Con l'altre donne mia vista gabbate
. Sonetto della Vita Nuova (XIV 11-12), sullo schema ABBA, ABBA: CDE, EDC, presente, oltre che nella tradizione manoscritta della Vita Nuova, in altri codici, come Barberiniano lat. 3953, Marciano ital. IX 529, Escorialense E III 23, e accolto nella Giuntina del 1527. D. rimprovera a Beatrice il gabbo (l'avere, cioè, sorriso di lui, vedendolo trasfigurarsi in viso alla sua presenza), lasciando però in ombra lo spunto narrativo, svolto con tesa drammaticità nella prosa, per insistere sulla rappresentazione dello sconvolgimento che la bellezza di lei opera nel suo animo. La situazione, topica nella lirica e nel romanzo cortese, dell'umiliazione come suprema prova d'amore, è così ricondotta al suo etimo spirituale. Il tema, di ascendenza guinizzelliana (Lo vostro bel saluto), è ripreso attraverso la mediazione cavalcantiana; non nei vv. 1-7, dove prevale una patetica, effusa eloquenza, ma nei seguenti, dove è evocato l'assalto impetuoso di Amore che uccide o disperde ogni facoltà dell'animo, con la prosopopea degli spiriti sconfitti e frustrati, figura della cieca, ineluttabile potenza dell'amore-passione, non beatitudine, ma tormento e tensione angosciosa. Gl'interpreti hanno indicato puntuali riscontri con le rime di Guido: da Io non pensava a Deh spiriti miei a L'anima mia vilmente a Voi che per li occhi (interessante, in questo, la variante dei codici Escurialense e affini " campa figura nova en segnoria ", più vicina al v. 3 del sonetto dantesco), ecc.; ma più che i singoli riecheggiamenti colpisce la generale adesione al modello, evidente anche (e forse più) nella prosa. Questo e gli altri sonetti dei capitoli XIII-XVI rappresentano il momento cavalcantiano di D., che la Vita Nuova, in quanto storia anche di un'esperienza poetica e di stile, isola nettamente, prima di superarlo con lo ‛ stilo de la loda '; ma il superamento non escluderà una dialettica compresenza, un continuo raffronto. Sintomaticamente Onesto da Bologna nel sonetto Non so s'è per merzè che me ven meno, riecheggiava con intento parodistico parole e immagini cavalcantiane di questo (v. 14 " Vedrebbe in me d'Amor figura nova "; e con polemica pungente, " merzè, vo' che sognate i spirti sparti / e che n'avete stanco ogne om terreno ", vv. 7-8), insieme con un lemma tipico delle " nove rime " (" d'umiltà vestita ", v. 10). V. anche la voce TUTTI LI MIEI PENSER.
Bibl. - Barbi-Maggini, Rime 62 ss.; D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", Firenze 1961, 71-85; Dante's Lyric Poetry, a c, di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1963, II 79-81. Per Onesto, cfr. M. Marti, Con D. fra i poeti del suo tempo, Lecce 1965, 62-68.