1302 e il 1309 a Firenze e a Pisa.
La predicazione giordaniana presenta sia cicli liturgici – tra i quali spiccano l’avventuale del 1304 e il quaresimale del 1305 –, sia cicli di tipo esegetico o dottrinale, come quelli dedicati al commento dei primi tre libri della Genesi o quello sul Credo. L’interesse di questi testi risiede anche nella lingua utilizzata: si tratta infatti del volgare toscano dell’epoca di Dante. Tanto sul piano lessicale quanto su quello concettuale risulta evidente lo sforzo di Giordano di rendere comprensibile al proprio pubblico, costituito essenzialmente da mercanti, difficili argomenti dottrinali. Per questo si serve di immagini tratte dalla vita quotidiana e dalle attività mercantili.
Più tarda e conservata solo nella forma trattatistica è la predicazione svolta per la quaresima del 1354-1355 dal domenicano fiorentino Iacopo Passavanti: il suo Specchio della vera penitenza ne costituisce un rimaneggiamento e si presenta come un’opera a metà strada tra la predicazione e il manuale di confessione. Questo scritto rimane incompiuto, ma ciò che lo rende maggiormente famoso sono gli exempla che qui assumono un ruolo di primo piano, come sarà anche nell’opera dell’agostiniano senese Filippo degli Agazzari, intitolata appunto gli Assempri, composta verso la fine del Trecento.
Il terzo ordine mendicante sorto nel XIV secolo, ovvero gli Agostiniani, presenta un tipo di predicazione che si distacca da quella degli altri ordini. Essa non mira a sviluppare il thema tratto dalle letture del giorno, ma a commentare tutta la pericope evangelica, riallacciandosi quindi alla tipologia delle omelie patristiche. In questa direzione si collocano opere come il De gestis Domini Salvatoris del beato Simone Fidati da Cascia e il volgarizzamento che ne trarrà il discepolo Giovanni da Salerno, le Esposizioni dei Vangeli. Alcuni membri dell’ordine gravitanti tra Siena e l’eremo del Lecceto hanno uno stretto legame con Caterina da Siena: tra questi è Girolamo da Siena.
Il XIV secolo è un’epoca particolarmente travagliata per la Chiesa che vive dapprima la lunga cattività avignonese (1305-1377) e poi lo scisma d’Occidente (1378-1417): tuttavia proprio il declino dell’autorità papale e la mancata riforma della Chiesa provoca quell’“invasione mistica” specificamente femminile che caratterizza la seconda metà del Trecento ed ha in Caterina da Siena una delle massime rappresentanti.
Di fronte alla messa in discussione della gerarchia ecclesiastica, la mistica e la profezia emergono infatti quali strumenti alternativi di avvicinamento a Dio, senza arrivare agli esiti estremi che si ebbero in Inghilterra o in Boemia con John Wyclif e Jan Huss, predicatori che suscitano movimenti ereticali in quelle zone. L’elemento caratterizzante la spiritualità italiana, e non solo, del XIV secolo è l’emergere dei laici come protagonisti della vita religiosa e dunque non più solo come destinatari ma anche come autori di testi religiosi. In questo senso va letta un’esperienza straordinaria quale quella di Caterina da Siena, che da semplice terziaria domenicana scrive lettere a religiosi e papi e diviene madre spirituale di un gran numero di discepoli. Al modello del suo Epistolario si ispirano le lettere di Giovanni Colombini, fondatore dei Gesuati, e quelle di Giovanni Dominici, domenicano che continua la sua attività di predicatore anche “a distanza”, grazie appunto al mezzo epistolare.
Se si volge lo sguardo al contemporaneo ambiente europeo, è possibile riscontrare la presenza di fenomeni analoghi a quelli presenti nella nostra penisola: il francescano Nicola Bozon compone sermoni versificati in anglonormanno all’inizio del XIV secolo. Analogamente a quanto accade per il Dominici si riscontra un caso di sovrapposizione tra il codice predicatorio e quello epistolare in Enrico Susone (Heinrich Seuse), allievo del grande mistico tedesco, Maestro Eckhart. Susone, attivo nella prima metà del Trecento, svolgeva la sua attività soprattutto presso monasteri femminili: egli era un padre spirituale itinerante che trasformava il proprio messaggio omiletico in forma epistolare quando era impossibilitato a recarsi personalmente a visitare le comunità. Le sue lettere si possono considerare un esempio di “prediche da leggere”, così diffuse oltralpe da costituire un vero e proprio genere, quello delle Lesepredigten. Caratteristico della mistica renana ed in particolare dei due autori citati è il “sermone mistico”, rivolto principalmente a religiose: anche in Italia si trova qualcosa di simile, ma al di fuori dell’ambito specifico della predicazione, come nel Colloquio spirituale del domenicano Simone da Cascina.