concatenatio
. Così D. denomina il primo verso della seconda parte della stanza quando rimi con l'ultimo della prima, definendo questa combinazione quaedam ipsius stantiae concatenatio pulcra (VE II XIII 6). Analoga bellezza riconosce alla combinatio (il terminare la stanza con due versi a rima baciata), che si ritrova unitamente alla c. in tutte le sue canzoni, fuorché in Rime XXIV (con sola combinatio) e LXXXIII (c. soltanto). In VE II XIII 10, dopo aver ribadito la regola della perfetta uguaglianza del contesto di rime dei pedes, la estende anche ai versus (volte), avvertendo, però, che qui tale ordine può essere mutato propter concatenationem praenotatam e per la combinatio, che possono essere comprese nel sistema regolare delle volte o esserne escluse. Per la c. si ha il primo caso in Rime XIV, LVII, XCI, CII, il secondo, in LXXIX e LXXXIII.
La c. è in tutte le canzoni di D. (fuorché in XXIV), anche in quelle con sirma indivisa, come ad assecondare la mutazione melodica dell'eventuale accompagnamento musicale e a segnare l'inizio della seconda parte della stanza, collegandola, nel contempo, alla prima e ribadendo la continuità strofica pur nella variazione. L'uso della c. non è molto frequente nei provenzali (e nei loro seguaci toscani, nei quali è, in genere, assorbita nel sistema delle volte), eccezionale nei siciliani, assente dal Guinizzelli e dal Cavalcanti. Esaltandone la bellezza, D. erige, dunque, a canone l'uso proprio e quello prevalente di Cino, dei due poeti che il De vulgari Eloquentia presenta come quelli che dulcius subtiliusque poetati sunt (I X 4). Il Marigo ritiene che essa derivi dal verso che unisce la seconda mutazione alla volta della ballata; questo spiegherebbe la denominazione di cantio extensa assegnata alla canzone da Francesco da Barberino e da Antonio da Tempo; ma D. non accenna a ciò, forse perché la ballata è, a suo avviso, componimento di stile inferiore e la canzone si definisce, nei confronti di essa, proprio per l'assenza di responsorium (ritornello) e cioè di forme cantabili troppo scoperte. La sua preferenza per la c. e la combinatio va forse spiegata col fatto che sottolineano i due momenti essenziali della stanza, la divisione e la conclusione, cosa importante nella prospettiva metrica dantesca, perché l'affievolirsi dell'uso di accompagnare musicalmente la canzone e il suo gusto finissimo dell'eufonia poetica inducono D. a rivolgere la propria attenzione alla rima in quanto evidenzia l'organica struttura della stanza, la sua solida e ordinata architettura, la sua complessa armonia congiunta alla suavitas melodica o eufonica. E questo l'ideale presente in tutta l'arte della canzone delineata da VE II.
Bibl. - L. Biadene, Il collegamento delle due parti principali della stanza per mezzo della rima nella canzone it. dei secc. XIII e XIV, Roma 1901; F. D'Ovidio, La metrica della canzone secondo D., in Versificazione italiana e arte poetica medioevale, Milano 1910, 563-588; M. Pazzaglia, Il verso e l'arte della canzone nel De vulgari Eloquentia, Firenze 1967.