Abstract
Il condono fiscale rappresenta un istituto di carattere temporaneo ed eccezionale, con efficacia retroattiva, che consente di definire in modo agevolato i rapporti tributari non ancora esauriti, mediante la corresponsione di una somma di denaro inferiore al quantum a titolo di tassazione ordinaria, con contestuale abbandono della pretesa sanzionatoria.
Il continuo susseguirsi di leggi istitutive di condoni fiscali, in particolar modo nel periodo compreso tra il 1970 e il 2002, ha determinato la sovrapposizione tra tassazione ordinaria e tassazione per condono, con evidenti disparità di trattamento tra contribuenti che hanno aderito alle definizioni agevolate e contribuenti che hanno assolto i tributi in modo ordinario.
I profili di illegittimità costituzionale, i limiti recentemente imposti dalla giurisprudenza europea, nonché l’evoluzione delle procedure di accertamento e riscossione dei tributi, dovrebbero, comunque, aver definitivamente determinato l’espunzione del condono tra gli strumenti di politica fiscale italiana.
L’espressione condono fiscale, nella sua accezione tradizionale, evoca provvedimenti normativi di clemenza temporanei ed eccezionali, con efficacia retroattiva, con i quali lo Stato abbandona le pretese sanzionatorie amministrative nei confronti di contribuenti che non hanno puntualmente assolto determinati tributi.
L’evoluzione legislativa del condono fiscale denota, però, che, oltre i profili sanzionatori, esso ha anche interessato la fase della determinazione del tributo, prevedendo la possibilità per il contribuente di rendere definitiva l’obbligazione tributaria con il versamento di una somma determinata attraverso criteri automatici, disallineati rispetto alla ricchezza effettiva, notevolmente vantaggiosi. L’ampliamento dell’oggetto della legislazione condonistica (il legislatore utilizza espressioni evanescenti, quali «norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria», per definire i condoni) comporta che i provvedimenti più recenti abbiano abbandonato la logica della clemenza, per privilegiare l’obbiettivo di procurare immediatamente entrate aggiuntive per l’erario, mediante una sorta di tassazione volontaria dei contribuenti. Si tratta di una finalità non chiaramente dichiarata da coloro che se ne fanno promotori, i quali preferiscono evidenziare ulteriori scopi, quali quelli di alleggerire l’attività amministrativa degli Uffici finanziari, di ridurre il contenzioso tributario e, non da ultimo, di reagire all’insopportabilità del carico fiscale.
Ciò posto, va evidenziato che l’istituto del condono fiscale è oggetto di pregevoli contributi dottrinali, anche monografici, elaborati in concomitanza con l’approvazione dei provvedimenti normativi in materia, finalizzati sia ad indagarne i profili di compatibilità costituzionale, sia ad approfondire le specifiche problematiche applicative (Tesauro, F., A proposito di condono e di rimborso di imposta, in Giur. it., 1975, III, 23; Preziosi, C., Il condono fiscale, Milano, 1987; Picciaredda, F., Condono (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, 1988, 4; Passaro, G., Condono nel diritto tributario, in Dig. comm., III, Torino, 1988, 384; Batistoni Ferrara, F., Condono (diritto tributario), in Enc. dir., agg. V, 2001, 252; Fantozzi, A., Concordati, condoni e collette, in Riv. dir. trib., 2003, I, 200).
Al riguardo in dottrina si suole distinguere tra “condoni fiscali puri”, rispondenti ad una logica clemenziale, e “condoni fiscali impuri”, rispondenti ad una logica premiale (Falsitta, G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in Il fisco, 2003, 794).
Il condono puro elimina le sanzioni amministrative irrogate dagli Uffici finanziari, pertanto presuppone l’adempimento integrale del debito tributario da parte del contribuente. Esso ha avuto ampia applicazione in epoca precedente la riforma tributaria degli anni settanta ed in particolare nel periodo post-bellico. All’epoca non esistevano gli attuali istituti che consentono di alleviare le conseguenze sanzionatorie amministrative in relazione ad un atteggiamento collaborativo del contribuente, consistente nel compimento degli adempimenti formali e nel versamento spontaneo, sia pur tardivo, del tributo dovuto; non erano, inoltre, previste sul piano legislativo ipotesi che consentivano all’Amministrazione finanziaria di abbandonare la pretesa sanzionatoria in presenza di determinate circostanze, tra cui l’obbiettiva incertezza della norma violata. Le sanzioni amministrative erano, quindi, sempre applicate in misura piena ed in modo automatizzato; in questo contesto, si riteneva che, al verificarsi di circostanze eccezionali, lo Stato potesse abbandonare la pretesa sanzionatoria.
Il condono impuro, invece, si caratterizza per l’effetto sostitutivo dei normali parametri di determinazione della prestazione tributaria. Esso è stato largamente utilizzato dopo la riforma tributaria degli anni settanta ed in particolare con i condoni del 1973, del 1982, del 1991 e del 2002.
Dobbiamo, al proposito, precisare che non è in alcun modo riconducibile alla nozione di condono fiscale l’istituto dell’accertamento con adesione, che consente una determinazione quantitativa del tributo più favorevole al contribuente, in quanto non ha una ratio premiale, ma rappresenta un procedimento amministrativo finalizzato all’esatta ricostruzione della fattispecie imponibile attraverso la partecipazione del contribuente (Fantozzi, A., Concordati, condoni e collette, cit., 199). Non vi è, quindi, l’abbandono di una pretesa fiscale né a titolo di tributo, né a titolo di sanzioni. La riduzione del tributo non avviene in automatico ma ha una sua giustificazione in relazione alle risultanze del contraddittorio procedimentale. La riduzione automatica delle sanzioni che consegue all’adesione è giustificata dall’esigenza di incentivare l’applicazione concreta dell’istituto.
A prescindere dall’oggetto della legislazione condonistica, cioè la sanzione e/o il tributo, la differenza tra i condoni puri ed impuri sta nel fatto che i primi presuppongono l’esistenza di una violazione a cui consegue l’abbuono sanzionatorio; i secondi sono, invece, svincolati dall’esistenza di una violazione e si giustificano semplicemente per l’esigenza di rendere definitiva e incontestabile l’obbligazione tributaria di un determinato periodo.
Senza addentrarci eccessivamente nelle caratteristiche tecniche dei più recenti provvedimenti di condono fiscale impuro (che con il tempo hanno raggiunto un elevato grado di complessità), evidenziamo che varie sono le forme di definizione agevolata previste.
La prima, e più rilevante, forma di condono fiscale è rappresentata dalla definizione automatica di annualità pregresse, nota anche come “condono tombale”. Essa si caratterizza per il fatto di rendere definitiva l’obbligazione tributaria per i periodi oggetto di condono. L’assoluta incontestabilità del rapporto tributario a seguito della adesione alla definizione automatica vuol significare non solo che il Fisco non può espletare l’attività di accertamento per gli anni condonati, ma anche che il contribuente non può rimettere in discussione il tributo dovuto per quelle annualità, essendo preclusa la richiesta di rimborsi pur se connessi ad eventi futuri quali, ad esempio, il sopravvenuto riconoscimento di un’agevolazione chiesta prima del condono.
Il condono tombale presenta dei vincoli e dei limiti di utilizzo: il contribuente deve, infatti, sanare tutte le annualità pregresse per le quali non sono maturati i termini di decadenza dell’attività di accertamento e, inoltre, non deve aver ricevuto la notifica di un atto di accertamento per i predetti periodi di imposta; l’eventuale conoscenza formale dell’esercizio dell’azione penale in relazione a reati tributari preclude, altresì, l’accesso a tale definizione.
L’imposta dovuta per beneficiare della definizione automatica è quantificata applicando delle percentuali incrementative all’imposta dichiarata originariamente, con la previsione di un livello minimo di imposte dovute per ciascuna annualità. Tale sistema di calcolo rappresenta uno dei punti critici del condono tombale, in quanto concede una maggiore premialità a chi dichiara di meno (e quindi evade di più), ed inoltre induce il contribuente a massimizzare l’evasione per il futuro, in relazione alle aspettative di un nuovo condono strutturato con simili caratteristiche. Per questi motivi, il sistema di calcolo della definizione automatica dell’ultimo condono fiscale (2002), con riferimento ai soggetti titolari di redditi di impresa e di lavoro autonomo, è stato agganciato ai ricavi e compensi stimati in base agli studi di settore, premiando così i soggetti congrui, cioè coloro che dovrebbero aver realizzato una minore evasione fiscale.
Un’ulteriore forma di condono fiscale è rappresentata dalla “dichiarazione integrativa semplice”; il termine semplice vuol significare che tale dichiarazione non produce gli effetti della definizione dei periodi condonati.
Tramite la dichiarazione integrativa il contribuente ha la possibilità di far emergere nuova materia imponibile, e così regolarizzare specifiche violazioni. Tale tipologia di condono può essere attuata solo per alcune annualità di imposta.
La differenza rispetto alla ordinaria procedura di dichiarazione integrativa di cui all’art. 2 del d.P.R. 22.7.1998, n. 322, sta nel fatto che la presentazione della dichiarazione integrativa da condono esclude il pagamento di sanzioni e concede una franchigia in relazione a futuri accertamenti.
Tra le fattispecie di definizioni agevolate una menzione merita la chiusura delle liti fiscali pendenti. Nella prospettiva di ridurre sensibilmente il numero di controversie incardinate presso le Commissioni tributarie non ancora definite con una sentenza passata in giudicato, ed al fine di acquisire immediatamente almeno una parte dei tributi accertati dagli Uffici fiscali, il legislatore ha inserito nell’ambito dei provvedimenti di condono anche la possibilità di definire le liti fiscali pendenti ad una certa data. La determinazione del quantum dovuto per estinguere la lite varia a seconda del grado in cui essa pende e dell’esito favorevole o meno al Fisco della sentenza non definitiva. Nel caso di soccombenza del Fisco gli importi da versare per la definizione sono molto bassi (intorno al 10 per cento del tributo accertato); gli importi crescono sensibilmente (sino al 50 per cento) se, invece, viene confermata la legittimità dell’operato dell’Ufficio finanziario. La convenienza per il contribuente di addivenire alla chiusura della lite, oltre che nella esiguità degli importi richiesti, risiede anche nella previsione dell’abbandono della pretesa sanzionatoria.
Un cenno va fatto, infine, ad un’ulteriore forma di definizione agevolata, denominata rottamazione dei ruoli. Essa ha ad oggetto posizioni debitorie certe, risultanti da un titolo esecutivo divenuto ormai incontestabile. Per porre rimedio alle difficoltà dell’Agente della riscossione di acquisire i crediti tributari risultanti da iscrizioni a ruolo, nell’ambito dei più recenti provvedimenti di condono, si è previsto che il contribuente, effettuando un versamento del 25 per cento della complessiva somma dovuta, comprensiva di tributo e sanzioni, possa estinguere l’intero debito fiscale iscritto a ruolo.
Nell’arco temporale 1973-2002 il legislatore tributario, con cadenza quasi quinquennale, ha introdotto un provvedimento di condono. Se esaminiamo i più importanti provvedimenti di definizione agevolata, notiamo che: quello del 1973 è connesso alla riforma del sistema tributario all’epoca approvata; quello del 1982 è stato giustificato dalla riforma del sistema sanzionatorio penale; quello del 1991 affonda le radici nella riforma del processo tributario; quello del 2002, infine, si collega alla “annunciata” riforma del sistema fiscale, in seguito prevista dalla l. 7.4.2003, n. 80.
Possiamo, però, affermare che la volontà di introdurre i condoni sia stata determinata dalla finalità di acquisire gettito piuttosto che da esigenze straordinarie. Non potendosi, infatti, ulteriormente aumentare la pressione fiscale ed a fronte del dilagante fenomeno dell’infedeltà delle dichiarazioni tributarie (evasione in senso tradizionale), nonché della sottrazione al pagamento delle imposte sia dichiarate, sia accertate (evasione da riscossione), è abbastanza comprensibile che la tentazione pragmatica dei governi sia stata quella di introdurre forme di definizione agevolate delle pendenze tributarie ad ampio spettro per rimpolpare le asfittiche casse erariali. Il condono ha consentito, invero, di «far cassa senza aumentare le imposte» (Lupi, R., Autotassazione, modelli culturali e condoni fiscali, in Rass. trib., 2004, 153).
Posto che il termine per l’attività di controllo degli Uffici in merito alle imposte sui redditi ed all’Iva è di circa cinque anni dalla presentazione della dichiarazione, ed essendo intervenuto un condono ogni cinque anni, quasi tutte le annualità di imposta dalla riforma tributaria degli anni settanta sino ai primi anni del duemila sono divenute “condonabili”.
Il condono è, quindi, divenuto uno strumento di politica fiscale previsto quasi ordinariamente, come dimostra il fatto che l’art. 19 della legge sul processo tributario prevede tra gli atti impugnabili anche il “rigetto della domanda di definizione agevolata dei rapporti tributari”.
In buona sostanza, l’esperienza italiana (non risulta che altri paesi abbiano adottato forme di condono fiscale che concedono sconti sulle imposte) denota che la “tassazione volontaria per condono” si è affiancata alla “tassazione ordinaria” con soddisfacenti risultati di gettito nel breve periodo, ma con prevedibili effetti negativi sulle entrate tributarie nel lungo periodo. Ed infatti, gli introiti effettivi provenienti dai condoni sono stati superiori rispetto alla media degli incassi da accertamenti. Non va, peraltro, trascurato che normalmente la legge di condono ha previsto la proroga biennale dei termini di accertamento; molti contribuenti sono stati, quindi, “costretti” ad aderire ad una delle tipologie di definizione agevolata per non incappare nella predetta proroga, con ciò determinando un incremento del gettito da condono.
In definitiva, nonostante gli introiti complessivi da condono siano risultati lontani dall’ammontare delle imposte evase (l’incasso totale da condoni fiscali post-riforma è di 120 miliardi di euro, quindi è pari all’evasione fiscale stimata di un solo anno), è possibile affermare che, nel breve periodo, dal punto di vista strettamente economico, l’introduzione dei condoni fiscali sia stata una scelta ragionevole, ma in un’ottica di medio-lungo periodo abbia determinato una riduzione del gettito futuro, in relazione agli effetti diseducativi che ne sono conseguiti: l’aspettativa di un nuovo condono ha indotto, da un lato, i contribuenti a continuare (o a iniziare) ad occultare materia imponibile e, dall’altro, gli Uffici fiscali ad allentare l’azione di contrasto all’evasione fiscale.
Il tema della legittimità costituzionale dei condoni va affrontato distinguendo le ipotesi dei condoni puri ed impuri.
I condoni puri, infatti, non presentano particolari profili di criticità costituzionale, in quanto è sostenibile che l’art. 79 Cost., che prevede la possibilità di concedere l’amnistia e l’indulto con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, sia espressione di un principio generale di clemenza, il quale può comportare l’abbandono di una pretesa punitiva al verificarsi di determinate circostanze ritenute eccezionali secondo una valutazione del legislatore, sindacabile in relazione al parametro della ragionevolezza di cui all’art 3 Cost. Circostanze eccezionali che, con riguardo alla materia tributaria, possono individuarsi nell’avvento di profondi mutamenti del sistema impositivo, che rendono iniqua l’applicazione delle sanzioni.
I condoni impuri, invece, presentano numerosi profili di incompatibilità costituzionale, in quanto non solo non rispondono ad alcun valore tutelato dalla carta fondamentale, ma anzi, già di primo acchito, si manifestano contrari ai principi di solidarietà economica, capacità contributiva, giustizia distributiva ed uguaglianza fiscale, che rappresentano i capisaldi della cd. costituzione fiscale.
Si è notato addirittura che «il condono fiscale, prima che essere incostituzionale, è la negazione del diritto tributario, in quanto contraddice la funzione stessa dell’ordinamento tributario» (De Mita, E., Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, in Il fisco, 2003, 7313). A tal proposito, si è autorevolmente aggiunto che «la norma che fissa i criteri di ripartizione dei carichi pubblici è la base di un diritto soggettivo di ciascun contribuente non verso lo Stato ma verso tutti i restanti concorrenti al riparto»: esiste dunque un diritto costituzionalmente garantito all’invarianza del criterio già adottato con le leggi istitutive dei tributi (Falsitta, G., I condoni fiscali, cit., 794).
La disparità di trattamento che provoca il condono tra contribuenti che hanno regolarmente adempiuto agli obblighi fiscali e contribuenti che beneficiano del condono è evidente (Tinelli, G., Condono tributario e principio di uguaglianza, in Riv. giur. trib., 2008, 15). A titolo esemplificativo, si cita il caso della cd. rottamazione dei ruoli: il contribuente che non ha corrisposto per tempo il tributo, a prescindere dal fatto che potesse o meno versare in situazione di crisi finanziaria, risulta nettamente avvantaggiato (dalla possibilità della definizione della pendenza mediante un pagamento parziale) rispetto a chi ha puntualmente versato i tributi in modo integrale. Non a caso, qualche contribuente che non ha beneficiato del condono ha presentato istanza di restituzione della differenza tra il debito estinto in modo ordinario e quanto avrebbe pagato usufruendo della definizione agevolata. La questione è stata esaminata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 1.10.2007, n. 20641), la quale ha riconosciuto al contribuente il diritto al rimborso. Tale conclusione è forzata rispetto al tenore letterale delle norme sul condono, che negano il diritto al rimborso di tributi sia per chi aderisce alla definizione, sia per chi non ne beneficia, ma potrebbe giustificarsi in un’ottica di “giustizia sostanziale”.
Oltre i profili di uguaglianza tributaria e parità di trattamento va considerato che la logica del condono fiscale è quella di sostituire le ordinarie forme di accertamento ed imposizione dei fatti fiscalmente rilevanti, e quindi di prevedere una sorta di prelievo tributario non conforme al principio enunciato dall’art. 53 Cost. Il condono fiscale cioè determina «una rinuncia imposta dalla legge ad entrambe le parti a conseguire la giusta imposizione, giustificata da un equo contemperamento tra fisco e contribuente» (Basilavecchia, M., Principi costituzionali e provvedimenti di condono, in Riv. dir. fin., 1988, 242).
Va sottolineato a questo punto che la Corte costituzionale in numerose occasioni si è pronunciata a favore della legittimità dei condoni fiscali (per tutte C. cost., 23.7.1980, n. 119; C. cost., 26.2.1981, n. 33; C. cost., 7.7.1986, n. 172; C. cost., 23.7.1992, n. 361; C. cost., 13.7.1995, n. 321; C. cost., 16.12.2004, n. 433; C. cost., 7.7.2005, n. 305; C. cost., 13.7.2007, n. 270), in quanto «l’istituto del condono costituisce una forma tipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti dei redditi ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria ed immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso e non in quella dell’accertamento dell’imponibile». Pur essendo l’imposta da condono non esattamente rapportata alla capacità contributiva del soggetto, la definizione agevolata sarebbe ragionevole nella misura in cui determina un introito immediato per l’Erario, comunque maggiore rispetto a quello che presumibilmente potrebbe acquisirsi dall’ordinaria attività di accertamento. Il profilo dell’illegittimità dell’imposizione da condono è, inoltre, superato dal fatto che si tratta di un prelievo di carattere volontario, atteso che il contribuente pone in essere una valutazione di convenienza in relazione alla scelta di aderire al condono fiscale.
In definitiva, nel pensiero della Corte l’imposizione da condono ha una logica differente rispetto alla tassazione ordinaria: quest’ultima si giustifica, infatti, per l’esistenza di una manifestazione di capacità contributiva oggetto di imposizione, mentre la prima prescinde dall’effettiva realizzazione del presupposto del tributo e si giustifica in relazione all’intenzione di beneficiare degli effetti della legislazione condonistica. Inquadrando, inoltre, l’istituto non sul piano sostanziale, ma su quello procedimentale, la Corte supera il problema della disparità di trattamento tra contribuenti: nessuno è obbligato ad aderire al condono, lo fa solo chi ha interesse.
La tesi della Consulta, in particolare nella parte in cui non sottopone il condono al sindacato ai sensi dell’art. 53 Cost., è stata oggetto di decise e condivisibili critiche della dottrina. Appare, invero, ben più solida la tesi per cui il principio di capacità contributiva appone un vincolo non solo alla disciplina ordinaria della prestazione tributaria, ma anche a quella da condono. Quest’ultimo realizza, infatti, una forma di partecipazione alla spesa pubblica, e come tale non può essere indifferente rispetto al principio di capacità contributiva.
Il mancato rispetto del principio di capacità contributiva in seno ai provvedimenti di condono introdotti dopo la riforma tributaria degli anni settanta è palese. La definizione automatica delle annualità pregresse premia, come detto, i contribuenti che hanno evaso di più, concedendo loro la possibilità di assolvimento del tributo mediante una sistema di quantificazione forfettaria, svincolato dalla effettiva misurazione della capacità economica oggetto di imposizione. Anche i condoni connessi ai casi di omessa presentazione della dichiarazione, essendo quantificate le somme da versare in modo assolutamente forfetario, si presentano non conciliabili con l’art. 53 Cost. Da ultimo, la non conformità alla capacità contributiva risulta, altresì, per la dichiarazione integrativa semplice, in quanto concede una cospicua franchigia per gli accertamenti (franchigia che determina uno scollamento tra imposizione tributaria e capacità economica effettiva), nonché per la cd. rottamazione dei ruoli, che determina, sia pur sotto un differente profilo, un’alterazione delle ordinarie regole di riparto dei carichi pubblici.
L’incidenza dell’art. 53 Cost. anche sull’imposizione da condono è, peraltro, dimostrata dal fatto che i più recenti provvedimenti di definizione agevolata dei rapporti tributari hanno reso sempre più sofisticato e complesso il sistema di quantificazione delle somme dovute, tentando per quanto possibile di agganciarlo a parametri maggiormente aderenti ai fatti economici realizzati.
D’altra parte, la presenza di situazioni eccezionali non legittimano la deroga al principio della “giusta imposta”. Come notato in dottrina, infatti, la possibilità di affievolire il principio di effettività della capacità contributiva in presenza di situazioni straordinarie connesse a profonde modifiche della normativa tributaria, ovvero ad altre esigenze di ordine finanziario o di organizzazione dell’attività degli uffici fiscali, è decisamente da respingere. Pur potendo apparire ragionevoli (il condono può apparire ragionevole da un punto di vista economico), tutte le forme di imposizione devono necessariamente misurarsi con il principio di capacità contributiva (Tosi, L., Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, 101). La potestà normativa tributaria è, pertanto, soggetta in prima battuta al sindacato di conformità alla capacità contributiva ex art. 53 Cost. e solo in seguito a quello di ragionevolezza ex art. 3 Cost.; ciò significa che nessuna circostanza straordinaria legittima forme di tassazione disallineate rispetto alla capacità economica effettiva, a prescindere dal fatto che siano doverose o facoltative.
In conclusione, i condoni impropri sin qui introdotti devono ritenersi strumenti di politica economica non tollerati dalla nostra Costituzione, per violazione dei principi ritraibili in particolare dagli artt. 3 e 53.
Essendo trascorsi quasi quindici anni dall’ultimo condono fiscale generalizzato approvato con la l. 27.12.2002, n. 289 (tralasciando i successivi “scudi fiscali”, provvedimenti ascrivibili alla categoria dei condoni fiscali essendo finalizzati, tra l’altro, a regolarizzare sotto il profilo tributario attività finanziarie detenute all’estero) è ipotizzabile, oltre che auspicabile, che l’atavica consuetudine di introdurre periodicamente definizioni agevolate che alterano gli ordinari criteri di quantificazione dei tributi sia finalmente finita.
Le cause che hanno indotto questo importante mutamento di direzione (verso un fisco civile) sono molteplici e non certo riconducibili ad una rinnovata mentalità dei governanti, o al superamento dell’esigenza di sanare il bilancio pubblico. Ed infatti, in primo luogo, una decisa “reprimenda” nei confronti della legislazione condonistica italiana è giunta dall’Unione europea. Il condono fiscale del 2002 è stato, infatti, dichiarato incompatibile con la direttiva comunitaria sull’IVA dalla Corte di giustizia europea con la sentenza 17.7.2008, n. 132. I giudici europei hanno evidenziato che alcune fattispecie di definizione agevolata contenute nel citato condono fiscale, nella misura in cui determinavano una rinuncia generale e indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate in determinati periodi di imposta, contrastavano con l’obbligo di garantire una riscossione equivalente dell’IVA negli Stati membri, aspetto necessario per assicurare la neutralità fiscale degli scambi in ambito europeo.
A ciò bisogna aggiungere che anche la Corte di cassazione (Cass., 9.2.2010, n. 2826; Cass., 17.02.2010, n. 3674), nel solco della giurisprudenza europea, ha contribuito a demolire i condoni fiscali, disapplicando alcune norme incompatibili con il diritto comunitario (Falsitta, G., Il contributo della Cassazione alla demolizione della legislazione condonistica in materia di Iva, in Corr. trib., 2010, 979; Miceli, R., Gli effetti della incompatibilità comunitaria del condono Iva e della relativa sentenza di inadempimento sul sistema giuridico nazionale, in Riv. dir. trib., 2010, I, 587).
Non va, però, trascurato che, oltre ai condizionamenti di ordine europeo, la scomparsa dai condoni è dovuta anche all’evoluzione del sistema fiscale italiano dal 2002 ad oggi. Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, sono stati introdotti efficaci strumenti di controllo del corretto adempimento degli obblighi fiscali, sfruttando pienamente le potenzialità della telematica, che non giustificherebbero più un provvedimento finalizzato ad alleggerire l’attività degli Uffici finanziari. Ci si riferisce, in particolare, alla piena implementazione dell’anagrafe dei rapporti bancari e finanziari, nonché alle creazione di numerose banche dati utilizzate per verificare la corrispondenza tra i redditi dichiarati e le spese sostenute. L’efficacia di questi strumenti rende, altresì, poco credibile l’assunto per cui il Fisco, con la ordinaria attività di accertamento, non riesce ad acquisire quelle “ulteriori entrate” che un eventuale nuovo condono fiscale potrebbe assicurare.
Anche il progressivo miglioramento dei poteri della fase della riscossione e l’introduzione nella fase processuale della mediazione e del reclamo hanno certamente l’effetto di rendere irragionevole l’introduzione di nuove definizioni agevolate dei rapporti tributari.
In definitiva, i condoni fiscali impuri, che altero i criteri ordinari di riparto della spesa pubblica, possono ritenersi ormai espunti dalla legislazione tributaria italiana, mentre quelli puri, riguardanti l’abbandono delle sanzioni, potranno riproporsi in futuro per il maturare di circostanze del tutto eccezionali che determinano la perdita di disvalore sociale della condotta del trasgressore.
L. 27.12.2002, n. 289; l . 30.12.1991, n. 413; d.l. 10.7.1982, n. 429; d.l. 5.11.1973, n. 660.
Batistoni Ferrara, F., Condono (diritto tributario), in Enc. dir., agg. V, 2001; Basilavecchia, M., Principi costituzionali e provvedimenti di condono, in Riv. dir. fin., 1988; De Mita, E., Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, in Il fisco, 2003; Falsitta, G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in Il fisco, 2003; Falsitta, G., Il contributo della Cassazione alla demolizione della legislazione condonistica in materia di Iva, in Corr. trib., 2010, 979; Falsitta, G., I condoni fiscali Iva come provvedimenti di natura agevolativa violatori del principio di neutralità del tributo, in Riv. dir. trib., 2008; Fantozzi, A., Concordati, condoni e collette, in Riv. dir. trib., 2003; Lupi, R., Autotassazione, modelli culturali e condoni fiscali, in Rass. trib., 2004; Miceli, R., Gli effetti della incompatibilità comunitaria del condono Iva e della relativa sentenza di inadempimento sul sistema giuridico nazionale, in Riv. dir. trib., 2010; Passaro, G., Condono nel diritto tributario, in Dig. comm., III, Torino, 1988; Picciaredda, F., Condono (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, 1988; Preziosi, C., Il condono fiscale, Milano, 1987; Tesauro, F., A proposito di condono e di rimborso di imposta, in Giur. it., 1975; Tinelli, G., Condono Iva e normativa comunitaria, in Riv. giur. trib., 2008; Tosi, L., Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999.