ladina, comunità
La comunità che si riconosce come Ladinia Dolomitica è formata da circa 30.000 persone, insediate in cinque valli a raggiera intorno al gruppo del Sella (fig. 1), nelle Alpi centrorientali. Il territorio è diviso amministrativamente in tre parti: alla Provincia Autonoma di Bolzano appartengono le valli Gardena (Gherdëina) e Badia con 10.000 abitanti circa, alla Provincia Autonoma di Trento appartiene la Valle di Fassa (Fascia) con poco più di 9000 abitanti, mentre alla Provincia di Belluno fanno capo l’alta valle del Cordevole (Fodom) e Cortina d’Ampezzo (Anpezo). Alcune migliaia di ladini vivono nelle città di Bolzano, Bressanone e Trento.
Le prime testimonianze di insediamento umano nelle valli ladine del Sella risalgono al Paleolitico superiore e sono databili intorno a 18.000 anni fa, quando, in seguito al ritiro dei ghiacci, piccoli gruppi nomadi di cacciatori, provenienti da zone pedemontane, occuparono grotte e ripari con accampamenti base e campi venatori. Una presenza ricorrente e diffusa è invece più ampiamente testimoniata da siti appartenenti al Mesolitico, mentre nel Neolitico, con l’introduzione dell’agricoltura, la zona fu progressivamente abbandonata e si ebbe una migrazione verso ambienti più favorevoli alla coltivazione.
All’inizio dell’Età dei metalli (terzo millennio a.C.) gli antichi sentieri già tracciati dai cacciatori mesolitici furono ripercorsi da pastori transumanti, che si stabilirono in insediamenti per l’utilizzo estivo degli alti pascoli, per poi svernare a quote più basse. Intorno al 15 a.C., con l’espansione romana e l’assoggettamento del territorio da parte delle legioni guidate da Druso e Tiberio, le valli dolomitiche condivisero la storia che va dalla romanizzazione fino alla diffusione del cristianesimo.
Dopo la caduta dell’impero romano, le susseguenti migrazioni germaniche circoscrissero le popolazioni ladine entro aree sempre più delimitate. Purtroppo, la scarsità di testimonianze altomedievali non ha permesso di delineare compiutamente la formazione degli abitati permanenti, che prelusero all’istituzione delle pievi. Si può arguire da prove indirette che ciò accadde tra il VI e il VII secolo, dopo l’arrivo dei Longobardi e prima della conquista carolingia e della discesa dei Bavari. A partire dal VI secolo, le vallate ladine appartennero alla diocesi di Sabiona per confluire poi, verso la fine del X secolo, in quella di Bolzano-Bressanone: ciò segnò l’inizio di una crescente influenza della componente germanica, che, monopolizzando le più importanti cariche nobiliari ed ecclesiastiche, mantenne il potere, almeno formalmente, fino alla secolarizzazione napoleonica del 1803. L’appartenenza alla medesima unità politico-amministrativa, la sostanziale uniformità derivante dalle caratteristiche ambientali ed economiche, la gravitazione verso i centri di Brunico, Bressanone e Bolzano, indussero la comunità ladina a rapportarsi molto più con la cultura tirolese che con quella delle finitime popolazioni di lingua romanza. Le destabilizzanti vicende legate all’invasione napoleonica (1796-1812) e alle sue ripercussioni non indebolirono affatto il comune sentimento identitario, ma lo radicarono fino a mitizzarlo nella celebrazione della rivolta di A. Hofer (1767-1810). In seguito alla Pace di Schönbrunn (1809), le vallate del Sella furono divise tra i napoleonici regni di Baviera (Badia e Gardena) e d’Italia (con Fassa al dipartimento dell’Alto Adige e Cortina d’Ampezzo e Livinallongo al dipartimento del Piave) per tornare poi sotto il dominio austro-ungarico dopo pochi anni, con il Congresso di Vienna del 1815.
Al termine della Prima guerra mondiale, il trattato di Saint-Germain attribuì all’Italia la parte meridionale del Tirolo, a cui seguì un’ulteriore frantumazione istituzionale, attuata dal regime fascista tra il 1923 e il 1927 (➔ fascismo, lingua del; ➔ politica linguistica), in nome di un processo di italianizzazione della regione, teso ad annullare tutte le peculiarità linguistiche e culturali ivi presenti.
Il territorio ladino risulta tutt’altro che unitario, sfavorito, oltre che dalla tripartizione politico-amministrativa, anche geograficamente dalla cattiva accessibilità dell’altopiano del Gruppo del Sella, possibile punto di riunione delle comunità ladine: le valli Gardena e Badia danno sulle valli Isarco e Pusteria, di lingua germanica, mentre la Valle di Fassa, l’alta valle del Cordevole (Fodom) e la conca di Ampezzo defluiscono su territori di lingua romanza. La frammentazione geografica e politica non sembra però impedire del tutto un senso di appartenenza comune, al di là di ovvie differenze locali. Ladinia è quindi una denominazione che non rappresenta un’entità autonoma, ma piuttosto un insieme ideale in cui si riconosce una popolazione con una sua fisionomia individuale marcatamente alpina e mitteleuropea e una coscienza propria, a cavallo tra mondo germanico e mondo romanzo (Craffonara 1986; Richebuono 1992).
Le varietà ladine delle Dolomiti (localmente chiamate idioms) condividono molte caratteristiche fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali con le altre lingue romanze vicine e con quelle più conservative delle Alpi Centrali e Orientali: il friulano e il romancio. L’unità interna di questo insieme di dialetti alpini (e in particolare il loro rapporto con i dialetti italoromanzi o galloromanzi), messa chiaramente in evidenza per la prima volta da ➔ Graziadio Isaia Ascoli nel 1873, è stata ed è ancora fortemente controversa, sia in ambito accademico sia dal punto di vista socio-politico. Ma, citando Alinei (1996-2000: 759):
La ‘questione ladina’ […] è uno pseudoproblema. Come tutte le questioni linguistiche di questo tipo, essa è infatti viziata da un errore di fondo, e cioè dal tentativo di trasformare una questione politica in una questione scientifica […]. La decisione se [il ladino] sia una lingua o un dialetto può essere presa soltanto dai suoi parlanti.
Gli idiomi ladini dunque condividono con le lingue romanze occidentali (iberoromanzo, galloromanzo, galloitalico e sardo; ➔ dialetti) molti tratti fonetici, come la sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche latine e la semplificazione delle geminate: capĭllu(m) > ciavel «capello»; vacca(m) > vacia «vacca». Si differenziano invece da molte delle parlate limitrofe della pianura per alcuni fenomeni fonetici tipicamente alpini e, in parte, propri anche del galloromanzo, come la conservazione di l nei nessi latini pl, bl, fl, cl e gl in tutte le posizioni, la conservazione di -s finale nelle desinenze di plurale e di seconda persona dei verbi e la palatalizzazione delle velari latine c e g davanti ad a. Il fodom è infatti probabilmente l’unica parlata neolatina che conserva sia il tratto velare (sonorizzato) sia quello laterale nell’evoluzione del nesso latino -cl- in posizione intervocalica:
(1) ŏc(ŭ)lu(m) > [ˈwogle] «occhio»
vet(ŭ)lu(m) > *vĕclu(m) > [ˈvegle] «vecchio»
Il badiotto e il gardenese fanno avanzare il luogo di articolazione del primo elemento del nesso da velare ad apicodentale – ŏc(ŭ)lu(m) > [ˈuədl]; vet(ŭ)lu(m) > [vedl] – mentre gli altri idiomi palatalizzano: ŏc(ŭ)lu(m) > fassano [ˈeje], moenese [ˈölʤe]; vet(ŭ)lu(m) > fassano [ˈveje], moenese [ˈvelʤe].
La palatalizzazione di c e g latine davanti ad a è forse indipendente e più recente di quella del francese (così almeno sembra dimostrare la toponomastica tirolese tedesca di sostrato ladino: Kastelruth / Castelrotto contro Ciastel):
(2) caballu(m) > ciaval, fr. cheval
cantare > cianté, fr. chanter
Gli esiti di c + a vengono a confondersi con quelli conservativi di c + i, e, che accomunano il ladino all’italiano e al rumeno e lo distinguono invece dai dialetti veneti e trentini circostanti:
(3) cĕlu(m) > gardenese [ˈʧiəl], it. cielo
cīlia > badiotto [ʧɐja], it. ciglia
Per quanto riguarda la conservazione di -s finale, che è totale in buona parte della Ladinia, anche se nelle aree periferiche è stata soggetta a dileguo in epoca relativamente recente, morfologicamente non è l’unica marca di plurale nei nomi e negli aggettivi. Nelle località dove è conservata -s è l’unica marca del plurale dei femminili (ŭrtīcas > urties, moenese urtie, plur. di urtia; rŏtas > rodes, moenese rode; vŭlpes > volpes, plur. di volp), mentre per i maschili varie sono le terminazioni del plurale, derivate sia dall’accusativo latino (dunque in -s) sia del nominativo (in -ī almeno per la seconda declinazione). Ecco alcuni esempi:
(a) plurale in -s, come le lingue romanze occidentali, per i sostantivi e gli aggettivi maschili che escono in vocale tonica (plajei ← plajeis «piaceri»); per i sostantivi uscenti in -f, -p, -r (in sillaba tonica), -n (in sillaba tonica), -gn (cerf ← cerfs «cervi»; ciamp ← ciamps «campi»; mur ← murs «muri»; cian ← cians «cani»); e, in quanto desinenza ancora produttiva, in molti cultismi e neologismi (ministere ← ministeres «ministeri»; archeologh ← archeologs «archeologi»);
(b) plurale con palatalizzazione della consonante finale della radice quando questa sia -l, -t, ch [k], -s, -z o -n in sillaba atona come nelle varietà romanze delle Alpi e dell’Italia settentrionale (local ← locai «locali»; fuech ← fuesc «fuochi»; nes ← nesc «nasi»; fonz ← fonc «suoli, fondi»; joen ← joegn «giovani»);
(c) plurale in -i, come in italiano, nei sostantivi, molti dei quali nomina agentis, in -r in sillaba atona (tisler ← tisleri «falegnami»; maester ← maestri; ma in Fassa rispettivamente tisleres e maestres) e in quelli che escono in consonante + l (uedl ← uedli «occhi»).
Il lessico del ladino mostra la conservazione di tipi comuni diffusi nelle varietà romanze così come molte forme lessicali a diffusione generalmente alpina o galloitalica:
(4) crep «montagna, roccia» < *clap / crap-
mont (sostantivo femm.) «alpeggio, malga» < mŏnte(m)
berba «zio» < barba(m)
ameda «zia» < amĭta(m)
tous «bambino, ragazzo» < tonsu(m)
Vi è anche una serie di termini più propriamente retoromanzi:
(5) biscia «pecora» < bestia(m)
tablé «baita, fienile» < tabŭlariu(m)
ciajuel «formaggio» < casĕolu(m)
o più limitatamente dolomitici:
(6) cadria «aratro» < quadriga(m)
messel «luglio» < messale(m)
La forte influenza del veneto sul lessico ampezzano – vecio «vecchio» < ven. vecio < vetŭlu(m) –, è quasi nulla negli altri idiomi:
(7) ocio «attenzione, occhio» < ven. ocio < ocŭlu(m)
(8) cariega < ven. carega < greco kathédra
Di contro il lessico ladino è fortemente pervaso da prestiti germanici non solo antichi, come nelle altre lingue romanze occidentali, ma anche e in particolare costituiti da termini presi dai dialetti altotedeschi in epoche anche recenti:
(9) smauz «burro» ← Schmalz
bosserlait «acquedotto» ← Wasserleitung
forené «guidare» ← fahren
fana «padella» ← Pfanne
berstot «officina» ← Werkstatt
f(l)inch «fringuello» ← Fink
tier «animale» ← Tier
tisler «falegname» ← Tischler
pech «panettiere» ← Beck
lede «libero» ← ledig
Per i neologismi le valli ladine dell’Alto Adige sono fortemente influenzate dal tedesco, sia con prestiti (strom «elettricità, corrente» ← Strom) sia con calchi (jì con roda «andare in bicicletta» ← radfahren; schi da paslonch «sci di fondo» ← Langlaufski) mentre quelle trentine e venete subiscono un forte influsso dell’italiano. Questa doppia sensibilità, in parte germanica in parte romanza, permette al ladino di creare neologismi o risemantizzazioni di lessico tradizionale in modo originale e spesso autonomo:
(10) juissa «discesa, discesa con gli sci» (letteralmente «giù + suffisso femminile -issa») ← jì ju «scendere»
(11) roda da mont «mountain bike» (letteralmente «ruota da alpeggio»)
(12) soricia «topo» → «mouse (del computer)».
Lo spazio linguistico della Ladinia è suddiviso fra tre varietà riconosciute socialmente e istituzionalmente come lingue – italiano, tedesco e ladino – distribuite in modo ineguale sul territorio e articolate, in quantità differenti a seconda delle zone, in sottovarietà – dialetti germanici del Tirolo e romanzi alpini del Veneto e del Trentino – talora anche piuttosto differenziate rispetto alla propria lingua tetto (➔ bilinguismo e diglossia). A questa varietà e a questa ricchezza linguistica le popolazioni delle valli legano in maniera assai stretta i propri sentimenti di identità e di alterità rispetto ai vicini.
Il plurilinguismo della popolazione è dunque, nel suo complesso, molto alto: un abitante dalla Val Badia ad es. può avere buona competenza parlata almeno del suo dialetto ladino, dell’italiano standard regionale, di almeno un dialetto germanico di tipo bavarese e, in misura minore, del tedesco (Hochdeutsch), mentre la sua competenza scritta si estenderà all’italiano standard, al tedesco, e in parte al ladino di valle. In tale situazione, le diverse varietà linguistiche sono portatrici di forti segnali simbolici di identità personale e di gruppo: all’interno della comunità ladina, il senso di appartenenza a una comunità distinta da quelle germaniche a nord e da quelle (ugualmente) romanze a sud e a est è molto forte, tale da sovrastare le pur vivaci rivalità (linguistiche, politiche e culturali) fra le diverse valli. La condizione di plurilinguismo dell’area è parte integrante del vissuto sociale e identitario della popolazione, che risulta quindi particolarmente legato alla differenza linguistica e ai molteplici codici (e ai rapporti fra i codici stessi) a disposizione dei parlanti (cfr. fig. 2).
E, come in ogni comunità plurilingue, ogni codice ha le sue funzioni e viene usato in ambiti e situazioni comunicative diversi. In generale negli ambiti informali (famiglia, amici, comunità) il ladino, nelle sue varianti locali, è la lingua dominante, quasi esclusiva, con eccezioni ai margini dell’area dolomitica in cui l’italiano o i dialetti sudtirolesi vengono ad aggiungersi al ladino. Con l’aumento della formalità (nei rapporti con le istituzioni, con la scuola, nei media, nella lettura e nella scrittura), al ladino si affiancano l’italiano e, in Alto Adige, il tedesco. I dialetti tirolesi germanici e quelli romanzi veneto-trentini – questi ultimi in forte calo – fungono principalmente da codici per la comunicazione informale non familiare e al di fuori della comunità locale e per i rapporti, anche quotidiani, con le popolazioni dei villaggi limitrofi non ladinofoni. In particolare possiamo definire la situazione sociolinguistica della Valle Badia e dell’Alta Gardena come una realtà in cui il ladino – nelle varianti locali orali e in forma scritta – è usato in tutti gli ambiti, l’italiano e il tedesco solo in quelli più formali, principalmente scritti, e i dialetti tirolesi appaiono solo come varietà intermedie.
Sempre quattro codici si dividono gli ambiti comunicativi del resto della Gardena, ma in situazione di diglossia, cioè il ladino ha pochissimo spazio nelle situazioni formali, riservate al tedesco ed eventualmente all’italiano; mentre i dialetti tirolesi, molto vivi nella vita quotidiana di Ortisei, a Santa Cristina non servono che per la comunicazione fuori della comunità. Le località più turistiche della Ladinia Trentina (Moena e Canazei) e Veneta (Cortina d’Ampezzo) presentano una situazione di dilalia, in cui l’italiano è lingua d’uso quotidiano in tutti gli ambiti alti, affiancato dal ladino solo in quelli informali. Nei restanti villaggi un’equilibrata diglossia vede l’italiano come quasi unica lingua formale e scritta e il ladino come quasi unica lingua per gli usi informali e orali (Dell’Aquila & Iannaccaro 2006).
Il ladino, lingua centrale dell’identità ladina, pur avendo, come si è visto, un ruolo istituzionalmente e socialmente riconosciuto, con presenza nella scuola, gode di una vitalità indubbiamente inferiore rispetto alle due grandi lingue di cultura europea con cui viene in contatto, l’italiano e il tedesco. Il suo grado di vitalità e di rischio possono essere delineati, su una scala da 0 a 5, secondo i parametri di riferimento proposti dall’Unesco.
Il primo di questi parametri consiste nel valutare il livello di trasmissione della lingua da una generazione all’altra e, nel caso del ladino, è al livello 5, che corrisponde a un uso della lingua in tutte le fasce d’età a partire dai bambini. In relazione alla proporzione di parlanti sul totale della popolazione di riferimento, si registra il livello 4: quasi tutti parlano la lingua. La tendenza dell’uso della lingua è valutabile al livello 4, indicativo della presenza e dell’uso di due o più lingue in diversi ambiti e funzioni. La diffusione della lingua in quelli che vengono considerati ambiti recenti (scuola, nuovi media, soprattutto Internet, radio e tv) corrisponde a un grado 4: il ladino è presente nella maggior parte dei contesti più attuali. La reperibilità di materiale scritto, condizione essenziale per l’uso della lingua in ambito istituzionale ed educativo, è valutabile con un grado 5, corrispondente all’esistenza di un’ortografia, di una tradizione letteraria con grammatiche, dizionari, testi, letteratura e media quotidiani.
Il mantenimento, la promozione o l’abbandono di una lingua sono determinate anche e soprattutto dalla cultura linguistica dominante, sia essa a livello regionale e/o nazionale. Il ladino, sotto questo aspetto, vive una situazione disomogenea, sintetizzata nel complesso da un buon livello, corrispondente al grado 4, in cui la lingua di minoranza è protetta principalmente come lingua degli ambiti privati, mentre la lingua dominante prevale nell’ambito pubblico. L’atteggiamento dei membri della comunità nei confronti della propria lingua è altrettanto incisivo sul suo stato di salute, che, nel nostro caso, viene testimoniato da un sostegno attribuito dalla maggior parte della comunità, corrispondente ancora al grado 5. Per determinare il livello di urgenza per il quale è necessario intervenire nella documentazione di una lingua, è necessario individuare la tipologia e la qualità dei materiali inerenti a essa, soprattutto testi scritti, trascrizioni, traduzioni e riscritture di registrazioni audiovisive: il ladino, in questo caso, è al livello 3, corrispondente alla presenza di una grammatica adeguata o a sufficiente quantità di grammatiche, dizionari e testi, ma non ad altrettanto sufficienti media giornalieri; le registrazioni audio e video esistono in quantità oscillabili o con diversi gradi di annotazione.
Agli albori della letteratura ladina si trovano le leggende delle Dolomiti e cioè les lijendes, un cospicuo patrimonio di tradizioni orali, costituito da fiabe, canti, detti popolari. La prima raccolta delle lijendes fu redatta in tedesco, da Karl Felix Wolff (1943), che riprese numerosi frammenti narrativi, tramandati oralmente, rimaneggiandoli secondo il gusto tardoromantico. Questa antologia ha consentito la riappropriazione di una cultura popolare, diversamente destinata all’oblio, che manifesta sempre un profondo legame con la natura (Kindl 1993).
Tra quanti hanno contribuito a raccogliere il patrimonio culturale orale, vanno ricordati anche don Giosef Brunel de Zepon (1826-1892), Hugo De Rossi (1875-1940) e Jan Batista (Tita) Alton (1845-1900).
Una produzione letteraria ladina, intesa in un senso quasi classico, ebbe inizio con Angelo Trebo (1862-1888), autore di poesie e opere teatrali e, per la prosa, con Franz Moroder, che nel 1911 pubblicò due esercizi di giochi lessicali. I testi più significativi della letteratura ladina moderna sono raccolti e tradotti nell’antologia della lirica ladina dolomitica curata da Walter Belardi (2003). Da circa un decennio sta maturando una nuova generazione di prosa, poesia e teatro di autori – interpreti sensibili e acuti della realtà ladina odierna – quali Roland Verra, Rut Bernardi, Stefen Dell’Antonio Monech, Roberta Dapunt, Iaco Rigo, Mateo Taibon, Marco Dibona, Daria Valentin e Claus Soraperra (Verra & Rabanser 1997).
La prima grammatica ladina è quella inedita di Ujep Insam, il cui manoscritto del 1807 è stato trovato a Cracovia nel 2009: Versuch zu einer Grammatik der Grödner Mundart – Per na Gramatica döl Lading de Gerdöna (cfr. Videsott 2009). Nel 1833 Nikolaus Bacher, conosciuto come Micurà de Rü, e al quale è dedicato l’Istituto Culturale Ladino di San Martino in Val Badia (San Martin de Tor), compose una grammatica, pubblicata solo nel 1995, con l’intento di creare una lingua di scrittura comune per le varietà sellane. Una grammatica del gardenese fu redatta nel 1864 da Ujep Anton Vian, parroco fassano di Ortisei (Urtijëi). Il primo vocabolario fassano-tedesco fu compilato a cura di Hugo de Rossi nel 1914. Tra gli anni Venti e Trenta del Novecento furono edite grammatiche e vocabolari dell’ampezzano, a cura di Bruno Apollonio e Angelo Majoni, e del gardenese, a cura di Arcangiul Lardschneider.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il rivivificato spirito identitario indusse a ulteriori azioni di promozione della lingua che si concretizzarono nella pubblicazione di varie testate e nella fondazione delle Union di Ladins di vallata, della Union Generela di Ladins dles Dolomites e di altre associazioni culturali a sostegno della cultura ladina. Negli anni Sessanta del Novecento, lo studio scientifico della lingua subì un’ulteriore spinta in avanti grazie alla pubblicazione dei vocabolari del fassano a cura di don Massimiliano Mazzel, del badiotto a cura di don Antone Pizzinini e Guntram A. Plangg, del livinallese a cura di don Adalberto Pellegrini, che scrisse anche la grammatica di quella varietà. Seguono la grammatica della Val Gardena di Amalia Obletter, quella della Val Badia a cura di Tone Gasser e quella fassana di Nadia Chiocchetti e Vigilio Iori, oltre a vocabolari più ricchi e moderni dei precedenti, base questi ultimi delle forme di ladino ufficiali nelle valli Gardena, Badia e Fassa.
Nel 1988, gli istituti ladini Majon di Fascegn e Micurà de Rü affidarono al romanista zurighese Heinrich Schmid la redazione dei criteri per la creazione di una koinè scritta, per rimediare in qualche modo agli svantaggi derivanti dalla mancanza di una lingua di scrittura intervalliva comune. Schmid propose per il ladin dolomitan (nome della grafia unitaria che si andava designando) una grafia polinomica, ovvero un sistema di scrittura che si basa sul numero più alto possibile di varietà locali e che ne ammette sempre tutte le realizzazioni orali. Negli anni seguenti il Servisc de planificazion y elaborazion dl lingaz ladin (SPELL) ha elaborato la Gramatica dl ladin standard uscita nel 2001 e il Dizionar dl ladin standard (DLS) apparso l’anno seguente. Tutto il patrimonio lessicografico ladino è oggi informatizzato e accessibile via Internet su http://blad.tall.smallcodes.org/.
Alinei, Mario (1996-2000), Origini delle lingue d’Europa, Bologna, il Mulino, 2 voll. (vol. 1º, La teoria della continuità; vol. 2º Continuità dal Mesolitico all’età del Ferro nelle principali aree etnolinguistiche).
Belardi, Walter (20032), Breve storia della lingua e della letteratura ladina, San Martino in Badia, Istitut ladin ‘Micurà de Rü’ (1a ed. 1996).
Craffonara, Lois (1986), Die Dolomitenladiner. I ladini delle Dolomiti, San Martino in Badia, Istitut Ladin ‘Micurà de Rü’.
Dell’Aquila, Vittorio & Iannaccaro, Gabriele (2006), Survey Ladins. Usi linguistici nelle valli ladine, Trento, Regione Autonoma Trentino - Alto Adige.
Kindl, Ulrike (1993), Le Dolomiti nella leggenda, Bolzano, FK.
Richebuono, Giuseppe (1992), Breve storia dei ladini dolomitici, San Martin de Tor, Istitut cultural ladin ‘Micurà de Rü’.
Verra, Roland & Rabanser, Hans (1997), Ladinia. Cinque valli nelle Dolomiti, Bolzano, Athesia.
Videsott, Paul (2009), Na (re)descorida emportanta per la storia dl ladin: la pruma gramatica ladina, «La Usc di Ladins», 38, pp. 6-7.
Wolff, Karl F. (1943), Dolomiten-Sagen. Sagen und Überlieferungen, Märchen und Erzählungen der ladinischen und deutschen Dolomitenbewohner, Bolzano, Ferrari-Auer.