COMUNIONE
Diritto (lat. communio iuris; fr. communauté; sp. comunidad; ted. Rechtsgemeinschaft; ingl. communion of goods). - La comunione di diritti è un fenomeno di appartenenza, ossia di collegamento soggettivo dei diritti, che ha le più importanti manifestazioni nell'ambito dei diritti patrimoniali. Esso si verifica quando un diritto spetta contemporaneamente a più persone, quando, cioè, vi è un diritto unico con pluralità di soggetti. Restano così al difuori dell'istituto della comunione: 1. i casi nei quali le situazioni giuridiche dei singoli soggetti non presentano identità di contenuto (es., l'uno è proprietario, l'altro è usufruttuario) ovvero identità di oggetto (es., a ciascuno appartiene un diverso piano di una stessa casa, verificandosi la cosiddetta comunione pro diviso); 2. i casi nei quali la partecipazione di più soggetti genera la moltiplicazione del diritto a causa dell'assoluta indivisibilità di quest'ultimo, cioè della sua non suscettibilità di godimento per parti, e dà così luogo a una contitolarità solidale (es., dividendosi il fondo dominante, una servitù prediale viene a spettare ai proprietarî delle singole porzioni); 3. i casi nei quali il diritto appartiene a collettività giuridicamente organizzate, fornite di propria personalità (es., stato, provincie, comuni, società commerciali). Ridotto alla sua vera essenza, l'istituto della comunione può essere concepito in duplice modo. O il diritto appartiene a più soggetti collettivamente senza distribuzione di quote, sicché il singolo non può esercitarlo nemmeno in parte e la sfera giuridica di costui rimane inscindibilmente fusa con quella degli altri partecipanti: è la comunione a base collettivistica o di diritto germanico, che suol chiamarsi comunione in mano comune, dal tedesco zur gesammten Hand. O il diritto si divide in quote, ciascuna delle quali determina la misura delle facoltà del singolo soggetto, fornito, così, di una sfera giuridica autonoma, entro i limiti consentiti dall'esercizio delle facoltà degli altri: è la comunione a base individualistica o di diritto romano. La seconda forma di comunione è ora assai più importante: anche la legislazione tedesca la riconosce come figura normale, ed è perfino dubbio se nei diritti di tipo latino la prima abbia trovato accoglimento. Indiscutibilmente, la comunione per quote è la comunione vera e propria, e ad essa appunto si riferiscono gli scrittori quando parlano, genericamente, di comunione di diritti.
Come si spieghi sotto l'aspetto giuridico il fenomeno "comunione" non è facile a dirsi, ed è stato largamente discusso. Tra le numerose teorie, la più conforme alla realtà sembra quella che presuppone una divisione ideale del diritto fra i partecipanti, tale che, rimanendo il diritto oggettivamente inalterato, come se appartenesse a un solo soggetto, la titolarità di esso è determinata dalle quote, l'insieme delle quali ricompone, appunto, il diritto stesso nella sua interezza sotto l'aspetto soggettivo. Certo, questa teoria suppone che i diritti si assumano in funzione di valori, come si può e si deve, non semplicemente in funzione di rapporti: altrimenti, poiché il rapporto tra A e C non può essere lo stesso che tra B e C, sarebbe assurdo dire che il diritto di A e di B è unico e identico; ma l'assurdo è facilmente eliminato dall'accennata distinzione.
Già si è detto che la sfera caratteristica della comunione è costituita dai diritti patrimoniali, rimanendone esclusi quelli intellettualmente indivisibili in modo assoluto, quali le servitù prediali, ma non, come pure è opinione diffusa, quelli di obbligazione. Più importante di tutte, naturalmente, è la comunione del diritto di proprietà o comproprietà (v. comproprietà); si riferiscono specialmente ad essa le disposizioni positive della nostra legge sulla "comunione di beni" (art. 673 e segg. cod. civ. it.). Ma l'istituto ha larga applicazione anche per altri diritti reali, come l'usufrutto, o analoghi ai reali, come il diritto d'inventore, il diritto d'autore. Quanto ai diritti di credito, mentre certamente non è da parlare di comunione nel caso della solidarietà attiva, ove si verifica piuttosto un fenomeno di moltiplicazione, o nel caso della parziarietà, il quale corrisponde alla comunione pro diviso, nulla vieta di sussumere le obbligazioni indivisibili, con pluralità di creditori, nel concetto tecnico della comunione di diritti, poiché realmente in esse la ripartizione per quote ha rilevanza anche esteriore, pure impedendo la natura della prestazione un qualsiasi frazionamento del credito nei rapporti col debitore comune. Vi è poi la comunione di universalità, ossia di complessi unificati di rapporti giuridici: tipica la comunione ereditaria. E si parla anche di comunione di azienda, quantunque nell'azienda manchi una vera e propria unificazione di rapporti e possa solo riconoscersi un'unità economica o di fatto.
Fonti della comunione sono la legge e il contratto: onde la distinzione fra comunione legale o incidentale e comunione contrattuale. Si hanno casi di comunione legale nell'acquisto di eredità o di legato per parte di più persone, in alcune figure di specificazione o di mescolanza, nell'acquisto del tesoro, e così via. Poiché la disciplina dello stato di comunione, nei rapporti interni tra partecipanti, suppone la creazione di determinate obbligazioni, si dovrà dire, allora, che la comunione dà luogo come tale a obbligazioni legali, senza bisogno di ricorrere all'abusata categoria dei quasi-contratti, nella quale pure, sia detto fra parentesi, la communio incidens è stata tradizionalmente inclusa. La comunione contrattuale può assumere forme particolari, quali sono la società civile, la comunione dei beni fra coniugi (v. sotto), ma può anche presentarsi, almeno nei diritti di tipo latino, in una forma atipica, come comunione contrattuale semplice. Assai spesso, nell'individuare questa forma atipica, insorgono difficoltà notevoli, e senza dubbio il problema teorico della distinzione fra comunione e società è fra noi, sotto l'aspetto ora considerato, veramente grave. In massima, può dirsi che il contratto dà luogo a una semplice comunione, quando le parti mirano al godimento in comune del diritto, in sé e per sé; dà luogo invece a una società, quando le parti intendono far servire il godimento in comune alla realizzazione di guadagni determinati.
Bibl.: La letteratura sull'argomento è ricchissima. Meritano speciale attenzione: K. Engländer, Die regelmässige Rechtsgemeinschaft, I, Berlino 1914; G. Bonelli, Comunione e quota, in Riv. del dir. comm., I (1923), p. 1 segg.; F. Carnelutti, Personalità giuridica e autonomia patrimoniale nella società e nella comunione, in Studi di dir. civ., Roma 1916, p. 112 segg.; I. Ferrara, Trattato di dir. civ., I, Roma 1921; V. Baratta, Società e comunione, in Arch. giur, C (1928), pp. 101 segg., 204 segg.
La comunione dei beni fra coniugi.
Il regime della comunione di beni fra coniugi, diversamente regolato nelle varie legislazioni vigenti, ha avuto sempre più scarsa applicazione in Italia. Come la costituzione di dote, con la quale non è in contrasto, potendo i due sistemi coesistere (art. 1433 cod. civ.), cosi anche la stipulazione della comunione dev'essere fatta per atto pubblico; e non può stipularsi che abbia principio in un tempo diverso dalla celebrazione del matrimonio. La legge consente soltanto che, sciolta la comunione, i coniugi possano ristabilirla agli stessi patti dai quali essa era anteriormente regolata, sotto pena di nullità (art. 1443). Infatti, il ristabilimento non importa la costituzione d'una nuova comunione, ma la continuazione della prima, come se lo scioglimento non avesse mai avuto luogo, rispettandosi tuttavia le ragioni acquistate dai terzi durante la separazione.
Sulle origini dell'istituto e sulla sua natura giuridica, le opinioni sono disparate. Alcuni (cfr. p. es. Ferrara) lo ricollegano alle comunioni familiari del diritto germanico e lo costruiscono quindi come una comunione a tipo collettivistico. Altri (cfr. p. es. De Ruggero) lo spiegano, invece, secondo i principî romani della comunione e della società, rilevando che la comunione tra coniugi ha trovato applicazione in regioni rimaste estranee all'influenza del diritto germanico e che lo stesso codice civile (art. 1434) ha per essa dichiarato applicabili le disposizioni relative alla società, in mancanza di altre norme legislative o convenzionali. Altri escludono che la comunione fra coniugi riproduca le figure normali della comunione o della socíetà per le caratteristiche diverse che la prima presenta rispetto alle seconde. Quel che si può con sicurezza affermare è che la comunione fra coniugi importa la costituzione di un patrimonio autonomo, separato e comune ai coniugi, senza che però essi abbiano durante la comunione la disponibilità delle loro quote. Conseguentemente restano separati i patrimonî dei singoli coniugi; i creditori per una causa della comunione, hanno un diritto di preferenza sui beni che la riguardano rispetto ai creditori particolari del marito o della moglie; i coniugi non possono né cedere le loro quote né chiedere liberamente lo scioglimento della comunione.
L'attivo della comunione, come riassume il Messineo, "consta dell'universalità dei proventi dei coniugi ed eventualmente dei beni che ne costituiscono la capitalizzazione". Per evitare forme di anticipata successione o di donazioni mascherate fra coniugi, il nostro codice (art. 1433) non consente altra comunione di beni agli sposi, fuorché quella degli utili. Né l'attivo e il passivo presente dei coniugi, né ciò che venga loro devoluto per successione o donazione durante la comunione o più in generale tutto quello che non abbia carattere di reddito (p. es. ritrovamento di un tesoro, vincita al lotto), possono essere compresi nella comunione (art. 1435). Alla comunione spettano soltanto il godimento dei beni, sia mobili sia immobili, presenti e futuri dei coniugi, e gli acquisti fatti dai coniugi unitamente o separatamente durante la comunione, siano essi derivati dall'industria comune o da risparmî fatti sui frutti e sulle entrate dei coniugi (art. 1436). Allo scopo di facilitare la prova, si prescrive poi che prima del matrimonio gli sposi debbano fare una descrizione per atto autentico dei loro beni mobili presenti, e uguale descrizione debbono pur fare dei beni mobili che venissero loro a devolversi durante la comunione, presumendosi diversamente, fino a prova del contrario, che i mobili siano acquisti della comunione. Si è detto fino a prova del contrario, giacché l'art. 1445 cod. civ. autorizza, nonostante la disposizione dell'art. 1437 ora riferita, i coniugi e i loro eredi, in caso di scioglimento del matrimonio a prelevare le cose mobili che, con tutti i mezzi autorizzati dalla legge, possono provare essere loro appartenute prima della comunione o essere state loro devolute durante la medesima a titolo di successione o di donazione. La legge, anzi, concede alla moglie, e ai suoi figli eredi, di potersi avvalere della prova testimoniale, qualora si tratti di cose ad essa devolute a titolo di successione o donazione, qualunque ne sia il valore (art. 1445, capov. 1°).
Gli utili della comunione debbono però essere depurati del passivo della comunione, nel quale, esclusi i debiti personali esistenti al momento della costituzione o che possano sopravvenire, rientrano le spese per il mantenimento della famiglia, le spese gravanti i beni il cui godimento è caduto in comunione e quelle per la conservazione e utilizzazione dei beni stessi, i debiti contratti dal marito nell'interesse della comunione. Per effetto della comunione, i coniugi hanno diritto agli utili per quote uguali. Si può tuttavia stabilire che essi parteciperanno in misura disuguale o che il sopravvivente preleverà su di essi una porzione. Il maggiore vantaggio cosi costituito a favore di uno dei coniugi espressamente non è considerato una liberalità e quindi per esso non ricorrono le regole delle donazioni, né per la sostanza né per la forma. È però vietato un concorso al passivo in misura superiore a quello all'attivo (art. 1440 cod. civ.). Al solo marito, per la necessaria unità d'indirizzo e per la sua posizione di capo della famiglia, spetta il potere di amministrare i beni della comunione e di stare in giudizio per le ragioni riguardanti la medesima; con le limitazioni però che egli non può, salvo che a titolo oneroso, alienare o ipotecare i beni la cui proprietà cade nella comunione (art. 1438) e che alle locazioni fatte dal marito dei beni della moglie, il godimento dei quali cade nella comunione, sono applicabili le regole stabilite per le locazioni fatte dall'usufruttuario (art. 1439)
Secondo l'art. 1441 la comunione non si può sciogliere che per la morte di uno dei coniugi, la quale rappresenta la fine normale, per l'assenza dichiarata, per la separazione personale e per la separazione giudiziale dei beni. Quest'ultima non può essere richiesta che in caso di cattiva amministrazione della comunione o quando il disordine degli affari del marito metta in pericolo gl'interessi della moglie. Sciolta la comunione, i coniugi hanno diritto a riprendere i beni rimasti in loro proprietà; la moglie o i suoi eredi possono anche ripetere il valore delle cose mobil i spettanti ad essa ed escluse dalla comunione, ma che non si trovassero più in natura al tempo della divisione, provandone anche per notorietà il valore.
Bibl.: F. Messineo, La natura giuridica della comunione coniugale dei beni, Roma 1920; F. Ferrara, Tracce della comunione di diritto germanico nel diritto italiano, in Riv. dir. civ., I (1909), p. 498 segg.; M. Roberti, Le origini romano-cristiane della comunione dei beni fra coniugi, Torino 1919.