serbocroata, comunità
Le comunità serbocroate molisane (o slavomolisane), tutelate dalla legge 482/1999 come minoranza linguistica (➔ minoranze linguistiche; ➔ legislazione linguistica), risiedono in tre comuni della provincia di Campobasso: Acquaviva Collecroce (Kruč; 800 abitanti), Montemitro (Mundimitar; 468 abitanti) e San Felice del Molise (Filič; 813 abitanti; fig. 1). Tutti e tre i comuni, soprattutto a partire da metà Novecento, hanno subito una forte riduzione della popolazione, con conseguenze sul numero dei parlanti della lingua locale.
Preesistenti all’arrivo degli slavi ma con presenze slavofone sin dal 1200, le tre comunità sono ciò che rimane dei numerosi insediamenti slavi nell’area adriatica documentati dalla fine del XII secolo, alcuni dei quali anche in altre zone del Molise fino a metà Ottocento (Rešetar 1997: 31-43). Sulla base dei dati linguistici, tuttavia, Rešetar sostiene che le attuali comunità slavofone provengono dall’area del fiume Neretva, in Bosnia Erzegovina (dopo un probabile passaggio anche in territori croati della Dalmazia), non prima del XVI secolo.
Le parlate slave molisane, pur contenendo qualche elemento lessicale del gruppo čakavo, sono riconducibili ai dialetti serbocroati del gruppo štokavo-ikavo. I parlanti le hanno a lungo chiamate semplicemente na-našu («nella nostra [lingua]») o naš jezik («la nostra lingua»), ma oggi le definiscono piuttosto zlav «slavo». Gli studiosi preferiscono parlare di slavomolisano (o anche slavisano; Breu & Piccoli 2000), e non più di croato molisano, per via della complessa situazione dialettale serbocroata che non permette di identificare univocamente lo slavo del Molise come un dialetto semplicemente croato.
I tre comuni hanno mantenuto a lungo una forte identità linguistica (che si è in parte indebolita con l’aumento dei contatti con le zone limitrofe e soprattutto in seguito alle migrazioni dell’ultimo secolo), benché la consapevolezza dell’origine slava si sia sviluppata solo nella seconda metà dell’Ottocento, come effetto delle prime visite di studiosi. Solo in epoca recente si sono avuti contatti istituzionali con la Croazia, con visite ufficiali, invio di docenti croati, istituzione di borse di studio in Croazia e, dal 2004, l’insediamento di un consolato onorario croato.
I primi studi sulle comunità slavomolisane risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Tra questi Rešetar 1997, che contiene tutta la bibliografia precedente e testi raccolti anche da altri studiosi, rappresenta a tutt’oggi la più completa monografia sull’argomento. L’interesse si è rinnovato verso la metà del Novecento: singoli, associazioni culturali e istituzioni hanno proposto attività di tutela e promozione della lingua e della cultura locale (con riviste bilingui, corsi della varietà locale e di croato standard, concorsi di scrittura, riscoperta di tradizioni) e diversi studiosi hanno realizzato nuove ricerche etnografiche (Cirese 1953), storico-sociali (Neri 1987) e, soprattutto negli ultimi decenni, linguistiche. Per lo slavomolisano ci sono oggi opere di consultazione (per es., Breu & Piccoli 2000; Piccoli & Sammartino 2000; Sammartino 2004) e parziali descrizioni linguistiche e sociolinguistiche. Mancano invece ancora strumenti per la didattica.
I tre comuni presentano alcune specificità linguistiche. Oltre a ovvie differenze nel lessico, sono interessanti fenomeni di lunghezza e accentazione vocalica, che rendono le marche di caso nella parlata di Montemitro più percepibili rispetto a quelle delle altre due località (Breu & Piccoli 2000: 387-388). Pur avendo conservato molte caratteristiche delle lingue del territorio d’origine, lo slavomolisano si caratterizza per modificazioni dovute in parte al contatto con le varietà romanze (dialetti molisani e italiano). Il lessico è il livello con maggior numero di interferenze ed è ricco di prestiti, per lo più del tutto integrati.
La classe dei nomi ha mantenuto una ricca flessione, anche se i paradigmi originari si sono trasformati e in parte semplificati: in seguito alla perdita del ➔ neutro (conservato solo marginalmente; Breu 2004) i nomi si distribuiscono secondo due soli generi (maschile e femminile) e la loro flessione presenta solo cinque forme di caso (nominativo, genitivo, dativo, accusativo e strumentale). La scomparsa del locativo ha prodotto la ridistribuzione delle sue funzioni sintattiche: l’accusativo, per es., oltre a segnalare il moto a luogo, è usato anche per lo stato. Lo strumentale e, parzialmente, il genitivo devono essere introdotti da preposizioni, anche per le funzioni primarie: do brata «del fratello» oltre che brata, s nožem «con il coltello» e mai nožem (Breu 2003; Marra 2009). Peculiare è la formazione di un articolo indeterminativo, sviluppato per interferenza delle varietà romanze, grazie anche alla presenza del numerale slavo jena (Breu 2005a): na medik «un medico».
Il sistema verbale ha solo tre forme semplici (presente, imperfetto e imperativo). Le forme composte si realizzano con diversi ausiliari: bi (forma del verbo essere) per il condizionale, bit «essere» per il passato composto perfetto e piuccheperfetto, jimat «avere/dovere» e tit «volere» per il futuro indicativo. Per quest’ultimo, le due perifrasi hanno anche valore modale. La forma con jimat, oggi assente in area balcanica, è probabilmente dovuta ai dialetti romanzi meridionali, nei quali la struttura avere + infinito è usata per indicare il futuro (d’obbligo e necessità) in mancanza di una forma sintetica (Marra 2005).
Al contatto romanzo sono dovute anche la conservazione dell’imperfetto indicativo e la perdita dell’aoristo, distintive rispetto alle altre lingue slave. Il sistema verbale, inoltre, conserva l’opposizione d’aspetto, le cui coppie sono formate attraverso prefissazione (krest imperfettivo / ukrest perfettivo «rubare»), suffissazione dell’elemento radicale (dat imperfettivo / davat perfettivo «dare»), oppure con elementi suppletivi (mečat imperfettivo / vrč perfettivo «mettere»; Breu 2007).
I tre comuni si differenziano notevolmente per repertorio linguistico, sia per il numero delle varietà che li costituiscono sia per le dinamiche tra queste esistenti (➔ bilinguismo e diglossia). Ad Acquaviva si ha un diffuso trilinguismo varietà locale / dialetto molisano / italiano, con l’italiano, qui come negli altri due comuni, come codice alto che, negli ultimi decenni, ha invaso anche i domini dei codici bassi. A Montemitro, invece, le varietà utilizzate sono essenzialmente lo slavo e l’italiano, anche se il dialetto molisano è generalmente compreso (ma solo marginalmente utilizzato); qui si ha ancora una condizione di diglossia, e la tenuta della varietà locale è alta anche nelle generazioni più giovani. A San Felice, al contrario, è diffusissimo l’uso del dialetto romanzo e dell’italiano in tutti i contesti; gli slavofoni sono pochi, per lo più adulti e soprattutto anziani, in quanto dagli anni Cinquanta del XX secolo (che videro una forte immigrazione dalle aree circostanti) le lingue materne più diffuse sono le varietà romanze.
Secondo i parametri UNESCO, lo slavo molisano si colloca tra le lingue minacciate di estinzione per il modesto numero di parlanti e per la ridotta trasmissione intergenerazionale in due dei tre comuni (Marra 2007). Il riconoscimento ufficiale della varietà locale e gli interventi per la sua diffusione nei mezzi di comunicazione e nella scuola, pur avendo prodotto maggiore sensibilità ai problemi di tutela e mantenimento e migliorato, anche tra i giovanissimi, l’atteggiamento nei suoi confronti, non ne hanno accresciuto l’effettivo uso. L’impiego rimane limitato, in tutti e tre i comuni, ai domini informali e, anche in questi contesti, non è ampiamente diffuso tra le giovani generazioni di Acquaviva (per le quali sta crescendo il ruolo del dialetto molisano e dell’italiano) né tra gli anziani di San Felice.
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