Abstract
La procedura di concordato preventivo viene esaminata nel suo svolgimento dopo la sua apertura, nella sua fase conclusiva per effetto della votazione e dell'omologazione (o del suo rigetto), e in quella successiva all'omologazione, in cui la proposta concordataria dovrebbe trovare esecuzione.
Popo l'apertura della procedura di concordato preventivo (ed esauritasi eventualmente la fase preliminare apertasi per effetto di domanda con riserva, con il deposito del piano, della proposta e della documentazione pertinente, su cui v. Concordato preventivo. 1 Presupposti ed effetti), occorrerà innanzitutto che il commissario giudiziale, per definire la massa passiva e individuare i legittimati al voto, effettui una ricognizione dei creditori, avvalendosi in primo luogo delle scritture contabili dell’impresa. Essa, peraltro, varrà soltanto quale verifica amministrativa ai fini della procedura (Cass. 14.2.2002, n. 2104), lasciando impregiudicata, in sede giurisdizionale, ogni questione sull’esistenza, sull’entità e sull’eventuale causa di prelazione dei crediti verificati. Sulla base di quanto verificato, il commissario comunicherà ai creditori la data di convocazione disposta nel decreto di ammissione, la proposta del debitore ed eventualmente, dopo, di quelle ‘concorrenti’.
Parallelamente, il commissario provvederà ad una ricognizione della massa attiva, individuando i debitori dell’imprenditore e procedendo all’inventario del suo patrimonio.
L’attivo e il passivo così accertati costituiranno elementi decisivi per una consapevole decisione dei creditori, che sarà altresì supportata da una relazione particolareggiata del commissario sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, e soprattutto sulle proposte di concordato, comprese eventualmente quelle concorrenti, fra loro comparate, nonché sulle garanzie offerte ai creditori (art. 172).
Un tale ruolo ‘protettivo’ del commissario giudiziale, si conferma anche nella vigilanza che egli svolge al fine di tenere al riparo i creditori da tentativi di frode. Egli infatti non soltanto, come sopra visto, vigila sul;l’at;tività del debitore durante la procedura, ma indaga anche sugli eventuali profili di dolo insiti nella proposta di concordato, come quando ci si accorga che in essa risultino occultati o dissimulati elementi dell’attivo, ovvero esposte passività insussistenti ovvero che il debitore ha commesso altri atti di frode (posteriori alla domanda, o anteriori ma solo in quanto attualmente capaci di alterare il giudizio dei creditori: Cass., 4.6.2014, n. 12533).
La vigilanza, inoltre, concerne la persistenza, durante la procedura, delle «condizioni previste per l’ammissibilità del concordato», anche se fra queste non dovrebbe rientrare la fattibilità del piano, tendenzialmente rimessa alla sola valutazione dal professionista. Fa però eccezione il caso che gravi fatti sopravvenuti (fra i quali tuttavia non rientra necessariamente l'eventuale pagamento a creditori anteriori avvenuto in difetto di autorizzazione, dovendosi verificare comunque l'intento fraudolento: Cass., 19.2.2016, n. 3324; e, più in generale sulla necessità dell'intento doloso e dell'effetto decettivo della percezione dei creditori, v. Cass., 22.2.2016, n. 3409), o precedenti ma successivamente scoperti, rendano la relazione del professionista oggettivamente inattendibile. Ipotesi, questa, cui potrebbe accostarsi quella in cui, durante una procedura iniziata come «concordato con continuità aziendale», risulti che l’esercizio dell’attività d’impresa sia cessato o divenuto manifestamente dannoso per i creditori (sempre che il debitore non intervenga sulla proposta di concordato, modificandola e così tornando a renderla ‘fattibile’: art. 186 bis, ult. co.).
Riscontrata alcuna di queste sopravvenienze negative, il commissario giudiziale ne riferirà al Tribunale che, verificatane la sussistenza, disporrà la revoca del decreto di ammissione alla procedura e l’eventuale conseguente fallimento (Fava, R., Nuovi orientamenti in tema di revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo: i poteri del commissario giudiziale e il regime di impugnazione del provvedimento, in Dir. fall., 2015, II, 203 ss.).
Nella data fissata dal decreto di ammissione alla procedura, ha luogo l’adunanza dei creditori. In tale udienza il commissario giudiziale illustrerà la proposta concordataria (modificabile non oltre tale momento: Cass., 28.4.2015, n. 8575) e le eventuali ‘proposte concorrenti’ dei creditori: tutte peraltro già oggetto di relazione del commissario resa disponibile almeno dieci giorni prima (v. Nigro, A. - Vattermoli, D., Le proposte concorrenti nel concordato preventivo, in Dir. banca e mercato finan., 2015, II, 93 ss.). Seguirà una discussione nella quale, fra l’altro, i creditori potranno contestare i crediti concorrenti o l’ammissibilità o la convenienza delle proposte esaminate; il debitore, dal canto suo, potrà contestare l’ammissibilità o la fattibilità delle eventuali proposte concorrenti. All’esito, i creditori (compresi quelli che abbiano formulato proposte concorrenti, collocati però in autonoma classe) saranno chiamati a votare la proposta o le varie proposte loro sottoposte; in quest’ultimo caso venendo fra di esse preferita quella che abbia riscosso il voto favorevole della maggioranza, anche relativa, dei crediti; e poi approvata ai fini dell’omologazione, se avrà riscosso anche (semmai in ulteriore votazione) il voto favorevole della maggioranza assoluta dei crediti (v. infra)uesto fine.
Legittimati al voto sono tendenzialmente tutti i creditori chirografari, mentre per i privilegiati è previsto che, se la proposta di concordato contempli un loro pagamento integrale, non avranno diritto al voto (art. 177, l. fall.).
I privilegiati saranno invece ammessi al voto: i) se rinuncino in tutto od in parte al diritto di prelazione (con effetto limitato ai soli fini del concordato), per la parte rinunciata; ii) oppure quando, constando ex ante l’incapienza della garanzia, sia la stessa proposta del debitore a riservare un soddisfacimento non integrale ai (o ad alcuni dei) creditori privilegiati: e quindi, ancora una volta, per la sola parte del credito di cui non viene promesso il pagamento integrale. In entrambi i casi, per la parte di credito ammessa al voto i privilegiati saranno equiparati ai chirografari.
Ai voti espressi in udienza potranno sommarsi anche quelli pervenuti per corrispondenza nei venti giorni successivi (da ultimo, col citato d.l. n. 83/2015, essendosi stata però eliminata la regola del silenzio – assenso).
Il concordato sarà approvato se avranno votato a favore i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolati per quote (cioè per valore in denaro dei crediti: 50% + almeno 1 centesimo di euro). Inoltre, se il piano abbia suddiviso i creditori in classi, occorrerà, in aggiunta alla tale maggioranza complessiva, anche quella per quote all’interno del maggior numero di classi.
Se all’esito della votazione le maggioranze prescritte non vengano raggiunte, il concordato sarà respinto (con eventuale conseguente fallimento del debitore). In caso di approvazione, invece, la procedura proseguirà con il giudizio di omologazione.
Durante tale giudizio ― a cui parteciperanno il debitore, il commissario giudiziale e gli eventuali creditori dissenzienti ― il giudice delegato dovrà depositare un parere sull’ap;provazione e riferire ai creditori l’eventuale mutamento delle iniziali condizioni di fattibilità del piano, così consentendo loro la possibilità di modificare il voto già espresso. I creditori dissenzienti ed ogni altro interessato (compresi i creditori non ammessi al voto: Cass., 29.2.2016, n. 3954), invece, potranno proporre opposizione.
Se opposizioni non vi fossero, il tribunale, «verificata la regolarità della procedura» (non quindi la meritevolezza del debitore o la con;venienza della proposta, o la sua fattibilità, Cass., 16.9.2011, n. 18987; se non quella ‘giuridica’, impedita ad esempio dall’aver rilevato elementi di frode: Cass. 4.6.2014, n. 12533). Potranno invece essere verificate, sulla base della relazione del commissario, l’effettiva sussistenza dei crediti ammessi al voto o la regolarità delle operazioni di voto, almeno dal punto di vista procedimentale. Se invece opposizioni fossero state sollevate, si instaurerà un vero e proprio giudizio contenzioso, seppure nella forme del rito camerale.
Quale il fondamento di tali opposizioni?
Di una possibile opposizione fondata sulla ritenuta (s)convenienza della proposta, la legge dà espressamente conto (e la giurisprudenza stessa, Cass., 4.7.2014, n. 15345, la circoscrive) soltanto con riferimento alle ipotesi in cui essa venga sollevata: i) da «un creditore» (ovviamente dissenziente) «appartenente ad una classe dissenziente», se vi sia stata suddivisione dei creditori in classi; ii) ovvero, in caso di mancata formazione delle classi, da tanti creditori dissenzienti che rappresentino almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto. Ciò verosimilmente perché, laddove si tratti di proposta unitaria rivolta indistintamente a tutti, bisognerà ragionevolmente presumerla come conveniente, se già approvata da una maggioranza altamente qualificata. Altro sarebbe forse a dirsi se invece si dimostrasse che una tale valutazione non sia stata ‘libera’, ad esempio perché inficiata da vizi della volontà o da conflitti di interessi, o comunque da mala fede o scorrettezza (cfr. D’Attorre, G., Il conflitto d’interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm, 2010, I, 392 ss.; Sacchi, R., Il conflitto di interessi dei creditori nel concordato, in in AA.VV., Società, banche e crisi di impresa, cit., 3131): il che però, ammesso che tali patologie possano trovare riscontro normativo, riguarderebbe la regolarità della procedura piuttosto che la convenienza intrinseca della proposta.
Quando invece sia prevista la suddivisione dei creditori in classi, un’opposizione del singolo sulla convenienza troverà giustificazione in quanto rivolta non tanto alla proposta nel suo insieme, quanto piuttosto a quella sua parte che abbia previsto un certo ‘trattamento differenziato’ per una singola classe: e che potrebbe quindi celare qualche discriminazione a danno dei creditori appartenenti ad una specifica classe, infatti dissenziente.
L’opposizione, in questi casi, sarà risolta valutando la fondatezza dell’asserita ‘sconvenienza’, secondo un metro che la legge (art. 180, l. fall.), attingendo all’esperienza statunitense, individua nel cd. best interest test: l’opposizione sarà respinta qualora il tribunale ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura «non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili», fra le quali, in pratica, viene considerata solo quella fallimentare (mentre è dubbio se possa valutarsi come alternativa una proposta concorrente già ‘scartata’). A questo proposito si ricordi peraltro che il debitore, già in fase di presentazione del ricorso, avrà dovuto indicare la specifica utilità economica della proposta per ciascun creditore. Se dunque il ‘test del migliore interesse’ venisse superato, l’opponente dovrà senz’altro accettare il trattamento riservatogli (cd. cram down). Altrimenti l’opposizione sarà accolta, con l’esito appresso ricordato.
Al di là delle ipotesi appena considerate, le opposizioni potranno fondarsi su asseriti vizi del procedimento (erroneo conteggio del voto, mancata discussione, ecc.) o sull’asserita non fattibilità del piano: adducendo ad esempio l’erroneità della relazione del professionista o la mancanza sopravvenuta degli elementi di fatto su cui il giudizio di fattibilità si era inizialmente fondato (Cass., 23.6.2011, n. 13817, secondo cui l’opposizione dei creditori aprirebbe un contrasto sulla valutazione della fattibilità, che verrebbe così deferita al tribunale).
Nei limiti dei motivi fatti valere con le opposizioni, il tribunale, assunti i necessari mezzi istruttori, dovrà pronunciarsi con decreto motivato. Se l’opposizione verrà accolta, il decreto sarà di rigetto della proposta, in tal caso potendosi far luogo ad una dichiarazione di fallimento. Altrimenti, sarà emanato il decreto di omologazione del concordato, con il quale la procedura potrà dirsi conclusa (art. 181).
Tanto che sia di rigetto quanto di omologazione, il decreto potrà poi essere oggetto di reclamo alla Corte d’Appello, che provvederà in camera di consiglio con sentenza a sua volta suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (sempre che avente i caratteri di decisorietà e definitività: Cass., 4.11.2011, n. 22932; Cass., 29.7.2014, n. 17191). Ma in ogni caso, pur in presenza di reclamo, il decreto del tribunale sarà provvisoriamente esecutivo.
Con l’omologazione si produrranno i seguenti effetti:
i) il debitore sarà affrancato dalle limitazioni alla disponibilità del suo patrimonio sopra esaminate, recuperando piena capacità d’agire e processuale, e sarà inoltre liberato dalle obbligazioni il cui adempimento non sia previsto dalla proposta approvata;
ii) se si tratti di società con soci a responsabilità illimitata, il concordato produrrà effetti liberatori anche a favore di questi ultimi , sempre che non consti patto contrario; ciò, peraltro, nei confronti dei soli creditori sociali, mentre quelli particolari conserveranno impregiudicata ogni loro ragione;
iii) il debitore (o l’eventuale assuntore) resterà ovviamente obbligato a dare esecuzione a quanto promesso nel piano concordatario, sia in termini di pagamenti veri e propri, sia in termini di atti a ciò funzionali (costituzione delle garanzie promesse, atti gestori, modificazioni statutarie, ecc.);
iv) l’effetto esdebitatorio, nei termini poc’anzi precisati, vincolerà tutti i creditori, compresi quelli dissenzienti (compreso l’Erario, pur se abbia espresso voto contrario: Cass., 4.11.2011, n. 22931), anteriori alla pubblicazione della domanda di concordato (compresi quelli il cui credito abbia titolo precedente, ma accertato in epoca successiva: Cass., 10.8.2007, n. 17637; Cass. 25.7.2007, n. 6426). Fra di essi anche quelli che non abbiano partecipato alla procedura: accertato il loro diritto (e procuratisi un titolo esecutivo), potranno quindi farlo valere, ma nei limiti di quanto loro dovuto secondo le percentuali concordatarie (Cass., 10.4.1995, n. 4139; Fabiani, M., La tutela del creditore concorsuale non concorrente nel concordato preventivo, in Fall., 1994, 618 ss.). I creditori successivi, invece, manterranno integra ogni loro pretesa sostanziale e processuale;
v) i creditori anteriori conserveranno però intatti i loro diritti nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore, e degli obbligati in via di regresso con quest’ultimo (in deroga al principio di comunicabilità degli effetti favorevoli fra condebitori, risultante dall’art. 1301 c.c. in tema di remissione volontaria, ovvero ex art. 1239 o ex art. 1941 c.c. per la fideiussione: Cass., 27.10.2006, n. 23275, Cass., 27.12.2005, n. 28774);
vi) in caso di successivo fallimento (cd. consecuzione di procedure), poi:
a) gli atti e i pagamenti compiuti in funzione della procedura o in esecuzione del piano omologato saranno esentati da azione revocatoria fallimentare;
b) i crediti derivanti dalla «nuova finanza» concessa all’impresa alle condizioni previste di cui all’art. 182 quater godranno della prededucibilità. Si tratterà, in particolare dei crediti derivanti da finanziamenti erogati: a) in funzione della presentazione della domanda di omologazione (c.d. finanziamenti-ponte, normalmente erogati per consentire all’impresa di ‘sopravvivere’ fino all’omologazione e di predisporre la domanda), purché la prededuzione sia prevista nel piano e sia espressamente prevista nel provvedimento che accolga la domanda (Verna, G., Sulla prededuzione 'in funzione' nel concordato preventivo, in Dir. fall., 2015, I, 90 ss.); b) ovvero in esecuzione del concordato, sempre se espressamente previsti dal piano (dei finanziamenti interinali, cioè chiesti ed autorizzati durante la procedura, ed anch’essi prededucibili, v. Concordato preventivo. Presupposti ed effetti). Analogo beneficio è concesso anche ai finanziamenti erogati da soci di s.r.l., oppure da altre società del gruppo cui appartenga l’impresa poi fallita (artt. 2467 e 2497-bis c.c.), seppure non integralmente, ma nella misura dell’80%.
c) inoltre, varrà l’esenzione dai reati di bancarotta (art. 217 bis) in relazione al compimento di atti o pagamenti o altre «operazioni» posti in essere in esecuzione del concordato (D’Alessandro, F., Il nuovo art. 217-bis, l. fall., in Soc., 2011, 201 ss.), risultando essi legittimati da un’omologazione giudiziale.
Il decreto di omologazione segna la conclusione della procedura concordataria e comporta la produzione dei suoi effetti tipici (poc’anzi ricordati), fra i quali innanzitutto l’obbligo del debitore di adempiere alla proposta concordataria, anche se presentata in forma “concorrente” da alcuno dei creditori.
Nel caso particolare di concordato con cessione (anche parziale) dei beni (Nardecchia, G.B., Cessione dei beni e liquidazione: la ricerca di un difficile equilibrio fra autonomia privata e controllo giurisdizionale, in Fall., 2012, 92), il tribunale nominerà nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori «per assistere alla liquidazione», determinando le altre modalità della liquidazione (art. 182, l. fall.). Ciò però soltanto se il piano non disponga diversamente, potendo altrimenti il debitore, in piena autonomia, prevedere modalità di liquidazione diverse (ad es., nominando un liquidatore di sua fiducia: Cass., 15.7.2011, n. 15699; Cass., 20.1.2011, n. 1345), in tal modo escludendo l’intervento giudiziale. Il liquidatore è persona diversa dal commissario giudiziale, che rimane in carica con il solo compito di sorveglianza sull’esecuzione del concordato (art. 185 l. fall.; benché poi la Suprema Corte si sia espressa nel senso della validità della nomina, se non contestata dai creditori, con diritto del commissario all'ulteriore compenso quale liquidatore: Cass., 7.3.2016, n. 4458).
Tanto che il concordato sia liquidatorio, quanto che sia finalizzato alla ristrutturazione dell’impresa, spetta al commissario giudiziale, proseguendo nell’esercizio della sua funzione, la sorveglianza sull’adempimento del concordato, controllando non solo il rispetto dei singoli impegni dedotti nel piano, ma anche, prospetticamente, la persistenza della sua fattibilità in ragione dell’evol;versi della situazione generale dell’impresa.
Ove il piano concordatario trovi piena e puntuale esecuzione, non vi saranno naturalmente ulteriori conseguenze giuridiche oltre a quella già prodottesi.
Può accadere però che gli impegni assunti non vengano rispettati. Ipotesi, questa, che la legge considera in senso oggettivo, a prescindere cioè da profili di dolo o colpa di chi li abbia assunti (Cass., 20.6.2011, n. 13446), sia esso il debitore ovvero un terzo che, secondo il piano, risulti aver offerto ai creditori garanzie .
In tali casi, è innanzitutto il commissario giudiziale che, constatato e segnalato l’inadem;pi;men;to al tribunale, potrà essere investito da quest’ultimo dei poteri necessari a compiere gli atti necessari a dare esecuzione al concordato; potendosi addirittura pervenire, se il debitore abbia veste societaria, alla revoca dell’organo amministrativo e alla nomina di un amministratore giudiziario con poteri di compiere ogni atto necessario all’esecuzione, compreso quello di convocare l’assemblea e provocarne l’approvazione di una deliberazione di aumento del capitale sociale.
Al di là di (e malgrado) questi poteri di sostituzione coattiva nelle prerogative del debitore, e anche a prescindere da inerzie colpose, se non si riesca a dare regolare esecuzione il concordato, competerà, in ultima analisi, ai creditori (anche a quelli che non abbiano partecipato alla procedura per non essere stati convocati al;l’adu;nanza: C. cost., 2.4.2004, n. 106; non però quelli successivi all’apertura della procedura) di provocare la risoluzione del concordato per inadempimento, se que;st’ultimo non abbia scarsa importanza.
Il procedimento si avvierà con ricorso presentato al tribunale entro un anno dal termine previsto per l’ultimo degli adempimenti del piano, e si svolgerà con rito camerale: se il tribunale accerti un grave inadempimento, con sentenza (reclamabile) dichiarerà la risoluzione ed eventualmente il fallimento del debitore. La risoluzione non potrà però essere richiesta nel caso in cui gli obblighi derivanti dal concordato siano stati assunti da un terzo (come assuntore o in virtù di accollo privativo) con liberazione del debitore (Cass., 20.6.2011, n. 13446). In tal caso, allora, quest’ultimo continuerà a godere dell’effetto esdebitatorio del concordato, mentre l’inadempimento degli obblighi del concordato potrà esser fatto valere nei confronti del solo assuntore, eventualmente fallibile in proprio.
Con la risoluzione del concordato verranno meno retroattivamente i suoi effetti, in primo luogo quelli esdebitatori; ma resteranno comunque efficaci (nonché sottratti ad eventuale azione revocatoria) gli atti compiuti durante la procedura e in esecuzione del concordato (sempre che nel rispetto delle cause di prelazione: Cass., 23.7.2014, n. 16738), comprese le eventuali modifiche organizzative che abbiano riguardato la società debitrice. I creditori potranno così richiedere, eventualmente concorrendo nel fallimento aperto a seguito della risoluzione, il pagamento dell’intero credito originario, detratto quanto già ricevuto in esecuzione del concordato.
Gli effetti del concordato preventivo potranno venir meno, inoltre, nel caso di suo annullamento. Esso conseguirà non all’ina;dempimento del piano o la sua non fattibilità, bensì alla scoperta della sua inaffidabilità dovuta ad un disegno fraudolento del debitore, che si scopra aver dolosamente esagerato il passivo o sottratto una parte rilevante del;l’attivo. Su ricorso dei creditori o su iniziativa del commissario giudiziale (entro sei mesi dalla scoperta del dolo e comunque entro due anni dall’ultimo adempimento previsto) il Tribunale potrà allora annul;lare il concordato, anche in tal caso derivandone la caducazione degli effetti riconnessi alla procedura concordataria; con la possibilità altresì, se ne ricorrano i presupposti, di dichiarare il fallimento del debitore.
Il rimedio dell’annullamento prevarrà, se ne ricorrano al contempo i presupposti, su quello della risoluzione. Se però non ricorrano i presupposti né dell’uno né dell’altro, la legge non configura altri rimedi per inficiare gli effetti del concordato; sempre salva però, la possibilità di una dichiarazione di fallimento per sopravvenuta insolvenza rispetto alle obbligazioni concordatarie e post-concordatarie.
R.d. 16.6.1942, n. 267 (l. fall.), come da ultimo modificata dal d.l. 27.6.2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 5.8.2015, n. 132.
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