conciliazione
conciliazióne s. f. – Superata un’accezione ristretta, nel nostro ordinamento – alla luce di esperienze comparate e di precise indicazioni date dalla CE (dir. 2008/52) –, l’accordo raggiunto a seguito sia dell’esito positivo del procedimento di mediazione come regolato dal d. lgs. 28/2010, quindi prima del processo, sia di attività endoprocessuale (per es. art. 185 c.p.c.). Nella dottrina e nella giurisprudenza antecedenti al d. lgs. 28/2010, i termini c. e conciliatore corrispondono, in sostanza, agli attuali mediazione e mediatore: la terminologia si è adeguata alle corrispondenti espressioni anglofone quali imposte dalla direttiva CE. In senso ampio, il termine descrive tutti quei mezzi che si ricollegano alle alternative disputes resolution, che sempre più si vanno diffondendo nei vari ordinamenti. Nel corso del processo di cognizione, su diritti disponibili, è sempre stata riconosciuta e favorita la possibilità che le parti superassero la lite mediante una c., accordo nella sostanza negoziale secondo la tesi prevalente, del quale si redige processo verbale, cui si riconosce efficacia di titolo esecutivo (cosiddetta mediazione di diritto comune). Regime particolare ha la c. nel diritto del lavoro (artt. 410 e seg. c.p.c.) a causa della peculiarità delle materie e dell’interesse alla tutela delle posizioni facenti capo il lavoratore. Ora, la c. viene ad assumere un ruolo nuovo e ben più pregnante nel sistema: non solo residuale mezzo di chiusura del processo pendente, ma centrale strumento di deflazione delle liti, che si pone prima del processo in quanto gli ordinamenti contemporanei sempre più acquistano consapevolezza del fatto che la tutela dei diritti, nelle società complesse, non può in ogni caso seguire il corso delle classiche vie giurisdizionali. Così su delega al governo (art. 60, l. 69/2009), il d. lgs. 28/2010, ha previsto il procedimento di mediazione (cosiddetta mediazione di diritto speciale). Alla stregua di detta normativa chiunque può accedere alla mediazione per giungere alla c. di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, dovendosi intendere in senso ampio tutte le situazioni escluse le controversie di diritto pubblico, ivi comprese anche quelle derivanti dalla responsabilità dello Stato per l’esercizio di poteri autoritativi. Ma non solo: in specifiche materie, per chi intende esercitare in giudizio un’azione si pone come condizione di procedibilità la necessità di esperire il procedimento di mediazione. Si discute della compatibilità costituzionale di tale onere. Il procedimento è caratterizzato dalla riservatezza, sia interna, ossia riferita agli incontri separati con le parti, in quanto ciò che viene detto dinnanzi al mediatore non può essere riferito all’altra parte, salvo diverso consenso; sia esterna, in quanto ciò che viene affermato non può essere palesato a terzi né può venire a nocumento delle parti. La domanda di mediazione si propone mediante deposito d’istanza presso un organismo deputato (infra), indicandosi oltre all’organismo richiesto, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa. Il procedimento si svolge senza particolarità di forme presso la sede dell’organismo di mediazione ‒ e il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole ‒ e deve avere una durata non superiore a quattro mesi a decorrere dal deposito della domanda. Tale termine non si computa ai fini dell’art. 2 della l. 89/2001. Quando necessario, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo, il giudice può desumere argomenti di prova nel processo. Se è raggiunto l’accordo, il mediatore forma processo verbale che ha efficacia di titolo esecutivo. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti previsti dall’art. 2643 c.c., per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, il notaio. L’accordo può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento, con funzione latamente inibitoria. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore potrà spontaneamente formulare una proposta di c., e comunque la dovrà formulare quando ne fanno richiesta comune le parti: se il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta; se la corrispondenza non è completa, se ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, con espressa motivazione. Tale profilo di commistione tra mediazione e processo è stato ampiamente criticato. Quando è esercitata un’azione di classe, la c. intervenuta dopo la scadenza del termine per l’adesione ha effetto anche nei confronti degli aderenti che vi abbiano espressamente consentito. Sul piano organizzativo, la dir. comunitaria imponeva che gli stati membri garantissero la qualità della medazione attraverso l’elaborazione di codici di condotta, il controllo della qualità dei servizi e la formazione dei mediatori. Premesso che la mediazione di diritto comune resta libera, in attuazione di detta direttiva per quella regolata dal d. lgs. 28/2010, il legislatore ha previsto che: a) la mediazione sia fornita da organismi che devono avere determinati requisiti, si devono munire di un regolamento approvato, e sono soggetti all’iscrizione in un albo tenuto dal Ministero della Giustizia; b) gli organismi si devono servire dell’opera di mediatori che abbiano conseguito requisiti specifici mediante corsi di formazione, organizzati da organismi di formazione autorizzati dal ministero (d. m. 180/2010). Anche nei rapporti tra consumatore e professionista le parti possono avviare procedure di composizione extragiudiziale al fine di comporre eventuali liti ai sensi dell’art. 141 del cosiddetto Codice del consumo. Una forma di mediazione, che si potrebbe definire impropria (in quanto si tratta di una autotutela ad accentuata garanzia di terzietà), è stata estesa alla materia tributaria, tradizionalmente recepita quale indisponibile, come regolata dal nuovo art. 17-bis del d. lgs. 546/1992, introdotto dall’art. 39, comma 9, d.l. 98/2011.