COMUNISMO (XI, p. 29)
Il comunismo si ripresenta col suo nome proprio e classico nel 1917, quando N. Lenin, nelle sue Tesi dî aprile, richiede di chiamare "comunista" il partito bolscevico (cioè improntato nella teoria e nella prassi ai principî della frazione bolscevica, o di maggioranza del partito socialdemocratico russo, che dal 1912 s'era costituita in partito marxista indipendente, appunto col nome di "bolscevico" guidato da Lenin stesso: v. russia: storia, XXX, p. 305). Il nuovo nome si presentava come "nome scientificamente esatto, lo scopo finale del partito bolscevico essendo il comunismo... Il socialismo deve trasformarsi, a poco a poco nel comunismo, sulla cui bandiera sta scritto: 'Da ognuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni'". Era insieme un ritorno al nome originario dato da K. Marx e F. Engels al loro partito alla vigilia del 1848. Le Tesi d'aprile contenevano, oltre a proposte di misure di transizione economiche e di misure politiche riferite a quel momento rivoluzionario, anche la critica della dottrina che la repubblica parlamentare dovesse venire intesa come la forma più progredita di democrazia, e l'affermazione della repubblica dei Soviet "come la forma più razionale di organizzazione politica della società, nel periodo di transizione dal capitalismo al socialismo". Terminavano con la proposta di creare una Internazionale nuova (v. internazionale, XIX, p. 394). Di fatto, il distacco dei comunisti o futuri comunisti, entro o dai partiti socialdemocratici, associati nella II Internazionale, aveva avuto inizio durante la prima Guerra mondiale, coi convegni di Zimmerwald (1915) e di Kienthal (1916); ma a fondamento teorico del comunismo in questo ultimo periodo stanno i principî elaborati da Lenin coi suoi libri Che fare? (1902), Un passo avanti e due indietro (1904), Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica (1905), L'imperialismo come stadio supremo del capitalismo (1915, pubblicato nel 1917), Stato e Rivoluzione (1917). Tali principî consistono (sui presupposti generali del materialismo storico, v. materialismo storico, XXII, p. 563, e in questa App.) nelle seguenti idee direttive generali.
Il sistema economico sociale fondato sul capitale, come analizzato da Marx e da Engels, seguiti dai marxisti, era quello del periodo preimperialistico, in cui il capitalismo risentiva ancora dello slancio progressivo e cosmopolitico delle origini; ora, nel periodo dell'imperialismo, quello slancio è perduto, il capitalismo in sostanza è divenuto del tutto parassitario; attraverso i grandi monopolî nullifica i suoi stessi principî originarî; è spinto alla colonizzazione o come conquista territoriale o in altre forme (controllo finanziario, ecc.); l'ineguaglianza di sviluppo del capitalismo nei varî paesi e le contraddizioni interne del capitalismo si approfondiscono; la lotta per i mercati (delle merci e dei capitali), per le colonie, per le sorgenti delle materie prime rende inevitabili le guerre imperialistiche periodiche per la ripartizione del mondo. Questa diagnosi di Lenin (che è opposta, p. es., a quella sostenuta da R. Luxemburg nelle sue ricerche sul processo di accumulazione del capitale), ha per conseguenza che ci si trova in un'epoca rivoluzionaria (la rivoluzione sociale non è concepita dal comunismo come un semplice atto, un breve periodo di combattimenti su un solo fronte - naturalmente non escluso in particolari situazioni, ma non esauriente e assommante in sé la "rivoluzione" - bensì come un'epoca intera di lotte di classe accanite, lunga serie di battaglie su tutti i fronti, processo prolungato di sollevazioni e di movimenti economici e politici, che finiranno con l'espropriazione dei borghesi e col trionfo del proletariato: quest'ultimo potrà poi procedere alla instaurazione del socialismo, come primo grado al comunismo). In tale epoca il socialismo può certo vincere la lotta ma soltanto se tiene conto della realtà storica (sviluppo ineguale del capitalismo, imperialismo, ecc.), riconoscendo impossibile la vittoria simultanea in tutti i paesi (auspicata dal vecchio internazionalismo proletario, corrispondente al vecchio cosmopolitismo capitalistico del sec. XIX), data la necessità dell'adeguamento alle situazioni storiche e sociali di sviluppo ineguale. La lotta per la liberazione e l'indipendenza dei paesi coloniali e semicoloniali, per le affermazioni democratiche dove ancora non si siano raggiunte, ecc. non viene naturalmente negata. Ma il punto risolutivo, sempre secondo i principî leniniani, non è qui. Si tratta di rompere il fronte unico capitalistico e regressivo nel punto più debole, con una azione conseguente. Questa azione conseguente non può essere compiuta da un partito politico di vecchio tipo, dove la massa passiva degli aderenti non s'impegni nell'azione politica con la sua intera personalità, e tutto sia lasciato in sostanza a pochi capi rappresentativi, ma con una organizzazione di uomini politicamente attivi, consapevoli e preparati (in grado maggiore o minore), e disciplinati severamente, in conseguenza della difficoltà, complessità e vasta portata della lotta, disposti a impegnare la loro intera personalità nell'azione politica, sociale, economica. Contro i miti operaistici, deterministici, questo partito, che si presenta come avanguardia consapevole del proletariato, non perde certo lo stretto rapporto con quest'ultimo, ma non attende passivamente i movimenti "spontanei", irrazionali, inconsapevoli politicamente e storicamente, del movimento operaio per le rivendicazioni economiche, ch'esso disciplina quando si presentano, e incanala e guida nella linea dell'azione politica. Questo partito (partito, non minoranza o oligarchia) dev'essere coerente dal punto di vista teorico poiché intende rappresentare la coscienza del movimento proletario (coscienza politica e coscienza rivoluzionaria sulla base del marxismo), realizzando a questo modo il principio marxista che il partito comunista è fusione del movimento operaio e del socialismo, inteso come scienza (metodo).
Questi principî, affermati da Lenin in polemica contro le varie correnti deterministiche, riformistiche, revisionistiche, sono connessi con quello della dittatura del proletariato, la quale consiste nella conquista e nell'esercizio del potere politico da parte della classe proletaria mediante la sua organizzazione politica (partito), allo scopo di avviare il proprio paese al socialismo, reprimendo la resistenza capitalistica e accelerando il processo economico. (La conquista violenta del potere politico mediante l'insurrezione armata organizzata da gruppi fortemente disciplinati e centralmente diretti è un caso particolare, non escluso a priori, riconosciuto anzi come possibile, opportuno e necessario in varie situazioni possibili, ma sempre un caso particolare). Il partito comunista dev'essere organizzato secondo il principio del centralismo democratico, per il quale gli organi dirigenti del partito, eletti dal basso ("base") dopo esposizioni, discussioni programmatiche, critiche e autocritiche, determinano la linea politica del partito, ne curano l'attuazione e impongono la disciplina necessaria. Questa è la dottrina del partito (comunista), in quanto organizzazione dirigente del proletariato, essenziale nella lotta politica del proletariato stesso, e in quanto educatore politico della classe operaia, il quale da questa sua coscienza, consapevolezza e funzione deriva la responsabilità della disciplina, dell'organizzazione, ecc. Di essa c'è qualche accenno in Marx e Engels, ma sostanzialmente è opera di Lenin, il quale ha anche sottolineato che tale forma di organizzazione deve evitare il pericolo di tutte le organizzazioni più consapevoli e impegnative, cioè non deve divenire settaria, non deve isolarsi dal resto della società (specialmente dalla classe proletaria) formando una specie di società chiusa di perfetti.
Questa concezione del partito come espressione consapevole e organizzata della coscienza storica e politica del movimento progressivo dell'umanità (imperniato in questo momento sul proletariato) differenziato e adeguato alla situazione storica specifica dei varî paesi in diverso grado di sviluppo politico e sociale, costituisce il comunismo come si presenta storicamente, cioè il passaggio alla prassi concreta del marxismo. Essa è stata fatta propria dai partiti comunisti che sono sorti nel mondo e hanno lottato con varia fortuna dopo la rivoluzione russa dell'ottobre 1917, formandosi o per processo di distacco dai partiti socialisti e socialdemocratici, o per processo di trasformazione di movimenti marxisti indipendenti (Lega di Spartaco in Germania, ecc.); e si è rispecchiata nelle concezioni della III Internazionale. Questa linea generale di applicazione del metodo elaborato da Marx e da Engels allo svolgimento storico (come metodo e non come dogmatica), indicata da Lenin, è stata continuata da Stalin, con la elaborazione dei principî e dei presupposti necessarî alla edificazione del socialismo come primo passo al comunismo: allargamento del principio della pianificazione, dalla economia agli altri settori dell'attività politica e sociale; principio dello stato socialista (integrazione di Stato e Rivoluzione di Lenin), riaffermazione cioè dell'importanza dello stato (socialista) dal punto di vista nazionale (interno) e internazionale; principio della importanza del lavoro intellettuale nello stato, dell'educazione, come preparazione del cittadino (in correzione delle tendenze operaistiche e antiintellettualistiche).
Tanto Lenin che Stalin insistono sul carattere non dogmatico, ma metodologico, del materialismo dialettico e storico, o marxismo, in quanto azione dirigente politica, economica, sociale: antidogmatismo e antiutopismo essenziali al comunismo e che rendono inani dal punto di vista della considerazione storiogcafica le discussioni dottrinarie se in un dato paese sia stato o no attuato il "comunismo" (inteso come sistema di fini, utopisticamente e dogmaticamente costruito). L'attuazione del metodo comunista come azione di governo si è avuta: a) nell'URSS con la instaurazione del socialismo (non comunismo), e nella Cina comunista; b) in Polonia, Iugoslavia, Bulgaria, Romania, Cecoslovacchia mediante l'instaurazione delle democrazie popolari (come distinte tanto dalle democrazie parlamentari quanto dalla democrazia socialista sovietica).
La storia del comunismo, a) come storia dei partiti comunisti considerati in quanto partiti per sé presi, è storia del formarsi e del consolidarsi di organizzazioni contro opportunismi e frazioni, per l'unità e la disciplina, da una parte; contro la tendenza al costituirsi in gruppo settario dall'altra parte; b) in quanto azione politica generale, è storia dei rispettivi paesi, oppure storia della III Internazionale, alla quale i partiti comunisti hanno appartenuto fino al suo scioglimento (1943): ogni membro d'un partito comunista nazionale era membro, ipso facto, anche dell'Internazionale.
L'importanza assunta dal partito comunista dell'URSS non solo per la sua vittoria nel proprio paese e per la sua azione di governo, ma anche per le sue discussioni e impostazioni teoriche, come pure il nesso internazionalistico fra i varî partiti, ha fatto sì che la storia di quello, nei suoi tratti generali, si sia riflessa nella storia dell'Internazionale e in quella dei varî partiti nazionali: lotta contro le frazioni, sovversive o opportuniste, ecc.; azione concreta in rapporto con gli svolgimenti storici generali (dalla politica di rivoluzione alla politica di costruzione; dalla politica di lotta contro i partiti socialdemocratici a quella di fronte unico e fronte nazionale). In alcuni partiti è dovuta prevalere l'azione clandestina di propaganda e di opposizione al fascismo (Italia, poi Germania, ecc.); in altrì c'è stata un'azione pubblica di opposizione su grande scala, come in Francia, su piccola scala, ma vivacemente, come in Inghilterra. La teoria della possibilità della rivoluzione anche in un solo paese (contro la quale L. Trotzkij e i suoi seguaci e altre formazioni minori o distaccatesi dai partiti comunisti o sorte automaticamente con varie aggettivazioni, propagavano la dottrina della rivoluzione, internazionale, permanente, sovversivismo allo stato puro) non negava, anzi, articolava, l'internazionalismo del movimento comunista. Del resto quell'articolazione nazionale si riconduce alla teoria del problema delle nazionalità, come problema delle possibilità rivoluzionarie (nel senso del comunismo) inerenti al movimento storico di liberazione dei popoli dominati da altri e oppressi (coloniali o meno), elaborata specialmente da Stalin nel quadro della teoria dell'imperialismo e nella lotta contro di esso.
Fino al 1932 in Europa, il partito comunista più forte numericamente, dopo quello dell'URSS e, anche per la tradizione storica, uno dei più influenti nel movimento comunista generale è stato quello tedesco; fuori d'Europa, il partito comunista cinese era il più importante, tanto per l'azione costruttiva, dove ne aveva la possibilità, quanto per la sua lotta politica e militare. Al partito comunista tedesco succede in importanza il partito comunista francese, fino alla seconda Guerra mondiale. Durante e dopo di essa, i partiti comunisti italiano (v. appresso), iugoslavo, bulgaro, polacco, cecoslovacco, romeno hanno mostrato, uscendo dalla clandestinità, energie intellettuali, forza numerica e politica assai rilevanti.
Bibl.: Oltre gli scritti di N. Lenin citati nel testo: G. Stalin, Questioni del Leninismo, Roma 1946; G. Stalin, V. Molotov, C. Vorošilov, ecc., Storia del partito comunista (bolscevico) dell'URSS, Napoli 1944, e la bibliografia di materialismo storico in questa App.
Il Partito comunista italiano.
Il Partito comunista italiano è nato il 21 gennaio 1921 a Livorno, per scissione dal Partito socialista italiano. Ma se questa è, formalmente, la data di nascita, in realtà un orientamento e poi una frazione nettamente comunista si erano venuti formando, in seno al Partito socialista italiano, già nel 1917, come solidarietà senza riserve con la rivoluzione bolscevica, e più nettamente, nell'ambiente torinese, nel 1919, con la formazione del gruppo, principalmente di intellettuali, attorno al periodico L'Ordine nuovo, il quale però rifletteva anche la situazione particolare torinese del grado di consapevolezza raggiunto da quella classe operaia. Questo gruppo (A. Gramsci, U. Terracini, Palmiro Togliatti, Angelo Tasca), mentre vedeva nei Consigli di fabbrica un organo squisitamente rivoluzionario, combatteva, nel partito socialista, sia la corrente riformistica (F. Turati, C. Treves, ecc.), sia la corrente centrista o massimalista (G. M. Serrati, A. Baratono, ecc.) e promoveva lo sciopero generale nell'aprile 1920 e l'occupazione delle fabbriche nel settembre dello stesso anno. Pur essendo, allora, un fenomeno principalmente torinese, trovava eco in movimenti affini, come in quello napoletano attorno all'ing. Amedeo Bordiga, e in quello triestino, con speciali caratteristiche etnico-politiche, attorno allo sloveno Giuseppe Tuntar, o in singole personalità, come l'economista conte Antonio Graziadei e il demagogo Nicola Bombacci. La frazione comunista divenne partito allorché la III Internazionale di Mosca, alla quale il partito socialista italiano aveva subito aderito fin dalla prima costituzione di essa (marzo 1919), pose, nel suo II Congresso (Mosca, 19 luglio-7 agosto 1920) come condizione per aderire ad essa l'accettazione di 21 punti che significavano la scomunica contro i riformisti e i centristi. Poiché nel Congresso del partito socialista italiano a Livorno (15-21 gennaio 1921) soltanto la minoranza comunista (58.783 voti su 171.506 votanti) si pronunziò per l'accettazione incondizionata dei 21 punti, ne venne che la maggioranza, la quale continuò a chiamarsi Partito socialista italiano, si trovò fuori dalla III Internazionale e in suo luogo vi fu accolta la minoranza che se ne separò e si costituì in Partito comunista italiano. Ne divenne segretario il Bombacci, e vi aderirono 18 deputati, scesi poi a 13 nelle elezioni del 15 maggio 1921 e saliti a 18 (con 263.674 voti) in quelle, già in èra fascista, del 6 aprile 1924, nelle quali per la prima volta i comunisti ebbero qualche affermazione anche in collegi meridionali (Napoli, Bari, Palermo). Il Partito comunista aderì poi con i suoi deputati all'Aventino, benché, in fondo, poco esso si aspettasse da quella azione, in sostanza legalitaria, di opposizione al fascismo; e presto se ne staccò. Per effetto della legislazione posteriore al 3 gennaio 1925, e con la revoca del mandato e della conseguente immunità parlamentare ai suoi deputati (9 novembre 1926), il Partito comunista entra, come gli altri partiti non fascisti, nella fase della vita clandestina che durerà quanto il fascismo fino al 25 luglio 1943 ed oltre; ma mentre gli altri partiti si dispersero per lo sciogliersi di ogni nesso organizzativo di dirigenti e di quadri e morirono rapidamente nella clandestinità, il Partito comunista pur ridotto a sparute pattuglie di attivisti e di seguaci clandestini, continuò a vivere in organizzazioni assai sciolte, sotto forma di cellule, che attingevano saltuarie direttive da emissarî che, con grave rischio, potevano filtrare dall'estero, dove si tennero anche il III e IV Congresso del Partito (a Lione 1926, presso Colonia 1931). Quasi tutti gli esponenti più autorevoli dei quadri direttivi erano o emigrati o finiti in carcere e nei luoghi di confino; qualcuno, come il Bombacci, si era perduto, avvicinandosi al regime fascista e trovandovi ambigua tolleranza e sostegno. Dopo l'arresto e la condanna di Terracini e di Gramsci (1926) fu riconosciuto capo del partito Palmiro Togliatti, non senza incontrare resistenze tuttavia, sulla questione della "linea politica", ossia della tattica, non essendovi divergenze sui fini ultimi del comunismo, ma sì sui mezzi e vie per conseguirli: resistenze e divergenze (che, del resto, in questi anni travagliarono tutti i partiti comunisti a cominciare da quello russo) prima da parte del gruppo bordighiano "impasto di terminologia marxista e di radicalismo piccolo borghese" proponente "i problemi in termini astratti di moralismo politico" (L. Longo); poi (1929-31) da parte di elementi qualificati come "opportunisti" (dottrina della spontaneità del moto operaio, senza bisogno di organizzazione) quali A. Tasca e I. Silone; liquidati i quali, il Partito comunista non conobbe più scismi né eterodossie, e si mantenne disciplinato sulla via tracciata dalla III Internazionale di Mosca, all'attività della quale il Togliatti prese parte sempre più autorevole, specie dopo il VII Congresso (1935), nel quale egli insieme col bulgaro G. Dimitrov fu assertore della politica dei Fronti popolari.
La caduta del fascismo (25 luglio 1943) trovò il Partito comunista italiano - che attraverso le sue cellule aveva avuto anche la parte più importante nel promuovere gli scioperi in Alta Italia nella primavera dello stesso anno - pronto, più che ogni altro partito italiano a riprendere l'organizzazione scoperta e ad aprire i quadri ai nuovi adepti. Mentre nell'Italia della repubblica sociale entrava nei CLN clandestini e organizzava, accanto ai reparti misti, proprî reparti di partigiani e le formazioni più sciolte dei GAP e SAP e dava largo contributo alla resistenza partigiana, nell'Italia liberata provocava col ritorno del Togliatti dalla Russia (aprile 1944) e con la sua dichiarazione di essere pronto a collaborare col maresc. Badoglio, una chiarificazione nella situazione italiana, stagnante fino allora, per l'irreducibilità dei partiti antifascisti ad entrare in un gabinetto di investitura regia, che era poi l'unico che potesse avere il riconoscimento da parte degli Alleati. Il Partito comunista, legato al Partito socialista da un patto di unità di azione, partecipò a tutti i governi che si susseguirono fino al 31 maggio 1947, cioè fino alle dimissioni del 3° ministero De Gasperi; anche, dunque, al 2° ministero Bonomi (10 dicembre 1944-19 giugno 1945) dal quale invece si astennero gli altri due partiti di sinistra; ma già nel 2° e 3° gabinetto De Gasperi il capo del partito, Togliatti, si tenne significativamente in disparte. Il partito non solo attraverso la defascistizzazione (epurazione, confisca dei beni, ecc.) ma con il postulato repubblicano, con l'azione d'avanguardia entro i CLN, con la politica sindacale nella ricostituita CGIL in cui presto prevalse, con l'azione legislativa nei dicasteri tenuti da ministri comunisti, attraverso le associazioni di partigiani e di reduci, a volte anche con manifestazioni di piazza che fecero lanciare agli avversarî l'accusa di gioco sleale, di una politica legalitaria al governo e di un'altra demagogica e rivoluzionaria fuori, cercò, come "democrazia progressiva" di dare all'azione governativa e a tutta la vita politica italiana una forte sterzata a sinistra e quasi un permanente fermento rivoluzionario. Altre vaste masse erano affluite al Partito comunista dopo la liberazione dzll'Italia settentrionale; ma la finzione della pariteticità nei governi fino al 2 giugno 1946, resa necessaria dalla impossibilità di calcolare, senza previe elezioni, il numero delle forze da cui ogni partito era sostenuto, paralizzò gli sforzi del Partito comunista. Le elezioni per l'assemblea costituente del 2 giugno 1946 chiarirono la situazione: il Partito comunista, che si presentò dappertutto con liste proprie, ebbe 4.343.722 voti (18,9%) e 91 deputati alla costituente: si piazzava cioè al 3° posto fra i grandi partiti italiani. Le difficoltà nei due gabinetti di coalizione De Gasperi formati dopo la consultazione elettorale aumentarono, paralizzando notevolmente l'attività governativa, finché nel maggio 1947 il De Gasperi, anche per i riflessi della situazione internazionale e in vista delle non lontane elezioni per le assemblee legislative, si decise a provocare una crisi e a comporre un nuovo ministero senza comunisti e socialisti, che da allora sono passati all'opposizione. Per le elezioni del 18 aprile 1948 il Partito comunista promosse la formazione di fronti democratici popolari in tutte le circoscrizioni: e la tattica, se non valse a dargli la vittoria sulla Democrazia Cristiana, gli procurò la superiorità sugli alleati di lista, visibile nell'aumentato numero dei deputati comunisti alla camera (132 = 23%; il numero dei comunisti al senato, 67 senatori = 19,4%, è meno significativo, per la formazione del senato, che non deriva soltanto da elezioni). Attualmente (ottobre 1948) il Partito comunista, con oltre 2 milioni di iscritti sta, per questo riguardo, al primo posto fra i partiti comunisti europei, dopo l'URSS.