Condensazione di Bose-Einstein
di Massimo Inguscio
SOMMARIO: 1. Bosoni e fermioni a basse temperature. ▭ 2. Realizzazione di condensati di Bose-Einstein. ▭ 3. Raffreddamento mediante radiazione laser di un gas di atomi. ▭ 4. Raffreddamento per evaporazione forzata. ▭ 5. Come si osserva un condensato. ▭ 6. Il condensato come fluido quantistico: a) eccitazioni collettive; b) superfluidità; c) vortici. ▭ 7. Ottica atomica: a) interferenza; b) laser atomico. ▭ 8. Degenerazione quantistica nei fermioni. ▭ Bibliografia.
1. Bosoni e fermioni a basse temperature.
Negli ultimi venti anni del XX secolo un progresso straordinario nel campo della fisica delle basse temperature è stato reso possibile dallo sviluppo di metodi che impiegano il laser per raffreddare gas di atomi sino alle temperature più basse mai raggiunte: pochi milionesimi di grado Kelvin. Questo ha consentito misure sempre più precise e ha aperto la via a ulteriori progressi, culminati con la realizzazione sperimentale della condensazione di Bose-Einstein.
La condensazione di Bose-Einstein è un fenomeno puramente quantistico previsto già nel 1924, e conseguenza della natura ondulatoria delle particelle. Le particelle di un gas si possono immaginare come 'pacchetti' la cui estensione è data dalla lunghezza d'onda di de Broglie λdB = h/mυ, con m massa della particella, la cui velocità υ diminuisce con la radice quadrata della temperatura, e h costante di Planck. Alla temperatura ambiente, λdB è molto piccola ed è poco probabile che due particelle vengano a trovarsi a una distanza minore di tale lunghezza; le particelle quindi possono essere considerate distinguibili, consentendo la descrizione del sistema attraverso la meccanica statistica classica. Quando invece la temperatura viene abbassata al livello in cui la lunghezza d'onda di de Broglie diventa confrontabile con la distanza tra le particelle, i pacchetti d'onda iniziano a sovrapporsi e il principio di indinstinguibilità della meccanica quantistica assume un ruolo fondamentale, tanto da produrre una degenerazione quantistica. Si hanno comportamenti diversi a seconda che le particelle abbiano uno spin intero o semi-intero: le particelle con spin intero sono bosoni e il loro comportamento è descritto dalla statistica quantistica di Bose-Einstein; le particelle con spin semi-intero sono invece fermioni e seguono la statistica quantistica di Fermi-Dirac. Quando la temperatura T di un gas di bosoni scende al di sotto di un valore critico Tc, la maggior parte delle particelle (la totalità nel limite in cui T raggiunge lo zero assoluto) si accumula nello stato di energia più basso del sistema e il gas subisce quindi una transizione di fase che prende il nome di 'condensazione di Bose-Einstein'. Sottolineiamo che questa transizione di fase non dipende dalle interazioni tra le particelle, ma esclusivamente dalle conseguenze del principio di indistinguibilità e dalla loro natura ondulatoria, concetti alla base della meccanica quantistica. Al contrario, i fermioni non subiscono tale transizione di fase: infatti, il principio di esclusione di Pauli vieta che ciascuno stato di energia del sistema possa essere occupato da più di un fermione. Nella fig. 1 (a sinistra) viene mostrato schematicamente il comportamento delle due classi di particelle al variare della temperatura in un potenziale di tipo armonico, che rappresenta quello utilizzato negli esperimenti che hanno evidenziato il diverso comportamento statistico utilizzando atomi raffreddati a pochi miliardesimi di grado Kelvin. Sebbene le particelle che li compongono - elettroni, protoni, neutroni - siano fermioni, gli atomi possono comportarsi come bosoni o fermioni a seconda del numero totale, pari o dispari, dei loro costituenti.
2. Realizzazione di condensati di Bose-Einstein.
Nella prima metà del Novecento vennero osservati due fenomeni connessi con la condensazione di Bose-Einstein, vale a dire la superfluidità dell'elio liquido a bassa temperatura e la superconduttività di alcuni metalli a bassa temperatura. Anche se la condensazione di Bose-Einstein svolge un ruolo fondamentale nella spiegazione di questi fenomeni, sono trascorsi più di settanta anni fra la previsione teorica della condensazione di Bose-Einstein e la sua diretta osservazione sperimentale. In laboratorio la condensazione di Bose-Einstein con campioni gassosi è stata ottenuta nel 1995, negli Stati Uniti, prima da Eric A. Cornell e Carl E. Wieman al JILA (Joint Institute for Laboratory Astrophysics) di Boulder, utilizzando un gas di atomi di rubidio, e subito dopo da Wolfgang Ketterle al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, utilizzando atomi di sodio. Ai tre scienziati è stato assegnato il premio Nobel per la fisica nel 2001. A differenza di ciò che accade con l'elio superfluido, nei campioni gassosi gli atomi sono poco interagenti e non sono presenti perturbazioni esterne. Ciò non solo permette di semplificare i processi e di studiarli meglio, ma inoltre risulta essenziale per ottenere sistemi con una grossa frazione di condensato. Le ragioni del lungo intervallo di tempo intercorso tra la previsione teorica e l'osservazione sperimentale diretta della condensazione di Bose-Einstein sono da ricercarsi nel fatto che la condizione di degenerazione quantistica richiede di operare ad alte densità e a temperature bassissime. Per effettuare un'analisi quantitativa si può scegliere come parametro la densità nello spazio delle fasi ρ = nλdB3, dove n è il numero di particelle per unità di volume; per ottenere la condensazione di Bose-Einstein, ρ deve essere dell'ordine dell'unità, cosa non facile considerando che per un gas rarefatto a temperatura ambiente ρ è circa 20 ordini di grandezza più piccola. Per il raffreddamento non possono essere utilizzati metodi di refrigerazione convenzionali e bisogna evitare che all'abbassarsi della temperatura il gas si liquefaccia o solidifichi; gli esperimenti vengono pertanto condotti in condizioni di alto vuoto, partendo da un gas di atomi rarefatto (n ~ 108 atomi/cm3) a temperatura ambiente (T ~ 300 K), a cui corrisponde una velocità media di centinaia di m/s. Utilizzando fasi successive di raffreddamento si ottiene un campione con densità n ~ 1014 atomi/cm3 e una temperatura T ~ 10-7 K, con velocità media di pochi mm/s. In una prima fase del raffreddamento si utilizza la radiazione laser per il raggiungimento di temperature dell'ordine del microKelvin (µK), quindi il gas atomico può essere intrappolato con appositi campi magnetici e ulteriormente raffreddato sino a ottenere la condensazione di Bose-Einstein mediante un processo di 'evaporazione' forzata. Le procedure sviluppate sono diverse, ma illustreremo qui solo lo schema che ha portato ai primi successi e che resta tuttora quello più utilizzato.
3. Raffreddamento mediante radiazione laser di un gas di atomi.
Quando un atomo assorbe o emette luce scambia impulso con i fotoni e per il principio di conservazione della quantità di moto cambia la sua velocità di υr = h/mλ, valore che può variare da pochi millimetri sino ad alcuni centimetri al secondo e che dipende dalla massa dell'atomo (m) e dal colore della luce incidente (λ è la lunghezza d'onda del fotone). Si tratta di quantità minime rispetto alla velocità di agitazione termica, ma con opportune geometrie di fasci è possibile ripetere il processo molte volte e trasferire una quantità significativa dell'energia cinetica degli atomi al campo elettromagnetico, ottenendo così un effettivo raffreddamento. Lo sviluppo e l'analisi di questi metodi ha motivato l'assegnazione, nel 1997, del premio Nobel per la fisica a Steven Chu, Claude Cohen-Tannoudji e William D. Phillips.
Lo schema più importante e diffuso è quello della trappola magneto-ottica (MOT, Magneto-Optical Trap), illustrato nella fig. 1 (a destra). Gli atomi vengono investiti da tre coppie di fasci laser contropropaganti nelle tre direzioni dello spazio e si può avere assorbimento se si verifica la condizione di risonanza, hν=ΔE, dove h è la costante di Planck, ν la frequenza della luce e ΔE il salto di energia nell'atomo. Nel metodo originariamente proposto da Theodor W. Hänsch e Arthur Schawlow, la frequenza ν è minore di quella ottimale e l'atomo in moto assorbe fotoni preferibilmente dal fascio contro il quale si muove, poiché l'effetto Doppler compensa lo spostamento in frequenza. I rinculi fanno sì che l'atomo risenta di una forza in direzione sempre opposta a quella della sua velocità: si tratta di una forza di tipo viscoso, e per questa ragione si usa l'espressione 'melassa ottica' per indicare questo schema di raffreddamento che consente di ottenere temperature di pochi µK. Per ottenere oltre al raffreddamento anche il confinamento degli atomi, nella trappola si aggiunge un campo magnetico generato da una coppia di spire percorse da corrente di uguale intensità ma con verso opposto (v. fig. 1, a destra): il campo magnetico risultante (campo di quadrupolo) si annulla al centro delle spire e cresce linearmente in ogni direzione. Si ottiene così un intrappolamento basato sull'assorbimento di fotoni se il livello eccitato della transizione atomica possiede una struttura Zeeman e se si utilizzano fasci polarizzati. Dato che l'assorbimento dei fotoni deve conservare anche il momento angolare, gli atomi interagiscono con maggiore probabilità con fotoni che li spingono verso la zona di campo magnetico nullo, cioè verso il centro della MOT; tipicamente si intrappolano miliardi di atomi in un volume di pochi mm3 e a temperature dell'ordine dei µK. Queste temperature sono più basse di quelle previste nella proposta originale del raffreddamento laser, poiché hanno luogo anche fenomeni di pompaggio ottico da un sottolivello all'altro associati a una variazione periodica dell'intensità laser nella trappola che obbligano gli atomi in movimento a risalire incessantemente 'colline' di potenziale perdendo energia, con un meccanismo che ricorda quello del mito greco di Sisifo.
La densità nello spazio delle fasi che si raggiunge in una MOT è ρ ~ 10-6, e questo valore non può essere ulteriormente migliorato proprio per la presenza di fotoni in tale meccanismo di intrappolamento-raffreddamento. Infatti, il limite inferiore alla temperatura è dato dall'inevitabile rinculo dovuto all'assorbimento di un singolo fotone, mentre l'emissione spontanea e il conseguente riassorbimento di fotoni producono una forza repulsiva fra gli atomi che limita la densità: è quindi necessario ricorrere a schemi di raffreddamento che non prevedano l'uso di radiazione luminosa, i quali si basano principalmente su trappole magnetostatiche ed evaporazione forzata.
4. Raffreddamento per evaporazione forzata.
Il raffreddamento per evaporazione consiste nell'eliminare dal campione gli atomi più energetici e nel consentire alle collisioni elastiche tra gli atomi che restano intrappolati di fare termalizzare il gas a temperature sempre più basse. Questo processo richiede il confinamento degli atomi e una vita media del campione sufficientemente lunga rispetto al tempo di termalizzazione dovuto alle collisioni; ciò si ottiene creando un campo magnetico disomogeneo e con un minimo locale in condizioni di vuoto spinto. Queste trappole per atomi neutri sono poco profonde ed è necessario un pre-raffreddamento in grado di diminuire drasticamente l'energia cinetica degli atomi prima che questi possano essere intrappolati. Gli atomi pre-raffreddati in una MOT, trasferiti in un sottolivello della struttura Zeeman, acquistano un momento magnetico μ, e quindi in un campo magnetico di induzione B un'energia -μ × B: un atomo che si trovi in un livello Zeeman per cui l'energia aumenta all'aumentare del campo magnetico risente di una forza di richiamo verso la regione di minimo e risulta intrappolato. Lo schema più semplice è quello di una trappola di quadrupolo, la stessa mostrata nella fig. 1, a destra, in cui si produce un campo nullo al centro. Purtroppo, però, in presenza di uno zero del campo, a temperature molto basse si hanno importanti perdite di atomi causate da transizioni di spin-flip, già previste da Ettore Majorana, che avvengono in vicinanza dello zero. Bisogna quindi studiare configurazioni che permettano di confinare gli atomi in una regione in cui il campo abbia un minimo ma non si annulli; nel primo esperimento in cui fu osservata la condensazione di Bose-Einstein, al campo magnetico quadrupolare venne aggiunto un debole campo magnetico in rapida rotazione: gli atomi, che sono sottoposti al campo effettivo dato dalla media temporale dei vari campi istantanei, risentono di un campo medio con andamento parabolico intorno a un minimo maggiore di zero. Le trappole più diffuse sono attualmente quelle realizzate con campi magnetici statici partendo da una configurazione detta 'configurazione di Ioffe-Pritchard'. Nello schema base per il confinamento longitudinale si usano due bobine percorse da corrente nello stesso verso, che producono un campo a forma di bottiglia, e conduttori con correnti in direzione alternata per il confinamento trasversale. Esistono diverse varianti, che utilizzano bobine a forma di quadrifoglio o la geometria delle cuciture di una palla da baseball. Nella fig. 2 si mostra uno schema rivelatosi particolarmente efficace e utilizzato anche negli esperimenti italiani condotti a Firenze.
L'intrappolamento magnetico ben si presta alla strategia del raffreddamento evaporativo. Infatti, al fine di rimuovere selettivamente gli atomi più energetici, si aggiunge un campo a radiofrequenza che induce transizioni verso sottolivelli Zeeman con andamento di energia invertito (lo schema di principio è riportato nella fig. 3). La selettività deriva dal fatto che gli atomi più 'caldi', cioè con energia maggiore, si allontanano maggiormente dal centro della trappola, raggiungendo zone dove il campo magnetico è più intenso e maggiori sono le frequenze corrispondenti alle transizioni di spin-flip spostate per effetto Zeeman. Riducendo la frequenza del campo a radiofrequenza è possibile eliminare dalla trappola atomi con energia cinetica sempre più bassa, ma è necessario scegliere opportunamente i tempi e i parametri dell'evaporazione affinché, espulsi gli atomi più caldi, le collisioni elastiche possano svolgere la funzione fondamentale di produrre la ritermalizzazione a temperature sempre più basse. In questo processo è cruciale il ruolo della fisica collisionale a temperature bassissime: mentre le collisioni elastiche sono necessarie all'evaporazione, bisogna evitare collisioni non elastiche che possono provocare la perdita di atomi dalla trappola e la riduzione della densità, facendo sì che alla riduzione di temperatura non corrisponda l'aumento della densità nello spazio delle fasi necessario per il raggiungimento della degenerazione quantistica. A bassa temperatura, le collisioni elastiche sono descritte da un unico parametro, la lunghezza di scattering (a), che dipende dall'atomo e dal particolare livello considerato; per a positive gli atomi si respingono, mentre per a negative si attraggono. La condensazione può avvenire solo quando la temperatura scende a poche centinaia di nanoKelvin (nK) e la densità aumenta a valori dell'ordine di 1013-1014 cm-3; possono essere sufficienti poche decine di secondi per produrre un campione di 105-106 atomi condensati, esteso per alcune decine di micron e con una vita media che arriva sino ad alcuni secondi.
5. Come si osserva un condensato.
La prima evidenza sperimentale di condensazione di Bose-Einstein in un campione di atomi debolmente interagenti è stata ottenuta osservandone l'espansione una volta spenta la trappola magnetica: gli atomi vengono illuminati da un fascio di luce risonante e la loro 'ombra' (prodotta dall'assorbimento) viene proiettata su una telecamera a CCD (Charged Coupled Device) che ne registra l'immagine, come mostrato nella fig. 4. Nella fig. 5 vengono mostrate alcune immagini corrispondenti a tre diverse temperature del campione. In particolare: la fig. 5A mostra un campione di atomi di 87Rb freddo ma non ancora condensato (T 〉 Tc); la fig. 5B mostra una nube mista, nella quale, all'interno della componente termica (non condensata), appare una componente condensata (T 〈 Tc); infine, la fig. 5C mostra un condensato praticamente puro (T 〈 〈 Tc). La fig. 6 fornisce l'immagine tridimensionale che corrisponde alla prima realizzazione della condensazione di Bose-Einstein osservata nel 1995 dal gruppo di Cornell e Wieman in un campione di atomi diluiti di 87Rb.
Come si può vedere dalla fig. 5, la componente condensata si distingue per due caratteristiche: la maggiore densità e la diversa forma che deriva da una diversa legge di espansione. Nonostante il fatto che nella trappola la nube termica abbia una simmetria cilindrica, con una direzione meno confinata delle altre due, essa si espande classicamente in modo isotropo (con una velocità uguale in tutte le direzioni) e, dopo un tempo di espansione sufficientemente lungo, acquista comunque una forma sferica (v. fig. 5A); il condensato, invece, ha un comportamento quantistico. L'immagine della fig. 5B corrisponde a T 〈 Tc, e infatti all'interno della nube termica si rivela una frazione condensata caratterizzata da una densità ottica maggiore e da una forma diversa; l'effetto è ancora più evidente per il condensato puro della fig. 5C. Gli atomi del condensato sono tutti descritti dalla stessa funzione d'onda, la cui anisotropia riflette quella del potenziale confinante, e la transizione di fase genera un nuovo stato macroscopico della materia che segue le leggi della meccanica quantistica: a causa del principio di indeterminazione di Heisenberg, una minore incertezza nella determinazione della posizione genera una maggiore incertezza nella determinazione della velocità. Il condensato espanderà con velocità maggiore nella direzione radiale, che è la più confinata nella trappola; per questo, dopo un tempo di espansione sufficientemente lungo (30 ms nella fig. 5), la forma del condensato presenta un'ellitticità invertita rispetto a quella che aveva all'origine. Dall'analisi di queste immagini si ricavano informazioni sul numero di atomi, sulla loro densità e sulla temperatura. Si consideri che il metodo di osservazione è distruttivo e per effettuare più misure è necessario ripetere tutto il processo di intrappolamento e raffreddamento. È stata dimostrata anche la possibilità di effettuare una rivelazione non distruttiva utilizzando luce laser molto lontana dalla risonanza, per la quale il condensato si comporta come una lente deflettente. Una opportuna configurazione che usa due fasci laser rende il campione trasparente e su questo fenomeno, scoperto da Adriano Gozzini a Pisa nel 1976, si basano esperimenti in cui la luce si propaga senza assorbimento che aprono la possibilità di una realizzazione pratica di tale rivelazione non distruttiva. La rivelazione in assorbimento è comunque quella più diffusa, anche perché gli esperimenti sono sufficientemente riproducibili.
Quasi tutti gli atomi per cui è stata osservata la condensazione di Bose-Einstein sono isotopi bosonici di atomi alcalini (rubidio, sodio, litio, potassio, cesio); si ha poi condensazione di Bose-Einstein per l'elio e anche per l'idrogeno, ma quest'ultimo richiede una menzione a parte perché il preraffreddamento necessita di metodi criogenici. A causa della criticità dei fenomeni dei vari processi che portano alla condensazione di Bose-Einstein, il metodo sin qui descritto inizialmente è stato applicato solo al 87Rb, al 23Na e al 7Li, e sono trascorsi molti anni prima che la lista si allungasse (v. tab I).
Per il potassio 41K è stato utilizzato un metodo di raffreddamento, detto 'simpatetico', in cui questa specie atomica viene mescolata in una stessa trappola magnetica con un campione di rubidio che fa da refrigerante. Vedremo in seguito come la termalizzazione tra atomi diversi abbia consentito di realizzare la degenerazione quantistica anche per l'isotopo fermionico del potassio (40K). Per il cesio la necessità di operare con livelli non intrappolabili magneticamente ha imposto l'uso di trappole ottiche create con fasci di luce laser. Gli atomi acquistano in tal modo un momento di dipolo elettrico che li fa attrarre o respingere dal campo elettrico associato al fascio laser: con la luce si possono modellare potenziali di intrappolamento delle forme più disparate.
Sebbene i condensati di Bose-Einstein siano ottenuti sperimentalmente in gas diluiti (dove la distanza fra gli atomi è molto minore della distanza di interazione), le interazioni fra gli atomi (descritte dalla lunghezza di scattering, a) non sono nulle, anzi hanno un ruolo fondamentale nello studio di questi sistemi. La prima conseguenza dell'influenza delle interazioni riguarda la forma e la stabilità del condensato: i condensati atomici in cui a 〉 0 (interazione repulsiva) sono stabili e hanno dimensioni maggiori di quella di un condensato in assenza di interazioni, mentre per a 〈 0 (attrazione) il condensato assume dimensioni minori di quelle che avrebbe in assenza di interazioni fino a diventare instabile e 'collassare'. Infatti, via via che il sistema si comprime le interazioni a tre corpi responsabili della transizione allo stato solido aumentano fino a destabilizzare il sistema e il potenziale magnetico è in grado di controbilanciare questo fenomeno solo se il numero di atomi nel condensato è minore di un numero critico che dipende da a.
La realizzazione della condensazione di Bose-Einstein ha subito prodotto una quantità impressionante di ricerche in un campo fortemente interdisciplinare, con ricadute in diverse branche della fisica. Da un lato, un condensato può essere considerato un nuovo fluido quantistico, con la possibilità di studiare effetti di superfluidità, eccitazioni collettive, vortici; dall'altro, essendo formato da un gas di particelle 'coerenti', può essere considerato la versione atomica del laser e pertanto ha condotto a studi di interferometria o di ottica atomica non lineare. Si illustrano di seguito alcuni esperimenti indicativi dei progressi in questi campi.
6. Il condensato come fluido quantistico.
a) Eccitazioni collettive.
Le eccitazioni collettive di un condensato corrispondono a fluttuazioni coerenti della distribuzione di densità e furono fra le prime proprietà dei condensati a essere studiate attraverso l'osservazione delle oscillazioni della forma le cui frequenze sono conseguenza della superfluidità del campione, oltre che della geometria di confinamento e delle interazioni. Le misure di frequenza sono tra le più precise in fisica e quindi gli studi dei modi collettivi hanno costituito un test accurato del modello teorico sviluppato da Sandro Stringari dell'Università di Trento. Negli esperimenti i modi di oscillazione si producono modulando in modo risonante il potenziale di intrappolamento e quindi osservando, in tempi successivi, la dinamica della forma del condensato, come mostrato nella fig. 7.
b) Superfluidità.
Storicamente il concetto di superfluidità fu introdotto nel 1938, quando si osservò che l'elio liquido a temperature al di sotto di ~ 2,17 K fluiva senza dissipazione per velocità di flusso inferiori a un valore critico (velocità critica), un comportamento che fu subito collegato da Fritz al fenomeno della condensazione di Bose-Einstein. Nell'elio liquido le interazioni fra particelle sono però talmente rilevanti da complicare molto la fisica del sistema, tanto che solo una frazione molto bassa (dell'ordine del 10%) è condensata. È per questa ragione che la possibilità di ottenere la condensazione di Bose-Einstein nei gas atomici diluiti (in cui la frazione condensata supera il 90%) ha indotto la comunità scientifica a concentrare l'attenzione sullo studio della superfluidità nei condensati.
Nel primo esperimento che ha provato la superfluidità nella condensazione di Bose-Einstein di atomi diluiti, realizzato al MIT, è stata misurata la velocità critica muovendo all'interno del condensato un fascio laser focalizzato che, respingendo gli atomi, simula il moto di un'impurezza nel fluido. Più recentemente, in un esperimento unico realizzato a Firenze, è stato osservato il diverso comportamento, superfluido e non, del gas condensato rispetto a una componente termica residua. Nell'esperimento viene creata una serie di barriere luminose periodiche attraverso le quali il condensato oscilla per successivi effetti tunnel coerenti. Questo è un comportamento tipico dello stato superfluido, mentre la nube termica viene intrappolata nei minimi e non supera le barriere, come mostrato nella fig. 8. Questi risultati vengono anche interpretati come la realizzazione con la condensazione di Bose-Einstein di oscillazioni Josephson, tipico effetto della fisica della materia condensata.
c) Vortici.
Un altro modo per dimostrare la superfluidità di un sistema è quello di metterlo in rotazione per formare vortici quantizzati che corrispondono a linee di circuitazione della velocità quantizzate, al centro delle quali la densità del sistema si annulla. Questo è un effetto già noto nella fisica dell'elio liquido superfluido, mentre la prima evidenza sperimentale con la condensazione di Bose-Einstein è stata ottenuta nel 1999 dal gruppo di Cornell al JILA. Ma l'esperimento che più si avvicina a quello del contenitore che ruota per l'elio liquido è stato effettuato pochi mesi dopo all'École Normale Supérieure (ENS) di Parigi dal gruppo di Jean Dalibard: la rotazione veniva indotta da un fascio laser rotante, e all'aumentare della velocità di rotazione si osservava la formazione di un vortice (v. fig. 9). Successivi sviluppi dell'esperimento hanno consentito anche la produzione di un reticolo di vortici, simile a quello ottenuto negli esperimenti al MIT (v. fig. 10).
La superfluidità, l'effetto Josephson e la creazione di vortici quantizzati sono tutti fenomeni che derivano dal fatto che in un condensato di Bose-Einstein tutti gli atomi occupano lo stesso stato quantistico. Ne deriva che il sistema può essere descritto da una funzione d'onda macroscopica caratterizzata da una fase macroscopica. Da questo seguono proprietà di coerenza che rendono questi sistemi dei campioni ideali non solo per lo studio della dinamica di fluidi quantistici (il gradiente della fase è infatti proporzionale alla velocità del superfluido), ma anche per la realizzazione di esperimenti di ottica atomica.
7. Ottica atomica.
a) Interferenza.
Nel caso della condensazione di Bose-Einstein nei gas atomici diluiti, la coerenza fu dimostrata per la prima volta nel 1997, al MIT, facendo interferire due condensati in un esperimento che è l'analogo di quello noto in ottica come 'esperienza di Young', effettuata utilizzando un interferometro a doppia fenditura. Due condensati confinati in due trappole spazialmente separate vengono fatti espandere e nella zona di sovrapposizione si osservano delle frange di interferenza. Questo risultato si osserva direttamente dall'esame del profilo di densità, come mostrato nella fig. 11.
Sfruttando l'intrappolamento creato dalla luce di una serie di condensati in un potenziale periodico in una dimensione, è stato anche dimostrato l'analogo della diffrazione da un reticolo, come mostrato nella fig. 12. Gli atomi intrappolati dalla luce si dispongono periodicamente, e nell'espansione di tale sistema si possono ottenere immagini di interferenza che spesso costituiscono l'analogo atomico di fenomeni noti in ottica. La fig. 12A corrisponde a un intrappolamento lineare, e la struttura osservata è analoga a quella di un reticolo di diffrazione. La fig. 12B si riferisce, invece, a un recente esperimento - condotto dal gruppo di Hänsch, a Monaco - in cui il reticolo è tridimensionale; si sono studiate le proprietà della fase dei condensati intrappolati in questa geometria in funzione dell'altezza delle barriere ottiche fra sito e sito di questo 'cristallo' di condensati. L'immagine centrale della fig. 12B, in particolare, mostra la perdita della figura di interferenza causata dalla transizione quantistica di fase a isolante di Mott, in cui il sistema perde la coerenza di fase perché gli atomi si localizzano uno in ogni sito del potenziale (numero di atomi e fase sono infatti variabili coniugate della meccanica quantistica per le quali vale la relazione di indeterminazione di Heisenberg).
b) Laser atomico.
Dal momento che in un condensato di Bose-Einstein tutti gli atomi occupano lo stato fondamentale del sistema, questo costituisce una sorgente di fasci atomici coerenti - chiamata (in analogia con l'ottica) laser atomico. Per estrarre gli atomi dal condensato di Bose-Einstein intrappolato sono stati elaborati diversi metodi. Il primo laser atomico utilizzava una transizione a radiofrequenza (la stessa impiegata nel processo di raffreddamento evaporativo), che accoppia lo stato intrappolato con uno non intrappolato. Sono stati poi studiati anche altri procedimenti, come mostrato nella fig. 13; il procedimento messo a punto al National Institute for Standards and Technology (NIST) produce il laser atomico presentato a destra nella fig. 13 e consente di ottenere fasci in direzioni diverse che possono essere nuovamente sovrapposti per effettuare studi di ottica atomica non lineare simili a quelli che si conducono con fasci laser in cristalli non lineari. Con i laser atomici la non linearità deriva direttamente dall'interazione tra gli atomi.
8. Degenerazione quantistica nei fermioni.
A temperature bassissime si prevede per i fermioni un comportamento diverso da quello dei bosoni e, anche in considerazione del fatto che tutti i costituenti fondamentali della materia sono fermioni interagenti, è del tutto naturale che la realizzazione della condensazione di Bose-Einstein in un gas atomico diluito abbia suggerito subito l'estensione delle tecniche di raffreddamento ad atomi con momento angolare semi-intero. Fino a oggi è stata osservata la degenerazione quantistica di due soli atomi fermionici: il 40K e il 6Li (v. tab. II). È stato necessario superare molte difficoltà legate alle particolari proprietà collisionali dei fermioni; infatti, poiché a bassissime temperature il principio di esclusione di Pauli impedisce a due fermioni identici di avvicinarsi tanto da collidere, viene a mancare il meccanismo di termalizzazione che rende possibile il raffreddamento evaporativo. Inoltre, un gas di fermioni non subisce una brusca transizione di fase, come avviene nella condensazione di Bose-Einstein, ma all'abbassarsi della temperatura la degenerazione quantistica si manifesta gradualmente: si può avere solo un fermione per stato di energia, gli stati più bassi di energia vengono riempiti rapidamente e gli atomi devono occupare stati di energia sempre più alti. Di conseguenza, l'energia media per atomo assume valori più elevati di quella che si riscontra in un gas classico alla stessa temperatura. Questo fenomeno è stato osservato nel 1999 al JILA, dal gruppo di Debbie Jin, nel corso di un esperimento in cui per raffreddare il 40K venne usata una procedura simile a quella impiegata per la condensazione di Bose-Einstein, con la differenza che nelle fasi cruciali del raffreddamento evaporativo gli atomi venivano distribuiti in due diversi livelli della struttura interna, in modo da renderli distinguibili e consentire le collisioni e la termalizzazione. Un altro modo di superare proprietà collisionali sfavorevoli è quello di coinvolgere nel processo un altro campione atomico per il quale il raffreddamento evaporativo sia efficace e faccia da refrigerante. Si tratta del metodo di raffreddamento 'simpatetico' di cui abbiamo già parlato a proposito della condensazione dell'isotopo bosonico del potassio, che è applicabile anche al caso dei fermioni, per i quali come refrigerante si può usare un isotopo bosonico dello stesso atomo o di un'altra specie atomica.
Le miscele bosoni-fermioni sono interessanti in quanto risultano più ricche di interazioni e consentono di evidenziare in un solo esperimento la diversità di comportamento rispetto alla degenerazione quantistica dei due tipi di particelle. Come conseguenza del principio di esclusione di Pauli, i fermioni hanno più energia cinetica media non solo di quella di un gas di bosoni, ma anche del corrispondente gas classico: la repulsione tra fermioni identici dà origine alla 'pressione di Fermi', un fenomeno quantistico per cui la nube fermionica non può ridursi al di sotto di una certa dimensione. Si tratta di un fenomeno generale al quale si deve, ad esempio, la stabilizzazione delle nane bianche o delle stelle di neutroni in astrofisica: esso consente infatti il bilanciamento delle forze di attrazione gravitazionale e impedisce il collasso in un buco nero. Il diverso comportamento di bosoni e fermioni è illustrato nella fig. 14, nella quale due gas di isotopi del litio (fermionico 6Li e bosonico 7Li) vengono simultaneamente portati alla degenerazione con la tecnica di raffreddamento simpatetico: pur confinata nella stessa trappola magnetica, la nube fermionica è più estesa di quella bosonica.
La degenerazione quantistica di gas di atomi fermionici permette ulteriori progressi, basati sulla possibilità di modificare le interazioni tra le particelle a temperature sempre più basse per lo studio di altri fenomeni quantistici, come la superfluidità prodotta dall'accoppiamento tra fermioni. In questa direzione è molto promettente la procedura sperimentale in cui si applica un campo magnetico per produrre una risonanza, detta 'risonanza di Feshbach', che cambiando l'interazione atomo-atomo da repulsiva ad attrattiva può favorire l'accoppiamento. Quando invece si opera con miscele bosoni-fermioni, l'interazione tra i fermioni può essere modificata dall'interazione con i bosoni: questi 'mediano' tra i fermioni inducendo una forza attrattiva che può finire col vincere la pressione di Fermi. Recentemente questo effetto è stato osservato sperimentalmente producendo il collasso di un gas degenere di atomi fermionici di 40K, indotto dall'interazione con un condensato di rubidio, come illustrato nella fig. 15.
Quello appena illustrato è solo l'ultimo dei tanti fenomeni che è stato possibile esplorare con esperimenti impensabili ancora alla fine degli anni ottanta. Il periodo di passaggio dal XX al XXI secolo è stato di grande importanza per la fisica delle basse temperature. La realizzazione della condensazione di Bose-Einstein con atomi raffreddati a pochi miliardesimi di grado al di sopra dello zero assoluto apre importanti e affascinanti prospettive per il futuro: la condensazione di Bose-Einstein potrebbe rivelarsi importante per la realizzazione di una nuova generazione di calcolatori che si basino sulle leggi della meccanica quantistica. Si stanno già conducendo ricerche in questa direzione: sono stati sviluppati schemi presi dal mondo della microelettronica in cui atomi degeneri vengono utilizzati per produrre i primi embrioni di circuiti logici. Un'altra sfida è rappresentata dall'uso di condensati in interferometri simili a quelli che al momento operano con onde di luce per la verifica di leggi fisiche fondamentali. Tutta la fisica di precisione potrà beneficiare della disponibilità di atomi ultrafreddi, e in questo caso importanti progressi potrebbero venire proprio dai gas di fermioni, in cui sono assenti le perturbazioni collisionali. Un'importante prospettiva è aperta dalla realizzazione di cristalli di atomi ordinati e manipolati tramite la luce, attraverso i quali si potrebbero scoprire nuovi fenomeni fisici oltre a quelli già emersi nel XX secolo nel campo della fisica e della tecnologia dei semiconduttori. Vi sono notevoli problemi da affrontare, a cominciare dalla realizzazione di condensati molecolari, ma probabilmente la loro soluzione aprirà prospettive ancora inimmaginabili, come quasi sempre accade quando si ha a che fare con progressi fondamentali quale quello costituito dalla realizzazione della condensazione di Bose-Einstein e di gas di atomi fermionici degeneri.
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