CONCUPISCENZA (dal lat. concupiscentia)
In senso generale, conforme all'etimologia, è ogni desiderio, buono o cattivo: v. p. es. Galati, V, 17 (cfr. Romani, VII, 21-25; per la distinzione dell'amore in amor amicitiae e amor concupiscentiae, v. S. Tommaso, I, 2, q. 26 a 4). In senso speciale, è appetitus delectationis sensitivae, e può essere naturale (o innaturale, secondo o contro ragione (S. Tommaso, Iª, 2, q. 30, a.1-4). In senso specialissimo e assoluto, il termine è usato dagli scrittori cristiani come equivalente di concupiscenza carnale (I Giovanni, II, 16): e allora è ogni inclinazione del desiderio contraria all'ordine e alla ragione (pronitas ad inordinate appetendum, S. Tommaso).
Secondo l'interpretazione cattolica di questo senso ultimo, la concupiscenza carnale è conseguenza del peccato originale: effetto e segno di questo peccato, ma anche pena di esso e causa di peccato: il peccato originale non essendo infatti altro che concupiscentia cum carentia originalis iustitiae (S. Tommaso, De malo, q. IV, a. 2): la prima, elemento "materiale", la seconda, "formale". Per i luterani e calvinisti, come anche per Baio, Giansenio e i loro seguaci, la concupiscenza s'identifica col peccato. Il concilio di Trento (sess. V, can. 5), pur ammettendo che S. Paolo qualche volta usa, metonimicamente, concupiscentia nel senso di "peccato", negò che la Chiesa cattolica l'intendesse mai come peccato vero e proprio, se non in quanto ex peccato est et ad peccatum inclinat. Il battesimo rimette la colpa d'origine, ma la concupiscenza sopravvive.