CONCORRENZA (XI, p. 83)
La c., come espressione indicativa di un regime che si caratterizza soggettivamente in funzione dell'attribuzione a ciascuno del potere d'iniziativa economica e oggettivamente in funzione della contemporanea presenza sul mercato di una pluralità d'imprenditori che valga a eliminare l'influenza determinante di ciascuno di essi e che si contrappone al regime di monopolio, in cui l'iniziativa economica è riservata allo stato o a soggetti esattamente individuati e nel quale un solo operatore economico determina le condizioni di mercato, trova ora una puntualizzazione e una disciplina, oltre che nelle disposizioni del codice civile (Titolo X del Libro del lavoro), nei principi della Carta costituzionale (artt. 41, 43, 47) e in quelli dei trattati comunitari e in particolare del Trattato di Parigi 18 aprile 1951 (ratificato e reso esecutivo in Italia con l. 25 giugno 1952, n. 766) che ha istituito la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e del Trattato di Roma 25 marzo 1957 (ratificato e reso esecutivo in Italia con l. 14 ottobre 1957, n. 1203) che ha istituito la comunità economica europea.
La c., come libertà d'iniziativa economica, costituisce il cardine fondamentale del sistema che è alla base dell'ordinamento dello stato e degli ordinamenti comunitari, l'uno e gli altri ispirati al principio dell'economia di mercato. Il regime di monopolio, anche quando non sia considerato addirittura con sfavore, com'è negli ordinamenti comunitari, costituisce pur sempre un fenomeno marginale e limitato che trova una giustificazione in particolari ragioni di pubblico interesse.
La libertà d'iniziativa economica può subire limitazioni in funzione di esigenze di programmazione economica (art. 41, 3° comma) o di nazionalizzazione o socializzazione di determinate imprese o categorie di imprese (art. 43), ma queste limitazioni possono essere introdotte, nelle ipotesi tassativamente previste dalla Carta costituzionale, soltanto in funzione della realizzazione di fini sociali ulteriori e altrimenti non realizzabili e con la garanzia di una legge. Non sarebbe sufficiente a tal fine un atto dell'autorità amministrativa.
La libertà d'iniziativa economica è riconosciuta in quanto il sistema economico a essa improntato è ritenuto rispondente all'utilità sociale. Il relativo potere è quindi un derivato dell'ordinamento, che trova nell'utilità sociale il suo fondamento e al tempo stesso il suo limite e che, essendo riconosciuto a ciascun soggetto, deve poter coesistere con il potere d'iniziativa degli altri che operano sullo stesso mercato.
Il contenuto di questo potere trova quindi al suo interno un duplice limite: anzitutto quello che esso non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana (art. 41, 2° comma Cost.); in secondo luogo quello che esso non può attuarsi senza il rispetto delle posizioni di potere spettanti agli altri operatori economici. Con riferimento al primo limite, assumono rilievo due situazioni distinte che possono concretamente determinarsi in conseguenza del riconoscimento della libertà d'iniziativa economica e porsi in contrasto con l'utilità sociale, in quanto incidono, deformandolo, sul sistema economico che è alla base dell'ordinamento: da un lato quella che s'individua come posizione dominante sul mercato e che può determinarsi naturalmente in funzione dell'accrescersi delle dimensioni dell'impresa o può essere creata artificialmente attraverso successive concentrazioni d'imprese autonome; d'altro lato quella che si realizza attraverso accordi tra imprenditori operanti sullo stesso mercato diretti a regolare la reciproca posizione concorrenziale.
La libertà d'iniziativa economica, se è un presupposto necessario affinché si determini un regime di c. in senso oggettivo, non è di per sé sufficiente.
Una pluralità d'imprenditori può addirittura mancare in determinati settori economici perché manca la pluralità delle iniziative, determinandosi così in fatto una posizione di monopolio o, pur realizzandosi la presenza di una pluralità d'imprenditori, questi possono trovarsi in posizione diversa per modo che a uno o a taluni di essi è dato d'imporre le condizioni di mercato. È anzi questa la situazione riscontrabile nella realtà economica: il regime concorrenziale non è mai allo stato puro, ma è, come puntualizzano gli economisti, un regime di c. imperfetta ovvero di c. monopolistica. L'emersione sul mercato di posizioni dominanti pone problemi analoghi a quelli che si verificano rispetto ai monopoli legali; da ciò la necessità d'impedire il determinarsi di quegli abusi di potere economico che la posizione dominante può consentire.
Anche se la conquista di una posizione dominante è nella logica del sistema e non può essere impedita (tuttavia una tendenza in questo senso, che era recepita nell'ordinamento della CECA, si sta manifestando anche nell'ambito della CEE con riferimento alle posizioni dominanti create artificialmente), debbono essere impediti tuttavia gli abusi che a essa possono riconnettersi a danno degl'imprenditori concorrenti e soprattutto a danno dei consumatori. D'altra parte, la libertà d'iniziativa economica comprende anche il potere degl'imprenditori di autolimitare la propria attività d'impresa e di regolare il rapporto concorrenziale con gli altri imprenditori in modo da modificare o da eliminare, attraverso accordi o pratiche concordate o attraverso la creazione di organizzazioni comuni, le conseguenze negative della concorrenza.
E anche per questa via il potere d'iniziativa economica può porsi in contrasto con l'utilità sociale, in quanto può determinare compressioni della libertà individuale o alterazioni del sistema economico che l'ordinamento ha prescelto.
Nell'ordinamento dello stato è questa seconda situazione che assume, almeno direttamente, rilievo e questo rilievo assume sotto il profilo della limitazione della libertà economica del soggetto che da essa deriva: da ciò la subordinazione della validità e dell'efficacia dei patti a limiti di tempo e di oggetto e all'osservanza di previsioni di forma (art. 2596, artt. 2603-2604 c. c.). Manca invece una disciplina della posizione dominante e difficilmente applicabili sono con riferimento a essa le disposizioni dettate per i monopoli legali. Tuttavia gli abusi di potere economico possono essere impediti perché in contrasto con l'utilità sociale. Così come possono essere impediti perché in contrasto con l'utilità sociale quegli accordi tra imprenditori che per la loro rilevanza determinino una sostanziale alterazione del sistema economico posto a base dell'ordinamento dello stato.
Negli ordinamenti comunitari e in particolare nel trattato istitutivo della CEE, mentre non assume rilievo il profilo della limitazione della libertà individuale, trova puntuale considerazione quello dell'incidenza della posizione dominante e degli accordi tra imprenditori sul mercato e sono poste norme precise (le regole di c. di cui agli artt. 85 e 86 del trattato CEE e i regolamenti che su di esse s'innestano) che vietano, sanzionandone la nullità, gli accordi tra imprenditori e le pratiche concordate dirette ad alterare il libero giuoco della c. e reprimono con severe sanzioni gli abusi di posizione dominante, sotto il quale profilo possono anche essere colpite quelle utilizzazioni dei marchi e dei brevetti che esorbitano dal contenuto del diritto di privativa e alterano il regime di concorrenza.
Con riferimento al secondo limite, vengono in considerazione essenzialmente le norme sulla repressione della c. sleale (art. 2598 segg. c. c.). L'atto di c. sleale ha ormai una propria configurazione nell'ambito degli atti antigiuridici: è atto di c. sleale ogni atto di c. che si realizza con mezzi contrari ai principi della correttezza professionale e che è idoneo a danneggiare l'altrui azienda. L'antigiuridicità sussiste anche quando non ricorrono gli elementi dell'atto illecito (dolo o colpa e danno) e la sanzione caratteristica è data dall'inibitoria, e cioè dalla possibilità di far cessare il comportamento antigiuridico e di eliminarne gli effetti.
Le norme sulla c. sleale sostanzialmente s'ispirano all'esigenza che la competizione tra imprenditori si svolga con il rispetto delle regole della gara. Si tratta di norme che, se pure indirettamente, realizzano anche una tutela del consumatore, direttamente salvaguardano l'imprenditore e la posizione da lui acquisita sul mercato, come chiaramente si desume dal richiamo che viene fatto ai principi della correttezza professionale e all'idoneità dell'atto a danneggiare l'altrui azienda. Ma questo non esclude che l'atto di c. sleale possa avere dei riflessi anche nei confronti dei consumatori ed essere anche sotto questo aspetto considerato come antigiuridico. Ma, per quanto riguarda il nostro ordinamento, questa valutazione non va compiuta alla stregua delle norme sulla c. sleale, ma va compiuta alla stregua dei principi sull'atto illecito e in particolare sulla base degli artt. 513 segg. del codice penale.
Bibl.: T. Ascarelli, Teoria della concorenza e dei beni immateriali, Milano 1960; G. Bernini, F. Bortolotti, Le regole di concorrenza nei trattati della CEE e della CECA, Torino 1971; S. Lombardini, Concorrenza, monopolio e sviluppo, Milano 1971; R. Franceschelli, Studi e capitoli sul diritto della concorrenza, ivi 1974.