Comunicazione sociale
Con la legge n. 106/2016 il Parlamento ha delegato al Governo la potestà normativa di riordino e riforma del Terzo Settore, con conseguenze sulla comunicazione sociale. Il contributo che segue offre una prima sistematizzazione alla categoria della comunicazione sociale all’interno delle moderne sfere pubbliche mediatizzate, evidenza le maggiori novità contenute nella legge delega, ed offre spunti critico-ricostruttivi sulle potenzialità e sui pericoli che la comunicazione sociale incontra negli ambienti polarizzati e frammentati costituiti dalle reti sociali digitali.
Il mondo della comunicazione è stato attraversato da profondi cambiamenti, in parte derivanti dalla crescente diffusione di nuove tecnologie, in parte da fenomeni politici che attraversano le società contemporanee, in parte da interventi legislativi e giurisdizionali. All’interno dell’ormai pervasivo paradigma della comunicazione, si è consolidata una classificazione che distingue, all’interno della comunicazione pubblica, tra comunicazione politica, istituzionale e sociale. Quest’ultima viene identificata come «la comunicazione che promuove nuovi diritti e pratiche sociali per l’affermazione di una società più giusta e solidale. … Essa si occupa dell’emergere e del consolidarsi, dei diritti di categorie sociali nuove o comunque svantaggiate, e delle pratiche di solidarietà necessarie per garantirne il riconoscimento, l’affermazione e la piena realizzazione. Essa si adopera per l’attivazione di nuove sensibilità e nuovi legami intorno a soggetti, e in contesti, quasi sempre delicati e difficili, caratterizzati dalla sofferenza e dal disagio»1. Per comunicazione sociale intendiamo dunque tutti i flussi, le pratiche discorsive e le azioni comunicative poste in atto nella sfera pubblica (oramai strutturata dalle tecnologie informatiche, dalle reti sociali, e dall’ambiente 2.0) e nella società civile per ottenere il riconoscimento di diritti. Mentre la comunicazione politica si orienta verso il bonding, la creazione di un senso di appartenenza tra soggetti che si riconoscono in valori omogenei e condivisi, la comunicazione sociale punta alla costituzione di un capitale sociale diversificato attraverso il bridging, la edificazione di ponti culturali che permettano il dispiegamento di processi di partecipazione sociale e di legami che si ispirano al principio della solidarietà allargata. La comunicazione sociale è dunque espressione di pratiche comunicative di quelle formazioni sociali cui la Costituzione italiana riconosce un valore fondamentale per lo svolgimento della persona umana e la tutela dei suoi diritti fondamentali (art. 2). Tradizionalmente collocata nell’ambito dei corpi intermedi, quelle formazioni operanti tra l’individuo e lo Stato, la comunicazione sociale viene identificata tanto per il suo oggetto, le relazioni sociali che intercorrono nella sfera pubblica e che aspirano ad intrecciare tessuti solidali, quanto per il modo, ispirato alla promozione di pratiche che accrescono la coesione e il benessere della collettività. La comunicazione sociale svolge un ruolo importante riguardo i temi che vengono coinvolti, quali la ridefinizione di ruoli e pratiche sociali; basti pensare alla ridefinizione di categorie della sessualità (LGBT, lesbian, gay, bisexual, transgender, e poi queer, intersexual, asexual, ally), che accompagnano trasformazioni di pratiche e valutazioni sociali, o della disabilità (i diversamente abili). Dal punto di vista dei contenuti si tratta di trasformazioni sociali che il diritto si limita ad accompagnare, incoraggiare, talvolta ostacolare. Più importante giuridicamente è la prospettiva che mette in risalto il lato soggettivo della comunicazione sociale e che ne identifica i portatori di interessi (che il provincialismo economicista chiama stakeholders): tutte quelle organizzazioni non governative, non profit che costituiscono la galassia del cd. Terzo Settore. Si tratta di un mondo costituito da organizzazioni di natura privata ma vocate al perseguimento di interessi comuni. Le loro caratteristiche salienti sono la commistione pubblico-privato della loro natura, i principi di partecipazione e democrazia cui si ispirano le loro azioni, nonché la natura dell’intervento realizzato, che si incentra su attività e servizi di utilità sociale, la cui realizzazione si configura come un beneficio per la collettività.
Il legislatore è intervenuto con una legge delega in cui ha conferito al Governo il potere di emanare una normativa di riforma del Terzo Settore. Di particolare interesse la definizione offerta dal legislatore all’art.1, la prima nella storia legislativa italiana: «per Terzo settore si intende il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi. Non fanno parte del Terzo settore le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche. Alle fondazioni bancarie, in quanto enti che concorrono al perseguimento delle finalità della presente legge, non si applicano le disposizioni contenute in essa e nei relativi decreti attuativi». L’art. 2 si preoccupa di specificare i principi e criteri direttivi generali cui il Governo si dovrà attenere: «a) riconoscere, favorire e garantire il più ampio esercizio del diritto di associazione e il valore delle formazioni sociali liberamente costituite, ove si svolge la personalità dei singoli, quale strumento di promozione e di attuazione dei principi di partecipazione democratica, pluralismo, ai sensi degli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione; b) riconoscere e favorire l’iniziativa economica privata il cui svolgimento, secondo le finalità e nei limiti di cui alla presente legge, può concorrere ad elevare i livelli di tutela dei diritti civili e sociali; c) assicurare, nel rispetto delle norme vigenti, l’autonomia statutaria degli enti, al fine di consentire il pieno conseguimento delle loro finalità e la tutela degli interessi coinvolti; d) semplificare la normativa vigente, garantendone la coerenza giuridica, logica e sistematica».
La legge servirà a definire la nuova identità del Terzo Settore, specificando i suoi confini ed inquadrando il ruolo e la funzione dei cittadini che scelgono di contribuire al raggiungimento di beni comuni. Recenti rilevazioni statistiche ISTAT restituiscono un mosaico di oltre 300 mila organizzazioni non profit, con 6,63 milioni di volontari, capaci di generare un valore annuo di entrate di circa 63 miliardi di euro. Tra le principali novità della legge ci sono l’istituzione del servizio civile universale (cioè aperto a tutti, italiani, cittadini comunitari e stranieri regolarmente soggiornanti), la possibilità di ripartire gli utili per le imprese sociali, il registro unico del Terzo Settore e la funzione di vigilanza affidata al Ministero del lavoro. Molto importante anche la definizione offerta dell’impresa sociale come di un’«organizzazione privata che svolge attività di interesse generale e destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale». Tra i settori di attività in cui può essere svolta attività di impresa la legge prevede i settori del commercio equo e solidale, i servizi per il lavoro finalizzati all’inserimento di lavori svantaggiati, dell’alloggio sociale, del microcredito e dell’agricoltura sociale. Altre novità riguardano forme di remunerazione del capitale per le cooperative a mutualità prevalente, accesso a forme di raccolta di capitali di rischio tramite portali telematici e misure agevolative per favorire investimenti di capitale. Ovviamente solo l’emanazione dei decreti legislativi delegati potrà dare l’avvio alla effettiva riforma del Terzo Settore, tuttavia l’adozione della legge delega è sintomatica dell’attenzione rivolta a questa fondamentale attività della società civile. In particolare la comunicazione sociale potrà risultare trasfigurata dall’intersezione degli interventi normativi e dalle novità tecnologiche che continuano a prodursi ed a influenzare la sfera pubblica, oramai quasi interamente mediatizzata e attraversata da reti sociali e comunità virtuali.
La rivoluzione digitale ha prodotto una convergenza dei media ed una diffusione a livello planetario dell’uso di telefoni cellulari collegabili a reti informatiche e sociali. Il continuum che si è prodotto tra vita reale e vita virtuale ha già prodotto significativi, benché diversificati, effetti sui processi politici. La comunicazione sociale è stata investita da queste trasformazioni, sia come processi di risposta a chiusure autoritarie da parte di poteri politici ostili all’associazionismo di ogni tipo, incluso quello virtuale, sia come dinamiche di partecipazione attiva di utenti e cittadini su questioni sia territoriali, sia globali, come il clima o l’acqua. Le fratture in cui si inserisce la comunicazione sociale sono di vario tipo: innanzitutto il digital divide per se, tra le persone che ancora non hanno accesso alla rete, ai suoi servizi e alle sue opportunità, e chi invece ne fa un uso sempre più intensivo; poi le fratture generazionali e socioculturali che limitano la fruizione delle possibilità emancipatorie offerte da un uso sapiente dei nuovi media. Per la comunicazione sociale è divenuta centrale la figura del produser, vale a dire della capacità di ognuno di produrre contenuti multimediali fruibili attraverso i nuovi media, essendo al contempo produttori e consumatori – nell’ambito del mercato – o utilizzatori di servizi pubblici e cittadini attivi – nell’ambito della società civile e sfera pubblica mediatizzata. Oscillando tra adesione entusiastica alle possibilità emancipatorie delle reti sociali e previsioni apocalittiche sulla pervasività delle nuove forme di controllo ed alienazioni rese possibili dai nuovi ambienti digitali, le dinamiche più recenti segnalano opportunità e rischi per la comunicazione sociale 2.0. La possibilità di realizzare piattaforme di condivisione e la facilità di stabilire reti associative per la lotta su singole issues si accompagna ad una scarsa attenzione ai contenuti dei messaggi che vengono veicolati. In particolare la crescente capacità degli individui di filtrare i contenuti dei messaggi ai quali si viene esposti, nonché la possibilità per i fornitori di servizi di offrire prodotti basati sulla loro conoscenza delle preferenze dei consumatori, stanno producendo una frammentazione dell’opinione pubblica in tante ecocamere omogenee costituite da persone che condividono opinioni e orientamenti, e che rafforzano le proprie convinzioni condividendole con chi è già della stessa opinione. La radicalizzazione, su cui fanno leva legittime forze politiche democratiche, ma anche organizzazioni terroristiche, costituisce il maggiore pericolo della comunicazione sociale contemporanea. La diffusione di comunità di odio, la demonizzazione del pensiero differente, la facilità di diffusione di notizie false, le cd. cybercascate2 (re-tweets e re-posts capaci di diffondere il falso e il diffamatorio) sono problemi cui la comunicazione sociale dovrà dare risposta. In particolare l’illusione di un rapporto diretto tra il proprio terminale di accesso alla rete ed i processi politici collettivi ha generato un’identificazione tra gli ideali della democrazia diretta e le pratiche populistiche di corrosione delle istituzioni rappresentative. È bene ricordare che l’ideale repubblicano si alimenta di istituzioni intermedie capaci di generare comunicazioni sociali tra gruppi, orientamenti, interessi e valori plurali e diversificati. La costituzione di gruppi sociali virtuali in cui non vi è un pluralismo interno sta già conducendo a fenomeni di emarginazione, radicalizzazione, incitamento alla violenza, sino a giungere al reclutamento in organizzazioni terroristiche. Il compito principale della comunicazione sociale diventa dunque la depolarizzazione e la deradicalizzazione della sfera pubblica digitalizzata, se si intende restare in un ambiente repubblicano e non precipitare in un incubo postmoderno dove alla diffusione di sofisticatissimi strumenti digitali corrisponde una regressione dei contenuti politici e culturali veicolati. Se la maggior parte dei cittadini riceve le informazioni più da Facebook che dai media tradizionali quali radio, stampa o tv, allora la comunicazione sociale assume una rilevanza politica evidente. Soprattutto in contesti suburbani, le possibilità di incontro e scontro tra visioni diverse, – essenza della sfera pubblica pluralistica che sostiene il tessuto democratico-repubblicano – vengono fortemente ridotte da uno stile di vita digitale che rafforza opinioni regressive, di vittimizzazione, cospirazione, tendenze antiscientifiche, campagne di odio e radicalizzazioni politiche.
Le città hanno sempre funzionato come luoghi che rendono possibile l’incontro con l’inatteso, con il diverso, con la pluralità, mentre i media sociali si stanno sempre più evolvendo come servizi resi sempre più omogenei nei contenuti, auto e eterofiltrati. C’è il rischio che la discussione tra persone della stessa opinione produca eccessiva sicurezza nelle proprie credenze, estremismo, disprezzo per gli altri, sino alla violenza. I grandi problemi per il diritto contemporaneo sono costituiti da una parte dalla sostituzione della figura del cittadino con quella del consumatore, indotti dall’egemonia culturale delle imprese private che sono state capaci di conquistare gli oligopoli degli ambienti digitali, e dall’altra parte dalla natura globale e transnazionale delle imprese che detengono il controllo di settori strategici, che resistono ai tentativi di regolazione da parte di poteri locali. Per quanto riguarda il primo profilo basta ricordare che nel 1996 i domini .edu dominavano la rete e tra i 15 siti più frequentati non ve ne era uno di tipo .com. Nel 2016 nessun sito .edu è comparso tra i 10 siti più visitati, mentre si sono contati quasi 125 milioni di siti .com3. Per quanto concerne il secondo profilo è stato notato come nella storia del terrorismo internet è probabilmente la più importante innovazione tecnologica dal tempo della dinamite, ed è tremendamente difficile contrastarne le potenzialità distruttive. Infine, per quanto riguarda i potenziali sviluppi positivi, notiamo come molte organizzazioni del Terzo Settore hanno irrobustito le loro strategie di intervento, sviluppando una continuità di azione tra ambiente reale e virtuale, tra l’online e l’offline. Pur rimanendo spesso allo stadio di siti vetrina, si notano tendenze favorevoli alla partecipazione in reti sociali nelle strategie comunicative di molte organizzazioni non profit.
1 Peruzzi, G.Volterrani, A., La comunicazione sociale, Bari, 2016, p.9.
2 Sunstein, C.R., #Republic, Divided democracy in the age of social media, Princeton & Oxford, 2017, p.98.
3 Verisign, The Domain Name Industry Brief 13, no.1 (2016), http://verisign.com/assets/domainnamereportapril2016.pdf.