slovena, comunità
L’area abitata dagli slavi alpini, un tempo più estesa verso ovest, è attualmente ristretta alla fascia di confine con la Slovenia, nella parte orientale del Friuli-Venezia Giulia (fig. 1). La colonizzazione degli attuali territori slovenofoni in Italia avvenne tra la fine del VI e gli inizi del VII secolo, epoca in cui una parte delle popolazioni slave si allontanò dalla zona di insediamento originaria (grosso modo, la zona carpatica) dirigendosi verso sud-ovest, nell’area compresa tra le Alpi e i Balcani (➔ minoranze linguistiche).
Va fatta una sostanziale distinzione tra le minoranze della provincia di Udine (a parte il caso della Val Canale) da un lato e quelle di Gorizia e Trieste dall’altro. Fin dal XV secolo, con l’instaurarsi del dominio della Serenissima, le zone slovenofone del Friuli hanno sempre condiviso la storia di questa regione, mentre le province di Trieste e Gorizia hanno condiviso per secoli il destino degli sloveni d’Oltralpe. Questa diversità si è riflessa anche sul diverso status delle minoranze slovene: quelle del Friuli mostrano un senso di appartenenza all’area culturale slovena meno sviluppato, e solo di recente (1999) sono state riconosciute come minoranze linguistiche. La consistenza demografica complessiva della minoranza slovenofona è attualmente stimabile in poco più di 60.000 persone (Toso 2008: 81).
Appartengono alla provincia di Udine le comunità della Val Resia, delle Valli del Torre e del Natisone (che costituiscono il territorio della cosiddetta Benecia), nonché, separate da queste, più ad ovest, le comunità della Val Canale. Fatta eccezione per quelli della Val Canale (§ 2.5), si tratta di dialetti parlati sul versante occidentale delle Alpi Giulie, per la maggior parte circondati dall’area linguistica romanza, a contatto con la quale hanno vissuto per secoli. Fin dal 1420, in seguito alla caduta del Patriarcato di Aquileia, questi territori entrarono a far parte della Repubblica di Venezia, condividendo da quel momento le vicende storiche del Friuli: alla caduta della Serenissima, dopo le guerre napoleoniche e mezzo secolo di dominazione austriaca (1814-1866), divennero parte dello Stato italiano. Sia dal punto di vista economico che linguistico-culturale, questi territori non facevano quindi riferimento all’area slovena, bensì a quella romanza. Per la precisione, fino al 1866, il friulano era l’unica lingua in contatto con i dialetti sloveni del Friuli. Il dialetto veneziano era diffuso soprattutto tra la popolazione urbana e occupava una posizione marginale. Dopo l’unione all’Italia, l’influenza dell’italiano, accanto al friulano, divenne evidente, soprattutto nei settori del lessico politico-amministrativo e tecnico. Solo dopo la seconda guerra mondiale però l’italiano comincia a svolgere un ruolo importante, entrando in concorrenza con il friulano e sostituendolo gradualmente. Per le suddette ragioni storiche, anche se hanno mantenuto il proprio dialetto e molte delle proprie abitudini e tradizioni, gli sloveni del Friuli non hanno però sviluppato quel senso di appartenenza all’area culturale e linguistica slovena che contraddistingue invece Trieste e Gorizia e, in minor grado, la Val Canale.
Le principali caratteristiche comuni dei dialetti sloveni del Friuli, e le peculiarità linguistiche che li contraddistinguono dallo sloveno standard, sono in genere il risultato di fenomeni di interferenza romanza (dall’italiano o dal friulano) quali:
(a) la regressione (e la perdita) del neutro, con assunzione di desinenze del maschile o del femminile a seconda del genere della corrispondente parola italiana: per es., nomin. plur. jabulke (< jabulku «mela»), jajce (< jajcë «uovo»), jëzaravi (< jëzaru «lago»); nomin. sing. miesta (in luogo di miesto «città»), brda (in luogo di brdo «montagna»);
(b) la conservazione dell’imperfetto (in resiano), a differenza dello sloveno standard e della maggior parte delle lingue slave;
(c) la possibilità per i ➔ clitici di occupare il primo posto nella frase (con perdita della cosiddetta legge di Wackernagel): per es., sa diwa muko «si mette la farina», ga ublikla? «lo ha indossato?», mu je poviedala «gli ha detto», se parbliža an zahleda «si avvicina e vede»;
(d) il fenomeno della ripresa pronominale dell’oggetto: per es., mlë to mi plaža «a me mi piace», mene me na nič intereša «a me non mi interessa affatto», ecc.
Per quanto riguarda il rapporto fra i codici a disposizione della comunità, nei dialetti della Val Resia, del Torre e del Natisone si ha una situazione di sostanziale diglossia piuttosto che bilinguismo (➔ bilinguismo e diglossia). Di bilinguismo si può semmai parlare per le Valli del Natisone, dove la situazione sociolinguistica è più simile a quella delle aree di Trieste e Gorizia e dove lo sloveno standard gioca un ruolo importante. L’applicazione della legge 23 febbraio 2001 n. 38 «Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena del Friuli Venezia Giulia» (➔ legislazione linguistica), che venne a colmare una lacuna legislativa riguardante proprio l’area in questione, potrebbe col tempo portare a una situazione di bilinguismo in tutte le aree slovenofone del Friuli, omogenea a quella della Venezia Giulia. Oltre alla diglossia, per la quale italiano e dialetto sloveno hanno utilizzazione complementare, bisogna tenere presente che in tutte e tre queste aree è usato anche il friulano. Nelle tre aree inoltre non solo si tramanda una ricca tradizione popolare (canti, racconti, ecc.), ma attualmente si registra anche una ricca produzione letteraria in vernacolo, soprattutto in versi (come le poesie di R. Quaglia e S. Paletti in Resia, di G. Cerno per il Torre, di M. Cernetig per il Natisone, ecc.).
Il dialetto (denominato in sloveno rezijansko) è parlato in Val Resia, una piccola valle che si estende dalle falde del massiccio montuoso di Canin, che divide l’Italia dalla Slovenia, fino al paese friulano di Resiutta, non lontano dal grosso centro abitato di Moggio Udinese.
Il resiano si è conservato meglio degli altri dialetti sloveni del Friuli. Ciò si spiega bene con le caratteristiche orografiche di questa piccola e stretta valle, circondata per tre lati da montagne impervie, con un’unica apertura sul lato occidentale, verso la pianura friulana. Per queste ragioni, il resiano non solo è entrato poco in contatto con l’area linguistica romanza, ma si è sviluppato in condizioni di sostanziale isolamento anche rispetto alla lingua slovena, conservando numerosi tratti arcaici che contraddistinguono questo dialetto all’interno dell’area linguistica slovena (e slava in generale) e che costituiscono il motivo principale dell’ininterrotto interesse di cui esso è stato oggetto tra gli slavisti ormai da circa due secoli (Benacchio 2002: 20-24).
Il resiano è stato molto studiato anche di recente, soprattutto in funzione di una sua normalizzazione secondo un canone standard in grado di favorirne l’uso scritto e quindi la conservazione (Steenwijk 1992; 1994; 1995; ➔ pianificazione linguistica). Dal 2005 contribuisce alla diffusione della norma linguistica anche la rivista «Näš glas» («La nostra voce»). La norma ortografica ha consentito anche l’adozione di segnaletica toponomastica bilingue (in italiano e in resiano).
La valle è pressoché interamente abitata da popolazione autoctona (circa 1100 persone), di cui però solo la componente anziana parla correntemente il resiano. Anche tra le generazioni più giovani, comunque, si registra un rinato interesse per la parlata locale. Sebbene in misura limitata, l’insegnamento del resiano viene impartito anche nelle scuole. L’UNESCO Atlas of the World’s Languages in Danger (2009) assegna al resiano l’indice 3 («in pericolo»).
Il dialetto (in sloveno tersko) è parlato nella valle superiore del fiume Torre (Ter), nonché in altre piccole valli attraversate dai suoi affluenti. Verso nord e verso est quest’isola linguistica è in contatto rispettivamente con le parlate della Resia e del Natisone. A ovest e a sud invece esso confina con l’area linguistica romanza. La popolazione slovena (circa 2000 persone) è concentrata nelle zone montuose.
Il dialetto è in una situazione decisamente più critica rispetto al resiano. Non mostra gli stessi segnali di ripresa, anche se recentemente sono uscite alcune pubblicazioni (soprattutto destinate all’uso liturgico) nella parlata locale. Anche qui si tenta di salvaguardare il dialetto tramite l’insegnamento, ma in misura ridotta rispetto a quanto avviene in Resia. Tale situazione critica, tradotta nei parametri UNESCO, potrebbe corrispondere a un indice di rischio 2 («seriamente in pericolo»), che contrassegna lingue usate quasi esclusivamente dalle generazioni più anziane.
Il dialetto (in sloveno nadiško) è parlato nella valle attraversata dal fiume Natisone nonché nelle valli minori del bacino di questo fiume. Verso ovest esso confina con il dialetto del Torre, mentre a nord-est è in contatto col dialetto dell’Isonzo, ormai in Slovenia. Verso sud le valli del Natisone si aprono nella pianura friulana. Questo dialetto si differenzia dagli altri finora trattati per il fatto di essere stato in contatto diretto con i dialetti sloveni parlati sull’altro versante delle Alpi. Non a caso, esso ha conservato una minore quantità di tratti linguistici arcaici rispetto al dialetto del Torre e ancor meno rispetto al resiano e costituisce il dialetto sloveno del Friuli più vicino alla lingua slovena standard. Particolarmente forte è in questo territorio il senso di appartenenza alla comunità linguistica e culturale slovena, che non si discosta molto da quello diffuso tra gli sloveni di Trieste e Gorizia. Nella Valle del Natisone, per es., è attiva una scuola bilingue dove i bambini studiano lo sloveno standard, come a Trieste e Gorizia. A Cividale escono due giornali, «Novi Matajur» e «Dom», portavoce della popolazione slovena delle Valli del Natisone (e, più in generale, del Friuli), redatti parzialmente nel dialetto locale.
Sicuramente anche grazie alla presenza della scuola bilingue, il dialetto del Natisone (che è parlato da circa 7000 persone) è ben conservato anche tra le giovani generazioni e, tra tutti i dialetti del Friuli, è quello che teme meno il pericolo di estinzione. Tradotta nei parametri UNESCO, la situazione potrebbe riflettere un indice di rischio 4 («minacciato»).
Il dialetto (che appartiene al cosiddetto ziljsko) occupa un posto a sé tra le aree linguistiche slovene del Friuli. È parlato all’estremità nord-orientale della regione, nel tratto che collega Pontebba a Tarvisio, in una zona in cui lo sloveno è a contatto con l’italiano e il tedesco (oltre che col friulano). Il territorio, per secoli appartenuto all’Austria, entrò a far parte dell’Italia solo dopo la prima guerra mondiale. L’influsso dell’italiano (e del friulano) ha pertanto avuto qui un significato minore rispetto agli altri dialetti del Friuli.
Il dialetto è usato da una minoranza di persone, per lo più appartenenti alle generazioni più anziane. Tale situazione, altamente critica, tradotta nei parametri UNESCO, potrebbe corrispondere a un indice 2 («seriamente in pericolo») se non addirittura 1 («gravemente in pericolo»).
Nelle province di Gorizia e Trieste si parla sloveno nei territori del Collio e del Carso goriziano e triestino. Il dialetto del Collio (in sloveno briško) è parlato in un’area molto limitata nell’omonima regione che si estende solo in minima parte in Italia, nel Goriziano (la maggior parte del Collio fa oggi parte della Slovenia). Si tratta di un’area prevalentemente rurale dove l’uso del dialetto è molto più diffuso che quello dello sloveno standard.
L’area slovenofona principale della regione è costituita dalle zone rurali intorno a Gorizia (Gorica) e Trieste (Trst). Naturalmente, anche se in misura minore, la popolazione slovena è presente anche nei centri urbani. Per quanto riguarda Trieste, per es., secondo Toso (2008: 82), almeno il 10% della popolazione è slovena. Per l’omogeneità linguistica e storico-culturale che le caratterizzano, le minoranze di Trieste e Gorizia possono essere trattate assieme. Come è noto, infatti, Trieste e Gorizia, e lo stesso Collio, entrarono a far parte del Regno d’Italia solo dopo la prima guerra mondiale. Fino ad allora, a partire dal XV secolo, esse erano state sotto il dominio della casa degli Asburgo, condividendo il destino degli sloveni d’Oltralpe. La continuità storico-geografico-culturale del rapporto con la lingua standard è rimasta quindi ininterrotta per secoli. Non a caso, la popolazione slovena di Trieste e Gorizia percepisce e difende la propria appartenenza alla lingua e alla cultura slovena, e in queste province operano scuole e altri enti culturali (organizzazioni ricreative, sportive, teatrali, musicali, ecc.) sloveni. Tali istituzioni hanno una lunga e solida tradizione (assente nel Friuli) che risale ancora al periodo dell’amministrazione austro-ungarica. Entrate a far parte dell’Italia, soprattutto nel secondo dopoguerra con la fine del fascismo (che aveva perseguito una politica di assimilazione culturale e linguistica) le comunità slovene di Trieste e Gorizia, sostenute dalla stessa Slovenia, poterono riannodare i fili di questa tradizione e usufruire nuovamente di tali istituzioni culturali. Queste contribuirono sensibilmente da un lato a promuovere la crescita culturale e sociale della minoranza, dall’altro a diffondere il modello linguistico dello standard sloveno, favorendone l’uso didattico ed evitando così un impiego esclusivamente dialettale della lingua. Analoga funzione è svolta dai numerosi organi di stampa (per es., il quotidiano «Primorski dnevnik») e dalle trasmissioni radiofoniche della RAI (Toso 2008: 84).
In sloveno standard, infine, si esprimono gli autori letterari più affermati della zona, siano questi autori di prosa come B. Pahor, A. Rebula, F. Bevk o di poesia come M. Košuta, M. Kravos, A. Gradnik, per citare solo quelli già affermati.
Non va comunque dimenticato che anche in queste aree sono vivi i dialetti (per la precisione, il kraško e il notranjsko) e che anche qui esiste una produzione letteraria, soprattutto poetica, in vernacolo (per es., M. Mijot). Sempre in dialetto locale si tramanda anche qui una ricca tradizione popolare.
Il rilievo del dialetto rimane comunque scarso, soprattutto se comparato a quello rilevato nella provincia di Udine. A eccezione dell’area del Collio, che presenta diglossia fra italiano (standard) e varietà dialettale slovena, nelle province di Trieste e Gorizia è ormai maturata una situazione di sostanziale bilinguismo italiano-sloveno. Contemporaneamente, opera però sempre anche una condizione di diglossia, dovuta al fatto che l’italiano e lo sloveno standard vengono utilizzati in situazioni e con ruoli diversificati e complementari. Esiste cioè un’indubbia distribuzione non paritaria delle due lingue, testimoniata anche dal fatto che i fenomeni di interferenza vanno oggi quasi esclusivamente in una sola direzione, dall’italiano verso lo sloveno e non dallo sloveno all’italiano (Francescato & Ivašič 1978: 31-33). Usando le parole di Ž. Gruden, la situazione linguistica degli sloveni di Trieste «fluttua tra la politica linguistica dell’autorità, che spinge verso la diglossia e lo sforzo della minoranza, che tende ad assicurarsi il bilinguismo» (Gruden 1976-1977: 73). Non bisogna infine dimenticare la situazione di diglossia che si manifesta all’interno di ognuna delle due lingue, sloveno e italiano, quando accanto alla variante standard vengono anche utilizzati, in situazioni complementari, lo sloveno dialettale e il triestino. Nel complesso, lo sloveno della Venezia Giulia gode comunque di un grado di vitalità elevato.
Benacchio, Rosanna (2002), I dialetti sloveni del Friuli tra periferia e contatto, Udine, Società Filologica Friulana.
Francescato, Giuseppe & Ivašič, Marta (1978), La comunità slovena in Italia: aspetti di una situazione bilingue, «Quaderni per la promozione del bilinguismo» 21-22, pp. 1-38.
Gruden, Živa (1976-1977), Prispevek k spoznavanju jezikovne situacije tržaških Slovencev, «Jezik in slovstvo» 3, pp. 72-79.
Steenwijk, Han (1992), The Slovene dialect of Resia. San Giorgio, Amsterdam, Atlanta.
Steenwijk, Han (1994), Ortografia resiana. Tö jošt rozajanskë pïsanjë, Padova, CLEUP.
Steenwijk Han (1995), Piccolo dizionario ortografico resiano. Mali bisidnik za tö jošt rozajanskë pïsanjë, Padova, CLEUP.
Toso, Fiorenzo (2008), Le minoranze linguistiche in Italia, Bologna, il Mulino.