CONCORRENZA (fr. concurrence; sp. competencia, concurrencia; ted. Konkurrenz; ingl. competition)
Indica genericamente, gara, rivalità di sforzi di diverse persone le quali tendono ad un certo scopo che non tutte possono raggiungere in eguale misura. Il termine è particolarmente usato negli scritti economici e sociologici per definire determinate condizioni dei rapporti economico-sociali. Il suo significato muta però a seconda del genere di rapporti e delle forme di attività cui viene riferito.
Negli economisti del sec. XVIII si trova generalmente il termine libertà nel senso di concorrenza economica, cioè, assenza dei vincoli legislativi e corporativi che in passato regolavano il lavoro, le industrie e il commercio; nel senso, cioè, di politica di non intervento dello stato nei rapporti economici privati. Ancora in A. Smith (An Inquiry into the nature and causes of the wealth of Nations, I, v11) sono usate promiscuamente le parole perfect liberty. e competition. Negli economisti italiani del '700 si trova spesso concorrenza nel senso di offerta di una merce o servizio; e anche di condizioni generali della domanda e dell'offerta d'una merce (C. Beccaria, Elem. di econ. pubblica, II, § 9). Nel sec. XIX il significato di concorrenza si è specificato tecnicamente, mentre si estendeva la sua applicazione nell'uso corrente; libertà industriale o economica e concorrenza non definiscono più la stessa cosa (A. Marshall, Princ. of Pol. Econ., I, § 4).
Dal punto di vista strettamente scientifico la concorrenza è, insieme col monopolio, una delle ipotesi-limiti di cui lo studioso si serve per definire le leggi economiche in determinate condizioni astratte, che consentano successivamente di spiegare i fenomeni della realtà economica, anche se questi non corrispondono mai esattamente a quelle ipotesi. Lo studio del caso di concorrenza, come di ogni altra situazione economica, si basa su un presupposto fondamentale, spesso implicito: che gli uomini (o enti) delle cui azioni si ricercano le leggi, agiscano come homines oeconomici. Le leggi della concorrenza sono uniformità delle azioni umane dirette a soddisfare il massimo dei bisogni soggettivi consentito dagli ostacoli dell'ambiente (quindi, con un minimo di sacrifici), in modo che scopi soggettivi e risultati concreti approssimativamente concordino. Possono perciò spiegare i fenomeni della vita sociale in quanto gli uomini operino in modo da trarre dai loro atti un massimo di risultato utile (ofelimità): il bisogno soggettivo non è necessariamente egoistico (massimo vantaggio personale), ma può anche riferirsi ai bisogni del gruppo familiare, della classe, città, nazione, umanità.
L'ipotesi della concorrenza trova la sua più diretta e precisa applicazione nel caso del mercato di un qualsiasi bene economico, di un complesso di individui (o enti) legati da rapporti diretti di domanda ed offerta di un bene economico. Se ognuno degli offerenti, animato dal criterio del massimo utile, operando indipendentemente da ogni accordo con gli altri (o sindacato avente per scopo di modificare artificialmente le condizioni del mercato), cerca per suo conto di vendere la quantità maggiore possibile al più alto prezzo; e similmente ogni acquirente cerca per suo conto di assicurarsi la maggior quantità della merce al più basso prezzo possibile; e se la domanda e l'offerta sono libere e perfettamente mobili in tutto il campo del mercato, in una data unità di tempo, le varie unità (fra loro tecnicamente identiche) del bene, sono tutte scambiate, comperate e vendute all'identico prezzo (legge d'indifferenza). Questa condizione del mercato si dice di libera (o perfetta) concorrenza; l'eguagliamento del prezzo, definito dal punto d'incrocio delle curve di offerta e domanda, ne è il risultato tipico. In questa situazione il mercato nel suo complesso ottiene un massimo di utilità (massimo relativo dello stato della tecnica, ecc.). Essa presuppone però, non solo che ogni partecipe del mercato agisca come un homo oeconomicus, e che la gara fra venditori e compratori di un bene sia libera e perfetta, non esistendo pattuizioni tacite o formali fra gli uni e gli altri per determinare artificialmente i prezzi o le quantità scambiate; ma anche che esista piena libertà giuridica nelle operazioni di compra, vendita, rivendita e ricompra per ognuno dei componenti il mercato; perfetta mobilità della domanda e dell'offerta e perciò assenza od eguaglianza dei costi di trasporto od altri (ogni venditore è libero di spostare la sua offerta là ove trovi migliori condizioni di vendita; ogni compratore la sua domanda, ove ritenga di poter acquistare il bene in maggior quantità a prezzi più favorevoli); che tutte le unità del bene siano tecnicamente identiche e perciò intersostituibili; che il fenomeno si consideri in un dato periodo di tempo, perché in funzione del tempo possono modificarsi le condizioni del mercato e lo stesso bene assumere prezzi diversi. Il regime di concorrenza può anche condurre, anziché allo stesso prezzo, allo stesso sistema di prezzi multipli, quando una merce o servizio si presti a questo tipo.
Le condizioni enunciate trovano molte applicazioni pratiche, sufficientemente approssimate: i titoli e le divise contrattate nelle borse e le grandi materie prime e derrate (grano, cotone, carbone, ecc.), si scambiano spesso in condizioni di mercato in cui prevale la concorrenza; le differenze di prezzo determinate dalla diversità dei costi di trasporto, dalla mancanza di perfetta mobilità, dagli oneri fiscali, dall'imprecisa conoscenza che alcuni componenti hanno dello stato e delle possibilità del mercato, sono, infatti, di secondaria importanza e derivano da cause alteratrici facilmente individuabili. In un mercato di questo genere, perché vi sia concorrenza non è necessarío che ognuno dei componenti conosca gli altri e direttamente con essi contratti; basta che avverta gli effetti del loro intervento nel mercato e conformi ad essi la sua azione. Ogni venditore o compratore opera senza proporsi di modificare artificialmente i prezzi e le quantità scambiate; ma in realtà produce questo effetto, contribuendo a determinare la situazione di equilibrio.
Questa specifica nozione di concorrenza è generalizzata a ogni forma di attività economica. Estendendone l'applicazione, perché l'ipotesi conservi la sua precisione, è però necessario formulare nuove condizioni, il che non sempre si è fatto. In genere si suppone: 1. che ogni individuo o ente agisca in conformità del postulato edonistico, e che le sue azioni presentino le caratteristiche suindicate; 2. che non esistano accordi, combinazioni o sindacati fra gli appartenenti ad un dato gruppo o a più gruppi omogenei (venditori, imprenditori, capitalisti, operai, ecc.) per regolare artificialmente i rapporti economici con gli altri; 3. che non esistano vincoli e norme giuridiche che alterino i risultati dell'attività economica, avvantaggiando certi contraenti in confronto di altri; 4. che si considerino come dati certi "punti di partenza" delle azioni economiche.
Nello stesso campo della circolazione dei beni e degli scambî, si può postulare la concorrenza fra diversi beni o prodotti reciprocamente sostituibili (entro certi limiti) per certi scopi di consumo o di produzione. Ad es., fra la legna, il carbone, il gas, l'elettricità come combustibili, mezzi di riscaldamento o produzione di energia termica; fra i tessuti di lana, cotone, seta noturale e artificiale o misti, come mezzo di confezione di indumenti; fra l'acquisto di un'opera d'arte, una serata a un teatro, un viaggio di piacere, come forme di consumi di lusso, ecc. Non si tratta più di unità identiche dello stesso bene, corrispondenti a uno specifico impulso del desiderio economico; né si può parlare di tendenza del mercato ad un unico prezzo o sistema di prezzi. Tuttavia, nei limiti in cui certe categorie di bisogni possono essere alternativamente soddisfatte da beni diversi, le condizioni della concorrenza agiscono sulla domanda e sull'offerta, collegando i prezzi e le quantità scambiate con rapporti di interdipendenza. L'aumento della produzione, il ribasso dei costi marginali del carbone, ferme le condizioni degli altri succedanei e delle domande di combustibili, richiama una maggiore porzione della domanda totale, con l'effetto di far ribassare i prezzi degli altri succedanei. Il regime di concorrenza funziona limitatamente nel campo delle offerte e domande dei beni che si possono parzialmente sostituire.
Uno speciale caso di concorrenza è offerto dagli scambî internazionali. I singoli mercati nazionali costituiscono, gli uni rispetto agli altri, gruppi non comunicanti per ciò che riguarda i fattori della produzione (terre, case, popolazione, attitudini tecniche, clima, ecc.), per quanto si verifichino anche scambî internazionali di capitali produttivi. Nei limiti in cui è impossibile o economicamente non conveniente lo spostamento internazionale dei capitali produttivi, si determinano differenze nei costi locali di produzione delle varie merci (o servizî) che fanno sorgere la convenienza allo scambio internazionale dei prodotti. Esso si svolge secondo la legge dei costi comparati, esposta da Ricardo e perfezionata, tra gli altri, dal Pareto. L'ipotesi della concorrenza si estende cosi al mercato mondiale, per un numero illimitato di prodotti. Essa è in pratica variamente limitata da molti fattori; costi di trasporto; rischi; dazî all'importazione, esportazione e transito; altri diritti fiscali; limitazioni legali o divieti all'importazione ed esportazione; abitudini e tradizioni di venditori e consumatori. In pratica si parla di libera concorrenza internazionale quando gli scambî fra gli stati non sono ostacolati da vincoli legislativi ed oneri fiscali, specie dai dazî protezionisti. Ostacoli di questo genere possono limitare la concorrenza anche negli spostamenti dei fattori produttivi (ad es., protezionismo demografico).
Alla concorrenza commerciale corrisponde la concorrenza industriale: le stesse premesse conducono a risultati analoghi nel campo della produzione e distribuzione delle ricchezze. Ogni individuo capace di un'attività produttiva o che disponga di fattori di produzione, preoccupato di ottenere il massimo rendimento dai suoi sacrifici e sforzi, si avvia a quelle forme di produzione che possono assicurare tale massimo (direttamente o attraverso scambî dei proprî prodotti). I lavoratori prestano i loro servizî personali nelle industrie e imprese in cui si pagano salarî più alti; gl'imprenditori organizzano le aziende nelle industrie che dànno maggior profitto; i capitalisti cedono i risparmî disponibili ai mutuatarî disposti a pagare un saggio d'interesse più alto. Se questa tendenza non è ostacolata da norme giuridiche o da altre condizioni, la concorrenza porta ad eliminare le disuguaglianze delle rimunerazioni individuali, salvo che dipendano da disuguaglianze qualitative dei servizî resi da ciascun fattore (il salario individuale potrà variare a seconda della maggiore o minore specializzazione, abilità, difficoltà, rischiosità del lavoro prestato; il saggio d'interesse a seconda della durata del prestito e della fiducia che ispira il debitore). L'esistenza, in un mercato, dei presupposti della concorrenza porterebbe quindi alla migliore possibile divisione del lavoro (ogni capitale, ogni lavoratore si dedicherebbe all'impiego più redditizio) rendendo massima la produzione redditizia: il prezzo pagato per ogni fattore si conformerebbe al costo marginale di produzione e verrebbe determinato dalla quantità disponibile del fattore stesso e dall'impiego utile che può avere nel complesso della produzione. Le teorie matematiche dell'economia (Walras, Fisher, Pareto) con le equazioni generali dell'equilibrio economico hanno dimostrato che in questa ipotesi un mercato realizzerebbe un massimo di utilità totale, senza peraltro negare che a questo massimo si possa, teoricamente, giungere per altra via.
Così generalizzata, l'ipotesi però si allontana dalla realtà economici assai più di quella della libera concorrenza riferita agli scambî di un solo bene in un mercato. A prescindere dai vincoli creati dalla legislazione economica e tributaria, la liberta e mobilità dei capitali produttivi presenta limitazioni diversissime. I capitali fondiarî, edilizî, minerarî, idraulici mancano di requisiti di mobilità e riproducibilità che l'ipotesi della concorrenza presuppone. Nell'avviamento dei lavoratori e imprenditori ai varî impieghi, e nella destinazione dei fattori disponibili ai varî investimenti, le situazioni iniziali, le condizioni in cui ogni individuo nasce, è allevato, si presenta alla vita economica, le tradizioni e costumi, l'imperfetta conoscenza di tutte le possibilità offerte da un mercato, creano diseguaglianze che non vengono in seguito corrette o risanate se non in misura molto limitata. Le possibilità di attuazione della concorrenza sono assai diverse nelle produzioni agricole e nelle industrie manifatturiere; come gli effetti di una relativa concorrenza possono riuscire diversi a seconda che si tratti di produzioni a costi unitarî crescenti o decrescenti. Il diritto ereditario e la proprietà privata creano situazioni iniziali che alterano e modificano le condizioni della concorrenza influenzando in modo speciale la destinazione dei fattori produttivi, umani e materiali. È assai difficile eliminare, anche in via puramente astratta, questi elementi alteratori, conferendo all'ipotesi della concorrenza applicata all'intero equilibrio economico, la precisione che essa ha nella legge di indifferenza del prezzo di una merce in uno o più mercati. Donde la tendenza a considerarla come una condizione generica della vita economica, in cui lo stimolo dell'interesse personale, self-interest, è lasciato libero di agire senza i vincoli alteratori creati da una legislazione economica o gli artificiali accordi di taluni componenti il mercato.
Gli ostacoli alla concorrenza sono di molteplice natura: le consuetudini, le tradizîoni, i costumi, e la legislazione, che, in quanto agiscono sulla destinazione dei fattori di produzione e sulla loro mobilità, regolano o limitano i prezzi, i saggi d'interesse, gli scambî interni e internazionali, i consumi (leggi suntuarie); i monopolî naturali e artificiali, di fatto e legali, nei quali, di fronte a molti richiedenti in gara fra di loro, si ha un unico offerente, o una combinazione di offerenti costituita allo scopo di regolare le quantità prodotte e vendute o i prezzi, anzitutto a vantaggio del venditore. Il fenomeno delle combinazioni nasce dallo stesso stimolo dell'interesse personale, si tratti di combinazioni di produttori industriali (trusts, cartelli) o di speculatori; ovvero di organizzazioni di lavoratori rispetto agl'imprenditori; o d'imprenditori rispetto agli operai. Le diverse forme di unione organizzano però la vita economica e sostituiscono alla concorrenza individuale la lotta fra grandi organismi rappresentativi degl'interessi di larghi gruppi. Ma questa lotta è cosa diversa dal concetto tecnico di concorrenza. Una terza categoria di ostacoli alla concorrenza deriva dalla diseguaglianza insanabile delle condizioni naturali: intelligenza, abilità, forza fisica, cultura, attitudini speciali nei lavoratori tecnici e imprenditori portano a differenze di risultati e di rimunerazione, che nessuna concorrenza può eliminare. Anche nella stessa industria, nello stesso paese e periodo, le varie imprese produttive costituiscono, per queste ed altre cause occidentali, gruppi parzialmente non-concorrenti, ciò che spiega la differenza di profitti e guadagni pur in regime apparente di concorrenza e libertà giuridica. Il fenomeno è l'articolarmente rilevante nelle industrie immobiliari, in cui alla differenza di rendimento si è dato il nome di rendita. In certe industrie, come nell'industria ferroviaria, la speciale natura tecnica fa sì che la concorrenza sbocchi fatalmente nel monopolio. La legislazione infine limita o sospende la concorrenza, non solamente in quanto regola i rapporti economici, ma in quanto sostituisce a produzioni fornite da più imprese in concorrenza fra di loro, quella di un'unica impresa pubblica operante secondo criterî speciali (statizzazioni, municipalizzazioni). L'ipotesi estrema opposta a quella di concorrenza è fornita da uno stato socialista in cui tutti i fattori di produzione siano statizzati, e la distribuzione del prodotto nazionale fra i singoli avvenga in base a criterî affatto diversi da quelli dello scambio individualistico.
Il concetto di concorrenza nel senso di gara, lotta fra individui e organismi, è stato poi esteso non solo al campo sociale (lotta fra le classi per il predominio economico o politico) malanche a quello biologico, per indicare la lotta per la vita degl'individui e delle specie, attraverso la quale sopravvivono e si perpetuano i più adatti all'ambiente e i più forti. Si tratta però di fatti assai diversi da quelli definiti col termine di concorrenza nel mercato economico; le ipotesi in questo usate non servono più; e il processo cui si riferiscono può essere indicato con termini più appropriati.
Bibl.: Vedi i trattati generali di J. S. Mill, A. Marshall, V. Pareto, C. F. Bastable. Fra gli studî speciali: H. L. Moore, in Quarterly Journal of Economics, 1906; C. Supino, La concorrenza e le sue più recenti manifestazioni, Bologna 1893; E. Sella, La concorrenza, voll. 2, Torino 1914 e 1916.
Concorrenza illecita.
La concorrenza nei traffici, nelle industrie, nelle professioni è illecita quando lede il diritto del concorrente. Ciò può avvenire, o perché venga violato un obbligo nascente da una relazione contrattuale (c. anticontrattuale), o perché venga violata una norma di legge che, essendo diretta a proteggere un interesse individuale del singolo, dia vita a un diritto soggettivo munito di azione per la sua difesa in giudizio (c. extracontrattuale). Una forma particolare di concorrenza illecita è rappresentata dalla violazione delle cosiddette clausole di concorrenza (Konkurrenzkausel). In senso tecnico sono quelle convenzioni in virtù delle quali il dipendente, per lo più all'atto della sua assunzione a impiegato, si obbliga a non far concorrenza, dopo cessato il rapporto, all'antico principale, sia in proprio, sia entrando al servizio di un'altra ditta congenere.
La pratica legislativa e giurisprudenziale più diffusa, all'estero (legge germanica 10 giugno 1914; legge austriaca 10 gennaio 1910; codice svizzero delle obbligazioni, art. 356, 357) e fino al decr. legge 9 febbraio 1919 anche nel nostro paese, è nel senso che, per la validità di tali clausole, occorre che le stesse siano limitate nel tempo, nello spazio e nell'oggetto, al fine di non coartare eccessivamente la libertà del dipendente: in ogni caso poi debbono essere morali e cioè rappresentare la tutela di un onesto e ragguardevole interesse del principale. In talune legislazioni poi (p. es. la germanica) le clausole di concorrenza non sono obbligatorie se non in quanto il padrone si obblighi a pagare per la durata della proibizione una indennità. Il legislatore italiano ha dichiarato nettamente la nullità di tutte le clausole o convenzioni dirette a restringere l'attività professionale, salvo l'obbligo del dipendente di non abusare, a forma di concorrenza sleale, delle notizie attinte all'azienda del principale (art. 10 cit. decr. legge 9 febbraio 1919, n. 112, oggi art. 8 r. decr. legge 13 novembre 1924, n. 1825 relativo al contrario d'impiego privato). Sulla base di questo concetto, sarà vietato all'ex-impiegato o dipendente di sviare, a proprio profitto o a profitto di altra ditta concorrente, la clientela dell'ex principale ricorrendo a denigrazioni e a confronti fra ditte e prodotti concorrenti; gli sarà vietato di sfruttare i segreti industriali o commerciali (in senso lato) appresi durante il rapporto d'impiego.
Si possono avere anche divieti di concorrenza in relazione a contratti di vendita, concessione d'esclusiva, locazione di cose, società, mandato. Ciò può avvenire in forza di clausole speciali (clausole d'interdizione) per la cui validità occorre che l'attività professionale o commerciale dell'obbligato non sia in pratica completamente o quasi abolita (art. 1628 cod. civ.): indagine da condursi di volta in volta sulla base dei fatti. Il più delle volte, però, il divieto di concorrenza entra come elemento naturale nel contratto, o per espresse disposizioni di legge (es. articoli 112, 116, 372, 376, 515 cod. comm.), o per analogica applicazione di esse, o argomentando dalla natura del contratto e dalla somma di utilità (oggetto del contratto) che con lo stesso si è voluto assicurare. Così la concessione del diritto d'esclusiva della vendita di un dato prodotto in una determinata regione importa l'obbligo per il concedente di non vendere in quella regione, direttamente o per interposta persona, lo stesso prodotto o prodotti atti a far concorrenza al concessionario, ed è pacifico che chi vende un'azienda commerciale (a meno che dalla cessione sia escluso l'avviamento) deve astenersi da qualsiasi atto che possa diminuirne la clientela e dall'esercitare quindi, anche indirettamente, lo stesso commercio nella sfera d'azione dell'azienda ceduta. Il divieto di concorrenza può formare inoltre oggetto di accordi diretti fra produttori o commercianti, dello stesso ramo o di rami affini, per determinare l'oggetto o la zona locale della propria attivita.
Anche qui è aperta l'indagine se il patto non violi per avventura il precetto imperativo dell'art. 1628 cod. civ.: e anche qui la giurisprudenza rettamente risponde che, senza attendere astrattamente alla coesistenza dei tre limiti di spazio, di tempo e di luogo (v. quanto è stato detto a proposito delle clausole di concorrenza), si deve di volta in volta ricercare se il patto non vincoli eccessivamente la libertà economica dei contraenti. Ma in questi accordi fra industriali e commercianti, si ravvisa spesse volte, indipendentemente dai rapporti fra coalizzati, un pericolo per l'interesse dei terzi (consumatori, altri concorrenti non coalizzati), che può far sorgere gravi dubbî sulla loro liceità come negozio giuridico, e persino sul loro carattere di atto illecito di fronte al terzo che ha sofferto la lesione.
Inoltre, come per moralizzare le clausole di concorrenza è necessario che le stesse rispondano ad un ragguardevole interesse del promissario; così la moralità di questi patti sarà in ragione degl'interessi, onesti ed effettivi, che essi mirano a proteggere. Le prescrizioni, i boicottaggi, le liste nere, e tutte le forme di persecuzione, concordate per malvagità e vendetta, e comunque non giustificate da chiare ragioni di utilità per i contraenti, vanno perciò condannate come convenzioni immorali (art. 1122 cod. civ.), anche se non giungano a configurare un'illegittima lesione della libertà individuale del terzo.
Ma il tema della concorrenza illecita è specialmente importante, quando la illeceità dipenda dalla violazione di norme del diritto oggettivo indipendenti dall'esistenza d'un vincolo contrattuale fra le parti (concorrenza extracontrattuale). Tutta la materia della concorrenza illecita extracontrattuale si suole da molti costruire e giustificare col richiamo al solo art. 1151 cod. civ. (art. 1382 cod. napoleonico) per il quale "qualunque fatto dell'uomo che arreca danno ad altri obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno", e cioè sulla base di un precetto generale del neminem laedere, al quale solo la legge può, volta per volta, creare delle eccezioni. Il vero è però che risarcibile è soltanto il damnum iniuria datum (lesione di un diritto): questo è il significato da darsi alla parola danno usata dal legislatore all'art. 1151. L'illecito civile, anche in tema di concorrenza, si dovrà quindi sempre rintracciare nella violazione di una norma posta direttamente a tutela di un interesse privato, nella lesione di un diritto: non basta che sia arrecato danno perché senz'altro si dica violata la legge: il divieto è soltanto di recar danno ingiusto (agere contra ius). È bene anche ricordare, in questa materia in cui persino nel nome (concorrenza sleale) si suol far richiamo all'intenzione maliziosa: a) che ciò che interessa di stabilire è, non tanto l'intenzione dell'agente, la finalità dell'atto illecito, quando l'illeceità oggettiva del mezzo usato per la concorrenza; b) che solo la legge stabilisce ciò che non è lecito, sicché, se la morale e la pratica leale del commercio possono di fronte a talune legislazioni che vi fanno espresso riferimento (es. legge germanica, legge svizzera) costituire la pietra di paragone per il giudice che deve decidere sull'illeceità o meno di un dato atteggiamento del concorrente, ciò non può affatto consentirsi di fronte alla nostra legislazione, la quale se nega l'ausilio del diritto alle disposizioni del privato infette da immoralità (art. 1119, 1122, 1160 cod. civ), non afferma mai il principio che l'immoralità è vietata, che l'atto immorale è illecito e genera responsabilità (cfr. però ora l'art. 10 bis del nuovo testo dell'Unione di Parigi, firmato all'Aia, il 6 novembre 1925, e reso esecutivo in Italia con la legge 29 dicembre 1927,n. 2701, dove si considera atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza contrario aux usages honnêtes in materia industriale e commerciale). Il dolo, la prava intenzione dell'agente, la fraudolenza dell'atto, sono elementi che influiranno sull'azione di risarcimento del danno, non sull'illeceità del fatto, la quale esiste sempre che sia violato un diritto soggettivo del concorrente, indipendentemente dalla colpa o dal dolo dell'agente.
Perché vi sia violazione di un diritto soggettivo del concorrente e sorga l'azione proititiva e di danno a suo favore, occorre che l'atto illecito sia tale per la violazione di un precetto di legge diretto alla protezione immediata dell'interesse leso. Quindi è estranea alla concorrenza illecita, intesa come materia di diritto privato, tutta la congerie di precetti, di divieti, di sanzioni, tendenti a reprimere le frodi al pubblico. Cosi è, p. es., delle norme del codice penale (1931) che puniscono le falsità adoperate per provocare il rialzo o ribasso dei prezzi (art. 501), l'inganno sull'identità, origine o qualità della merce (articoli 515 e 517), se ciò non avvenga con violazione del diritto del concorrente attraverso alla forma di concorrenza per confusione (v. sotto), la vendita di sostanze pericolose per la salute o pericolosamente adulterate o di sostanze alimentari non genuine (articoli 440, 441, 442, 444, 516). Così è pure di tutte le norme di polizia sanitaria che pongono limiti e condizioni all'esercizio di date industrie e professioni. In questa materia di frodi al pubblico si sostiene da taluni che, siccome le norme relative (v. frode), proclamano illecito l'esercizio del commercio dove non siano osservati i limiti e le condizioni dalle stesse imposte, così il produttore, il professionista, il commerciante, che provveda ai bisogni del pubblico ubbidendo alle prescrizioni che nell'interesse di questo la legge pone, ha ragione di querelarsi della concorrenza esercitata da chi vi disubbidisca (Venezian). Questa concezione così vasta del torto civile urta però contro l'insegnamento tradizionale della scuola privatistica italiana, per cui "il danno risarcibile non si estende alla lesione degli interessi, i quali trovino nella norma statuente la illeceità dell'atto soltanto una protezione mediata", sicché "danneggiato secondo l'art. 7 cod. proc. pen. (art.22 nuovo cod. proc. pen.) non è qualunque titolare di un interesse leso ma soltanto il titolare di quell'interesse leso che è immediatamente protetto dalla norma penale" (Carnelutti). Ora, di fronte alla violazione di norme del tipo accennato l'interesse immediatamente protetto è indubbiamente quello del consumatore frodato, a meno che la legge provveda contemporaneamente nella norma a tutelare l'interesse dei produttori o professionisti dello stesso ramo, affidandone la difesa agli stessi riuniti in sindacato o consorzio, secondo una tendenza legislativa ora molto in voga (es. decr. legge 15 ottobre 1925 già citato, che dà facoltà di costituirsi parte civile ad associazioni ed enti agricoli).
L'azione del singolo contro il concorrente che operi con mezzi illeciti comincia solo là dove vi sia diritto soggettivo e cioè un'interesse direttamente protetto dalla norma. E anzitutto la legge è intervenuta ad assicurare agli autori e agl'inventori l'esclusivo godimento e la disponibilità delle proprie opere od invenzioni (v. autore, Diritto d'). Peraltro in materia di violazione dei diritti nascenti dalla proprietà artistica e letteraria come dai brevetti industriali ci si trova di fronte a forme autonome di illecito, di cui la concorrenza non rappresenta che il motivo economico. Inoltre, alla base dei diritti degli autori e degl'inventori, e indipendentemente dalla tutela che il diritto offre al lato patrimoniale di essi, sta il diritto personalissimo dell'autore e dell'inventore, che può venir violato (es. pubblicazione abusiva del manoscritto, plagio) all'infuori di qualsiasi intento di concorrenza economica.
In pieno campo di concorrenza illecita, invece, si entra coi segni distintivi. Il miglior mezzo che l'ordine giuridico poteva escogitare per assicurare ad ognuno il frutto del proprio lavoro ed impedire illegittime invasioni nella sfera d'azione propria d'ognuno, era appunto quello di assicurare agli uomini l'uso esclusivo dei segni esteriori da essi adottati per distinguere sé stessi, la propria azienda e stabilimento e i proprî prodotti. Tenendo distinte le persone dei concorrenti e le loro produzioni, la legge garantisce nel modo più sicuro ed efficace il libero svolgersi della gara e la spontanea distribuzione del favore del pubblico. Di qui le disposizioni speciali della legge sui marchi di fabbrica, sul nome, sulla ditta, sulle denominazioni commerciali, sull'insegna, sull'emblema (articoli 473, 474, 514 nuovo cod. pen.; legge 30 agosto 1868, n. 4577 concernente i marchi e i segni distintivi di fabbrica, specialmente agli articoli 1, 5, 11 e 12). È il "diritto di distinguersi" del Kohler che trova nella legge il suo positivo accoglimento.
Altro mezzo specifico di difesa fornito all'industriale, contro le invasioni illegittime altrui, è costituito dalla norma di legge che punisce la violazione dei segreti industriali o di fabbrica (art. 623 cod. pen.). Si richiama anche giustamente l'art. 325 nuovo cod. pen. per la tutela del segreto commerciale, cioè quello che riguarda il contenuto dei libri di commercio e dei bilanci, i contratti in corso, i progetti di affari, le direttive particolari di una determinata azienda, l'organizzazione speciale di essa, i nomi e gl'indirizzi dei clienti, e in genere le caratteristiche speciali di un'azienda commerciale o industriale. Qui si è di fronte a norme che, con l'interesse pubblico, mirano certamente a proteggere l'interesse privato del commerciante o industriale, e che creano perciò dei diritti soggettivi muniti d'azione. Per la legge penale la rivelazione dei segreti deve essere volontaria; se dovuta a sola negligenza o imprudenza, v'è solo luogo ad azione per risarcimento civile. Responsabile è naturalmente anche colui che ricevette la rivelazione, se ciò dipese da istigazione sua o da corruzione dell'impiegato e se ha approfittato della negligenza altrui per carpire un segreto: il concorrente che così agisce commette atto illecito, ed è passibile di azione penale se ricorrono gli estremi di correità o complicità in reato, e di azione civile di risarcimento verso il danneggiato.
La norma generale che i frutti del lavoro spettano come giusto compenso a chi ha dato per conquistarli le proprie fatiche si ricava, col processo logico della generalizzazione ed astrazione (art. 3 disp. prelim. cod. civ.), dalle mentovate disposizioni di legge, e ne costituisce pertanto il presupposto sottinteso, come anche di quelle più generali e comprensive che riconoscono il diritto di proprietà o di appartenenza sulle opere dell'ingegno e sulle utilità create col proprio lavoro (artícoli 437, 438, 445, 447, 448, 469, 470 cod. civ.). Ora è appunto da questo principio generale di diritto che discende il riconoscimento della tutela giuridica contro tutte le molteplici forme di concorrenza illecita. Così, anche indipendentemente dalle norme specifiche sul marchio, nome, ditta e insegna, e anzi per applicazione analogica delle stesse, universalmente s'insegna che è vietato lottare nel campo della concorrenza economica con la confusione portata fra i proprî prodotti o stabilimenti e quelli del concorrente.
Rientrano in questo caso il copiare l'apparenza caratteristica della facciata dello stabilimento, la disposizione interna e l'organizzazione dei locali, il colore e la forma dei veicoli, la disposizione delle vetrine, o l'imitare indirizzi telegrafici o telefonici, o l'approfittarsi di un errore di recapito o il servirsi dello stesso viaggiatore per sostituirsi presso la clientela, l'appropriarsi di un titolo di un libro o di un giornale, il contraffare la forma e i colori dei prodotti, le etichette, le vignette, gl'imballaggi, le réclames, il copiare od imitare annunzî, album, circolari, listini dei prezzi, formularî, cataloghi, ecc. Parimenti è considerato atto illecito di concorrenza, sotto l'ampio profilo accennato, il fatto di copiare i dispositivi e gli elementi di dettaglio caratteristici degl'impianti del concorrente e di appropriarsi delle speciali istruzioni di funzionamento degl'impianti stessi; il fatto di riprodurre e spacciare sotto il proprio nome fotografie e cartoline illustrate eseguite da altri benché non depositate a norma della legge sui diritti d'autore, o di riprodurre con la fotografia una determinata edizione musicale spacciandola come edizione propria. In tutti questi casi si ha appropriazione dei frutti del lavoro altrui, violazione quindi del diritto di pertinenza del commerciante o produttore.
E sempre sulla base del principio generale anzidetto sono perseguite come illecite tutte le manovre tendenti a sfruttare la notorietà e la riputazione da altri conquistata per il proprio prodotto. Così è vietato il riavvicinamento nominativo di due prodotti, quando esso abbia per scopo e possa portare al risultato dello sfruttamento del credito e della riputazione come avviene, per es., nell'uso, sulle etichette e nelle réclames, di locuzioni suggestivamente riassuntive (tipo, uso, sistema, migliore di, identico a, ecc.).
Un produttore già noto che difenda il proprio prodotto contro quello posto in commercio da un concorrente il quale tenti di soppiantarlo, se ciò faccia ponendo in evidenza i pregi reali che lo rendano a quello ancora preferibile, non commette atto illecito, perché si serve del suo diritto di dire la verità che, fuori del campo della diffamazione, si deve oggi largamente riconoscere. E lo stesso si può dire di chiunque usi dell'arma del confronto unicamente per illuminare il pubblico sulla verità del valore comparativo dei prodotti; ma quando ciò si faccia come pretesto per accaparrarsi a buon mercato la fama che altri ha conquistato è certo che si commette una vera usurpazione. Per questa ragione è, per lo più, considerato illecito il raffronto nominativo col concorrente.
Ancora, sempre per il medesimo principio che è vietato usurpare il frutto del lavoro altrui, sono illeciti tutti i mezzi di storno della clientela del concorrente, a base di denigrazioni della persona o del prodotto del concorrente, specie se ciò si faccia con la complicità di impiegati o di ex-impiegati dell'azienda concorrente. Illecito è pure lo storno d'operai o impiegati quando ciò si faccia per far credere che il personale assunto sia ancora al servizio della ditta concorrente al fine di creare una confusione fra stabilimenti, ovvero quando abbia lo scopo di carpire i segreti di fabbrica del concorrente, o di conoscere le liste dei clienti o altre notizie interne e segrete, ovvero quando sia connesso con altri fatti illeciti, per es., per rendere più credibili le denigrazioni dell'altrui prodotto.
Le azioni che la legge concede al privato, contro la concorrenza illecita extra-contrattuale, sono due:
1. L'azione proibitoria, diretta a interdire al concorrente la prosecuzione in un comportamento che costituisce una lesione permanente del diritto dell'attore. Quest'azione è completamente indipendente dall'intenzione del concorrente o dalla prova di un danno qualsiasi derivato al leso. Basta l'accertamento oggettivo dello stato di fatto lesivo del diritto perché sorga senz'altro nel leso il diritto di agire per la sua rimozione. In relazione a questo concetto, che trova la sua applicazione alla materia dell'illecito anticontrattuale nell'art. 1222 cod. civ., è ad es. legittima la pronuncia di condanna alla soppressione dello scritto diffamatorio che, con la sua diffusione al pubblico, perpetui lo stato di violazione del diritto, sempreché, s'intende, ciò sia materialmente possibile.
2. L'azione di accertamento della responsabilità e di risarcimento del danno, per l'esercizio della quale occorre provare, oltre l'illeceità oggettiva del fatto, la colpa (o il dolo) del concorrente e il danno nel patrimonio dell'offeso. Senza danno non v'è responsabilità. Col nuovo codice penale (art. 185) ogni reato che abbia cagionato un danno, patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento: è quindi abolita la riparazione pecuniaria come forma eccezionale soddisfattoria del danno morale (art. 38 vecchio codice). Scopo dell'indennizzo è di risarcire il danneggiato e cioè di restituirlo per quanto è possibile nella condizione in cui si trovava prima della lesione del suo diritto. Si è perciò formata una vera corrente dottrinale e giurisprudenziale a favore di quelle forme di riparazione che più si avvicinano a questo concetto: per es. la pubblicazione giornalistica della sentenza a spese del concorrente sleale, per distruggere gli effetti della pubblicità dell'offesa.
Le azioni nascenti dalla concorrenza illecita appartengono alla giurisdizione commerciale (art. 4 cod. comm.), e si prescrivono perciò in dieci anni (art. 917 cod. comm.), salvo che osti alla prescrizione una ragione d'ordine pubblico (praescriptio temporis iuri publico non debet obsistere), come sarebbe per l'azione proibitoria nel caso di concorrenza per confusione, e in genere per tutte quelle forme di concorrenza che si attuano mediante inganno del pubblico; inoltre, se anche sia venuta meno per prescrizione l'illeceità dell'atto permanente di concorrenza continuata (es. nella denigrazione), e quindi l'azione proibitoria, rimane però in vita l'azione per il risarcimento dei danni verificatisi in passato entro il decennio.
In Italia non c'è ancora una legge generale sulla concorrenza sleale. Si hanno però varî progetti, di cui il più recente fa parte del progetto per il nuovo codice di commercio, preparato dalla commissione reale, per la riforma dei codici, dove, con chiara concisione, si dice commettere illeita concorrenza: a) chiunque usa nomi o segni distintivi atti a produrre confusione con i nomi e con i segni distintivi legittimamente usati da altri, in modo da sviarne la clientela; b) chiunque discredita i prodotti o i servizî altrui con notizie contrarie alla verità, anche se siano relative a prodotti o servizî proprî; c) chiunque adopera false indicazioni circa la provenienza delle merci, salvo che siano considerate designazioni di uso comune; d) chiunque adopera direttamente o indirettamente mezzi analoghi, idonei a sviare l'altrui clientela. Inoltre, con la legge 29 dicembre 1927, n. 2701 si dà piena esecuzione, anche per la parte riguardante la concorrenza sleale, alla convenzione dell'Aja 6 novembre 1925, dove all'art. 10 bis si dispone: "Les pays contractants sont tenus d'assurer aux ressortissants de l'Union une protection effective contre la concurrence déloyale. Constitue un acte de concurrence déloyale tout acte de concurrence contraire aux usages honnêtes en matière industrielle ou commerciale. Notamment devront être interdits: 1. tous faits quelconques de nature à créer une confusion par n'importe quel moyen avec les produits d'un concurrent; 2. les allégations fausses dans l'exercice du commerce de nature à discréditer les produits d'un concurrent". Anche in Francia il fondamento della protezione contro la sleale concorenza si ravvisa in ogni attacco alla clientela: però anche là manca una legge generale, e la sanzione è ricercata nell'art. 1382 cod. civ. (corrispondente al nostro art. 1151 cod. civ.). In Germania si ha la legge 7 giugno 1909, che nell'art. 1 definisce la concorrenza sleale extra-contrattuale come quella contraria ai buoni costumi (di conformità il § 826 cod. civ. germ). Nella Svizzera il codice federale delle obbligazioni concede azione a colui che si vede danneggiato o minacciato nella clientela per effetto di procedimenti contrarî alla buona fede; si hanno poi le leggi cantonali, da ultimo quella 2 novembre 1927 del cantone di Ginevra dove si definiscono gli atti di concorrenza illecita come "gli atti dolosi commessi allo scopo di attirare a sé uno o più clienti o d'ingannare altri, così come la negligenza grave di natura tale da provocare lo stesso risultato". La legge germanica sulla concorrenza illecita ha poi servito di modello ad altri stati (es. Austria, Ungheria, Grecia, Svezia, Norvegia, Danimarca).
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