CONCILIO (fr. concile; sp. concilio; ted. Konzil; ingl. council)
È l'adunanza generale di una società, specialmente a scopo religioso. In quest'ultimo senso possono avvenire adunanze in diverse maniere e per opera di società diverse. A solenne manifestazione di culto ricorrono spesso e dappertutto, tanto più numerose quanto più estesa è la comunità che le celebra.
In Grecia, dove ogni città costituiva in certo qual modo una società politica insieme e religiosa, erano frequenti le riunioni civiche di carattere sacrale a tale scopo; ma oltre a queste si ebbero anche radunanze più vaste, aventi per oggetto il culto di un nume patrono di tutta una regione o della nazione intera (per es., quelle che si celebravano periodicamente in Olimpia per il culto di Zeus), adunanze che trascendevano i confini del piccolo stato in cui avevano luogo e comprendevano più stati - talora anche in guerra fra loro - i quali in epoche determinate, annuali o periodiche, accorrevano in gran folla (πανήγυρις) intorno al santuario comune, per tenervi in onore del dio, processioni, sacrifici, giuochi pubblici, rappresentazioni sacre e discorsi (detti appunto dall'occasione panegirici).
Concilia si dicevano le assemblee di popoli stranieri, e specialmente di confederazioni (concilia Etruscorum, Latinorum, Aetolorum); o del popolo romano, se i cittadini non erano regolarmente disposti per centurie o per tribù per il voto (equivaleva cioè a contio); o della sola plebe romana in contrapposto ai comitia dell'intero popolo (v. comizio); o delle riunioni di cittadini romani nei conciliabula del territorio; o dei membri dei collegi; o degli abitanti dei pagi, e simili. Nell'età imperiale concilium (anche commune) è l'assemblea dei notabili e dei deputati delle città e dei cantoni di una provincia, o di un conventus (più tardi anche di una diocesi, gruppo di provincie), per la celebrazione del culto dell'imperatore: espressione religiosa dell'appartenenza all'Impero e del lealismo verso il principe. Per es. il concilium della Hispania citerior avveniva a Tarraco, al tempio di Augusto fondato nel 15 d. C.; quello della Narbonense a Narbona (forse di origine repubblicana); quello delle tre Gallie all'ara presso Lione, dedicata nel 12 a. C. da Druso; quello della Germania all'ara Ubiorum del 9 a. C., ecc. Vi partecipavano Romani, Latini e peregrini, sotto la presidenza del sacerdote della provincia, eletto a turno dalle varie comunità; gli ex-sacerdoti formavano l'aristocrazia della provincia e poi un ordo. Nella riunione si trattavano anche questioni finanziarie, prima relative alla celebrazione del culto e dei ludi che v'erano collegati, e poi di ogni altro genere interessanti la provincia; e di qui si sviluppò il diritto di petizione all'imperatore, e di controllare e anche di accusare eventualmente i governatori. I concilî assunsero così una funzione molto importante nell'amministrazione dell'Impero come organo rappresentativo delle provincie, e dopo un periodo di decadenza nel sec. III, ripresero variamente rinnovati (specialmente in seguito alle riforme di Diocleziano e all'introduzione del cristianesimo, che abolì il culto imperiale e lasciò ai concilî solo la funzione politico-amministrativa) e durarono fin verso la fine del sec. V.
Da queste manifestazioni collettive della vita religiosa e sociale vanno distinte le assemblee generali di una comunità religiosa in stretto senso, di una chiesa, nate dal bisogno di una comune intesa per mantenere o anche ristabilire l'unità, minacciata o anche rotta da intime scissioni e diversità nella dottrina, nel culto e nel costume. Siffatte adunanze ricorrono frequenti nella storia del cristianesimo, dette sinodi (gr. σύν-οδος, cfr. con-ventus) o concilî (sul diverso significato delle due espressioni nel diritto canonico vigente, v. oltre).
Ma, sebbene assai più raramente, consimili istituzioni ricorrono ancora in chiese di altre religioni. Secondo la tradizione dei buddhisti di Ceylon, dopo la morte del Buddha, i suoi discepoli si radunarono nella città di Rājagṛha per fissare la tradizione del maestro in iscritto. Circa 100 anni più tardi fu tenuto un altro concilio a Vaisāli, per accomodare alcune divergenze nate tra i monaci sull'interpretazione della regola; pare però che la scissione si sia fatta ancora più grave, e ne siano nate sette diverse. A dir vero, sulla storicità di questi due primi concilî sono sorti dei dubbî; meglio accertato è invece il terzo concilio in Pătaliputra (oggi Patna) al tempo del re Aśoka (circa il 245 a. C.), in cui fu redatto il canone tripartito dei libri sacri, il cosiddetto Tripiṭaka; esso però fu un concilio del solo partito conservatore degli Sthāvira meridionali, e non anche dei settentrionali, i quali formarono il loro canone in un quarto concilio tenuto al tempo del re indoscita Kanishka a Jālandhara nel Panjāb, l'anno 78 o, secondo altri, 134 d. C.
Il giudaismo posteriore alla distruzione di Gerusalemme, nel 70 d. C., che aveva per base oltre la legge scritta anche la tradizione orale (Mishnā), nei casi di divergenza tra dottore e dottore, tra scuola e scuola, non conobbe altro mezzo di uscire dalla confusione che la decisione finale di un concilio, la quale però poteva essere riformata da un altro concilio superiore al primo per autorità e numero di membri. Il più antico è quello di Usha in Galilea, dove, dopo la fine della persecuzione di Adriano, i dottori giudei dietro l'invito dei discepoli di rabbi Aqībā, si radunarono per richiamare alla memoria e fissare le tradizioni cadute in dimenticanza per le sofferenze e lo sbandamento dei devoti della Legge.
Ma in nessuna religione l'istituto dei concilî ha avuto l'importanza e lo sviluppo che nel cristianesimo. Questo fin da principio ha riconosciuto come fonte della sua autorità e base della sua costituzione lo Spirito Santo procedente da Gesù glorioso in cielo. Organi dell'azione dello Spirito erano singole persone da lui medesimo a ciò elette, sia in via straordinaria (v. carisma) sia regolare e fissa (v. cattolica, chiesa); e centro di unità fra queste persone era lo Spirito stesso il quale coordinava le azioni distaccate dei suoi organi a un medesimo fine, e, quando si trattava di questioni interessanti l'intera comunità, le regolava per mezzo della comunità medesima radunata insieme, parlando per l'unanime bocca di tutti o per la bocca dei loro proposti. In tal guisa, secondo gli Atti, nella Chiesa primitiva si facevano le elezioni ai diversi uffici, per cui gli eletti venivano investiti dello Spirito Santo (I, 23; VI, 3; VIII, 14; XIII, 2 seg.); si decidevano le questioni che riguardavano le basi stesse del cristianesimo, come l'ammissione dei gentili nella Chiesa (XI, 2 segg.) e la non osservanza della legge mosaica (XV, 1-29, cfr. Galati, II, 1-10); si pronunziava la sentenza nei singoli giudizî, alla quale si attribuiva un valore divino (cfr. Matteo, XVIII, 17 seg.) e un'efficacia infallibile (V, 1-11; XXI, 17-26; cfr. I Corinzi, V, 3). Questi atti erano emanati o a nome di tutta la Chiesa, popolo e dirigenti (I, 23, cfr. 15 seg.; XI, 18; XV, 22, 23, dove probabilmente ἀπόστολοι καὶ οἱ πρεσβύτεροι è un'aggiunta), o a nome dei soli dirigenti, apostoli e presbiteri (V, 2 seg.; VIII, 14, dove Pietro e Giovanni fanno parte dei mandanti e sono insieme i mandati; XIII, 1-3; XXI, 18,20); ovvero si distingueva, per es. nelle elezioni, la parte propria del popolo - la scelta -, e la parte propria degli apostoli - l'immissione nell'ufficio (VI, 3).
Queste adunanze plenarie della Chiesa primitiva vanno considerate come preformazioni e modelli dei concilî propriamente detti; i quali sono adunanze non di una sola chiesa ma di un certo numero di chiese. Quando cioè una chiesa si sentiva incapace di provvedere da sé ai proprî bisogni, era naturale che ricorresse all'aiuto di altre, chiamando a far parte delle sue adunanze i loro rappresentanti e in ispecie i loro vescovi. Ciò avveniva soprattutto quando si trattava di dare a un vescovo morto il successore, che non sempre era facile trovare nel seno del clero locale, e, anche se veniva eletto dalla stessa chiesa interessata, doveva essere consacrato e perciò antecedentemente approvato dai vescovi delle chiese vicine (su questa distinzione, cfr. Atti, VI, 3); ovvero quando sulla legittimità di un vescovo erano sorti dei dubbî, e per questo si erano formati nella chiesa partiti contrarî. Un caso molto più grave era se un vescovo cadeva nell'eresia; allora la sua chiesa, rimasta ortodossa, non aveva altro mezzo di difendersi contro di lui che chiamando a giudicare i rappresentanti delle chiese vicine, come fecero i fedeli di Antiochia contro il loro vescovo Paolo di Samosata, che così fu condannato e deposto da tre grandi concilî antiocheni, tenuti tra il 264 e il 269. Infine la necessità di un concilio appariva allorché si voleva che il giudizio pronunziato riguardo a un membro di una chiesa fosse riconosciuto anche al di fuori di essa; per tal ragione Demetrio vescovo di Alessandria convocò un sinodo dei vescovi di tutto l'Egitto per dichiarare illegittima l'ordinazione ricevuta da Origene in Palestina, dove al contrario si tennero altri sinodi per confermarla.
I concilî, radunati per provvedere ai bisogni particolari di una chiesa, all'occasione si occupavano e prendevano decisioni riguardo agl'interessi di altre chiese; il più delle volte però, quando si trattava di una causa comune, direttamente erano convocati concilî a questo scopo in tutte le singole chiese che vi erano interessate. Tali furono quei sinodi che, secondo la testimonianza di Eusebio (Hist. Eccl., V, 23, 2 segg.), sotto papa Vittore I (189-198), si radunarono tanto in Oriente quanto in Occidente per esprimere il loro voto sulla questione dell'epoca in cui celebrare la Pasqua. Similmente in diversi luoghi dell'Asia si tennero concilî per giudicare intorno alla nuova profezia portata dai montanisti (Eusebio, Hist. Eccl., V, 16, 10); e in seguito, tutte le volte che un nuovo scisma o eresia minacciava di estendersi dal luogo di origine ad altre chiese, si cercava di mettervi un argine per mezzo di concilî della regione.
Fin dal principio del sec. III questi concilî non furono più come ancora al tempo di Vittore, adunanze di fedeli (πιστῶν, Eusebio, H. E., V, 6, 10) presiedute dal vescovo, ma di soli vescovi, l'autorità dei quali sulle singole comunità era diventata assoluta, onde da soli potevano rappresentarle e così tenere insieme un concilio generale in un sol luogo. Allora, anche se taluno dei loro sacerdoti li accompagnava al concilio, aveva voto soltanto consultivo, mentre la vera decisione era riserbata ai vescovi.
Sennonché, con l'estendersi della Chiesa, si estesero e complicarono le esigenze della sua vita sociale, che alle volte non riguardarono più soltanto questa o quella singola chiesa, ma tutto un gruppo appartenente a una data regione. Inoltre, anche per coordinare fra loro gli statuti dei singoli concilî locali, si sentì la necessità di adunanze più ampie, che, pur tenendo conto degli interessi particolari, li inquadrassero con quelli della vita cristiana di tutta una data regione. Frattanto si era affermata nelle diverse provincie l'autorità superiore del vescovo della metropoli, con il diritto, tra le altre ingerenze, di adunare i vescovi delle minori città, quando la necessità lo richiedeva, in un concilio generale. Così nacquero i concilî provinciali, i quali in alcune regioni cominciarono nel sec. III ad essere tenuti periodicamente una volta all'anno; quest'uso fu dipoi confermato e reso generale dal canone 5° del concilio di Nicea.
Intervenne poi nei concilî l'opera degl'imperatori. Costantino, che si credeva ordinato da Dio a episcopus externus della Chiesa, e per questo e anche per ragioni politiche aveva molto a cuore la sua unità, rimasto, dopo la vittoria su Massenzio, imperatore di Occidente, si affrettò a convocare un concilio di vescovi occidentali, prima a Roma nel 313 e poi ad Arles nel 314, per porre fine alla controversia donatista; e quando, divenuto imperatore assoluto, si avvide che l'eresia di Ario poneva in pericolo l'unità della Chiesa e dell'Impero, invitò nel 325 tutti i vescovi dell'Oriente e dell'Occidente a Nicea, città vicina alla sua residenza imperiale, dove si tenne il primo dei concilî ecumenici. Questi si chiamarono così, perché rappresentanti la Chiesa, non più di una sola provincia sibbene di tutto l'impero (ἡ οἰκουμένη, cfr. Luca, II, 1; v. W. Bauer, Griechisch-Deutsches Wörterbuch z. d. Schriften des N. T., col. 888), e anche perché nell'impero godevano di un valore propriamente giuridico.
Quanto poi al valore intrinseco, strettamente ecclesiastico, non si può dire che la differenza tra gli uni e gli altri fosse in origine di sostanza; solo consisteva in ciò che gli ecumenici rappresentavano la Chiesa più largamente dei provinciali, anch'essi però la rappresentavano parzialmente e non, come per lo più si crede, universalmente. Di fatti non vi erano chiamati i vescovi delle chiese - siano pur state poche - poste fuori dell'Impero; e, dentro i limiti di questo, l'Occidente non vi partecipò che in numero ristrettissimo, ed anzi al 1° concilio di Costantinopoli non fu invitato nemmeno. Solo a Sardica, città posta fra l'Oriente e l'Occidente e perciò facilmente accessibile a tutti, si recarono nel 343 dietro la convocazione degli imperatori Costante e Costanzo anche molti vescovi occidentali; ma il concilio si scisse in due, nessuno dei quali perciò poté dirsi ecumenico. Ma gli stessi orientali non si segnalavano per la frequenza: al 1° concilio di Costantinopoli intervennero solo 130 vescovi, e nel 4° soltanto sulla fine se ne poterono radunare 120. Sono note le tristi vicende del 2° concilio di Efeso (449), il quale, per gli arbitrî e le violenze di Dioscoro (v.), successore di Cirillo nel patriarcato di Alessandria, approvò l'eresia di Eutiche e condannò Flaviano patriarca ortodosso di Costantinopoli; epperò, sebbene approvato dall'imperatore Teodosio, fu condannato da Leone I e da lui chiamato un latrocinium (v. efeso: concilî di Efeso).
L'unità collegiale formata dai concilî ecumenici, lungi dunque dal costituire un centro stabile della Chiesa universale, avrebbe avuto essa stessa bisogno di essere sostenuta dall'unità personale di un capo. Il papa, la cui preminenza era riconosciuta tanto in Occidente quanto in Oriente, non intervenne mai personalmente ai concilî ecumenici, ma solo per mezzo dei suoi legati e non sempre efficacemente. Solo nel 553 il papa Vigilio si trovò presente a Costantinopoli mentre vi si celebrava il 5° concilio ecumenico; ma ricusò d'intervenirvi, e solo posteriomiente, cedendo alla volontà di Giustiniano, l'approvò non senza riserve.
Un'influenza decisiva ebbe l'opera del papa sul concilio di Calcedonia e sul 4° costantinopolitano; ma quello incontrò molte difficoltà per il suo riconoscimento, tanto che diede occasione a uno scisma fra gli orientali e gli occidentali che ebbe a durare circa 25 anni: e questo fu generalmente respinto in Oriente. Qui invero dominava la tendenza contraria, di opporre al primato papale di Roma quello del patriarca di Costinatinopoli; la quale porse occasione a varî dissidî con Roma sull'ammissione di alcuni canoni conciliari, che insieme a una serie di altre ragioni condussero poi alla rottura definitiva e allo scisma. Il 4° concilio di Costantinopoli convocato dall'imperatore Basilio nell'869, sotto la presidenza dei legati pontifici, asserì la supremazia del papa anche sull'Oriente, quello invece dell'879, convocato dallo stesso imperatore sotto la presidenza del patriarca Fozio affermò l'indipendenza dell'Oriente dall'Occidente; il primo fu riconosciuto come ecumenico dai soli occidentali, il secondo dai soli orientali.
Se i concilî ecumenici non hanno avuto, come si è detto, fin da principio e per sé stessi un carattere universale e perciò un valore assoluto, l'hanno acquistato posteriormente per il consenso della Chiesa e soprattutto per la loro accettazione da parte della sede apostolica. Universalmente riconosciuti dalla chiesa orientale e dall'occidentale, con le dette riserve fatte dai papi, sono i primi 7 concilî ecumenici (vedine appresso la lista completa), ai quali in Occidente si è aggiunto il quarto concilio di Costantinopoli dell'869 all'8° posto.
Dopo lo scisma, la chiesa orientale non ha avuto più concilî ecumenici, mentre nell'occidentale sono sempre seguitati numerosi i concilî sia parziali sia universali. La lista dei nuovi concilî ecumenici comincia con 4 concilî romani, detti Lateranensi, e finisce col Vaticano. Fra questi due termini l'idea del papato, malgrado la tendenza contraria dei due concilî della riforma al tempo dello scisma occidentale - di Basilea e di Costanza - ha sempre più progredito verso la sua piena attuazione; alla base dell'unità della Chiesa è apparsa sempre più chiaramente, non l'autorità collettiva dei concilî, ma l'autorità personale del papa.
Diritto canonico. - Nozioni e dottrina. - I vecchi scrittori usavano promiscuamente i termini di concilio e di sinodo nella medesima accezione, ma poi andò facendosi una precisa distinzione tra i due vocaboli, nel senso che concilî vennero chiamate le sole adunanze dei vescovi, e sinodi le riunioni diocesane del clero inferiore sotto la presidenza del vescovo. La dottrina canonistica vigente divide i concilî in universali (o generali o ecumenici), e in particolari, distinti a loro volta in plenarî e provinciali.
Il concilio ecumenico. - È l'assemblea dei vescovi di tutta la Chiesa convocata dal papa (al quale spetta inoltre di fissarne le materie da trattare e il loro ordine, di trasferirla, sospenderla e scioglierla) e presieduta da esso o dai suoi legati, per trattare e decidere su questioni relative alla Chiesa universale. Vi sono chiamati e vi hanno voto deliberativo tutti i cardinali, anche non vescovi, i patriarchi, primati, arcivescovi e vescovi residenziali anche se non ancora consacrati, gli abati o prelati nullius, gli abati superiori di congregazioni monastiche e i superiori generali delle religioni clericali esenti. Se tra queste persone alcuna sia impedita d'intervenire al concilio deve farsi rappresentare da un procuratore e provare l'impedimento; il procuratore non può assistere se non alle sessioni pubbliche, senza diritto di suffragio. Se è già egli stesso uno dei padri del concilio, non ha diritto a doppio suffragio. Possono essere chiamati al concilio anche teologi e canonisti, ma con solo voto consultivo; hanno invece voto deliberativo, salvo sia altrimenti disposto in modo espresso nella convocazione, i vescovi titolari, quando siano invitati al concilio. I padri convocati al concilio non possono allontanarsene prima della chiusura, salvo che il presidente, conosciuto e approvato il motivo della partenza, non ne dia il permesso. Alle questioni poste dal papa, i padri possono aggiungerne altre da sottoporre a deliberazione, previa approvazione del presidente del concilio. La potestà del concilio ecumenico nella Chiesa è suprema e universale, ma i suoi decreti non hanno efficacia obbligatoria definitiva se non siano confermati dal papa e promulgati per suo ordine; inoltre non è ammesso l'appello al concilio da una sentenza del papa. Venendo a morire il papa durante la celebrazione del concilio, esso è interrotto ipso iure, fino a che il nuovo papa ordini di riprenderlo e continuarlo.
Queste le norme del diritto canonico in materia, fissate anche in modo esplicito nel Codice (can. 222-229). Non sempre però ad esse corrispose la pratica antica, soprattutto per quanto concerne la convocazione e la presidenza del concilio da parte del papa. È noto (v. sopra) che i primi 8 concilî riconosciuti dalla Chiesa, furono convocati dagl'imperatori. Si è discusso sull'autorità in base alla quale questi facevano tale convocazione. Gli autori cattolici in genere spiegano il fatto col dire che in tal modo gl'imperatori non agivano in proprio nome personale, ma in quello del pontefice romano, da cui avevano ricevuto mandato, o almeno avevano ottenuto, o presumevano, il consenso. É certo, ad ogni modo, che la convocazione imperiale veniva ratificata dai papi con la delegazione dei proprî rappresentanti, ai quali spettava sempre la presidenza, anche se la direzione esterna restava a commissarî imperiali; né i decreti conciliari avevano valore, se non dopo espressa approvazione del papa.
Posta come requisito indipensabile per la legittimità del concilio ecumenico, la necessità della convocazione o almeno dell'approvazione del papa, venne negato in conseguenza fin dall'antichità tale carattere alle diverse riunioni di vescovi tenute senza di esse, e designate col termine spregiativo di conciliaboli. Famoso il già citato latrocinium di Efeso.
Il carattere dell'autorità del concilio, come scaturisce dai principî suesposti, è di essere bensì la più alta e la più solenne della Chiesa, ma non superiore a quella del pontefice, anzi - benché eguale, in sé, a questa - dipendente da essa sotto certi rapporti (convocazione, presidenza, confermazione). La teoria della superiorità del concilio ecumenico sul papa e dell'appellabilità ad esso dalle sentenze di quest'ultimo, sorta all'epoca del grande scisma d'Occidente, difesa da Pietro d'Ailly, dal Gerson e dai gallicani successivi, e accolta fra l'altro dal concilio di Costanza, fu combattuta dalla grande maggioranza dei teologi e dei canonisti, e respinta e condannata dalla Santa Sede, ed è in ogni modo inconciliabile con la definizione dell'infallibilità pontificia.
Solo in via d'eccezione potrebbe darsi la convocazione di un concilio ecumenico senza il papa; cioè nel caso in cui questi fosse caduto in eresia (il che può avvenirgli non come definente ex cathedra, ma come dottore privato, per es., se neghi un dogma antecedentemente definito), e in quello in cui il papa sia dubbio, cioè due o più si contendano il papato e non si possa conoscere chi sia eletto legittimamente. Non tutti i dottori però ora ammettono più tali eccezioni, ritenendo che in base al diritto vigente (can. 222, 229), il concilio ecumenico non possa mai concepirsi senza il pontefice.
La convocazione dei concilî ecumenici non è soggetta ad alcuna regola di periodicità; viene fatta quando se ne presenta il bisogno.
Concilî plenarî e provinciali. - I concilî plenarî sono quelli in cui convengono gli ordinarî di più provincie ecclesiastiche (v. circoscrizione, p. 415 seg.); di regola tutte quelle di una data nazione, ma anche di una sola regione (come in Italia) o di più stati (ad es., dell'America latina). Per la loro riunione è necessaria l'autorizzazione del pontefice che designa un suo legato il quale convochi e presieda il concilio. Al concilio plenario devono assistere, e vi hanno voto deliberativo, oltre al legato apostolico, i metropolitani, i vescovi residenziali, che possono farsi rappresentare dal loro coadiutore o ausiliare, gli amministratori apostolici delle diocesi, gli abati o prelati nullius, i vicari e i prefetti apostolici, e i vicarî capitolari. I vescovi titolari, quando siano invitati al concilio, hanno voto deliberativo, analogamente a quanto si è iisto per il concilio ecumenico; gli altri membri del clero hanno solo voto consultivo. Non è stabilito alcun obbligo né intorno al tempo né intorno alla necessità della convocazione di questi concilî.
I concilî provinciali invece, e cioè le assemblee degli ordinarî di una provincia ecclesiastica, devono celebmrsi almeno ogni venti anni (can. 283). La loro convocazione spetta al metropolitano; in suo impedimento o se la sede sia vacante, al suffraganeo di nomina più antica. I vescovi esenti, che cioè non sono sottoposti a un metropolitano, come pure gli abati o prelati nullius e gli arcivescovi senza suffraganei, sono tenuti a scegliere una volta per sempre, previa approvazione della S. Sede, uno dei metropolitani viciniori, al cui concilio provinciale intervengano, rimanendo così agli effetti l'intervento e allo svolgimento dei concilî plenarî e provinciali, v. Cod. iur. can., cc. 281-292. I loro atti e decreti, prima della promulgazione, vengono trasmessi alla Santa Sede, per l'esame da parte della S. Congregazione del concilio. Essi hanno forza obbligante nei limiti del rispettivo territorio. È da notare che, visto che nelle provincie ecclesiastiche di alcune regioni italiane, per la mancanza o per l'esiguo numero dei suffraganei non si sarebbero potuti tenere con decoro e utilità i concilî provinciali, con decreto Conciliorum provincialium, 15 febbraio 1919, dalla Congregazione concistoriale (Acta Apost. Sedis, 1919, 72, ss.) fu stabilito che, eccettuate le provincie ecclesiastiche di Venezia, Milano, Vercelli, Torino, Genova nelle quali resta in vigore il diritto comune, nel resto d'Italia, invece dei concilî provinciali, si debbono tenere ogni venti anni concilî plenarî regionali, osservate per il resto le norme sui concilî plenarî.
Nelle terre di missione si applicano, congrua congruis referendo, le medesime regole in ordine ai concilî plenarî e provinciali, ma non è fissato alcun tempo per la celebrazione del concilio provinciale, e l'esame dei canoni dei concilî spetta alla Congregazione di Propaganda fide (can. 304, § 2).
Nell'antichità furono frequenti - come si è detto - i concilî plenarî nelle varie regioni (Oriente, Africa, Gallia, ecc.) celebrati sotto l'autorità dei primati rispettivi. Altri furono promossi in molti luoghi nel Medioevo dai papi, e presieduti da essi o dai loro legati. In seguito furono riuniti frequenti concilî nazionali, spesso indetti dai sovrani e celebrati sotto la loro vigilanza e influenza; talora in essi si trattava anche di materie civili, e si dicevano concilî misti. Il gallicanismo cercò di contrapporre i concilî nazionali all'autorità della Santa Sede, onde la diffidenza con la quale essi per vario tempo furono riguardati. Altre specie di concilî si trovano menzionate antecedentemente al Codice, quali i concilî generali dei vescovi di tutto l'Oriente o di tutto l'Occidente (ora per concilio generale s'intende il concilio ecumenico o universale), i concilî patriarcoli, primaziali, ecc. Tali denominazioni, come quella di concilio nazionale, sono ormai estranee al diritto vigente, che non riconosce se non due specie di concilî particolari, i concilî plenarî e i concilî provinciali.
Sinodo diocesano. - Il sinodo diocesano (talora detto anche semplicemente sinodo) è l'adunanza del clero della diocesi, presieduto dal proprio vescovo. Il suo carattere differisce essenzialmente da quello dei concilî di cui sopra abbiamo parlato, poiché mentre questi sono organi collegiali deliberativi con propria giurisdizione, il sinodo diocesano è semplicemente un corpo consultivo, nel quale unico legislatore rimane il vescovo. Il sinodo deve essere tenuto almeno ogni dieci anni, è convocato e presieduto dal vescovo, e non deve occuparsi se non di quanto si riferisce ai bisogni ed alle utilità particolari del clero e del popolo della diocesi (Cod. iur. can., cc. 356-362).
Serie cronologica dei concilî ecumenici. - 1. Di Nicea (anno 325), riunito da Costantino, sotto il pontificato di S. Silvestro. - vi fu definita, contro Ario, la divinità di Gesù Cristo e la sua consustanzialità col Padre (Denzinger, Enchiridion, 54). Vi si fissò inoltre, per tutta la Chiesa, la data della celebrazione della Pasqua.
2. Primo di Costantinopoli (381), pontefice Damaso, imperatore Teodosio il Grande. - Contro Macedonio di Costantinopoli, che negava la divinità dello Spirito Santo, definì questa dottrina (Denzinger, Enchiridion, 85). Non fu ecumenico nella sua convocazione, ma solo in quanto la Chiesa accettò la condanna dell'eresia di Macedonio ivi pronunziata (cfr. S. Gregorio Magno, Epistulae, VIII, ep. 34).
3. Di Efeso (431), pontefice Celestino I, imperatore Teodosio il Giovane. - Condannò Nestorio di Costantinopoli, che insegnava l'eresia secondo la quale Maria non era Madre di Dio. Fu pure condannato Celestio, campione con Pelagio dell'eresia pelagiana (Denzinger, 126-27).
4. Di Calcedonia (451), pontefice S. Leone, imperatore Marciano. - Fu il complemento del precedente; vi si definì, contro Eutiche e i monofisiti, esservi in Gesù Cristo due nature, la divina e l'umana (Denzinger, 148 segg.).
5. Secondo di Costantinopoli (553), pontefice Vigilio, imperatore Giustino. - Condannò come infetti di eresia nestoriana i cosiddetti Tre capitoli, cioè le opere di Teodoro di Mopsuestia, gli scritti di Teodoreto di Ciro contro S. Cirillo e il concilio di Efeso, e la lettera di Iba di Edessa al persiano Mari (v. Denzinger, 213 segg.).
6. Terzo di Costantinopoli (680), pontefice Agatone, imperatore Costantino Pogonato. - Condannò i monoteliti e affermò la dottrina che in Gesù Cristo riconosce due volontà e due operazioni naturali, senza divisione e senza cambiamento, inseparabili e inconfuse (ἀδιαιρέτως, ἀτρέπτως, ἀμερίστως, ἀσυγχύτως), e non due volontà contrarie, ma la volontà umana subordinata alla volontà divina (Denzinger, 291).
7. Secondo di Nicea (787), pontefice Adriano I, e sotto la reggenza dell'imperatrice Irene. - Riunito dapprima (786) a Costantinopoli, a cagione dei torbidi ivi suscitati dagl'iconoclasti (v.), viene trasferito a Nicea. Si pronunzia in favore del culto delle immagini, ma distinguendo con cura, secondo la tradizione, tale culto di venerazione, τιμητικὴ προσκύνησις, dal culto di adorazione, ἀληϑινὴ λατρεία, dovuto solo a Dio (Denzinger, 302 segg.).
8. Quarto di Costantinopoli (869-70), pontefice Adriano II, imperatore Basilio il Macedone. - Riunito per una questione disciplinare, pronunzia la deposizione dell'usurpatore Fozio dal patriarcato di Costantinopoli. Fu l'ultimo concilio ecumenico tenuto in Oriente.
9. Primo del Laterano (1123), pontefice Calisto II. - Approva e proclama solennemente il concordato di Worms fra il papa e l'imperatore Enrico V, col quale terminava la lotta delle investiture (v.). Approva inoltre una serie di canoni disciplinari (Denzinger, 359 segg.).
10. Secondo del Laterano (1139), pontefice Innocenzo II. - Conferma il trionfo di Innocenzo II contro l'antipapa Anacleto II. Condanna gli errori di Arnaldo da Brescia e di Pietro di Bruys.
11. Terzo del Laterano (1179), pontefice Alessandro III. - Condanna i catari (Albigesi, Valdesi, ecc.; Denzinger, 401); disciplina le modalità dell'elezione del papa, ed emana riforme disciplinari.
12. Quarto del Laterano (1215), pontefice Innocenzo III. - È uno dei concilî più importanti. Oltre a una nuova condanna degli Albigesi, e di altri eretici, decreta l'organizzazione di una crociata, e sancisce una serie di canoni che formano la base della disciplina moderna. In particolare rivede la legislazione ecclesiastica sugl'impedimenti matrimoniali, e impone ai fedeli l'obbligo della confessione annua e della comunione pasquale (Denzinger, 428 segg.).
13. Primo di Lione (1245), pontefice Innocenzo IV. - Pronunzia la deposizione dell'imperatore Federico II, come usurpatore dei beni e oppressore della libertà della Chiesa, e delibera l'invio di soccorsi a Costantinopoli e in Terra santa. Non emette decreti dogmatici (Denzinger, 199), ma detta norme sulla procedura dei giudizî ecclesiastici.
14. Secondo di Lione (1274), pontefice Gregorio X. - Ebbe specialmente di mira la pacificazione e l'unione fra la chiesa latina e quella greca, su proposta di Michele Paleologo. Ristabilì l'unione con i Greci che riconobbero, oltre la legittimità della dottrina del Filioque, il primato del papa e il principio dell'appello a Roma.
15. Di Vienna nel Delfinato (1311-1312), pontefice Clemente V. - Vi fu decisa la soppressione dell'ordine dei Templarî (v.), e condannati i beguardi e le beghine (Denzinger, 471 segg.).
16. Di Costanza (1414-18). - Convocato e presieduto dapprima dal pontefice Giovanni XXIII, che poi si ritirò da esso, pose termine allo scisma d'Occidente (v.), deponendo Giovanni XXIII e Benedetto XIII, mentre Gregorio XII abdicava volontariamente. Condannò Giovanni Huss (v.), Wicleff (v.) e Girolamo da Praga (v.; Denzinger, 581 segg.). Proclamato papa Martino V, questi confermò del concilio quanto era stato risoluto in materiis fidei conciliariter. Non vennero approvate invece le decisioni affermanti la superiorità del concilio sul papa.
17. Di Firenze: aperto nel 1431 a Basilea, sciolto da Eugenio IV (1437), riunito poi a Ferrara (1438), traslato a Firenze (1439) donde il suo nome, e chiuso a Roma (1443). Vi intervennero l'imperatore Giovanni Paleologo, e il patriarca Giuseppe di Costantinopoli. Fu votata l'unione dei Greci con i Latini; vennero risolute le controversie relative alla processione dello Spirito Santo, all'Eucaristia e al purgatorio, e proclamato da Greci e Latini il primato del pontefice romano. Pubblicò ancora decreti di unione relativi agli Armeni, ai Giacobiti, ai Siri, ai Caldei, ai Maroniti (Denzinger, 691 segg.).
18. Quinto del Laterano: convocato da Giulio II nel 1512 e continuato da Leone X fino al 1517. - Prese provvedimenti per la riforma della disciplina ecclesiastica; annullò gli atti del conciliabolo di Pisa (1511; v.) e confermò il concordato con Francesco I che aboliva la Prammatica sanzione (v.).
19. Di Trento (1545-63) pontefici Paolo III, Giulio III e Pio IV. - È celebre, oltre che per la condanna di Lutero, Zwinglio e Calvino, per la riforma della Chiesa nei costumi e nella disciplina, attuata in opposizione a quella protestante (Denzinger, 782 segg.).
20. Concilio Vaticano; inaugurato l'8 dicembre 1869 e sospeso il 20 ottobre 1870, pontefice Pio IX. - Definì il dogma dell'infallibilità pontificia e condannò gli errori moderni contro la fede e la rivelazione (Denzinger, 1781 segg.).
Bibl.: In generale v. Hastings, Encycl. of Religion and Ethics, IV, pp. 179-203 (anche per il buddhismo). Sui concilî cristiani fra le numerose trattazioni teologiche e canonistiche, v. rispettivamente, Bellarmino, Controversiae christianae fidei: De conciliis et Ecclesia; Palmieri, Tract. de romano pontif., 2ª ed., Prato 1891; Mazzella, De relig. et ecclesia, 4ª ed., Roma 1892; Pesch, Praelect. dogmaticae, I, Friburgo in B. 1894; e fra i canonisti, Ferraris, Prompta bibl. can., s. v.; Benedetto XIV, De synodo dioecesana; Phillips, Du droit eccles. dans ses principes gén., trad. Crouzet, II, Parigi 1850; Hinschius, System des katholischen Kirchenrechts, III, Berlino 1878; Bouix, De papa, ubi et de concilio oecumen., Parigi 1882; Wernz, Ius Decretalium, I, Roma 1905, n. 178 segg.; II, 2, 1906, n. 843 segg.; Chelodi, Ius de personis, 2ª ed., Trento 1927, p. 386 segg.; e in genere i commenti al Cod. iur. can. - Per la storia in particolare, oltre l'opera fondamentale di C. J. von Hefele, Konziliengeschichte, Friburgo in B. 1855-71, voll. 7, e i voll. 8-9 a cura di J. Hergenröther, 1871-90; trad. franc. Histoire des conciles, a cura e con aggiunte di H. Leclercq, Parigi 1907-21; vedi: L. Duchesne, Histoire ancienne de l'Église, Parigi 1906-10, voll. 3; id., L'Église au VIe siècle, Parigi 1925; K. Müller, Kichengeschichte, Tubinga 1927; F. X. Funk, Kirchengeschichtliche Abhandlungen u. Untersuchungen, voll. 3, Paderborn 1897-1907; C. A. Kneller, Papsttum u. Konzil im ersten Jahrtausend, in Zeitschrift f. kathol. Theologie, 1903-04 e in risposta al Funk, ibid., 1908; E. Schwartz, Die Konzilien des 4. und 5. Jahrhunderts, in Historische Zeitschrift, 1909; id., Über die Reichskonzilien von Theodosius bis Justinian, in Zeit. der Savigny Stiftung f. Rechtsgesch.: kan. Abt., 1921; Hergenröther, Storia universale della Chiesa, Firenze 1905, passim; id., Chiesa cattolica e Stato cristiano, Parma 1877-1878, passim; Blötzer, Der h. Stuhl und die okumen. Synoden, in Zeitschrift f. kath. Theologie, 1886, p. 67 segg.; Galante, Synodus, in Encicl. giurid. ital., XV, iii, 1910, e letteratura ivi citata; Forget, in Dictionnaire de théol. cath., s. v. Conciles; F. Maassen, Geschichte der Quellen u. Litteratur des canon. Rechts, Graz 1879; H. Quentin, I. D. Mansi et les grandes collections conciliaires, Parigi 1900. Per le principali definizioni e dichiarazioni dei concilî: V. Denzinger-Banwart, Enchridion Symbolorum, passim. - Collezioni: Le principali raccolte di concilî sono: Merlin, Conc. gener. graeca et latina, Parigi 1523, Colonia 1530, Parigi 1536; Crabbe, Conc. omnia tam gener. quam partic., Colonia 1538 e 1551; Surius, Conc. omnia tam gener. quam provinc. atque part., Colonia 1567; 2ª ed. completata da Bollan, Venezia 1585; Bini, Conc. gener. et prov., Colonia 1606 e 1618, Parigi 1636; Sirmond, Τῶν ἁγίων οἰκουμενικων Συνόδων τῆς καϑολικῆς 'Εκκλησίας ἄπαντα, Concilia generalia Ecclesiae Catholicae, Roma 1608-1612 (questa compilazione, fatta per ordine di Paolo V, e detta Collectio romana, presenta l'importante innovazione di utilizzare i testi greci estratti per la maggior parte da manoscritti vaticani). La prima compilazione dopo quella di Paolo V, e che inizia la serie delle grandi collezioni moderne, è la Collectio regia (Concil. omnium generalium et provinc. coll. regia), 37 in folio, Parigi 1644; seguirono: Labbe e Cossart, Sacrosancta concilia ad regiam editionem exacta, 17 in fol., Parigi 1671-72, con un volume di supplemento di S. Baluzio, Nova collectio concilior., Parigi 1683, I; 2ª ed., ivi 1707; Hardouin, Coll. Maxima conciliorum gener. et provinc., XII, Parigi 1715, vietata dal Parlamento perché in opposizione ai principî gallicani, e permessa più tardi con un volume di rettifiche imposte (Addition ordonnée par arrêt du Parlem., ecc., in lat. e franc.), Parigi 1722; Coleti, Sacrosancta concilia ad regiam edit. exacta, XXIII, Venezia 1728-1733, con un supplemento del Mansi, Sanctor. concil. et decret. nova collect., VI, Lucca 1748-1753; Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XXXI, Firenze e Venezia 1759-1798; 2ª ed., con supplem. diretta da J. B. Martin, Parigi 1901 segg.; Collectio Lacensis, Acta et decreta sacr. conciliorum recentiorum, pubblicata dai gesuiti di Maria Laach, Friburgo in B. 1870-1890; Acta Conciliorum Oecumenicorum, ed. E. Schwartz, Straburgo-Berlino 1914 segg. (finora gli atti del concilio di Efeso del 431); Monumenta Germaniae historica. Concilia (Sinodi, dell'età Merovingia e Carolingia); Ecclesiae occidentalis monumenta iuris antiquissima ed. C. H. Turner, Oxford 1899 segg. Per i concilî greci v. Pitra, Iuris eccles. graecorum historia et monumenta, Roma 1864-1868. Esistono inoltre numerose collezioni particolari dei concilî dei diversi paesi. Fra le numerose Somme conciliari (v. ampoi elenco in Hefele, I, Introduzione, p. xxiii), cfr. Baldassarri, Istoria compendiosa de' conc. ecumenici dell'Oriente e dell'Occidente, Venezia 1713-1721; Catalani, Sacros. concilia oecumen. commentariis illustrata, Roma 1736-1749; Lupi, synodorum generalium ac provincial. decreta et canones scholiis... illustrata, Venezia 1724. Per i singoli concilî, e soprattutto per il Tridentino e il Vaticano, v. le voci rispettive.