Condominio. L'atto di impugnazione delle delibere assembleari
Cass., S.U., 14.4.2011, n. 8491, ha affermato che le impugnazioni delle delibere dell’assemblea condominiale devono essere proposte con citazione, in base alla regola generale dettata dall’art. 163 c.p.c., rimanendo priva di rilievo l’espressione «ricorso» utilizzata dall’art. 1137 c.c. La Corte ha tuttavia considerato valide le impugnazioni altrimenti proposte con ricorso, laddove l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine di decadenza di trenta giorni stabilito dallo stesso art. 1137. La soluzione indicata sembra applicazione del principio di conservazione degli atti processuali, riconoscendo però all’impugnativa erroneamente proposta con ricorso l’idoneità a produrre effetti sostanziali conservativi (quale, in particolare, l’impedimento della decadenza ex art. 1137 c.c.), sin dal momento della sua effettiva pendenza, ferma la necessità di sanare la domanda per i vizi relativi alla vocatio in ius.
Ormai con cadenza annuale le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono chiamate a pronunciarsi per risolvere contrasti o questioni di massima di particolare importanza in materia di condominio negli edifici. Nel 2008 era stata la volta di Cass., S.U., 8.4.2008, n. 9148, sulla attuazione parziaria tra i condomini delle obbligazioni assunte nell’interesse del condominio nei confronti di terzi. Nel 2009, Cass., S.U., 18.12.2009, n. 26629, aveva tratteggiato i poteri del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali, privandolo della facoltà di sindacare, sia pure in via incidentale, la validità delle relative delibere assembleari, in quanto questione riservata al giudice dell’eventuale impugnazione. Si sentono poi ancora gli echi di Cass., S.U., 6.8.2010, n. 18331 e di Cass., S.U., 6.8.2010, n. 18332, in ordine alla legittimazione passiva dell’amministratore di condominio ed alla necessità di autorizzazione o ratifica assembleare per la costituzione nei giudizi che esorbitino dalle sue attribuzioni ex art. 1131, co. 2 e 3 c.c. Ancora, Cass., S.U., 9.8.2010, n. 18477, aveva deciso che fosse sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, co. 2, c.c. per l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, non occorrendo il consenso unanime dei condomini. Da ultimo, a seguito dell’ordinanza di rimessione 14.10.2010, n. 212201 della Seconda Sezione civile, è giunta Cass., S.U., 14.4.2011, n. 84912, la quale, componendo un contrasto ormai pluridecennale, ha concluso che le impugnazioni delle delibere dell’assemblea condominiale, alla stregua della regola generale dettata dall’art. 163 c.p.c., vanno proposte con citazione, giacché l’art. 1137 c.c., pur adoperando l’espressione «ricorso all’autorità giudiziaria», non intende così disciplinare la forma di tali impugnazioni. Il Supremo Collegio ha sostenuto che possono, comunque, ritenersi valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, purché l’atto risulti depositato in cancelleria entro il termine di trenta giorni stabilito dal medesimo art. 1137.
Come ricordano le Sezioni Unite, l’orientamento più risalente aveva affermato che l’impugnazione del condomino dissenziente contro la deliberazione assembleare dovesse proporsi con ricorso, e non con citazione; peraltro, dando luogo tale impugnazione ad un procedimento contenzioso, soggetto al principio del contraddittorio, per rispettare il termine di decadenza, di cui all’ultimo comma dell’art. 1137 c.c., sarebbe occorsa la notifica del ricorso entro i trenta giorni dalla comunicazione della delibera3. Un successivo orientamento aveva ribadito la necessità della forma del ricorso, ma aveva altresì riconosciuto che la tempestività dell’impugnazione dovesse essere riscontrata con riguardo alla data del deposito di tale atto, e non della sua notificazione4. Quasi contemporaneamente, però, la stessa Corte di Cassazione aveva sostenuto che l’impugnazione delle delibere condominiali potesse essere proposta, oltre che con ricorso, come richiesto dall’art. 1137 c.c., anche con atto di citazione, semprechè lo stesso venga notificato al condominio nel termine di decadenza indicato5. Si era così aperta la strada dell’equipollenza delle forme: al deposito del ricorso nel termine di trenta giorni equivarrebbe, cioè, la notificazione della citazione introduttiva nel medesimo termine, anche quando l’iscrizione a ruolo sia poi avvenuta successivamente, e ciò in virtù del principio generale di conservazione degli atti6. Cass., S.U., 14.4.2011, n. 8491, ha affermato che l’art. 1137 c.c. non disciplina affatto la forma dell’atto introduttivo dei giudizi di impugnazione7. L’assunto è avvalorato dalla sedes materiae della disposizione, come dimostra il confronto con l’art. 1133 c.c., che contempla la possibilità del «ricorso all’assemblea» contro i provvedimenti dell’amministratore, e con l’art. 1131 c.c., dove si adopera il termine «citazione» per dar conto di tutti gli atti con cui il condominio è «convenuto in giudizio». Il «ricorso», cui allude la norma, va quindi spiegato «nel senso generico di istanza giudiziale, che si ha facoltà di proporre per ottenere l’annullamento delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio». Mancano, inoltre, regole apposite di contenuto processuale che possano servire a configurare i giudizi di impugnazione ex art. 1137 c.c. con quei caratteri di snellezza e rapidità che si confacciano alla prescrizione del ricorso come atto introduttivo. Esclusa la valenza cogente della lettera dell’art. 1137 c.c., opera la generale previsione dell’art. 163 c.p.c., secondo cui «la domanda si propone mediante citazione». È quindi anche scongiurata l’eventualità che, ricorrendo contemporaneamente vizi di annullabilità e di nullità della delibera impugnata, l’attore debba spiegare ricorso per dedurre i primi e citazione per allegare i secondi (attesa la sicura inapplicabilità dell’art. 1137 c.c. alle ipotesi di nullità delle deliberazioni condominiali). Che ne è, invece, per le Sezioni Unite, di una domanda di annullamento di una deliberazione condominiale, proposta impropriamente con ricorso, anziché con citazione? Essa va comunque ritenuta valida ed è sufficiente che entro i trenta giorni, stabiliti a pena di decadenza dall’art. 1137 c.c., l’atto venga presentato al giudice, e non anche notificato: «l’adozione della forma del ricorso non esclude l’idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in cancelleria, mentre estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine non risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto …».
Il passaggio che più interessa sottolineare è l’apertura fatta dalle Sezioni Unite n. 8491/2011 verso l’assoluta equipollenza, ai fini dell’impedimento della decadenza prevista dall’art. 1137 c.c. (che ha natura non processuale ma sostanziale, e non può perciò essere rilevata di ufficio dal giudice), tra la notificazione della citazione di impugnativa della delibera – ritenuta forma corretta di esercizio della relativa azione – ed il deposito del ricorso, pur impropriamente adoperato dal condomino attore. I ragionamenti posti dalla Cassazione a base di tale equipollenza erano stati già tacciati nel passato da alcuni commentatori come condizionati dalla volontà recondita di evitare che una diversa scelta operativa, volta semmai alla drastica propensione per l’una o per l’altra forma dell’atto introduttivo dei giudizi di impugnazione delle delibere condominiali, finisse per travolgere ingiustamente la massa delle impugnative ormai proposte nella veste procedimentale che risultasse poi smentita dalla Suprema Corte, dopo decenni di ripensamenti ed incertezze giurisprudenziali8. Non può essere questo, però, il vero motivo della garantita equipollenza, quoad effectum, tra citazione e ricorso, perché, se la Cassazione avesse voluto più severamente affermare che, essendo la citazione il modello generale da seguire per le impugnative ex art. 1137 c.c., il ricorso sarebbe valso ad impedire la decadenza soltanto previa conversione in citazione, e quindi dal momento della sua notificazione, si sarebbe potuto altresì escludere la preclusione derivante dall’overruling per tutte quelle parti che avessero legittimamente confidato nelle precedenti interpretazioni della regola, secondo la meditata soluzione offerta da Cass., S.U., 11.7.2011, n. 15144. Dunque, la sostanziale fungibilità tra la proposizione mediante citazione e la proposizione mediante ricorso dell’impugnativa delle deliberazioni condominiali, appena conclamata da Cass., S.U., 14.4.2011, n. 8491, non può ridursi ad una mera applicazione del principio di conversione processuale, o del principio di conservazione degli atti, rivelando una valenza di ben più ampie prospettive. Deve convenirsi, al riguardo, su una premessa argomentativa: l’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio che sia proposta in forma di ricorso (anziché di citazione, giusta art. 163 c.p.c.) non può dirsi per ciò solo nulla, non essendo tale nullità comminata dalla legge, secondo quanto dettato dall’art. 156, co. 1, c.p.c. Non sarebbe però nemmeno corretto esasperare la tesi della fungibilità della forma della citazione e del ricorso in sede di introduzione di un giudizio di impugnativa di delibera condominiale, arrivando a ravvisare nella scelta della forma dell’atto introduttivo una libera facoltà demandata al condomino attore. L’aberratio nella forma dell’atto introduttivo del giudizio va comunque valutata dal giudice alla luce di quei requisiti che l’atto stesso deve avere per raggiungere il suo scopo, secondo il criterio operativo fornito dal secondo comma dell’art. 156 c.p.c.: sicché una nullità extratestuale potrebbe comunque rilevarsi in tale evenienza, ove risultasse frustrata la funzione dell’impugnazione, e stimolare al riguardo quei meccanismi rimediali che l’ordinamento consente. Nella specie, è difficile confutare che, sotto il profilo della editio actionis, una citazione ed un ricorso per impugnazione di deliberazioni condominiali sono effettivamente fungibili. Il vero problema è piuttosto quello che pone la valutazione di tempestività dell’impugnazione, che deve essere introdotta entro trenta giorni, decorrenti dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti. Di regola, la proposizione della domanda giudiziale rappresenta un evento idoneo ad impedire la decadenza da un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, bensì in quanto instaura un valido rapporto processuale diretto ad ottenere l’effettivo intervento del giudice ai fini di una pronuncia di merito. Nella prima parte dell’art. 2966 c.c., è precisato che «la decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto», cioè dal compimento dell’atto che rappresenta il concreto esercizio del diritto nella sua forma tipica, secondo un precostituito modello, normativo e negoziale. Poiché Cass. n. 8491/2011 ha affermato che le impugnazioni delle delibere dell’assemblea di condominio, in applicazione dell’art. 163 c.p.c., vanno proposte con citazione, la conclusione più rigorosa, radicata sull’art. 2966 c.c., dovrebbe portare a concludere che soltanto citare in giudizio il condominio consenta di compiere l’atto tipico previsto dalla legge, consistente nell’esercizio del diritto potestativo di azione. Lo schema proprio della citazione postula la proposizione dell’impugnativa assembleare con la relativa domanda e la contemporanea evocazione in causa del condominio: di conseguenza, la pendenza del giudizio, anche al fine di impedire la decadenza di cui all’art. 1137 c.c., dovrebbe essere data, ai sensi dall’art. 39, ultimo comma, c.p.c., soltanto dalla notificazione della citazione, per effetto, anzi, della richiesta avanzata dal condomino impugnante all’ufficiale giudiziario di procedere alla notifica dell’atto, e dunque prima ancora della sua costituzione, che si avrà in seguito al perfezionamento del procedimento notificatorio ed alla consegna dell’atto al destinatario. Nello schema tipico del ricorso, invece, domanda e chiamata in causa della controparte per il giudizio rimangono distinte, poiché dapprima l’attore manifesta la sua volontà di chiedere un certo provvedimento al giudice mediante il deposito dell’atto presso la cancelleria, e poi adempie al susseguente onere di evocare in causa il destinatario delle sue richieste, dando esecuzione a quanto disposto dal giudice in ordine ai termini di attivazione del contraddittorio ed alla data dell’udienza di discussione. In definitiva, nel rispetto zelante dell’art. 2966 c.c., la decadenza dal diritto potestativo di impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea di condominio non potrebbe dirsi impedita se non dal compimento dell’atto che rappresenta il corretto esercizio di quel diritto nella sua tipica forma precostituita, ravvisata dalle Sezioni Unite della Cassazione nella notificazione di una citazione. Laddove il condomino impugnante si serva della forma errata del ricorso, non c’è da discutere di conversione dell’atto nullo, ai sensi dell’art. 1424 c.c., per riconoscere ad esso gli effetti sostanziali di un atto di citazione, non potendosi dar rilevo alla volontà dell’improvvido autore dell’atto introduttivo, il quale deve piuttosto conformarsi alle previsioni di legge (artt. 2966 c.c. e art. 163 c.p.c.). È vero invece che l’art. 121 c.p.c. (però destinato a quei soli atti del processo per i quali non siano richiesti dalla legge forme determinate) e l’art. 159, co. 3, c.p.c., possono venire incontro all’interprete, consentendo altresì di attribuire idonei effetti pure ad un ricorso che la parte abbia erroneamente proposto in luogo di una citazione; ma, in via di approssimazione, le regole da applicare (nella specie, per valutare la tempestività dell’impugnazione di una deliberazione annullabile) non dovrebbero essere quelle correlate alla malintesa forma dell’atto scelta dalla parte, sebbene quelle appropriate al modello legalmente corretto9. Le resistenze abitualmente opposte alla declamazione di un principio di effettiva piena equipollenza tra la notificazione di una citazione ed il deposito di un ricorso, al momento dell’introduzione di un giudizio – soprattutto se correlate alla verifica dell’impedimento di un termine decadenziale –, intravedevano il rischio di potenziali disparità di trattamento tra i cittadini, cui fosse permesso di procedere discrezionalmente all’uno o all’altro adempimento. Esclusa l’operatività del criterio di cui all’art. 39 c.p.c. con riferimento ai procedimenti instaurati con ricorso, e ritenuto, pertanto, in adesione all’orientamento assolutamente prevalente, che la pendenza di tali giudizi si collochi sin dal momento del deposito dell’atto introduttivo in tribunale, una piena parificazione sotto il profilo effettuale tra una citazione (notificata) ed un ricorso (depositato), anche al fine di interrompere il termine di decadenza ex art. 1137 c.c., dovrebbe essere confrontata altresì con l’art. 111, co. 2, Cost., in nome delle esigenze del contraddittorio con il condominio passivamente legittimato. È innegabile, ad esempio, che l’adozione del ricorso come forma impropria di impugnazione rischia di comprimere arbitrariamente il diritto del condominio di essere posto tempestivamente a conoscenza della litispendenza, ovvero della circostanza che sia stata proposta un’impugnazione avverso una deliberazione assembleare, per poter così verificare la proficuità di una sostituzione tempestiva di quella deliberazione con altra presa in conformità della legge o dell’atto costitutivo, oppure per poter sperimentare i propri poteri difensivi, quale la facoltà di accesso al fascicolo d’ufficio, ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c., facoltà certamente strumentale ai fini di un corretto esercizio del diritto al contraddittorio ed alla parità delle armi. Di tal che, l’utilizzo del ricorso, in un modello processuale che, ex lege, postula per contro la forma introduttiva generale della citazione, può dar luogo ad un paradigma procedimentale che consacra un deficit della garanzia informativa della litispendenza in capo al condominio passivamente legittimato. Né potrebbe immaginarsi che la sospensione del provvedimento impugnato, ex art. 1137, co. 2, c.c., possa essere pronunciata su istanza presentata direttamente al giudice, in assenza di contraddittorio, e senza che la controparte sia in alcun modo resa edotta, attraverso la notificazione del ricorso, della richiesta avanzata dal ricorrente. Dunque, se la sentenza n. 8491/2011 avesse inteso utilizzare per le impugnazioni delle deliberazioni dell’assemblea di condominio l’ormai tradizionale principio della conversione, o quello della conservazione processuale, ricorrenti per le fattispecie di errore nell’adozione degli atti introduttivi del giudizio (diffusamente invocati nella giurisprudenza in tema di appello e di opposizione a decreto ingiuntivo nelle controversie soggette al rito del lavoro10, di opposizione nei processi esecutivi11, di appello avverso le sentenze di separazione dei coniugi e di divorzio12, di riassunzione del processo13, il ricorso impropriamente proposto sarebbe valso come citazione soltanto a seguito della sua tempestiva notifica al condominio destinatario. Ma quali effetti è davvero capace di produrre un ricorso per impugnativa di una delibera condominiale, mancando una formale vocatio in ius? Se provvede il giudice, cui sia presentato l’erroneo ricorso, con suo decreto alla fissazione dell’udienza per la comparizione delle parti, assicurando altresì il rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c., viene garantita una sufficiente corrispondenza con il corretto modello della citazione notificata? Mentre è stato sempre agevole per la giurisprudenza ridurre o contrarre gli effetti di una citazione erroneamente notificata a quelli di un idoneo ricorso, presentando la prima sempre tutti gli elementi strutturali del secondo, più complicato è invece apparso tributare ad un ricorso impropriamente spiegato l’efficacia di un atto di citazione, all’uopo occorrendo l’intervento ab externo di un provvedimento del giudice che integri il profilo deficitario della vocatio in ius. Sicuramente non è più sostenibile che, alla luce della ricostruzione appena operata dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, sia addirittura processualmente indifferente, e non comporti perciò alcuna sanzione, la forma con la quale sia proposta l’impugnazione di una deliberazione di assemblea di condominio, purché il primo atto con il quale la reazione del condomino assente o dissenziente – citazione o ricorso che sia – si manifesti nel termine di trenta giorni di cui all’ultimo comma dell’art. 1137 c.c., e ad esso facciano quindi seguito i corrispondenti ulteriori adempimenti litis ingredientes (rispettivamente, iscrizione a ruolo o notifica di ricorso e decreto). Rispetto all’imposto modello ordinario della citazione, ex art. 163 c.p.c., il ricorso per impugnativa di delibera, invero, non contiene l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione, né l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza, né l’avvertimento che la costituzione tardiva implichi le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. (e dunque anche la decadenza di cui all’art. 1137 c.c.). Ne discende la nullità del ricorso stesso, ai sensi dell’art. 164, co. 1, e dell’art. 156, co. 2, c.p.c.: le regole da applicare nella qualificazione di validità dell’atto introduttivo non possono essere di certo quelle legate al modello erroneamente scelto dalla parte, ma quelle appropriate del modello dovuto secondo legge. A tale nullità, tuttavia, potrà porre rimedio il giudice, facendo buon uso degli strumenti di sanatoria dei vizi relativi alla vocatio in ius previsti nei commi 2 e 3 dell’art. 164 c.p.c., e dunque disponendo la rinnovazione dell’atto da notificare al condominio convenuto non costituito, oppure la fissazione di nuova udienza su istanza del condominio convenuto comunque costituitosi, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria. La sanatoria ex art. 164 c.p.c. costituisce per il giudice un obbligo e non già una mera facoltà: sovviene anche qui l’art. 111, co. 2, Cost., letto in combinato con gli artt. 127 e 175 c.p.c., ravvisandosi la primaria finalità del precetto costituzionale nella piena realizzazione del diritto delle parti ad ottenere una risposta finale nel merito alle loro domande di giustizia, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che a tale risposta conducono. Questo diritto delle parti ad una risposta di merito impone al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione del giudizio, rifuggendo ogni inutile dispendio di energie processuali, nonché ogni formalità che non sia giustificata dall’attuazione del principio del contraddittorio, dalle concrete garanzie della difesa e dall’esigenza della partecipazione dei contendenti al processo in condizione di parità. In questo modo, l’errore nella forma dell’accesso all’autorità giudiziaria viene sanato mediante instaurazione di un corretto contraddittorio, ed allo stesso tempo non preclude al condomino l’utile esercizio del diritto potestativo di azione, impeditivo della decadenza di trenta giorni di cui all’art. 1137 c.c. Il ricorso di impugnazione di una deliberazione condominiale può così essere recuperato per inserirsi validamente nella serie effettuale che dà vita al processo, e si dimostra parzialmente idoneo a produrre gli effetti tipici di quella domanda giudiziaria voluta dal condomino impugnante. L’impugnativa per ricorso reca con sé comunque una sufficiente editio actionis (seppur scissa dalla vocatio in ius per iniziativa arbitraria dell’attore), e questo rassicura, constatata l’effettiva pendenza del processo dal momento del suo deposito, circa il prodursi degli effetti sostanziali conservativi della domanda formulata, quale in particolare l’impedimento della decadenza ex art. 1137 c.c.
1 In Riv. giur. ed., 2010, I, 60 ss., con nota di Coscetti, L’impugnativa delle deliberazioni dell’assemblea condominiale: orientamenti interpretativi in materia di forma dell’atto introduttivo e di tempestività dell’impugnazione.
2 In Foro it., 2011, I, 1381 ss., con nota di Piombo, Forma e tempestività dell’impugnazione delle delibere dell’assemblea condominiale: le sezioni unite della Cassazione risolvono il contrasto.
3 Cass., 5.5.1975, n. 1716, in Giust. civ., 1976, I, 116.
4 Cass., 27.2.1988, n. 2081, in Giust. civ., 1988, I, 1480. Si veda anche Cass., 9.7.1997, n. 6205, in Foro it., 1998, I, 178, con nota di Celeste, La Cassazione ritorna sulla forma di impugnazione delle delibere condominiali: un’altra occasione mancata, secondo cui l’art. 1137 c.c., nel disciplinare la forma dell’atto di impugnazione delle delibere condominiali, adopererebbe l’espressione letterale «ricorso» in senso tecnico.
5 Cass., 16.2.1988, n. 1662, in Arch. loc., 1988, 570, con nota di Baio, Brevi note sulla forma dell’impugnazione di delibera condominiale.
6 Si vedano in tal senso Cass., 30.7.2004, n. 14560, in Riv. giur. ed., 2005, I, 84; Cass., 11.4.2006, n. 8440, in Foro it., 2006, I, 2326; Cass., 28.5.2008, n. 14007, in Giust. civ., 2010, I, 2295. Quanto all’appello avverso sentenza in materia di impugnazione delle delibere condominiali, si è invece, anche di recente, chiarito come, in assenza di apposite previsioni di deroga alla disposizione di carattere generale di cui all’art. 342 c.p.c., esso vada proposto con citazione: Cass., 21.3.2011, n. 6412, in Il civilista, 2011, fasc. 6, 5.
7Del che era convinta da sempre pressoché l’intera dottrina: Peretti Griva, Il condominio delle case divise in parti, Torino 1960, 493; Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, artt. 1100- 1139, VI ed., Bologna-Roma, 1982, 656; Crescenzi, Le controversie condominiali, Padova, 1991, 150 ss.; Triola, Condominio e contenzioso, Milano, 1995, 108 ss.; Celeste, L’assemblea, Milano, 2003, 419 ss. In senso opposto, invece, Terzago, Il condominio, VI ed., Milano, 2006, 615 ss.
8 De Scrilli, Forma e tempestività dell’impugnazione della delibera condominiale, in Vita not., 2007, 599.
9 Si vedano in argomento: Salvaneschi, Riflessioni sulla conversione degli atti processuali di parte, in Riv. dir. proc., 1984, 140 ss.; Oriani, Nullità degli atti processuali: I) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 18; Auletta, Nullità e «inesistenza» degli atti processuali civili, Padova, 1999, 186; Marelli, La conservazione degli atti invalidi nel processo civile, Padova, 2000, 172; Minetola-Murra, La conversione dell’atto processuale nullo: un caso di giurisprudenza normativa, in Giust. civ., 2001, I, 1053 ss., nota a Cass., 1.6.2000, n. 7263; Fraulini, Contenuto e limiti della rinnovazione della nullità dell’atto introduttivo del giudizio civile ordinario di cognizione, in Giust. civ., 2001, I, 1669 ss., nota a Trib. Roma, 11.12.2000. Olivieri, Gli atti di parte nella fase introduttiva, in Riv. dir. proc. 2004, 118.
10 Cass., 22.4.2010, n. 9530, in Giust. civ. Mass., 2010, 4, 582; Cass., 2.4.2009, n. 8014, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, 568; Cass.,18.4.2006, n. 8947, in Arch. loc., 2006, 5, 519; Cass., 1.2.2001, n. 1396, in Giust. civ. Mass., 2001, 185.
11 Cass., 19.12011, n. 1152, in Guida al diritto 2011, 14, 59; Cass., 19.4.1996, n. 3728, in Giust. civ. Mass., 1996, 610; Cass., 1.8.1994, n. 7173, in Giust. civ. Mass., 1994, 1046.
12 Cass., 7.3.2008, n. 6196, in Dir. fam. 2008, 1181; Cass., 10.8.2007, n. 17645, in Giust. civ. Mass., 2007, 7-8; Cass., 22.7.2004, n. 13660, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8; Cass., 26.10.2000, n. 14100, in Giust. civ. Mass., 2000, 2182; Cass., 1.8.1997, n. 7158, in Giust. civ. Mass., 1997, 1311.
13 Cass., 14.10.2010, n. 21255, in Giust. civ. Mass., 2010, 10, 1327, Cass., S.U., 28.12.2007, n. 27183, in Giust. civ., 2008, I, 888; Cass., 9.11.2001, n. 13857, in Giust. civ. Mass., 2001, 1886. Si vedano anche Cass., 23.11.2007, n. 24420, in Guida dir., 2008, 11, 53; Cass., 14.1.2003, n. 365, in Giust. civ., 2003, I, 2773..