CONESTAGIO (Connestagio) de Franchi (Franci), Gerolamo
Nacque a Genova verso il 1530 da Simone fu Gerolamo. Il padre e il nonno, cittadini di nobiltà nuova, furono ascritti nel 1528 all'"albergo" de Franchi, dei quali essi e i discendenti, compreso il C., assunsero il cognome fino alla riforma del 1576.
La presenza in Genova di almeno due omonimi Franchi coetanei del C. (uno, fu Giovan Battista, tra i governatori nel 1581 e un altro fu Cristoforo, doge morto nel 1586) rende talora problematico distinguerne le attività; tanto più considerando il dinamismo del C., mercante internazionale, politico, uomo di raffinata cultura, pregevole (e forse misconosciuto) storico e poeta. Inoltre un Francesco Gerolamo Conestagio, sacerdote, morto nel 1635, segretario prima del cardinale Sforza e poi cappellano di Filippo III, autore di una inedita Vita di Sforza Sforcia in latino, viene in alcuni repertori biografici confuso col Conestagio.
La prima presenza certa del C. nella vita economico-politica legata agli interessi della Repubblica si registra nel 1552 ad Anversa. Nella ricca città delle Fiandre il C., con la sua ditta commerciale, risulta collegato a un gruppo genovese di mercanti colti, che fa capo a Stefano Ambrogio Schiappalaria e comprende, con le rispettive ditte, Pier Francesco Moneglia Cicala, Benedetto Moneglia, Gerolamo Scorza, Desiderio Bondinario. Sotto la guida dello Schiappalaria, uomo molto colto e intraprendente, con vastissime relazioni d'affari, il gruppo fonda l'Accademia letteraria dei Confusi. In essa il C., con il soprannome di Attonito, svolge una pregevole attività poetica, che in parte confluirà in un volumetto di Rime pubblicato postumo. Un altro sonetto del C. venne premesso alla Vita di Giulio Cesare dello Schiappalaria, pubblicata in Anversa nel 1578.
Dal punto di vista biografico il canzoniere è decisamente prezioso: ci permette di sapere che, in Anversa, il C. si innamorò della sorella di un amico, il gentiluomo Nicolò Perez, o Pieters, che la sposò e ne ebbe una figlia; che tuttavia non si naturalizzò nella nuova terra, da lui amata e dove sarebbe tornato a varie riprese, ma che viaggiò a lungo e che mantenne con Genova rapporti politici e affettivi.
Probabilmente in coincidenza con l'estendersi della rivolta antispagnola nei Paesi Bassi del Sud, o all'epoca del massacro di Anversa, comunque nel 1576, il C. spostò il centro della propria attività commerciale a Lisbona, dove rimase almeno fino al 1580. Nel capoluogo portoghese ebbe modo di inserirsi in un giro di relazioni politiche con personalità di primo piano, in particolare col conte Giovanni da Silva, ambasciatore del re di Spagna, e con lo stesso giovane e sfortunato re Sebastiano. Inserito negli ambienti di corte, stimato per l'eleganza della parola, osservatore attento degli avvenimenti, in grado di raccogliere informazioni di prima mano, il C. mise a frutto tali opportunità per comporre un'opera di notevole interesse storico e di pregevole stile: Dell'unione del regno di Portogallo alla corona di Castiglia. Il volume, pubblicato a Genova nel 1585 presso Girolamo Bartoli, è in dieci brevi libri per un totale di circa quattrocento pagine.
Si apre con una dedica sottilmente polemica al doge e ai governatori della Repubblica che sottintende anche una visione dinamica della storiografia: ritiene egli dovere del cittadino registrare le vicende degli altri popoli perché lo Stato, Genova nella fattispecie, impari a scegliere, superati i contrasti interni, la via della propria conservazione. Segue un razionale indice dei nomi e degli argomenti, che rende il testo di agevole consultazione. Il libro si apre quindi con la descrizione geografica e storica del Portogallo, per concentrarsi poi sulle vicende politiche più recenti, dalla fallita impresa africana dell'esercito di re Sebastiano (alla cui appassionata figura va tutta la simpatia del C.), annientato il 4 ag. 1578 dai Mori sul campo di Alcázarquivir, fino alla proclamazione di Filippo II di Spagna a re del Portogallo, privo di pretendenti legittimi, ottenuta da Filippo II sfruttando abilmente la situazione, in un clima di disperazione e di contrasti. Specie nelle pagine che descrivono l'effetto della disfatta africana sulla popolazione portoghese, il C. dimostra una intensa partecipazione emotiva agli avvenimenti e insieme notevoli doti descrittive. Del resto il libro ebbe grande fama ai suoi tempi, sebbene l'accennata polemica antispagnola lo rendesse sospetto negli ambienti più integralisti. Lo apprezzò tra gli altri, Giusto Lipsio, che ne scrisse all'ex doge Paolo Moneglia; in Inghilterra fu uno dei primi libri storici italiani ad essere tradotto: il che avvenne nel 1600 per opera di Edward Blount.
La prima pubblicazione del libro a Genova, la sua significativa dedica, alcuni riferimenti nelle Rime ("Onde recito anch'io come si vede/ hor in Senato, hor in Cancelleria/ se ben malgrado mio vi movo il pede...") lasciano supporre che il C. abbia ripreso, favorito anche dai legami di profonda amicizia con Agostino Doria, un'attività più propriamente politica, il che è anche confermato dalla sua presenza a Venezia, nel periodo aprile-luglio 1590, in qualità di console della Repubblica genovese. Tuttavia il C. sembra mantenere buone e influenti amicizie che gli consentono di mantenersi ottimamente informato in materia politica piuttosto che inserirsi in prima persona nelle cariche pubbliche. Egli stesso, nell'ottobre 1601, può scrivere all'amico Nicolò Petrococcino, provveditore della Casa d'India, una relazione sul fallito tentativo di conquistare Algeri che dimostra una così perfetta conoscenza dei segreti, retroscena politici e militari da trasformare l'informazione richiesta in una autentica operetta storica. E infatti come tale fu poi pubblicata a Genova nel 1601 in un volumetto di novanta pagine dal Pavoni, per farne dono a Giovan Carlo Doria, figlio del doge Agostino, amico del Conestagio.
Il C., dopo aver osservato, nella premessa, che in Genova "quei cittadini che non hanno o mercantili negozi o molta ambizione sono totalmente privi di faccende come son io...", comincia la relazione con la storia di Algeri e con la descrizione della città, delle fortificazioni, delle genti, così dettagliata da suggerire una conoscenza diretta. Spiega quindi i retroscena che avrebbero spinto il principe Doria a preparare un attacco a sorpresa contro la città, centro della pirateria africana manovrata dalla Francia; descrive minutamente i preparativi segreti per riunire a Messina una flotta di settanta navi e diecimila soldati forniti, oltre che dalla Repubblica, di Spagna, Milano, Napoli, papa, granduca di Toscana; elenca con sottile ironia i numerosi contrattempi organizzativi fino alla tempesta che, il 30 ag. 1601, rigettò la flotta a largo dell'Africa e costrinse il Doria, riparato a Maiorca, a rinunciare al progetto, in vista del prossimo rientro ad Algeri della flotta turca.
Ma in quegli anni, posteriori al 1600, l'attenzione del C. doveva essere principalmente rivolta a una nuova opera storica, in cui il ripensamento di vicende direttamente vissute diventava un impellente desiderio di testimonianza; opera difficile, per la negativa valutazione politica che comportava nei riguardi della Spagna, nonostante la dichiarata volontà dell'autore di non emettere giudizi. Il titolo, Delle guerre della Germania Inferiore (cioè dei Paesi Bassi), rende subito sospetto il testo. Esso viene pubblicato a Venezia nel 1614 da Antonio Pinelli e l'anno dopo a Colonia.
Del resto, nella prefazione, il C. aveva previsto difficoltà e calunnie, alle quali si dichiara avvezzo. Anche questo testo, in dieci brevi libri per un totale di circa cinquecento pagine, si apre con un utile indice analitico: si volge quindi all'esame dettagliato delle vicende politiche delle Fiandre, collegando il conflitto 1566-1579 alla situazione internazionale, ma anche sottolineando in esso, con eccezionale intelligenza storica, l'importanza delle componenti economico-sociali, dei fattori geografici, etnici, linguistici. Talora il C. suffraga il suo discorso con la riproduzione di documenti: ad esempio, riporta il testo della petizione per la libertà religiosa presentata, l'aprile del 1566, da Ludovico di Nassau alla duchessa Cristina di Lorena. Dalla voluta nudità delle descrizioni di fatti, di congiure, di stragi perpetrate, anche troppo evidente traluce la brutalità di una Spagna sorda e arrogante; e la ammirazione del lettore è condotta agli eroici "ribelli", in particolare a Gugliemo d'Orange. Ovvio perciò che negli Stati legati alla Spagna il libro non venga pubblicato e ci si preoccupi invece di dare diffusione a un opuscolo di centodiciannove pagine di Avvertimenti sopra l'historia delle guerre della Germania Inferiore di G. Conestagio, pubblicato senza indicazione del luogo di stampa nel 1619 (quando il C. era già morto) sotto lo pseudonimo di Adriano Stoperno (il volume è conservato a Genova presso la Biblioteca civica Berio, Be.XVII.A.488). Questi si propone di controbattere, attraverso una minuziosa disamina, le presunte inesattezze, falsità e parzialità del C., ma non riesce ad andare oltre la propria volontà denigratoria. Sostiene tra l'altro che il famoso libro sull'Unione del Portogallo tanto superiore per stile, non sarebbe stato opera del C., ma di quel conte Giovanni da Silva, della cui amicizia il C. avrebbe approfittato. Ma il testo del C. rimane valido e interessante, e ad esso si sarebbero ampiamente rifatti, pur non citandolo, il Bentivoglio e lo Strada per le loro più celebri storie sulle guerre di Fiandra.
Non sappiamo se, all'epoca della pubblicazione del suo ultimo libro, il C. risiedesse ancora a Genova o si fosse definitivamente trasferito nelle amate Fiandre prima della morte, avvenuta tra il 1616 e il 1618. Ad Amsterdam comunque venne pubblicato postumo da Giacomo di Pietro il suo volumetto di Rime, che, con dedica di tal Giacomo Nichetti al cognato del C. in data 16 ott. 1618, vuol ricordare l'amico defunto a chi amò lui e la poesia.
In effetti il canzoniere, che comprende cinque canzoni, tre capitoli, venticinque sonetti e due madrigali, rivela una interessante personalità poetica in cui la formazione classico-petrarchesca rimane estranea alle forzature barocche ed esprime un mondo sincero di affetti, di idee, di passione civile. Evidente, soprattutto nei sonetti e nei madrigali, l'influenza del Della Casa (tra l'altro il C. adopera costantemente la tecnica dell'enjambement) e del Tasso meno concettoso; presente, nel ritmo poetico e nell'ottica dei contenuti dei capitoli, l'Ariosto delle Satire, specie nel primo, indirizzato a Ottavio Contardi sul variare della fortuna e la vanità delle ambizioni. Interessanti il secondo capitolo (in lode della mercanzia, misconosciuta stimolatrice, secondo il C., di tutte le arti, dalla nautica alla astronomia alla matematica, e produttrice prima di nobiltà) e il terzo, in cui una lode, che supera gli stilemi di maniera, contrappone Anversa bella e in pace a Genova bella e dilaniata dai giochi di potere. Il tema di Genova straziata dalle lotte civili campeggia nella prima intensa canzone e nel vigoroso sonetto "Ben ti bestemmia con ragione il mondo e ritorna tra le righe di altre canzoni (nella seconda contro la tirannia, nella terza di partenza da Anversa), frequente quanto il motivo della lode e del compianto del giovane re del Portogallo, Sebastiano, cui il C. fu legato da affetto profondo. La sincerità d'accenti, la evidente cura metrica e formale, lo stesso ritorno linguisticacamente significativo di quattro parole-tema (terra, luna, cielo, sole) contribuiscono a dare del canzoniere del C. l'idea di qualcosa di più valido e personale delle molte raccolte di maniera del suo tempo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, ms. 478, c. 117; Genova, Civica Bibl. Berio, Mr. X, 2. 167; L. Della Cella, Famiglie di Genova [1782], c. 840; A. Roccatagliata, Ann. della Repubbl. di Genova, Genova 1873, p. 290; L. Einstein, The Italian Renaiss. in England, London 1902, p. 309 n. 2; J. A. Goris, Etude sur les colonies marchandes mérid. à Anvers, Louvain 1925, pp. 446, 619; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc lig. di storia patria, LXIII (1934), p. 71; H. G. Koenigsberger, L'Europa occid. e la potenza spagnola, in St. del mondo mod., III, Milano 1968, p. 316 n. 1.