CONCEPIMENTO (lat. concipio "concepisco"; fr. conception; sp. concepción; ted. Empfängnis; ingl. conception)
Consiste nello stabilirsi della germinazione dell'ovulo fecondato; germinazione che va svolgendosi entro la matrice, iniziandosi così la gestazione.
I sintomi del concepimento sono assai incerti e si riferiscono a fenomeni nervosi riflessi per influsso endocrinico. Si verifica generalmente la cessazione dei mestrui. Per lo più solo con l'evolversi della gravidanza è possibile la diagnosi dell'avvenuto concepimento (v. gravidanza). Il concepimento è connesso e segue alla fecondazione (v. fecondazione) e quindi si tratta di fenomeno subordinato alla capacità di generare, la quale si stabilisce con l'avvento della pubertà e cioè verso il 14° anno e cessa con la menopausa, tra i 40 e i 50 anni circa. Eccezionalmente si ebbero concepimenti del 10° anno e oltre il 60°.
Anomalie e malattie varie dei genitali interni possono costituire impedimenti al concepimento. Difficile è lo stabilire l'epoca precisa del concepimento poiché non sempre questo coincide con la cessazione della mestruazione, né può desumersi dalla durata della gestazione, che generalmente nella donna è di circa 40 settimane.
Il giudizio sulla data del concepimento ha grande importanza medico-legale, poiché può essere causa di contestazioni sulla legittimità della prole in casi di ricerca della paternità, o di opposizione al diritto di successione di un figlio che si sospetti non concepito all'epoca dell'apertura della successione stessa, nonché nei casi di violenza carnale, o di reati contro il buon costume, in cui sorga questione sull'identificazione dell'epoca del reato e sull'attribuzione della seguita gestazione.
La donna che si trovi in stato di concepimento non è ulteriormente fecondabile, salvo le discusse eccezioni attinenti alla superfetazione e superfecondazione.
Bibl.: L. Borri, In questione di fecondabilità tardiva, Modena 1899; E. Alfieri, La sterilità nella donna secondo le moderne vedute, in Atti della Soc. italiana d'ostetricia e ginec. (XXII° congresso), Pavia 1923.
Etnologia e Folklore. - Alcuni popoli allo stato di natura, come gli aborigeni dell'Australia, ignari del processo fisiologico del concepimento, giudicano l'uomo estraneo o indifferente alla procreazione. Essi immaginano che il momento del concepimento sia quello in cui la donna avverte nel seno i primi fremiti, dovuti a uno spirito - chiamiamolo così, in mancanza di altra parola - che vi penetri dall'esterno: spirito-animale, spirito-pianta, spirito-frutto, ecc. Con il volger dei secoli, la primitiva idea non tramonta, ma si mostra come legge d'eccezione, attribuendosi ad alcuni esseri mitici la potenza di fecondare miracolosamente le donne, nubili o coniugate.
Nella Palestina si crede che una donna possa essere resa madre da un ginn o dallo spirito del defunto marito. A Nebk si additava, or non è molto, un uomo nato da una simile unione. In alcune parti d'Italia il volgo sconsiglia le unioni sessuali nella notte dell'Annunziazione (25 marzo), perché il nascituro sarebbe uno stregone o un lupomannaro, anche per la probabilità di venire alla luce nella notte in cui è venuto Gesù Bambino. In dipendenza di tale principio, che permane nelle tradizioni popolari, la sterilità è immaginata come un attributo della femmina e non del maschio. Si ricorre allora dal popolo a tante pratiche strane o superstiziose fondate sui supposti rapporti di simpatia fra gli organismi e su altri principî magici, e perciò credute atte a suscitare le virtù fecondative, giacché l'essere femminile, come la madre terra, non fa che ricettare e dare sviluppo al germe. Fra tali pratiche si trovano l'ingestione di semi, di radici, di frutti e di altri elementi vegetali e animali; il contatto con piante o con esseri ritenuti per natura tra i più fecondi del creato. Alcune donne, per il vivo desiderio di aver prole, si fanno prestare da un'amica, madre di più figli, la camicia, per indossarla nel momento della congiunzione carnale. Qualche cosa di analogo aveva luogo un tempo fra gli Eschimesi: essendo questi convinti della maggiore fecondità degli Europei delle zone temperate, si procuravano pezzi vecchi di suole delle scarpe dei viaggiatori per farli portare addosso alle loro donne. Di origine magica è l'idea che le impressioni esercitate sulla donna nel momento di congiungersi con l'uomo influiscano sulla vita del nascituro, e cioè sull'aspetto fisico e sui caratteri morali, e anche sul sesso. Così un tempo si appendevano o esponevano nella camera nuziale belle immagini, affinché la sposa le riproducesse, per via magica, nelle fattezze della sua creatura.
Alle pratiche positive, cioè atte a procurare o promuovere la gravidanza, fanno riscontro quelle negative, per impedirla nel suo momento iniziale, cioè nel concepimento. Le donne degli Arunta, nell'Australia, fuggono appena avvistano un turbine o nodo di vento; le fanciulle groenlandesi non osano affissare lo sguardo a lungo sulla luna. Queste e quelle temono che lo spirito del turbine (Borea nel mito classico impregnava le cavalle della Lusitania) o della luna le faccia divenire madri. Lo stesso timore prende l'animo delle giovinette, nella Bassa Bretagna. Le popolazioni dell'Umbria ritengono che basti spegnere un carbone appena una donna ha partorito, perché essa più non concepisca; e che basti riprenderlo ed esporlo alla luna o al sole, perché riacquisti la sua virtù. Altre dicono che, per impedire la concezione, occorre portare indosso, durante l'atto sessuale, un po' di mercurio e un brano di pelle di cervo, ovvero ingerire un po' di rasura di unghia di mulo, l'animale sterile per eccellenza.
Bibl.: E. S. Hartland, Primitive Paternity. The myth of supern. birth in relat. to the hist. of family, Londra 1908, I; J. Frazer, Les origines de la famille e du clan, trad. francese De Pange, Parigi 1922, p. 62 segg.; R. Corso, Das Geschlectsleben in Sitte, Brauch, Glauben u. Gewohnheitsrecht des italien. Volkes, Vienna - Nicotera 1914; P. Sébillot, Le folklore. Litt. orale et ethnogr. traditionnelle, Parigi 1913 (libro II, cap. 3°); Z. Zanetti, La medicina delle nostre donne, Città di Castello 1892, pp. 102-105.