Comunicazione
Derivato dal latino communis, "comune a molti o a tutti", il termine comunicazione indica in generale l'attività del comunicare: esso si applica a ogni processo consistente nello scambio di messaggi o di informazioni, attraverso un canale e secondo un codice, tra un sistema (animale, uomo, macchina) e un altro della stessa natura o di natura diversa. Alla base delle differenti forme di comunicazione è la grande varietà dei codici e dei canali attraverso i quali essa si realizza. La comunicazione umana avviene in gran parte attraverso il linguaggio, una modalità fortemente influenzata dai diversi contesti culturali, ma fa anche ricorso ad altre forme di comunicazione non verbale.
1.
Nella sua accezione più usuale, la comunicazione si svolge essenzialmente attraverso lo scambio di messaggi linguistici tra persone. Benché il processo di comunicazione sia frequentissimo (ciascun essere umano passa una grande parte del suo tempo a comunicare con altri), esso è regolato da meccanismi molto delicati e complessi, che costituiscono l'oggetto di una varietà di discipline: la linguistica, la psicologia del linguaggio, la pragmatica, l'intelligenza artificiale, le scienze cognitive ecc. Per illustrare i principali aspetti della comunicazione dal punto di vista linguistico, occorre preliminarmente richiamare i caratteri dei codici linguistici. In generale, un codice linguistico è costituito da due piani, collegati tra di loro in modo arbitrario: quello del contenuto (o del significato, delle 'cose da dire'), e quello dell'espressione (costituito da materiale che può essere percepito con i sensi). La funzione dell'espressione è quella di manifestare il contenuto, cioè di renderlo trasmissibile ad altri. Privato dell'espressione, il contenuto non può essere comunicato, per via della sua natura esclusivamente mentale e interna; per manifestarsi, esso ha bisogno di collegarsi in modo regolato a un'espressione, cioè a un insieme di fenomeni fisici che possano essere percepiti dai sensi. Nel campo linguistico, l'espressione è tipicamente e primariamente fonico-acustica, cioè costituita dai suoni che l'apparato fonatorio umano è in grado di produrre e l'orecchio di percepire; secondariamente, essa può essere costituita anche dalle tracce grafiche che vengono lasciate su un supporto nel momento della scrittura. Si ha, dunque, comunicazione quando l'emittente riesce a trasmettere al ricevente una soddisfacente quota del contenuto che ha in mente, servendosi dell'espressione propria della sua lingua. La comunicazione ha suscitato in tutti i tempi grande considerazione: dapprima presso i filosofi e i teologi, più avanti presso i linguisti e gli psicologi; e oggi costituisce senza dubbio uno dei temi più importanti della ricerca avanzata in molti campi (dalle scienze umane a quelle naturali e tecnologiche). La ragione di questa incessante attenzione sta, innanzitutto, nel fatto sorprendente che essa si basa sull'associazione di due ordini di oggetti che, propriamente, non hanno nulla in comune: tra l'espressione e il contenuto di un codice non esiste nessuna somiglianza, nessuna affinità, e nondimeno essi si richiamano l'uno con l'altro secondo meccanismi al tempo stesso di straordinaria complessità ed efficienza. In secondo luogo, la comunicazione verbale umana, sottoposta a studio approfondito, rivela di non essere affatto naturale come sembrerebbe a prima vista: per la complicatissima serie di meccanismi assai sottili su cui si basa, essa è stata addirittura adottata come modello per costruire l'architettura di sistemi di comunicazione artificiale (tra uomo e macchine, o tra macchina e macchina).
2.
La comunicazione non è un fenomeno esclusivo della specie umana, ma una prerogativa di tutto il regno animale. Come hanno mostrato gli studi sull'etologia della comunicazione, tutte le specie animali hanno mezzi per scambiarsi messaggi e, quindi, dispongono di codici in senso proprio. L'uomo, pur non detenendo il primato comunicativo, si distingue, tuttavia, per la ricchezza delle risorse che ha a disposizione. A proposito delle varietà di possibilità comunicative (messe in luce, in parte, attraverso il confronto con quelle degli animali) che rendono unica la specie umana, si possono evidenziare diversi aspetti.
a) Mentre la comunicazione animale usa, per ogni specie, una sola, o comunque un numero molto limitato di espressioni, quella umana può disporre di una molteplicità di espressioni: la voce, la scrittura, il gesto, il portamento del corpo, l'abbigliamento ecc. Ciascuna espressione ha una sua specificità dal punto di vista del contenuto, perché serve a veicolare significati diversi. Tra queste, sicuramente preminente è la voce, che a sua volta consente una vasta gamma di manifestazioni, in quanto può essere usata con una illimitata possibilità di variazioni, ognuna delle quali portatrice di un suo proprio contenuto comunicativo. Peraltro, il comportamento vocale umano è normalmente usato insieme a quello mimico-gestuale, che gli offre un essenziale supporto e un ulteriore strumento di articolazione (v. gestualità).
b) La comunicazione animale può parlare soltanto di una limitata gamma di oggetti, per lo più attinenti alla ricerca del cibo (fig. 1), alla segnalazione dei predatori (fig. 2), alla fuga, al corteggiamento (fig. 3) e all'accoppiamento sessuale ecc.; al contrario, quella umana (specialmente nella forma fonico-acustica) è adatta a parlare di tutto (ha, come si dice tecnicamente, onnipotenza semantica).
c) La comunicazione animale non permette combinazioni lunghe di segni: i messaggi sono normalmente brevi, e non è possibile, in essi, spostare le parti componenti in modo da ottenere nuovi messaggi, come invece può fare la comunicazione linguistica umana: questa è, in altri termini, munita di sintassi. Tale caratteristica fondamentale è resa possibile dal fatto che i codici umani sono articolati, cioè scomponibili in parti minori, le quali possono essere collegate le une con le altre per formare elementi maggiori (per es., le parole si collegano in frasi, le frasi in periodi e così via). Queste possibilità sono esaltate dal più importante dei canali di cui l'uomo si serve, la voce (e il suo corrispettivo grafico, la scrittura), che permette la produzione e l'interpretazione di messaggi anche di grande complessità strutturale e assolutamente nuovi.
3.
Esaminando ora soltanto l'espressione fonico-acustica umana (quella che più tipicamente consideriamo linguistica), sono necessarie alcune condizioni perché si abbia comunicazione: l'emittente opera una codifica, cioè traspone il contenuto che ha in mente nell'espressione appropriata; all'inverso, il ricevente, percependo il messaggio, opera una decodifica, procedendo dall'espressione verso il contenuto, in quanto cerca di assegnare a questa lo stesso contenuto voluto dall'emittente, secondo lo schema seguente:
emittente contenuto
espressione espressione
contenuto ricevente.
Pertanto, nell'atto della comunicazione intervengono alcuni componenti obbligatori, che sono stati studiati da R. Jakobson: a) un emittente, b) un ricevente, c) un codice condiviso dall'uno e dall'altro (una lingua), d) un messaggio formato dalla concreta messa in uso del codice, e) un canale attraverso cui il messaggio possa viaggiare (nel caso dell'espressione fonico-acustica, esso è offerto tipicamente dall'aria messa in vibrazione nel momento della fonazione). Infine, siccome la comunicazione è fatta per parlare di qualcosa (o, come si dice tecnicamente, per predicare a proposito di qualcosa), è necessario che emittente e ricevente si appellino a f) un contesto, cioè un insieme di referenti, oggetti, situazioni, esperienze ecc., sui quali la comunicazione possa vertere. Nel processo di comunicazione, emittente e ricevente si spostano di continuo tra due livelli linguistici, quello fisico e quello funzionale. La frase "Prendi il libro!", pronunciata da un romano, verrà emessa con una specifica pronuncia, con una voce particolare, cioè con alcuni tratti fisici completamente diversi da quelli della pronuncia, poniamo, di un barese o di un milanese. Analogamente, sul piano del significato, quando una persona dice quella frase farà riferimento, in maniera più o meno consapevole, a una varietà di esperienze personali: può darsi che al destinatario di quella frase il libro in questione non sia simpatico, oppure che sia un oggetto pesante che l'emittente non vuol prendere personalmente ecc. Insomma, anche da questo punto di vista, ogni enunciato porta con sé un'infinita varietà di sfumature particolari, non riproducibili in nessun'altra enunciazione. Queste considerazioni servono a dimostrare che ogni enunciato è un'entità irripetibile e unica. Ma, se le cose si fermassero a questo livello, bisognerebbe concludere che la comunicazione è impossibile: la pronuncia dell'emittente essendo diversa da quella del ricevente, e il suo significato essendo unico, non si vede come i due potrebbero comunicare. In realtà, i processi linguistici non operano soltanto sul piano della fisicità, ma su quello funzionale. Nella comunicazione, ciascuno di noi tende a scartare le proprietà individuali dei messaggi e a identificare più propriamente gli aspetti di essi che svolgono una funzione specifica. Per questa ragione, chiunque dica la frase "Prendi il libro!", con qualunque pronuncia e con qualunque implicazione di significato ecc., convoglierà un significato specifico e unico. In linguistica si dice 'competenza' il sistema di entità astratte alle quali si fa ricorso nell'uso di una lingua e si dice 'esecuzione' il modo specifico e individuale in cui la lingua viene messa in atto. Pertanto, nella comunicazione, ciascun partecipante produce delle esecuzioni individuali, basate su una competenza (astratta) che è comune a tutti i componenti della comunità linguistica.
4.
Perché la comunicazione abbia successo è necessario rispettare alcune condizioni: a) che la codifica e la decodifica seguano le stesse regole; b) che il codice adoperato dall'emittente sia uguale a quello del ricevente. A dispetto della loro apparente ovvietà, queste condizioni sono estremamente raffinate e i codici linguistici sono ricchi di sottili dispositivi che servono a favorire lo sviluppo della comunicazione. Il primo fatto da mettere in evidenza è che i messaggi linguistici (gli enunciati), per via del carattere articolato dei codici, sono segmentabili, cioè scomponibili in parti minori, in corrispondenza di ciascuna delle quali possono essere ravvisati dei confini. Se abbiamo l'enunciato "Prendo l'automobile di Luigi", possiamo dividere quest'enunciato in sintagmi, cioè in gruppi di parole sintatticamente compatti, come mostra la rappresentazione ad albero, dove ogni sintagma è composto dalle parole che stanno sotto a uno stesso nodo dell'albero. Alla fine di ciascun sintagma corrisponde un confine (nello schema indicato con Δ), cioè una posizione vuota nella quale possono essere compiute diverse operazioni, come inserire altre parole o sintagmi, stabilire una pausa ecc., tutte necessarie al ricevente come guida per l'interpretazione dell'enunciato. In alcune posizioni, può essere posto anche più di un confine, in quanto lì hanno termine più sintagmi dello stesso livello (ciò accade, nel nostro esempio, tra 'prendo', sintagma verbale, e 'l'automobile di Luigi', sintagma nominale). Ciò significa che gli enunciati non sono costituiti da ammassi casuali di materiale qualunque, ma hanno una struttura e sono discreti, cioè composti da elementi organizzati gerarchicamente, separabili l'uno dall'altro e manipolabili separatamente. L'organizzazione gerarchica degli enunciati serve a far sì che emittente e ricevente possano sincronizzarsi tra loro, cioè procedere con gli stessi ritmi, perché trovano, nel messaggio che si scambiano, istruzioni che gli permettono di stabilire confini nelle stesse posizioni. La presenza di confini nell'enunciato è di enorme importanza nell'assicurarne l'efficienza: perfino le telecomunicazioni (nella cosiddetta commutazione a pacchetto) si avvalgono di sistemi per segnalare i confini tra una parte del messaggio e l'altra, oppure tra diversi messaggi. Quando il ricevente legge il confine (un segnale di inizio o di fine di parte di messaggio o di messaggio intero), può procedere all'interpretazione di quanto ha ricevuto, oppure alla ricezione della porzione seguente.
Un altro meccanismo linguistico tendente a favorire la comunicazione è la ridondanza, il fatto che una determinata informazione viene ripetuta più volte nel messaggio, anche se teoricamente ciò sarebbe superfluo. I fenomeni di ridondanza sono numerosissimi, e si presentano anche in enunciati molto semplici. Se prendiamo un enunciato come "La bella ragazza è pronta", verifichiamo che alcune informazioni sono ridondanti: l'informazione 'femminile singolare' è ripetuta quattro volte (la, bella, ragazza, pronta), mentre l'informazione 'singolare' da sola è espressa anche nel verbo (è). La ragione di questo fatto, che di per sé è antieconomico, sta proprio nell'offrire al ricevente istruzioni che gli permettano di stabilire quale parola 'sta con' altre parole, e di attribuire a quel che riceve una struttura, e anche di far sì che, se qualche porzione del messaggio è stata deteriorata o è andata perduta, il messaggio intero possa essere ricostruito ugualmente. La ridondanza è perciò un'essenziale risorsa di sicurezza nella comunicazione.
È, dunque, possibile dire che i codici linguistici sono muniti di istruzioni che permettono all'emittente e al ricevente di riconoscere la struttura del messaggio, di sapere pressoché in ogni momento 'dove si trovano' nell'enunciato e di risalire con buona approssimazione all'interpretazione appropriata. La decodifica non è però assicurata solamente da meccanismi interni al codice. Siccome i codici operano a ridosso del contesto dei referenti (le cose di cui si parla), molta parte dell'interpretazione dei messaggi ha luogo proprio grazie al ricorso al contesto. In quest'ambito va menzionato il capitale fenomeno della deissi (dal greco δείκνυμι, "mostrare"), per il quale qualunque messaggio può rinviare o a un'altra parte del messaggio stesso oppure a oggetti del mondo esterno. Nell'enunciato "Dammi quello", per es., quello è un'istruzione che indica che, per interpretare l'enunciato, bisogna rifarsi a qualcosa di esterno a esso, a qualcosa che viene indicato deitticamente.
La deissi è continuamente adoperata nella comunicazione e ha un ruolo essenziale: permette all'emittente di controllare con grande flessibilità il contesto in cui opera e dà al ricevente continue istruzioni per orientare il proprio 'puntatore', cioè per sapere di che cosa il messaggio sta parlando in un determinato momento. Un altro dei modi in cui il contesto opera sulla codifica e la decodifica è il meccanismo dei frames, identificato e descritto da M. Minsky (1985) nel campo dell'intelligenza artificiale. Con questo termine (che significa propriamente cornici, inquadrature) si indicano gli schemi, le sequenze di azioni che ciascuno di noi immagazzina nella memoria come sintesi di una somma di precedenti situazioni somiglianti. Per es. nel frame che possiamo chiamare 'telefonata' ciascuno ha immagazzinato le informazioni riguardanti il modo in cui una telefonata si svolge: si apre con una domanda rituale, "Pronto?", e prosegue secondo una serie di passi pressoché obbligati, "Sono X.Y. C'è/posso parlare con W.Z.?". Il frame pilota la decodifica, nel senso che, in qualunque momento, il ricevente può prevedere il passo seguente, perché ne conosce la natura in anticipo. La nostra mente contiene presumibilmente una biblioteca (cioè una raccolta mentale) di frames, ciascuno relativo a uno specifico tipo di situazione, e nel costruire i suoi messaggi o nell'interpretarli può aiutarsi attivando questo o quel frame. Ciò mostra anche che c'è uno strettissimo, inestricabile collegamento tra la comunicazione e la conoscenza: la comunicazione tra due persone è impossibile se esse non hanno almeno, oltreché una lingua in comune, anche un capitale di conoscenze condiviso. La disponibilità di frames ha una straordinaria funzione: permette all'emittente di dire molte cose con poche parole (se stiamo per pagare un bene, e il commesso ci dice "duemila e cinque", sappiamo che questa cifra si riferisce specificamente al denaro che dobbiamo dargli, anche se la parola 'lire' non è adoperata); e, dall'altro lato, permette al ricevente di vedere nel messaggio anche cose che non sono state effettivamente dette. In tal modo la codifica e la decodifica si appoggiano fortemente al contesto, non soltanto perché lo evocano continuamente, ma più ancora perché lo menzionano in modo abbreviato, attraverso cenni indiretti e parziali, ma nondimeno perfettamente chiari. Ciò bilancia la ridondanza di cui i codici si servono, e permette a essi di essere, con una sorta di apparente paradosso, nello stesso tempo ridondanti ed ellittici.
5.
La comunicazione verbale umana è governata da una complessa varietà di regole, di carattere sia strettamente linguistico (come quelle che abbiamo considerato sopra), sia pragmatico. Questo termine proviene da un recente approccio allo studio del linguaggio (la pragmatica, o pragmalinguistica), che indaga le azioni sociali svolte dall'emittente sul ricevente mediante la comunicazione e gli effetti prodotti da quelle azioni. Secondo questo orientamento, la comunicazione (specialmente quando si presenta sotto forma di conversazione, cioè di scambio orale diretto tra un emittente e un ricevente) è regolata da una serie di 'massime' - descritte dal filosofo H.P. Grice (1989) - che ciascuno segue più o meno inconsapevolmente, e che gli servono ad assicurarsi la cooperazione del suo interlocutore, senza la quale la comunicazione stessa non può aver luogo. Secondo Grice, queste massime sono di quattro tipi: a) di qualità: cercare di fornire un contributo (verbale) vero, e in particolare 1) non dire cose che si credono false, 2) non dire cose per le quali non si hanno prove adeguate; b) di quantità: 1) dare un contributo verbale che soddisfi la richiesta di informazioni ricevuta, 2) non dare un contributo più informativo del necessario; c) di relazione: dare un contributo pertinente;d) di modo: 1) evitare l'oscurità, 2) rifuggire dall'ambiguità, 3) essere brevi, 4) procedere in modo ordinato.In pratica, queste massime precisano che cosa emittente e ricevente devono fare per comunicare nel modo più efficiente, razionale e cooperativo possibile. Chi le viola mostra di non essere cooperativo nei confronti del suo interlocutore, e di fatto impedisce, disturba o distorce la comunicazione. La violazione produce una varietà di effetti e fenomeni tipici della comunicazione, tanto nel campo delle produzioni normali quanto in quello delle produzioni deviate: alcune patologie della comunicazione, il comico, l'assurdo ecc., sfruttati a volte intenzionalmente dalla letteratura. Se immaginassimo uno scambio comunicativo in cui tutte queste massime venissero simultaneamente violate, ci troveremmo dinanzi un testo di insuperabile difficoltà, presumibilmente impossibile a gestirsi, e per di più insopportabile a interpretarsi. Ciò vuol dire che la comunicazione corrente è regolata, arginata e per così dire filtrata dal rispetto tacito (anche se non necessariamente completo) di queste massime. Difficile è dire quale sia la fonte delle massime della conversazione o, in altri termini, dove risieda il complesso meccanismo di regolazione pragmatica della comunicazione. L'ipotesi più probabile è che esse siano il risultato di un complesso adattamento sociale degli uomini, che si sono gradualmente resi conto che soltanto attraverso una comunicazione regolata in qualche modo anche dal punto di vista pragmatico, è possibile raggiungere accettabili risultati di efficienza, rapidità e chiarezza.
6.
Le condizioni descritte fino a questo momento si riferiscono a una situazione di comunicazione virtualmente ideale, in cui tutti gli elementi del sistema comunicativo illustrato all'inizio funzionino perfettamente e l'obiettivo comune a emittente e ricevente sia quello di cooperare in modo armonico. In effetti, la rappresentazione data finora costituisce un modello teorico ideale piuttosto che una descrizione effettiva del modo in cui si svolge la comunicazione verbale umana. Questa è infatti esposta a una varietà di rischi, disturbi e pericoli, che ne condizionano e ne insidiano di continuo la funzionalità. Alcuni di questi fenomeni sono di natura patologica (legati cioè a condizioni morbose o anomale degli emittenti e dei riceventi). Altri, invece, risalgono piuttosto a impieghi non convenzionali del codice, e possono rivelare, se appropriatamente studiati, alcuni caratteri interessanti del meccanismo stesso della comunicazione.
Il più singolare di questi fenomeni è sicuramente costituito dall'uso comunicativo di comportamenti apparentemente 'non comunicativi', come il silenzio. Conservare il silenzio può, in determinate situazioni, costituire un convogliamento di significato, anche se un silenzio continuo difficilmente avrà lo stesso effetto. Nell'arte scenica, in particolare, la gestione del silenzio è una componente essenziale del ritmo della rappresentazione. Analogamente, in psicoterapia, l'osservazione del silenzio può essere una componente importante dello studio di una personalità. D'altro canto, non sempre la comunicazione si svolge tra persone che sono 'pari' tra loro o che intendono veramente 'cooperare' al fine di raggiungere rapidamente risultati soddisfacenti. La ricerca psicologica ha mostrato da tempo che la comunicazione è un terreno di tensioni costanti, in cui si giocano delicate partite per l'affermazione dell'Io proprio, oppure per la riduzione di quello dell'altro, per ragioni di tipo sia strettamente psicodinamico sia sociale. Per es. si può voler stabilire sull'altro un controllo di tipo psicologico o di natura sociale, in termini cioè di potere o di persuasione. Tutte le relazioni sociali tra le persone e i gruppi sono caratterizzate da una delicatissima percezione dell'appropriatezza degli enunciati che si stanno usando. Per fare un esempio macroscopico, un negoziato (una trattativa commerciale, diplomatica ecc.) può riuscire o fallire non per la sostanza delle proposte che vengono discusse, ma per il modo in cui è costruito e gestito il discorso che viene scambiato.
Nulla più della comunicazione verbale permette lo sviluppo di giochi di questo genere; ed è inutile riportare esempi, perché qualunque momento della comunicazione quotidiana illustra queste affermazioni in abbondanza. In generale, quando si entra nel terreno dello sfruttamento della comunicazione a fini di relazione, si abbandona la dimensione propria della linguistica o della teoria della comunicazione e si entra in quella della psicoanalisi, della psicologia relazionale o sociale; di conseguenza cambiano anche gli strumenti di descrizione dei fenomeni. Basterà dire, in questo contesto, che nello sfruttamento della comunicazione a fini di relazione quel che conta non è tanto la forma linguistica degli enunciati quanto la strategia discorsiva che si adopera, ovvero il modo in cui il discorso è costruito e, insieme, lo scopo (normalmente non dichiarato) a cui ciascuna delle sue componenti tende. Sotto questo profilo, ogni enunciato mira a degli scopi, siano essi dichiarati oppure no: la complessità della comunicazione consiste nel fatto che il ricevente, oltreché interpretare letteralmente gli enunciati che riceve, deve anche identificarne gli scopi, sia per rispondere adeguatamente, sia per organizzare (se necessario) delle difese.
Secondo alcuni teorici, tutti gli atti di comunicazione sono gravidi di scopi, in parte dichiarati e in parte maggiore impliciti, che si collegano tra di loro a formare un complesso reticolo, in cui uno è il 'sovrascopo', altri sono invece secondari. Di questi scopi, alcuni sono interni al messaggio (e si esauriscono nel momento in cui una certa cosa è stata detta), altri invece sono esterni, e vengono raggiunti soltanto nel momento in cui il ricevente ha fatto quel che gli abbiamo chiesto di fare, o ha accettato una nostra presa di posizione. In taluni casi, l'accumularsi in un enunciato di una varietà di scopi che il ricevente non è in grado di analizzare, o da cui non riesce a difendersi, può costituire un serio ostacolo alla comunicazione. Per questo, numerosi sintomi psichiatrici vengono fatti risalire alla difficoltà di stabilire tra due persone un circuito di comunicazione sufficientemente franco ed efficiente, e si manifestano proprio sotto forma o di rifiuto della comunicazione in toto, oppure di incapacità di gestirne taluni aspetti.
1.
Il corpo è il primo e più immediato strumento di comunicazione: la sua sola presenza è la fonte più semplice e diretta di messaggi dotati di senso e ricchi di sfumature. L'imponenza aggressiva di un portamento adulto o la minutezza innocente di una posa infantile, uno sguardo degli occhi o un movimento delle mani producono, ancor prima delle parole e di ogni costruzione linguistica, un insieme di segnali in grado di suscitare emozioni che costituiscono il presupposto delle relazioni sociali e umane.
Sviluppo filogenetico e sviluppo ontogenetico in questo caso concorrono: i nostri antenati hanno verosimilmente fatto ricorso a un repertorio innato non verbale per dare forma e significato al bisogno di espressione e di interazione con gli altri membri del gruppo, così come gli infanti trasmettono alle figure di riferimento la gioia rasserenante della loro soddisfazione con una posizione distesa, o l'angoscia inquietante del loro isolamento con un pianto dirotto.
Eppure proprio per la loro immediatezza, che spesso travalica anche l'intenzione del soggetto, gli aspetti corporei della comunicazione sono a lungo sfuggiti a una considerazione sistematica, fornendo più che altro spunti di riflessione a moralisti e indagatori dell'animo umano. Soltanto nella seconda metà del Novecento, con lo sviluppo delle scienze umane, la comunicazione corporea ha fatto il suo ingresso negli statuti di varie discipline accademiche, con un proliferare di ricerche e una messa a punto sempre più mirata dei risultati. Così, per la linguistica, il filone della comunicazione non verbale (Hinde 1972) si è opposto, talora con esagerazioni e pretese eccessive, all'indirizzo logocentrico della disciplina, codificato all'inizio del secolo dallo studioso svizzero F. de Saussure; per l'etologia, la ricerca di universali non linguistici (Eibl-Eibesfeldt 1975) ha ampliato il campo di osservazione degli studiosi del comportamento dell'uomo come specie animale; per la sociologia a indirizzo fenomenologico, lo studio dell'interazione umana nei suoi meccanismi quotidiani (Goffman 1963) ha modificato le accezioni funzionaliste o strutturaliste dei concetti di ruolo e di attore sociale; per la psicologia sociale la scoperta dell'assunto 'non si può non comunicare' ha portato a un ampliamento della sfera di interesse per i gruppi sociali e le loro dinamiche (Argyle 1975); per la psicoanalisi, infine, è divenuto possibile considerare il corpo e la mente come un continuum funzionale, caratterizzato dalla progressiva differenziazione della funzione mentale, e dunque anche simbolica, da quella corporea e organica (Gaddini 1980). Un esempio della fecondità di questi approcci, che rivalutano profondamente l'aspetto comunicativo della corporeità, è dato dalla crescente diffusione delle tecniche di comportamento in pubblico, imposte dal ruolo dominante dei mezzi di comunicazione di massa. L'aspirante leader politico, il giornalista competitivo, il venditore di successo, l'insegnante e l'operatore sanitario, insomma tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, si trovano a interagire in situazioni pubbliche o collettive, devono essere efficaci comunicatori, utilizzando, a proprio vantaggio, i limiti o le doti naturali della loro presenza fisica.
2.
Osserva E. Canetti (1960, trad. it., p. 469): "L'uomo, che molto spesso sta ritto in piedi, può anche, senza muoversi dal suo posto, sedersi, sdraiarsi, accoccolarsi, inginocchiarsi. Tutte queste posizioni, e in particolare il passaggio dall'una all'altra di esse, esprimono qualcosa di ben determinato". Nei rapporti di potere, le posizioni del corpo sostituiscono completamente la comunicazione linguistica; esse svolgono la funzione primaria di indicare le condizioni di comando, di sottomissione o di parità che legano gli individui tra di loro. Non c'è bisogno di parlare, di esprimere con la mediazione linguistica questo aspetto: farlo, costituirebbe un uso inefficace delle risorse a disposizione. Chi ha una posizione di preminenza o presiede circondato da simili deferenti manifesta il suo potere in forma scenografica e rituale; parimenti, chi si inginocchia o si piega e si stende a terra esterna una posizione di sudditanza, che può essere politica, ma anche religiosa, per es. nel caso della preghiera. E se, invece, come più spesso ora accade, il rapporto tra i corpi avviene su un piano paritario, la loro vicinanza e contiguità, la loro distensione o rigidità, gli atteggiamenti di apertura o quelli di chiusura, costituiscono delle spie difficilmente fallaci delle relazioni effettive tra familiari, amici, cittadini, colleghi di lavoro o compagni di studio. La casistica è amplissima e investe il campo della 'prossemica', lo studio dei rapporti umani attraverso la configurazione dei corpi nello spazio.Il corpo, però, può essere ancora più produttivo e non limitarsi a fotografare le gerarchie sociali. Esso può costruire anche linguaggi completamente sostitutivi della comunicazione linguistica: da quelli formalizzati e codificati di corpi specializzati (per es., i controllori del traffico) a quelli creativi e parimenti formalizzati di artisti e performers (per es., i mimi e i clown), a quelli propri di alcune categorie di portatori di handicap (per es., il linguaggio dei segni dei sordomuti). Scendendo, poi, nella scala della codificazione formale verso modalità più libere e spontanee di espressione non verbale, i movimenti e i gesti del corpo o delle sue parti forniscono l'alfabeto e il lessico delle emozioni, in quella zona di frontiera tra la consapevolezza del presente e l'affiorare involontario di sensazioni antiche o lontane.
Quali sono allora le lettere di questo alfabeto o le parole di questo lessico? Secondo lo psicologo inglese M. Argyle, oltre agli aspetti già analizzati della prossimità, del contatto fisico e dell'orientamento, gli elementi principali ruotano intorno all'aspetto fisico, ai cenni del capo, all'espressione del volto e allo sguardo, ai gesti (v. gestualità) e alle azioni degli arti. Per quanto riguarda l'aspetto personale, non tutte le componenti sono completamente controllabili: per es., la condizione fisica, il ritmo del respiro, il colore della pelle possono variare sfuggendo al piano intenzionale del soggetto. Quelle più facilmente riconducibili al controllo volontario, come l'abbigliamento, l'acconciatura dei capelli e il trucco, contribuiscono a definire l''autopresentazione', ossia il modo in cui, all'interno di un contesto sociale, ciascun soggetto segnala agli altri le proprie caratteristiche personali e fonda la possibilità della relazione umana. Queste componenti sono sottoposte al gioco mutevole delle mode, dei gusti dei vari gruppi sociali e, seppure confinate sul piano dell'apparenza, contengono spesso indizi rilevanti per la comprensione psicologica.
Un secondo nucleo fondamentale del lessico corporeo si riferisce alla testa, ossia alla parte superiore del corpo. Sede privilegiata di gran parte dei cinque sensi, la testa, o il capo, articola messaggi difficilmente equivocabili, attraverso la posizione o il movimento, mediante cenni di assenso e di diniego, con la tensione muscolare verso l'alto o verso il basso. Soprattutto sulla sua superficie anteriore, sul volto e nello sguardo, si palesano le reazioni interne spontanee: gioia e dolore, angoscia e paura, serenità e calma, ira e contrarietà ecc. Tutto l'universo delle emozioni trova qui l'alfabeto adatto per esprimere non soltanto gli stati d'animo passeggeri, ma la personalità stessa del soggetto. Alcuni elementi, quali il sorriso e il pianto, appaiono inscritti nel patrimonio filogenetico, come dimostrano i bambini ciechi e sordi dalla nascita, privi cioè dei contatti sensoriali ricettivi con il mondo esterno, che sorridono o piangono per dare libero corso a una emotività interna non coartata dall'handicap.
Le ricerche degli psicologi dell'età evolutiva suggeriscono che il neonato normale, nelle prime settimane di vita, riconosce nei lineamenti della madre (occhi, naso, bocca, guance) una Gestalt, ossia una forma principale che si stacca dallo sfondo confuso della realtà circostante. Nel viso spiccano per la loro mobilità gli occhi, lo sguardo in cui ci si specchia e ci si riflette acquisendo il sentimento di sé. E anche nella vita adulta, il capo, il volto e lo sguardo rappresentano le fonti privilegiate della comunicazione non verbale.La centralità del volto e dello sguardo può trasformarsi in un pericolo, quando essi entrano in conflitto con l'intenzionalità del soggetto, con gli altri livelli della comunicazione, in primo luogo quella verbale. Un rossore, un interrogativo negli occhi, l'arricciamento delle sopracciglia, una smorfia della bocca tradiscono la sorpresa, l'imbarazzo, lo sgomento o l'indignazione che non si volevano far trapelare. Alcune affermazioni verbali possono essere contraddette dalla manifestazione corporea degli stati emotivi sul volto e nello sguardo, nella postura, nei gesti delle mani o nella sudorazione.
3.
Il più delle volte si cerca di sostenere e far prevalere le proprie ragioni integrando le argomentazioni linguistiche con gli strumenti messi a disposizione dal linguaggio del corpo. Quella di porsi al servizio della comunicazione verbale è la seconda funzione della comunicazione non verbale. In questo caso sono importanti, oltre agli elementi della comunicazione del corpo, anche i cosiddetti aspetti paralinguistici: il tono e il registro della voce, l'accento, il ritmo impresso al discorso e le difficoltà inserite nell'esposizione si accompagnano ai gesti delle mani e alle azioni delle braccia, al movimento degli occhi e all'espressione del volto. Gli studi linguistici recenti hanno sottolineato l'importanza degli elementi paralinguistici nel processo comunicativo, a conferma del recupero della corporeità anche nell'emissione più propriamente verbale. Attualmente, il 'buon comunicatore' è chiamato a esercitarsi sulla presenza, la postura, l'intonazione e il sorriso, piuttosto che sulla qualità e la concatenazione degli argomenti, sul rispetto della sintassi e la ricchezza del lessico.
La terza funzione della comunicazione corporea riguarda il controllo della situazione sociale immediata, in riferimento al principio che tra esseri umani non si può non comunicare. L'assunto è ben esemplificato da una situazione quotidiana, come quella vissuta in un ascensore, dove la compresenza casuale di sconosciuti, che condividono necessariamente uno spazio ristretto in un lasso di tempo assai limitato ma che può apparire spesso interminabile, produce scambi comunicativi che trascendono le formule rituali di saluto e il successivo silenzio imbarazzato. Da questo punto di vista, gli atteggiamenti interpersonali si modellano lungo due assi principali: la gerarchizzazione del rapporto tra superiore e inferiore, e la valutazione implicita mediante l'approvazione o la disapprovazione. Le situazioni sociali in cui tale funzione si esplica sono molte e variate: tutti gli elementi della comunicazione non verbale riducono l'ansia e lo stress che il contatto con gli altri stimola. Si possono inviare segnali chiari e facilmente comprensibili sul proprio status sociale, sull'adesione a un determinato ceto, sul proprio lavoro e sulla personale disponibilità a un incontro positivo. Ancor prima di parlare, di presentarsi verbalmente o di avviare una conversazione, si comunica implicitamente un intero universo di discorso, risparmiando le energie proprie e quelle altrui. Si determina così il contesto sociale della relazione, che poi può passare alle informazioni verbali; si creano i frames, i quadri di riferimento logico-cognitivi entro cui sviluppare l'interazione. Parafrasando la sentenza di E. Canetti che "il leone non deve trasformarsi per afferrare la sua preda: la afferra in quanto è un leone" (Canetti 1960, trad. it., p. 247), si può dire, in conclusione, che anche gli uomini non devono modificare la loro apparenza per comunicare: comunicano innanzitutto in quanto presenza corporea.
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