Abstract
Con il termine concorso si indica, in diritto del lavoro, una procedura volta a selezionare gli aspiranti più idonei a ricoprire una determinata posizione lavorativa. La selezione può essere finalizzata ad una prima assunzione o ad una progressione di carriera nell'ambito di un rapporto già in essere. La presente voce mette in evidenza le principali problematiche collegate ai concorsi nelle pubbliche amministrazioni, nelle società pubbliche e negli enti privati.
Con il termine concorso si indica, in diritto del lavoro, una procedura volta a selezionare gli aspiranti più idonei a ricoprire una determinata posizione lavorativa. La selezione può essere finalizzata ad una prima assunzione o ad una progressione di carriera nell'ambito di un rapporto già in essere.
Solitamente i criteri che governano la procedura selettiva sono predeterminati e resi conoscibili in un documento con il quale il datore di lavoro comunica alla platea dei possibili destinatari l'intenzione di coprire la posizione all'esito della procedura selettiva ed in applicazione dei criteri di scelta che la governano, in modo che gli interessati possano presentare domanda di partecipazione.
Tale documento viene solitamente denominato bando, o avviso pubblico, a seconda dei contesti, e le domande di partecipazione devono essere presentate entro un determinato termine dalla pubblicazione dello stesso, corredate dalla documentazione ritenuta utile o espressamente richiesta ai fini della valutazione.
Le modalità con le quali il bando o l'avviso pubblico sono resi conoscibili possono variare a seconda dei contesti di riferimento, così come può essere diverso il grado di complessità delle operazioni di valutazione in relazione alla posizione da ricoprire. Solitamente dette operazioni vengono rimesse ad un’apposita commissione.
Quando la selezione è finalizzata ad una assunzione presso una pubblica amministrazione si parla di «concorso pubblico» ed il grado di formalizzazione della procedura è massimo: il principio concorsuale di accesso al pubblico impiego è, infatti, costituzionalizzato dall'art. 97 Cost. ed i principi ispiratori delle procedure concorsuali e le modalità di esecuzione delle stesse sono dettagliatamente regolate dalla legge.
Viceversa, ai sensi dell’art. 41 Cost., l'iniziativa economica privata è libera e non esistono norme di legge che impongano ai privati di selezionare eventuali aspiranti ad una determinata posizione sulla base di particolari procedure selettive.
In alcuni casi, però, soprattutto nell'ambito di organizzazioni imprenditoriali complesse, anche i privati possono avere interesse a selezionare i soggetti più idonei a ricoprire una determinata posizione attraverso apposite procedure selettive. Si parla, in queste ipotesi, di «concorsi privati».
I settori in cui storicamente si è maggiormente registrato il ricorso a tali procedure selettive sono quelli degli enti pubblici economici e del credito soprattutto negli anni '80 e '90.
Oggi si assiste ad una netta inversione di tendenza ed il ricorso a procedure selettive formalizzate da parte di imprese private, almeno ai fini delle assunzioni, è sempre meno diffuso a vantaggio di modalità di selezione del personale meno vincolanti.
Un discorso a parte deve essere svolto per le procedure selettive da parte delle società partecipate da pubbliche amministrazioni.
A partire dal d.l. 25.6.2008, n. 112, conv. con mod. dalla l. 6.8.2008, n. 133 e per finire con il d.lgs. 19.8.2016, n. 175, recentemente corretto dal d.lgs. 16.6.2017, n. 100, le procedure selettive per l’assunzione in dette società sono oggetto di una specifica regolamentazione legale che le avvicina molto ai veri e propri concorsi pubblici (v. infra, § 4).
Come già accennato, ai sensi dell'art. 97 Cost., co. 3, «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
Senza entrare nel merito di tutte le problematiche relative ai pubblici concorsi, in questa sede è sufficiente soffermarsi solo su alcuni punti, rinviando per una più approfondita anali alle trattazioni specialistiche (Da ultimo Rossi, M., Il reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni, in Santoro-Passarelli, G., a cura di, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Privato e pubblico, Torino, 2017, 2739 e ss.).
La Corte costituzionale ha ripetutamente sottolineato la relazione intercorrente tra l'art. 97 e gli artt. 51 e 98 Cost., osservando come, in un ordinamento democratico caratterizzato dalla netta distinzione tra politica e amministrazione, il concorso pubblico, quale meccanismo di selezione tecnica e neutrale dei più capaci, resti il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni d'imparzialità ed al servizio esclusivo della Nazione. Eventuali deroghe alla regola del concorso sono ammissibili soltanto nei limiti segnati dall'esigenza di garantire quegli stessi o altri principi costituzionali, che possano assumere importanza per la peculiarità degli uffici di volta in volta considerati (ad es., quando si tratti di uffici destinati in modo diretto alla collaborazione con gli organi politici o al supporto dei medesimi; C. cost., 4.1.1999, n. 1 e, più recentemente, C. cost., 13.11.2009, n. 193. Da ultimo l'assunto è stato ribadito da TAR Lazio, Roma, 6.10.2016, n. 10112).
In attuazione della norma costituzionale, la disciplina dei concorsi pubblici è oggi stabilita, in linea generale, dall'art. 35 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165, nonché, in virtù del richiamo operato dall'art. 70, co. 13, dello stesso decreto, dal d.P.R. 9.5.1994, n. 487.
Alla luce di tale normativa tra i tratti caratterizzanti del concorso pubblico spiccano:
- l'adeguata pubblicità della selezione, che, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza, non può prescindere pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale (Cons. St., sez. V, 25.1.2016, n. 227);
- l'apertura a candidati esterni all'amministrazione (adeguato accesso dall'esterno);
- la previsione di modalità di svolgimento che garantiscano l'imparzialità;
- l'adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, idonei a verificare il possesso dei requisiti attitudinali e professionali richiesti in relazione alla posizione da ricoprire;
- la composizione delle commissioni esclusivamente con esperti di provata competenza nelle materie di concorso e che non ricoprano cariche politiche o sindacali.
Prima di bandire un concorso, tuttavia, l'amministrazione deve procedere ad una serie di verifiche volte a valutare se la copertura del posto non possa essere effettuata secondo canali diversi e prioritari.
Occorre verificare, in particolare, se, per la posizione in esame:
- vi siano domande di trasformazione del rapporti di lavoro da part-time a full-time (art. 6, co. 4, d.l. 28.3.1997, n. 79, conv. con mod. dalla l. 28.5.1997, n. 140);
- sia stata attivata la procedura di mobilità finalizzata al passaggio diretto di dipendenti tra amministrazioni diverse (art. 30, co. 1 e 2-bis, d.lgs. n. 165/2001);
- sia possibile ricorrere allo scorrimento di graduatorie già esistenti e non ancora scadute (art. 35, co. 5-ter, d.lgs. n. 165/2001; cfr., sul punto, Cons. St., 28.1.2016, n. 316; Cons. St., 28.7.2011, n. 14);
- sia possibile procedere alla ricollocazione di personale in disponibilità (art. 34, co. 6, d.lgs. n. 165/2001).
La facoltà delle amministrazioni di procedere alla copertura di posti attraverso l'indizione di nuovi concorsi risulta, quindi, paradossalmente, piuttosto limitata, ricorrendo nelle sole ipotesi in cui le verifiche di cui sopra abbiano dato esito negativo (ci sarebbe da chiedersi, pertanto, se l'evoluzione normativa del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in un contesto di marcata spending review, evidenzi oggi una sorta di ridimensionamento di fatto della regola dell'accesso per concorso ai pubblici uffici).
In ogni modo, quanto alla loro qualificazione giuridica, i concorsi pubblici sono considerati alla stregua di un'offerta al pubblico, nella misura in cui solitamente prevedono il riconoscimento del diritto del vincitore a ricoprire la posizione di lavoro messa a concorso e la data a decorrere dalla quale è destinata a operare giuridicamente l'attribuzione della nuova posizione (Cass., 10.7.2015, n. 14397).
Proprio con riferimento alla maturazione del cd. diritto all'assunzione, inoltre, deve essere interpretato l'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001. Questa disposizione stabilisce in modo apparentemente ambiguo il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario in materia di concorsi pubblici: al giudice amministrativo sono devolute le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione; quello ordinario tutte le altre controversie concernenti l'assunzione al lavoro.
Lo spartiacque tra le due giurisdizioni è segnato dall'approvazione della graduatoria: infatti, con l'approvazione della graduatoria si esaurisce l'ambito riservato al procedimento amministrativo e all'attività autoritativa dell'amministrazione, tutti gli atti successivi riguardano una fase in cui i comportamenti dell'amministrazione vanno ricondotti all'ambito privatistico (Cass., S.U., 23.9.2013, n. 21671), posto che ormai il vincitore del concorso ha maturato, appunto, il diritto ad essere assunto.
Vale la pena ricordare, infine, che, ai sensi dell' art. 3, co.6, d.P.R. 10.1.1957, n. 3: «Salve le eccezioni previste dal presente decreto, l'assunzione agli impieghi senza il concorso prescritto per le singole carriere è nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell'amministrazione, ferma restando la responsabilità dell'impiegato che vi ha provveduto».
Ma al di là delle previsioni di legge in tal senso, secondo il Consiglio di Stato (Cons. St., sez. V, 30.4.2014, n. 2270), la nullità delle assunzioni contra legem può essere considerata espressione di un principio generale.
Tale nullità, deve intendersi in senso proprio, come invalidità improduttiva di effetti giuridici, imprescrittibile, insanabile e rilevabile di ufficio, non trattandosi di vizio di violazione di legge, secondo i principi generali regolanti il regime di annullabilità degli atti amministrativi illegittimi (Cons. St., sez. V, 1.12.2014, n. 5916).
Alle stesse conclusioni sembra doversi giungere in caso di assunzione effettuata a seguito di procedure concorsuali poi annullate, sebbene sul punto non vi sia unanimità di consensi in dottrina e in giurisprudenza, anche se tutte le ricostruzioni, seppur con diverse sfumature, concordano nel ritenere il contratto privo di effetti (cfr., per una esaustiva panoramica dei vari orientamenti e con ulteriori riferimenti, Mastinu, E.M., Le ripercussioni dell'annullamento degli atti del concorso per assunzione sul contratto di lavoro del dipendente pubblico. Una svolta nella giurisprudenza della corte di cassazione?, in Lav. pubbl. amm., 2015, 337 e ss.).
Quanto alle tecniche di tutela, il partecipante ad un concorso pubblico risulta pienamente garantito dalla natura pubblica delle procedure di reclutamento e dalle possibilità offerte dalla doppia giurisdizione di cui all'art. 63 del d.lgs. n. 165/2001: ricorrendone i presupposti, si potrà spaziare dalla classica azione volta all'annullamento della procedura, davanti al giudice amministrativo, a quella di condanna all'assunzione, davanti al giudice ordinario, senza pregiudizio, ovviamente, della tutela risarcitoria.
La materia dei concorsi comincia ad assumere una certa rilevanza anche con riferimento alle assunzioni nelle società pubbliche, già a partire dal d.l. n. 112/2008, conv. con mod. dalla l. n. 133/2008 dello stesso anno, che all'art. 18 interveniva sul reclutamento del personale di dette società che, è bene ribadirlo, sono comunque “private”.
Da ultimo, la materia è stata nuovamente regolata dall'art. 19 del «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (d.lgs. n. 175/2016 e successivo decreto correttivo n. 100/2017; tra i primi commenti cfr. Lalli, A.-Meschino, M., a cura di, Le società partecipate dopo la riforma Madia, Roma, 2016).
Le società a controllo pubblico sono chiamate a stabilire, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'art. 35, co. 3, del d.lgs. n. 165/2001 (art. 19, co. 2).
Si tratta dei principi già evidenziati nel paragrafo precedente in materia di procedure di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni.
Molto importante è, inoltre, la previsione in base alla quale i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure sono nulli (art. 19, co. 4, d.lgs. n. 175/2016).
La nullità colpisce due ipotesi diverse: sia l'assunzione effettuata in mancanza dei provvedimenti chiamati a fissare i criteri e le modalità (in assenza dei provvedimenti), sia di quella effettuata in violazione dei provvedimenti stessi, quando è la procedura, pur individuata, ad essere violata (in assenza delle procedure).
Le procedure, infatti, quantomeno con riferimento ai principi che devono ispirarle, sono sempre individuabili: in caso di mancata adozione dei provvedimenti, infatti, trova diretta applicazione l'art. 35, co. 3, del d.lgs. n. 165/2001 (art. 19, co. 2).
Il legislatore del 2016, dunque, quanto al reclutamento, tende ad armonizzare la disciplina delle assunzioni presso le società a controllo pubblico con quella delle assunzioni presso le amministrazioni controllanti, ferma restando, però, la natura privatistica delle società controllate (cfr. l'art. 1, co. 3, e l'art. 19, co. 1, d.lgs. n. 175/2016).
Non a caso, resta ferma la giurisdizione ordinaria sulla validità dei provvedimenti e delle procedure di reclutamento del personale (art. 19, co. 4).
L'espressa previsione della nullità si rivela molto importante una volta affermata la natura privatistica delle società pubbliche e delle relative procedure di reclutamento del personale, perché consente di delineare una tutela demolitoria in casi di assunzioni effettuate contra legem, analoga a quella prevista per le pubbliche amministrazioni e difficilmente ipotizzabile, invece, in caso di concorsi posti in essere da enti privati.
C'è da dire, però, che l'attuazione del d.lgs. n. 175/2016 appare fortemente condizionata dalla recente sentenza della C. cost., 25.11.2016, n. 251, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la l. delega 7.8.2015, n. 124, cd. Riforma Madia (cfr. Mezzacapo, D., Prime osservazioni sul rapporto di lavoro nelle società a controllo pubblico dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 251/2016, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 319/2017 e in Lav. prev. oggi, 2016, 618 ss.; Gramano, E., Il reclutamento e la gestione del personale alle dipendenze delle società a partecipazione pubblica, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT – 332/2017).
La sentenza afferma espressamente che la dichiarazione di incostituzionalità resta circoscritta alle disposizioni di delegazione oggetto del ricorso, e non si estende alle relative disposizioni attuative. Sempre secondo la sentenza, per queste ultime, tra le quali anche il d.lgs. n. 175/2016, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione.
Se ne deduce, dunque, che l'incostituzionalità della l. delega non si estende automaticamente al decreto delegato ma il monito al Governo di apprestare i necessari correttivi rende improbabile immaginare una celere attuazione delle nuove disposizioni.
Molto meno consolidata è la fenomenologia e la qualificazione giuridica dei cd. concorsi privati, in assenza di una cornice normativa speciale che ne delinei i tratti distintivi.
La tematica viene ricondotta, generalmente, a quella dell'autolimitazione dei poteri datoriali, che può trovare la propria fonte nell'autonomia privata o collettiva.
In quest'ottica, ogni discorso sui concorsi privati e sull'autolimitazione dei poteri datoriali deve essere risolto alla luce della disciplina generale del codice civile e delle clausole di correttezza e buona fede (la letteratura sul punto è vastissima: si vedano, da ultimo, le relazioni alle giornate di studio AIDLASS 2014 «Clausole generali e diritto del lavoro», tenute da Loy, G., Bellomo, S. e Campanella, P., in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2015, n. 1, 3 e ss.).
È importante chiarire, in ogni caso, che, a differenza dei concorsi pubblici, i concorsi privati, pur limitando il potere datoriale di individuare il soggetto da assumere o da promuovere, non pongono limiti di carattere interno e non funzionalizzano il potere privatistico: si tratta, casomai, di limiti esterni che generalmente lasciano al datore di lavoro un margine di autonomia non sindacabile (Cfr. già Santoro-Passarelli, G., I concorsi privati: una fattispecie in via di assestamento, in Mass. giur. lav., 1989, 289 e ss. ed ora in Id., Realtà e forma nel diritto del lavoro, Torino, 2006, t. I, 507 e ss.).
Non è possibile ricondurre ad unità la fenomenologia dei concorsi privati (Bellocchi, P., voce Concorso (dir. lav.), in Enc. giur. Treccani, 1997): il fenomeno, tra l'altro, fatta salva la disciplina legale per le società a controllo pubblico, appare oggi decisamente recessivo, quantomeno con riferimento alle assunzioni e alla stabile predeterminazione di procedure e criteri validi in generale. È più frequente che eventuali avvisi di ricerca del personale si limitino ad enunciare genericamente i requisiti richiesti, senza limitare la libertà del datore di lavoro quanto alle modalità di selezione o ai criteri da seguire.
Un maggior grado di stabilità è dato dalle clausole dei contratti collettivi che regolano procedure di sviluppo professionale, ma i limiti alla libertà di scelta del soggetto da promuovere restano variabili.
Proprio con riferimento ad alcuni enti tradizionalmente più interessati alla tematica dei concorsi privati, basti pensare all'art. 61 del CCNL per il personale non dirigente di Poste italiane del 15.4.2011, laddove di prevede, genericamente, che i percorsi di valorizzazione professionale tengano conto di una serie di elementi e si prevede un colloquio di valutazione finale in cui sono comunicati i risultati di sintesi del valutato, che ha facoltà di esprimere le proprie considerazioni in merito.
Una analoga disciplina è prevista nel settore del credito (artt. 73-74, CCNL per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali del 31.3.2015).
In conclusione, per provare a qualificare giuridicamente i concorsi privati è oggi necessario interpretare caso per caso le clausole dei contratti collettivi che eventualmente ne prevedono l'espletamento e gli eventuali avvisi di selezione di volta in volta comunicati, non solo in relazione alle modalità delle procedure ma anche avendo riguardo alle finalità delle stesse.
Ferma restando, pertanto, l'impossibilità di procedere ad un inquadramento unitario del fenomeno, è possibile comunque dare conto delle tre principali ricostruzioni che dei concorsi privati tradizionalmente si presentano: questi, infatti, sono generalmente ricondotti alla figura dell'offerta al pubblico, della promessa al pubblico o dell'invito ad offrire.
Tratto comune di queste ricostruzioni è quello di avere riguardo ad una situazione attinente alla formazione o alla modificazione del contratto nell'ambito della quale il concorso costituisce una fase procedimentale prodromica all'esercizio dell'autonomia privata del datore di lavoro (Bellocchi, P., op. cit., 3).
Ai sensi dell'art. 1366 c.c. l'offerta al pubblico vale come proposta quando contiene gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi. È necessario, dunque, che il bando contenga tutti gli elementi che consentano di riconoscere in capo al vincitore un vero e proprio diritto all'assunzione, come solitamente accade nel caso di concorsi pubblici.
Diversamente dall'offerta al pubblico, la promessa non costituisce proposta contrattuale, ma vincola il promittente ad eseguire la prestazione promessa nei confronti di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione (art. 1989 c.c.). Si ricade, pertanto, in questo schema quando il bando di concorso non contiene immediatamente gli elementi essenziali del contratto ma vincoli il datore di lavoro a formalizzare una proposta di assunzione ai soggetti collocati in graduatoria.
In sostanza, la differenza tra le due ricostruzioni, starebbe nell'alternativa, per quanto attiene al conseguimento dell'utilità finale (assunzione o promozione), tra effetto reale ed effetto obbligatorio, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di tecniche di tutela (Bellocchi, P., op. cit., 4).
Può anche accadere, però, che il bando non contenga neppure un impegno in tal senso nei confronti dei vincitori ma risulti finalizzato alla formazione di una graduatoria o di un elenco di idonei da tenere in considerazione, con maggiore o minore discrezionalità a seconda delle ipotesi, in caso di eventuali successive assunzioni. In questa ipotesi il concorso privato non integra né una promessa né tantomeno un'offerta al pubblico, ma casomai può rilevare alla stregua di un semplice invito ad offrire.
In materia di concorsi privati uno dei maggiori problemi è quello di conciliare le esigenze di tutela di soggetti partecipanti alle selezioni con la libertà di iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost. (da ultimo Riccobono, A., Clausole generali e controllo dei poteri datoriali nella giurisprudenza sui «concorsi privati»: interessi e tecniche di tutela, in Argomenti dir. lav., 2014, 1408, con ulteriori riferimenti).
Sia che si tratti di concorsi privati finalizzati ad una assunzione, sia che si tratti di procedure volte ad una promozione, è evidente che tanto più vincolanti e predeterminati sono i criteri stabiliti per l'attribuzione della posizione, quanto meno residuano margini di discrezionalità in capo al datore di lavoro in ordine alla scelta del soggetto da assumere o promuovere all'esito della procedura.
Non è possibile affrontare il discorso in termini generali: i vincoli procedurali ai quali il datore di lavoro decide di assoggettarsi possono essere più o meno stringenti e, conseguentemente, all'esito della procedura l'individuazione del soggetto al quale attribuire la posizione può essere più o meno «automatica», a seconda degli eventuali margini di discrezionalità nella scelta che dovessero residuare in capo al datore di lavoro.
Tanto maggiori sono questi margini, tanto più debole risulteranno eventuali pretese di soggetti non selezionati; viceversa, più i criteri sono predeterminati e vincolanti ai fini dell'attribuzione della posizione, più sarà facile evidenziarne la violazione da parte di eventuali soggetti mal valutati e pretermessi.
In ogni caso, le esigenze di tutela dei candidati trovano sempre più spesso nei principi di correttezza e buona fede il viatico per emergere, soprattutto in relazione a procedure a minor grado di formalizzazione (cfr. Bellomo, S.,op. cit., 80).
La giurisprudenza più recente tende a ricavare dai principi di correttezza e buona fede l'obbligo di motivazione in ordine alle scelte effettuate nell'ambito dei cd. concorsi privati: la portata dei principi di correttezza e buona fede viene addirittura estesa oltre l'obbligo di motivazione e fino al punto di imporre la formazione di graduatorie e, dunque, la comparazione tra candidati anche indipendentemente da un'espressa autolimitazione dei poteri datoriali in tal senso (cfr., emblematicamente, Cass., 25.9.2012, n. 16233. Secondo la Corte una procedura che privilegi l'obbiettività e la trasparenza esige che siano manifestate all'esterno le motivazioni che sorreggono la scelta di un candidato piuttosto che un altro, anche laddove non sia stato espressamente previsto un obbligo di motivazione e la formazione di graduatorie, «poiché siffatti adempimenti sono implicitamente connessi con l'obbligo di osservare criteri di obbiettività e trasparenza e con l'obbligo di osservare i principi di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni»).
Questa affermazione presta il fianco a qualche critica nella misura in cui finisce per utilizzare strumenti privatistici per recuperare nell'ambito dei concorsi privati garanzie analoghe a quelle di cui godono i partecipanti ai concorsi pubblici, senza considerare la diversità delle due situazioni e i diversi interessi in gioco (cfr. supra, § 5).
Come è noto, secondo autorevole dottrina, i principi di correttezza e buona fede possano porsi quali fonti di integrazione del contratto fino a legittimare addirittura l'esecuzione di prestazioni non previste, apportando correzioni e limitazioni all'autonomia privata (Rodotà XE «Rodotà, S." , S., Le fonti di integrazione del contratto, ristampa integrata, Milano, 2004, 178; Bianca XE «Bianca, M." , C.M., La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, 210. Più di recente si veda Id., Il Contratto, Milano, 2000, 505; Perulli XE «Perulli, A." , A., La buona fede nel diritto del lavoro, in Riv. giur. lav., 2002, 13).
In senso opposto, però, si deve considerare l’operatività delle clausole generali nell’ambito del diritto privato, di un diritto, cioè, «che deve corrispondere all’interesse dei privati, e in buona parte a carattere dispositivo» (Di Majo XE «Di Majo, A." , A., Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 553). Può essere, allora, discutibile interpretare la clausola generale quale fonte di limiti all’autonomia privata anche in funzione correttiva: essa, invece, deve completare e/o integrare il piano dei privati, rilevando quale criterio di valutazione di comportamenti in executivis, nella fase di attuazione del rapporto obbligatorio (Natoli XE «Natoli, U." , U., L’attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1974, 27).
In quest’ottica, il principio di buona fede «non può mai essere un criterio che decide dell’esistenza di un rapporto obbligatorio», e non modifica il regolamento contrattuale (Mengoni, L., Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986), ma assolve soltanto ad una funzione «specificatrice di obblighi e doveri già testualmente previsti dalla legge o dal contratto» (Montuschi, L., L’applicazione giurisprudenziale del principio di correttezza e di buona fede nel rapporto di lavoro, in Lav. dir., 1996, 147).
Questa tesi, del resto, si lascia preferire anche alla luce del ben noto problema del controllo giudiziale sui contenuti delle clausole generali quali fonti di limiti ai poteri datoriali (cfr. Persiani, M., Considerazioni sul controllo di buona fede dei poteri del datore di lavoro, in Dir. lav., 1995, 142). La ricostruzione di obblighi ulteriori è suscettibile di incidere negativamente sulla certezza del diritto e rischia di dilatare enormemente la discrezionalità del giudice.
In conclusione, nonostante la più recente giurisprudenza di segno diverso, sembra maggiormente persuasiva la tesi volta ad escludere che obblighi di motivazione e di valutazione comparativa possano essere imposti dai soli principi di correttezza e buona fede, qualora non trovino riscontro nella specifica regolamentazione delle procedure selettive.
Un discorso sulle tecniche di tutela a disposizione dei partecipanti ai cd. concorsi privati non può prescindere dalle tipologie di procedura, a seconda del grado di limitazione dei poteri datoriali in ordine alla scelta del soggetto da assumere o da promuovere.
In linea generale, la pretesa del soggetto partecipante ad un concorso privato deve essere inquadrata nell’ambito dell’azione di adempimento che quest’ultimo può proporre nei confronti del datore di lavoro avente ad oggetto il rispetto dei criteri di selezione predeterminati.
I partecipanti ad un concorso privato, infatti, godono di un diritto soggettivo a che la procedura si svolga secondo quanto stabilito (Santoro-Passarelli, G., op. cit., 493; Bellocchi, op. cit., 8. In giurisprudenza cfr., in particolare, Cass., n. 16233/2012; Cass., 19.5.2006, n. 9049).
Tali tecniche possono articolarsi nella tutela in forma specifica e/o nella tutela risarcitoria.
Con riferimento alla tutela in forma specifica è bene subito sottolineare che difficilmente l’inadempimento dei criteri predeterminati nell’ambito dei concorsi privati potrà comportare l’effetto reale dell’attribuzione in capo al soggetto pretermesso della posizione messa a concorso: il giudice, infatti, non potrà sostituirsi al datore di lavoro quando l’attribuzione della posizione dipende anche da valutazioni discrezionali di quest’ultimo.
Una sentenza costitutiva, ai sensi dell’art. 2932 c.c., potrà aversi soltanto laddove la scelta sia condizionata all’oggettivo riscontro di titoli o qualità puramente oggettivi (anzianità di servizio, titoli di studio, certificati di lingua) direttamente suscettibili di tradursi in punteggi numerici, quando la posizione messa a concorso è destinata ad essere obbligatoriamente attribuita al primo in graduatoria, senza ulteriori margini di discrezionalità (sull’an o sul quando) da parte del datore di lavoro.
Posto, però, che nell’ambito dei concorsi privati la limitazione dei poteri datoriali imposta dal contratto collettivo o auto-determinata dallo stesso datore di lavoro preserva margini di discrezionalità in capo a quest’ultimo, la tutela in forma specifica non può che sostanziarsi nell’ammissione, anche in via cautelare, alle prove da effettuare o nella ripetizione della procedura già espletata, affinché il diritto ad essere correttamente valutato possa essere fatto valere dal soggetto che ne lamenta la violazione.
La richiesta di ripetizione della procedura comporta alcuni problemi, affrontati dalla giurisprudenza, in ordine ai presupposti che possono legittimare una tale pretesa: in primo luogo, la necessità che risulti ancora in vita l’obbligazione di cui si lamenta l’inadempimento e, dunque, che la procedura non sia esaurita; in secondo luogo, la prova da parte del candidato che una corretta valutazione lo avrebbe portato ad un risultato positivo, non essendo sufficiente la mera dimostrazione della scorretta valutazione; in terzo luogo, la necessità di procedere ad una integrazione del contraddittorio con riferimento ai concorrenti valutati più idonei (su questi punti cfr., da ultimo, Riccobono, A., op. cit., 1426, con ulteriori riferimenti).
La tutela risarcitoria può compensare tutti i pregiudizi subiti dal candidato pretermesso a causa dell’inadempimento degli obblighi assunti dal datore di lavoro con la procedura selettiva, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il risarcimento deve comprendere, come è noto, tanto la perdita subita, quanto il mancato guadagno (art. 1223 c.c.).
Tutte le volte in cui la corretta valutazione non avrebbe comunque assicurato al ricorrente l’acquisizione della posizione messa a concorso assume una particolare rilevanza il danno da perdita di chance, che va risarcito sulla base del tasso di probabilità che il soggetto pregiudicato avrebbe avuto di risultare vincitore, qualora la selezione tra i concorrenti si fosse svolta in modo corretto (Cass., n. 16233/2012).
Anche in questa ipotesi grava sul ricorrente l’onere di provare, seppure in via presuntiva e probabilistica, il nesso causale tra l’inadempimento e l’evento dannoso (Cass., 1.3.2016, n. 4014; Cass., S.U., 23.9.2013, n. 21678).
A seconda della posizione del ricorrente rispetto agli altri la prova può essere più o meno articolata: laddove il soggetto pretermesso sia collocato in graduatoria immediatamente dopo i vincitori basta dimostrare di avere titoli poziori rispetto all’ultimo dei vincitori. Viceversa, se tra il ricorrente e l’ultimo dei vincitori si frappongono altri partecipanti idonei non vincitori questa prova non è sufficiente, essendo necessario dimostrare il possesso di titoli poziori anche rispetto agli altri candidati idonei (Cass., 14.5. 2014, n. 10429).
Art. 1175 c.c.; art. 1375 c.c.; art. 1218 c.c.; art. 1223 c.c.; art. 35, d.lgs. 30.3.2001, n. 165; art. 19, d.lgs. 19.8.2016, n. 176.
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